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INTERVISTA DIRETTRICE FONDAZIONE INTEGRATION POUR TOUS (D = IPT) – 08.03.2017 – PER VIA TELEFONICA

Intervista IPT

INTERVISTA DIRETTRICE FONDAZIONE INTEGRATION POUR TOUS (D = IPT) – 08.03.2017 – PER VIA TELEFONICA

I: L’anno scorso avete iniziato questo progetto giovani IPT Ticino, che avete immagino concluso?

D: Abbiamo concluso alla fine del 2016. Era un progetto destinato a 15 giovani, un po' particolare perché è nato da un’esigenza che abbiamo riscontrato, con la collaborazione e il confronto di alcune scuole con la quale collaboriamo e poi finanziato da una fondazione privata: ci ha permesso appunto di seguire questi 15 giovani.

I: Ah, quindi è un’altra fondazione che vi ha finanziato?

D: Sì, è una fondazione legata a un’azienda finanziaria alla quale abbiamo presentato il progetto, in quanto era un po' separato diciamo dalla nostra attività che svolgiamo regolarmente: quindi reinserimento professionale per un pubblico un po' particolare, loro hanno creduto in questo progetto e hanno deciso di finanziarlo. È durato un anno.

I: Come mai non è proseguito quest’anno?

D: Non ha proseguito quest’anno perché la stessa fondazione ha come direttiva interna quella di non creare una dipendenza tra aziende no profit del territorio, quindi le donazioni che fanno non sono mai ripetitive negli anni a seguire, proprio per non creare questa dipendenza. Da settembre di quest’anno stiamo cercando di partire con un altro progetto orientato ai giovani, che è già attivo nelle altre regioni della Svizzera e si chiama Jeunes at work.

I: Ecco, volevo arrivare a quello. Ho visto dal vostro sito internet che avete questo link a Jeunes at work e volevo chiedere se è un progetto sulla stessa linee del progetto giovani IPT?

D: Allora, diciamo che il progetto giovani IPT dello scorso anno era indirizzato a giovani che a fine scuola dell’obbligo avevano iniziato e interrotto più formazioni, senza trovare una soluzione professionale di fatto. La maggior parte delle persone che sono arrivate da noi non avevano neanche un diploma, un AFC, proprio perché avevano fatto magari delle scelte sbagliate, poi molti non avevano un seguito scolastico e si trovavano in una situazione di difficoltà e noi abbiamo cercato con loro di capire quali potessero essere dei progetti professionali spendibili per loro sul mercato del lavoro e gli abbiamo accompagnati verso il ritrovamento di un posto d’apprendistato, piuttosto che di un lavoro e di una formazione. Invece Jeunes at work è un progetto orientato ai giovani dai 18 ai 28 anni, che cercano il loro primo impiego: che siano diplomati o laureati. Il pubblico quindi è un po' differente, ma bene o male le modalità, quello che viene attivato all’interno del progetto sono simili. Questo durerà tre mesi e lo scopo è di trovare una soluzione professionale per i giovani che sono alla ricerca del primo impiego.

I: E fate sempre quello che è l’approccio dell’IPT, con le 4 fasi?

D: Sì, il fil rouge è quello. Vengono attivate, all’interno delle formazioni, come dire, le formazioni vengono strutturate in un modo più vicino ai giovani, piuttosto che magari con un pubblico con un’età differente, un’esperienza differente. Comunque lo scopo è sempre quello: facciamo un bilancio della situazione per capire quali sono i progetti del giovane,

se ha avuto altre esperienze magari durante la scuola, di stage, di piccoli lavori, eccetera; per andare poi a individuare quali sono i progetti professionali e quindi le professioni per la quale sta cercando un posto di lavoro e poi li sosteniamo proprio nella ricerca attiva, nei contatti con le aziende, nel trovare magari degli stages per farsi conoscere, per poi trovare un posto di lavoro.

I: Che bello, bravissimi. Ci tengo tanto a questa tematica, non a caso la voglio portare nel lavoro di tesi ed è uno dei motivi che mi ha spinto a voler fare la SUPSI a 35 anni.

