CAPITOLO II: LA MOBILITA’ ORIZZONTALE
8. Il repêchage nel licenziamento in relazione alla mobilità orizzontale
Quando si parla di obbligo di repêchage si fa riferimento a quel particolare obbligo gravante sul datore di lavoro di verificare, prima di licenziare il dipendente per un motivo oggettivo, che all’interno dell’azienda non esistano mansioni equivalenti o inferiori a quelle da ultimo svolte, da poter assegnare allo stesso al fine di evitare il licenziamento, che è concepito solo come extrema ratio132. Questo termine di matrice giurisprudenziale funge da condizione di legittimità del licenziamento per ragioni economiche e nel corso del tempo, così come è stato coniato dalla giurisprudenza, dalla stessa sono state anche definite le sue caratteristiche che si collocano nel quadro generale del rispetto della discrezionalità e dell’autonomia imprenditoriale.
Nello specifico, ante riforma del 2015 si riteneva che il datore dovesse verificare la possibilità o meno di ricollocare il dipendente in altre posizioni con mansioni equivalenti alle ultime da questo effettivamente svolte e comunque coerenti con la sua professionalità, quest’operazione non doveva nemmeno comportare per l’imprenditore una sostanziale modifica degli assetti organizzativi aziendali, infine si riteneva che il lavoratore dovesse cooperare nel procedimento, indicando quali fossero le mansioni a cui poteva essere adibito alternativamente al licenziamento133.
Considerando che in seguito alla riscrittura della disciplina delle
131
LISO, op. cit., p.9.
132
G. ZILIO GRANDI, E. GRAMANO, La disciplina delle mansioni prima e dopo il Jobs Act, Giuffrè Editore, 2016, p.159.
133
71
mansioni è stato ampliato il potere di esercizio dello ius variandi datoriale, con possibilità di adibire il dipendente ad una più ampia gamma di prestazioni lavorative, dobbiamo chiederci se questo abbia portato anche ad un cambiamento delle regole in tema di repêchage, in particolare a seguito di quanto stabilito in una rilevante sentenza del Tribunale di Milano del 16 dicembre 2016134, che sembra ampliare significativamente i confini dell’obbligo gravante sul datore che vuole procedere al licenziamento del lavoratore per soppressione del posto. In questo caso la società datrice di lavoro aveva licenziato una lavoratrice per giustificato motivo oggettivo consistente nella soppressione del posto, questa dal canto suo indicava al giudice quali fossero le mansioni a cui poteva essere adibita in alternativa al licenziamento. Il giudice dopo aver evidenziato che la società non aveva fornito prova dell’assolvimento dell’obbligo di repêchage in relazione a queste specifiche mansioni, dichiara l’illegittimità del licenziamento e, innovando rispetto alle posizioni passate, afferma che il datore non avrebbe dovuto fare riferimento alle mansioni equivalenti, essendo un parametro da ritenersi ormai superato, bensì avrebbe dovuto valutare la possibilità di adibire la dipendente a mansioni riconducibili allo stesso livello d’inquadramento e categoria legale delle ultime effettivamente svolte, come previsto dal nuovo art. 2103 cod. civ..
Sulla base di questa interpretazione possiamo individuare quali sono i nuovi contenuti caratterizzanti dell’obbligo di repêchage. In primo luogo il nuovo parametro di riferimento non saranno più le mansioni equivalenti, ma appunto quelle stabilite ex 1° comma art. 2103, con un sostanziale aggravamento dell’onere della prova a carico del datore135
. Inoltre si riconferma quanto già stabilito in passato circa la possibilità di adibire il prestatore di lavoro anche a mansioni inferiori in alternativa al
134
Sent. 16 dicembre 2016, n. 3370.
135
A. MAURO, Con il nuovo art. 2103 cod. civ. cambiano anche le regole del repêchage (?), in Archivio interventi Bollettino ADAPT, http://www.bollettinoadapt.it, 29 maggio 2017.
72
licenziamento per ragioni economiche, questa però prima rappresentava una vera e propria deroga al divieto di demansionamento (sancito dalla vecchia versione).