D: Il titolo della sua tesi?

I: Allora, praticamente: quali sono i limiti, le criticità che emergono in un processo di inserimento socio-professionale in Ticino e il ruolo dell’assistente sociale del SAS? Quali sono le strategie che si adottano per affrontare i limiti e le criticità, o quali sarebbero altre nuove strategie da poter implementare, introdurre. Questo diciamo è il lavoro di tesi.

D: Ok. Quali sono le criticità che hai riscontrato? Magari mi aiuti e scopro nuove cose.

I: Tra l’altro auguri, oggi è la vostra festa. Adesso, io è da un mese e mezzo che lavoro al SAS e posso parlare personalmente, dato che sono un po' di anni che guardo il mondo del lavoro ticinese e ci sono passato in prima persona nel precariato, sono stato anche un vostro cliente nel 2006…

D: Ah, è vero?

I: Con la V. T. come referente. Non ho finito nemmeno il percorso perché ho trovato lavoro abbastanza in fretta. Essendo passato in prima persona in queste dinamiche, seguo molto, mi sento molto sensibile da questo punto di vista. È uno dei motivi principali. Non so se anche sei stata alla conferenza a Bellinzona il 19 febbraio di Oséo, che sarebbe il SOS in Ticino, che sembra molto la vostra Fondazione IPT, solo che gestiscono praticamente tutto loro: il SEMO, il CPS. È tutto centralizzato in questa struttura. Oltre a ciò loro hanno delle misure che non esistono in altri cantoni, una in particolare, un unicum che si chiama Coaching Families. A tal proposito volevo farti un’altra domanda: quando leggo il bilancio socio-professionale completo, voi fate un bilancio solo sulla persona, sul partecipante.

D: Se ti ricordi noi facciamo un colloquio individuale, beh sono cambiate magari certe cose, ma comunque facciamo sempre il colloquio individuale con la persona, dura circa un’ora e mezza o due. Poi chiediamo l’autorizzazione a raccogliere le referenze e quindi chiamiamo tutta la rete di contatto della persona: gli ex datori di lavoro, i medici se c’è stato un medico, nel caso dei giovani se ci autorizzano la scuola, quindi i contatti che hanno avuto in precedenza, magari dagli stages o lavoretti che hanno fatto in estate, proprio per avere un bilancio a 360 gradi. Nel caso, quando abbiamo fatto il progetto lo scorso anno con i giovani, per quelli che erano ancora minorenni, che avevano bisogno di un’autorizzazione dei genitori, abbiamo preso una referenza anche famigliare, per capire quale in quale contesto fosse la persona, eventualmente se c’erano dei sostegni o delle resistenze in un percorso di questo tipo. Comunque i giovani sono confrontati con il fattore famiglia, che è importante. Bisogna anche capire. Abbiamo avuto l’esperienza con una persona che aveva un progetto professionale che sembrava un sogno, ma in realtà eravamo riusciti a trovare una soluzione con un posto di apprendistato, nell’azienda che

voleva, ma poi i genitori non hanno voluto perché per cultura preferivano che la figlia facesse un altro tipo di professione. Non siamo quindi riusciti a concretizzare. In questo senso, soprattutto quando i ragazzi sono minorenni, ci è sembrato importante fare un bilancio che comprendesse anche la famiglia, perché poi in casi come questo ha inciso.

I: Per quello volevo capire se prendevate in considerazione tutto il contesto di vita della rete primaria praticamente.

D: Sì. Dopo è chiaro che se una è maggiorenne non posso chiederli una referenza parlando con sua mamma, però se ha una rete sociale che lo segue, un medico, piuttosto che un’assistente sociale, una persona di riferimento presso il municipio: chiediamo sempre di avere un contatto. Talvolta magari le persone non fanno nemmeno caso a quali siano i loro contatti, quale sia la loro rete. Si raccontano però in realtà omettono o si dimenticano, e in tutto il racconto che noi chiediamo alla persona, quando andiamo a ripercorrere le esperienze lavorative, nel caso dei giovani adesso invento, lavori in piscina in estate: tramite chi hai trovato quel lavoro? Perché magari l’ha trovato tramite sempre il signor Crivelli del municipio di non so dove. Allora fa parte della sua rete, allora magari lo contatto e da lì spesso escono delle informazioni che sono importanti. Dal mio punto di vista, dal punto di vista di IPT, è quello di lavorare sulla trasparenza, quindi non ci teniamo le informazioni della quale veniamo a conoscenza, ma le condividiamo con il candidato, con il giovane, perché se mettiamo sul tavolo tutta la situazione, possiamo fare un lavoro di un certo tipo, è inutile raccontarsi o non raccontarsi delle cose. Alla fine la persona è una persona a 360 gradi e il lavoro è una parte fondamentale, ma se ci sono altre cose, è tutto collegato nella vita.

I: Ottimo, grazie. Nel canton Vaud hanno questo Coaching Families e prendono in considerazione tutti i membri dell’UR. Fanno un lavoro, un progetto includendo tutti i membri che vivono insieme. Questa è la particolarità, l’unicum in tutta la Svizzera.

D: Ma solo per i giovani, o anche i minorenni?

I: Io ad esempio abito con mia madre, mia sorella e mio fratello, ho difficoltà a trovare un lavoro, non sono più bravo a scrivere lettere di candidatura, qualsiasi problema. Loro non prendono solo il mio bilancio personale, ma prendono quello di tutti i membri. In questo modo fanno un lavoro per implementare il più possibile le entrate dell’UR, con tutti.

Ora vorrei chiederti, visto che ho in mano il vostro rapporto del 2015. Le cifre riportate sono a livello globale svizzero, non c’è la possibilità di avere quelle ticinesi.

D: Che cifre le servono?

I: Quelle indicate nella pagina 7. Formazione, salute, eccetera e poi ci sono le cifre: quanti sono stati presi in carico e quanti sono stati collocati.

D: Per esempio, nel 2016. Allora diciamo che noi suddividiamo sempre i numero di dossier trattati, nel senso che potremmo averli aperti anche l’anno precedente, ma non è che tutti i dossier chiudono al 31.12: alcune transitano l’anno. Allora ne abbiamo trattate nel 2016 466.

I: È un numero bello importante. Incluso tutto, sia orientamento sia collocamento professionale.

D: Certo. Persone che arrivavano dalla disoccupazione, piuttosto che dall’assistenza, dai medici, da mandati esterni come i giovani.

I: Ok, tutti. Collocati? Anzi, tu riesci a estrapolarmi da questo 466 chi ha intrapreso magari un percorso di inserimento, chi di orientamento? O se preferisci ti scrivo una mail con su tutte queste richieste e se riuscite con calma dopo…

D: Aspetta. In Ticino che hanno trovato un posto di lavoro, nel 2016. C’è da dire una cosa importante, 466 sono le persone che abbiamo seguito, ma poi non è che tutte quelle hanno finito quell’anno lì, non so se è chiaro.

I: È chiarissimo.

D: Che hanno trovato un posto di lavoro sono 145, che rispetto alle persone che abbiamo chiuso nell’anno, perché il tasso di collocamento viene calcolato, è il 43% più o meno. Di queste 2 hanno iniziato una formazione a tempo pieno, quelli che trovano un tirocinio sono sotto “posto di lavoro”; 7 che per vari motivi non erano più disponibili a continuare il percorso, per maternità, per il militare e non sono più tornati, vuoi perché hanno magari perso l’autorizzazione al loro lavoro; 3 indipendenti; 40 hanno trovato un lavoro e cercano ancora un complemento, contestualizzando che IPT lavora con persone che hanno avuto un problema di salute, quindi abbastanza normale che non trovino un posto al 100% subito. Potrebbe essere che la persona abbia delle difficoltà legate alla salute e che quindi nonostante abbia una capacità lavorativa certificata del 100%, magari è meglio che inizia in modo graduale per tenere sul posto di lavoro. 78 a tempo pieno, per le loro capacità di lavoro; e gli altri è un po' un mix tra formazione o altro.

I: Non è male.