Rimane però aperto l’interrogativo del collegamento tra obbligo formativo e obbligo di repêchage, ovvero ci si chiede se, in caso di posizioni libere nel contesto aziendale, gravi sul datore di lavoro l’obbligo di formare il dipendente al fine di un suo ricollocamento. Per molti, l’introduzione di un simile obbligo costituirebbe un’eccessiva ingerenza nelle scelte organizzative datoriali, e un limite ai poteri dello stesso in violazione dall’art. 41 Cost., si farebbe così prevalere eccessivamente le esigenze del lavoratore alla conservazione del posto rispetto a quelle imprenditoriali di tutela dell’impresa136
.
Sotto un altro punto di vista poi, questo porterebbe ad un eccessivo aggravio di costi per il datore di lavoro, costretto a sostenere i costi per la formazione del dipendente in aggiunta alla normale corresponsione della retribuzione.
Come già analizzato (nel precedente paragrafo 6) non esiste un vero e proprio obbligo formativo a carico del datore , ma è più corretto parlare di onere, dunque anche l’obbligo di repêchage dovrebbe essere riferito limitatamente alle mansioni che il lavoratore è in grado di svolgere, utilizzando le sue attitudini e la sua formazione; se invece le mansioni “libere”, inquadrate nello stesso livello non richiedono una formazione aggiuntiva, possono essere prese in considerazione al fine del repêchage137.
Peraltro anche la Suprema Corte138 si è espressa in questa direzione, nel senso di escludere l’esistenza di un obbligo a carico del datore di fornire ai propri dipendenti “un’ulteriore e diversa formazione per salvaguardare
136
G. ZILIO GRANDI, E. GRAMANO, op.cit., p.160.
137
C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappicheli Editore, 2015, p.150.
138
73
il loro posto”.
E’ inoltre opportuno aggiungere che sempre la Corte di Cassazione139
mutando il proprio indirizzo, ha affermato che in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetti esclusivamente al datore l’onere della prova dell’impossibilità di ricollocamento del prestatore, sovvertendo il principio di collaborazione del lavoratore nell’individuazione delle mansioni alternative.
Possiamo dunque dire che essendo il tema del repêchage una di quelle materie che continua ad essere governata dalla regolamentazione giurisprudenziale, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore per definirne i confini e rimuoverne eventuali incertezze.
139
74
CAPITOLO III
L’ADIBIZIONE A MANSIONI SUPERIORI
SOMMARIO: 1. Continuità con la disciplina antecedente alla riforma. Le fattispecie di mobilità verticale; 2. Adibizione alle mansioni della categoria superiore successivamente acquisita: le interpretazioni dottrinali; 3. La promozione automatica e il periodo di tempo necessario per farla maturare; 4. Effettività e continuità del periodo di svolgimento delle mansioni superiori; 5. L'eccezione all'assegnazione definitiva derivante dal rifiuto del lavoratore; 6. L'eccezione derivante dalla sostituzione di altro lavoratore in servizio e la promozione temporanea; 7. La progressione del trattamento economico; 8. Adibizione piena alle mansioni superiori e la questione delle mansioni vicarie.
1. Continuità con la disciplina antecedente alla riforma. Le fattispecie di mobilità verticale
Il d.lgs. n. 81/2015 interviene anche sulla mobilità verticale verso l’alto, ossia sulle ipotesi di adibizione a mansioni superiori, ma lo fa in sostanziale continuità con la previgente disciplina, la quale prevedeva che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni … corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito”, nonché “nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi”.
75
materie previste dalla legge delega, ma le nuove esigenze di flessibilità hanno portato a ritenere opportuna una sua riscrittura140, e proprio l’effettiva continuità con la precedente disciplina ha evitato che si potesse parlare di un eccesso di delega, visto che tale fattispecie (la mobilità verso l’alto) non integra gli estremi previsti della lettera e) comma 7° dell’art. 1 della l. n. 183/2014141
.
I principi e criteri direttivi sanciti alla lettera e) troveranno invece applicazione generalizzata all’interno della disciplina del mutamento delle mansioni in melius, e non vi sarà un contrasto con la legge delega anche nei casi in cui l’assegnazione a mansioni superiori non sia dovuta a “processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale”. A fronte di questa persistenza della disciplina, prima di affrontare le varie ipotesi di mobilità verticale verso l’alto, è opportuno chiarire che normalmente in tali casi si è in presenza di una modificazione oggettiva del rapporto di lavoro preesistente, e non di un’interruzione dello stesso dovuta al passaggio ad un’altra qualifica o ad un livello d’inquadramento superiore. Affinché accada questa seconda fattispecie sarebbe infatti necessario uno specifico animus novandi, manifestato anche in forma tacita, ma in maniera chiara e non equivoca, altrimenti in assenza di questa volontà non vi è alcun ostacolo ad ammettere la continuità del rapporto, anche se questo mutamento comporta l’applicazione di una
140
M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art.3), in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n.81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi, (a cura di) F. Carinci, in ADAPT Univesity Press, 2015, p.80.
141
Art.1, co. 7°, d.lgs. n. 183/2014: “… Il Governo è delegato ad adottare … uno o più decreti legislativi … nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
lett. e) Revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalita' e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera.”
76
disciplina giuridica parzialmente diversa142. Da ciò possiamo anche ricavare che il rapporto di lavoro non pone eccezione alla modificabilità della prestazione in continuità del rapporto stesso143.
Altra questione che merita di essere affrontata è quella inerente la fonte del mutamento delle mansioni, che si poneva sotto la vigenza della precedente disciplina, dando vita a due opposte interpretazioni dottrinali: una rigida ed una flessibile.
Secondo la prima si riteneva necessario il consenso del lavoratore per l’assegnazione a mansioni superiori, dunque sarebbero state illegittime le ipotesi di mutamenti non preceduti da un’accettazione del prestatore stesso, all’interno di questo orientamento rigido vi era poi chi invece riteneva esistente uno ius variandi dell’imprenditore, ma riteneva necessario salvaguardare l’interesse del lavoratore a rifiutare la promozione nel caso questa comportasse maggiori responsabilità, impegno, orari più gravosi, possibilità di trasferimento, ecc.
Questa tesi è criticabile a causa della sua eccessiva rigidità gestionale, che non consente al datore di esercitare il proprio potere unilaterale nemmeno per la copertura di un posto temporaneamente vacante a causa di assenza del lavoratore con diritto alla conservazione del posto.
La tesi prevalente invece, riteneva sussistente un vero e proprio ius variandi in melius in capo al datore, basandosi anche sul fatto che generalmente lo svolgimento di mansioni superiori, con una maggiore retribuzione è un interesse del prestatore, proprio per tale motivo il suo consenso si reputava irrilevante144.
Tale tesi ha trovato riscontro sia nell’esperienza pratica, che nella contrattazione collettiva la quale non richiedeva alcun consenso per gli
142
Cfr. C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli Editore, 2015, p.156.
143
G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, 1963, p.388.
144
Cfr. M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, mutamento di mansioni e trasferimento, in Il Codice Civile Commentario, diretto da Schlesinger, Giuffrè Editore, 1997, p.291 ss.
77
spostamenti a mansioni superiori, successivamente di questa si sono sviluppate alcune varianti volte ad individuare dei limiti all’esercizio del potere imprenditoriale, ma sono state respinte dalla dottrina che le ha designate come una forzatura.
I problemi interpretativi inerenti il tema della fonte possono dirsi risolti dall’attuale formulazione dell’art. 2103 cod. civ., il quale prevede espressamente al 7° comma che “l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore”; sulla base di questa previsione quindi la volontà contraria del dipendente assume rilevanza in qualità di eccezione alla promozione automatica (argomento che affronteremo nel 6° paragrafo).
La riforma del 2015 pur introducendo alcuni aspetti di novità, possiamo dire che coltiva la stessa ratio dell’art. 13 Statuto dei Lavoratori, basata sul presupposto che nell’organico vi sia un posizione vacante, e che il lavoratore ricoprendola per un certo periodo, si dimostri professionalmente idoneo a conquistarla definitivamente145.
Inoltre nella nuova disposizione è possibile riconoscere una “dimensione protettiva” ed una “dimensione sanzionatoria”, in quanto da una parte questa garantisce l’interesse del lavoratore prevedendo la definitività dell’assegnazione, dopo un periodo di tempo sufficientemente lungo, dall’altra ammette la sovra utilizzazione del prestatore adibendolo a mansioni di livello superiore a quelle svolte, ma sanzionandone il ricorso per un periodo prolungato.
Il nuovo art. 2103 cod. civ. interviene, modificando tre distinti profili: il primo riguarda la promozione automatica il cui ambito è ora ristretto, mentre prima questa non maturava nelle ipotesi in cui l’assegnazione a mansioni superiori fosse stata fatta per “sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto”, ora non scatta nei casi
145
M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art.3), in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n.81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi (a cura di) F. Carinci, in ADAPT Univesity Press, 2015, p.80.
78
in cui “l’assegnazione abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio”, il legislatore ha così ampliato i casi impeditivi della promozione automatica, ad esempio prima nell’ipotesi di un lavoratore assente per frequentare un corso di formazione, il suo sostituto avrebbe potuto conseguire la promozione (automaticamente), ora non più146.
Il secondo ambito d’intervento dalla nuova disciplina riguarda il rinvio alla contrattazione collettiva per fissare il termine necessario per la promozione automatica, rimesso ora alla sua libera scelta e solo in mancanza interverrà il termine legale di 6 mesi, a differenza della disciplina passata in cui il termine poteva essere stabilito dall’autonomia collettiva ma comunque non poteva superare quello legale di 3 mesi. Terza ed ultima modifica apportata, riguarda l’esplicita previsione che la volontà del lavoratore, come abbiamo visto, è idonea ad impedire il maturarsi della promozione, una novità curiosa, come sostenuto da Liso, dato che sarebbe stato più logico disciplinare la possibilità di rifiuto dell’assegnazione a mansioni superiori.
Nonostante tali novità, analogamente al vecchio testo anche il nuovo continua a prevedere due fattispecie di mobilità verticale verso l’alto: quella relativa all’acquisizione della categoria superiore, prima disciplinata nel primo periodo del comma 1, ed oggi inserita al comma 1, e quella riguardante l’assegnazione a mansioni superiori, in passato prevista al secondo periodo del comma 1, attualmente invece collocata al 7°; vedremo nel prossimo paragrafo come queste due interagiscono tra loro.
146
F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 257, p.14.
79
2. Adibizione alle mansioni della categoria superiore successivamente acquisita: le interpretazioni dottrinali
Tra le situazioni prese in considerazione in cui vengono in rilievo le modifiche in melius dell’oggetto del contratto, viene disciplinata in primo luogo, oggi come in passato, l’ipotesi di acquisizione della categoria superiore da parte del lavoratore.
Nella vecchia formulazione era espressamente stabilito che il dipendente doveva essere adibito alle mansioni per cui era stato assunto “o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito”, nella nuova previsione analogamente, riferendosi alle mansioni “corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito”, il legislatore non introduce alcuna novità, al contrario effettua esclusivamente un’operazione di precisazione terminologica. Infatti se è vero che il termine “categoria” successivamente acquisita è stato sostituito con il riferimento all’inquadramento superiore, è altrettanto vero che nei fatti le cose restano inalterate, dato che anche prima non si alludeva alla categoria legale intesa come la summa divisio tra dirigenti, impiegati, operai147 e quadri, bensì a quella contrattuale, stabilita dai contratti collettivi e coincidente con il livello di inquadramento.
Confermato dunque che in relazione a questa ipotesi vi è una sostanziale continuità con la disciplina ante riforma, è giunto il momento di stabilire cosa si intende per acquisizione della categoria superiore, ricomprendendo all’interno di questa fattispecie tutti i casi di promozione definitiva del prestatore, indipendentemente dalle modalità mediante le quali quest’ultima sia conseguita148
, quindi non solo i casi di promozione immediatamente definitiva e di promozione automatica, che si realizza
147
G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, 1963, p.24.
148
M. GRANDI, La mobilità interna, in AA.VV., Strumenti e limiti della flessibilità, Giuffrè Editore, 1986, p.262 ss; M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, mutamento di mansioni e trasferimento, in Il Codice Civile Commentario, Giuffrè Editore, 1997, p.290.
80
decorso un certo termine da quella temporanea e in presenza di determinati presupposti, ma anche nelle ipotesi in cui non si ha una modifica della prestazione, tuttavia è la contrattazione collettiva a riclassificarla valutandola come superiore, nonché nel caso dei cosiddetti automatismi di carriera solitamente previsti dai contratti collettivi, dove il passaggio alla categoria superiore è collegato al realizzarsi di determinati presupposti oggettivi, quali ad esempio il trascorrere di un certo periodo in una categoria o livello inferiore, ma che non comporta necessariamente un mutamento di mansioni149.
Con riferimento allo specifico caso della promozione automatica, disciplinato al 7° comma dell’art. 2103 cod. civ., affermando che questo rientra nella più ampia previsione ex comma 1, possiamo concludere rispondendo anche all’interrogativo conclusivo del paragrafo precedente, che tra le due fattispecie (acquisizione della categoria superiore e promozione automatica) vi è una relazione riconducibile al rapporto tra genus e species150.
Sulla base di quanto affermato sopra possiamo anche riassumere in altri termini che il fenomeno dell’acquisizione dell’inquadramento superiore può conseguire o ad un mutamento di mansioni, per cui è il datore di lavoro che adibisce il prestatore a mansioni appartenenti alla categoria superiore (ad esempio nel caso della promozione automatica o
immediatamente definitiva), oppure questo può avvenire
indipendentemente dalla modifica della sua prestazione, per cui l’acquisizione del livello di inquadramento superiore deriverà da altri fattori ma in concreto il lavoratore svolgerà le stesse mansioni che svolgeva prima (ad esempio nell’ipotesi di riclassificazione ad opera del contratto collettivo o negli automatismi di carriera).
149
M. DELL’OLIO, L’oggetto e la sede della prestazione di lavoro, in Tratt. dir. priv. Diretto da P. Rescigno, XV, I, 1986, p.508.
150
G. ZILIO GRANDI - E. GRAMANO, La disciplina delle mansioni prima e dopo il Jobs Act, Giuffrè Editore, 2016, p.106.
81
Quest’ultime situazioni di promozione solo formale, in particolare le cosiddette “qualifiche convenzionali”, hanno dato vita ad alcune criticità in relazione alla questione della necessaria corrispondenza tra le mansioni svolte e l’inquadramento acquisito. Parte della dottrina151
ha affermato il principio per cui l’inquadramento del dipendente deve corrispondere alle mansioni effettivamente svolte, conseguentemente sono ritenute illegittime da questi autori le qualifiche convenzionali e i meccanismi di progressione automatica di carriera cui non corrisponde lo svolgimento di mansioni superiori. Alla base di questa tesi vi è l’analisi testuale dell’art. 2103 cod. civ., secondo cui il prestatore “deve essere adibito” alle mansioni “corrispondenti” all’inquadramento superiore successivamente acquisito.
Tale interpretazione non è condivisa da altra parte della dottrina152 e dalla stessa giurisprudenza che in diversi casi ha affermato la legittimità della qualifica convenzionale, pur non mancando però talvolta sentenze contrarie. Secondo questo filone dunque, il prestatore potrebbe ben acquisire solo formalmente la categoria superiore ma non sarebbe legittimato ad invocarla per pretendere lo svolgimento delle mansioni proprie di questa, o per rifiutare la prosecuzione dei compiti cui era stato fino a quel momento adibito; allo stesso tempo il datore non potrà invocare la qualifica convenzionale per disapplicare una normativa inderogabile di tutela prevista per la categoria a cui appartengono le mansioni concretamente svolte153.
In conclusione, come abbiamo già detto in relazione alla fattispecie prevista dal 1° comma, si registra una prosecuzione della disciplina
151
Ad es. U. ROMAGNOLI, Commento all’art.13, in Commentario dello Statuto dei lavoratori, (a cura di) A. Scialoja e G. Branca, Zanichelli Editore, 1972, p.237; G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, 1963, p.549.
152
Ad es. F. LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Franco Angeli Editore, 1982, p.145; P. ICHINO, Il lavoro subordinato: definizione ed inquadramento,Giuffrè