D: No cancella i dati che ti ho dato, ho trovato una statistica meravigliosa che entra nel dettaglio. (risate) Allora cancella tutto. 93 fissi (nds: a tempo indeterminato), 46 un lavoro temporaneo, 1 è rimasto in impiego (nds: presso il posto di lavoro che già aveva), 3 indipendenti, 2 collocati in un atelier protetto.

I: Ho un’altra domanda. Qual è la tua visione del mondo del lavoro ticinese, riferendosi in particolar modo alla situazione dei giovani?

D: Ok. Ti posso parlare per la mia esperienza, che non è per forza la regola. Per quello che vedo io posso dire diverse cose. La prima, se penso alle parecchie aziende con la quale lavoriamo, ho sempre trovato, salvo rari casi, comunque apertura a quello che è di cercare di reinserire una persona che si trova in difficoltà, perché fuori dal mercato di lavoro. Ti parlo del reinserimento professionale tout court, non solo di giovani. Se mi chiedi dei giovani, devo dirti che se penso all’esperienza dello scorso anno, e a quelle fatte con persone arrivate qua negli anni, anche lì, devo dirti che abbiamo sempre trovato abbastanza apertura da parte delle aziende. C’è anche da dire una cosa, secondo me, nel tempo , alcuni giovani si sono un po' seduti, nel senso che la mobilità forse è un grande tema per il Ticino, perché dire a una persona che abita a Locarno che ho trovato un fantastico posto di lavoro a Mendrisio, ti mette di fronte a “No, ma è Mendrisio.”, “Io non ho

l’auto”, ho capito, senza fare sempre esempi della svizzera interna, ma se guardiamo al sud, una persona che vive a Milano, per spostarsi ci mette un’ora di mezzi pubblici, ed è normalissimo. Mi sembra abbastanza assurdo, soprattutto nei giovani, di non cogliere le opportunità che arrivano. Si è rimasti forse su questa idea del lavoro fisso, poi sai comunque noi abbiamo anche un legame con il mondo finanziario, il posto fisso, entra in banca che stai bene, entra in posta che stai bene, però questo non è più quello che va cercato. Anche perché oggi se ho lavorato 23 anni in un posto e mando il curriculum bene; bene da un punto di vista di attaccamento all’azienda, condivisione dei valori, eccetera, ma dall’altro punto di vista do un’immagine che farà scegliere qualcun altro che si è riciclato, passarmi il termine, in più attività; quindi di gestire il cambiamento, anche sviluppando una flessibilità e una capacità di muoversi nel diverso maggiore. Quindi non lo so, credo che comunque rispetto al dato che mi dicevi inizialmente, che ci sono tanti giovani in disoccupazione, andrei a vedere: è facile lamentarsi. Non dico che non esiste il problema, esiste. Però se guardo solo quello non posso che deprimermi e cercare altre persone che la pensano come me se io invece guardo alle mie risorse, a quello che posso fare per trovare una soluzione, mi si apre un mondo. Siamo comunque in un contesto, che per quanto sembri sfavorevole rispetto ad altre realtà del nostro paese, è comunque un posto che da opportunità: bisogna saperle cogliere. Io sono in disoccupazione, in assistenza e guadagno x, magari mi propongono un posto interessante, ma vado a guadagnare meno di quello che prendo stando a casa: ma io devo andare, assolutamente, perché non so cosa può succedere. Anche se devo lavorare due settimane soltanto in un posto, si è vero che sbattimento solo due, ma magari lì conosco te, che hai il papà che lavora la: è velocissimo. LA RETE è importantissima e forse adesso che siamo in un periodo dove si parla di rete, è una rete diversa, una rete che non sviluppiamo più di persona e probabilmente questo un po' preclude le possibilità. Forse non le vediamo, ce le abbiamo ma non le vediamo. Io farei una riflessione rispetto a questo. Sono convintissima che ogni persona abbia tantissime risorse. Tutte le persone, qualsiasi storia abbiano, professionale o privata, bisogna accompagnarle forse le persone a trovare le risorse.

I: Un discorso molto rogersiano il tuo, che condivido.

D: Noi all’interno di IPT abbiamo quella che noi chiamiamo la cultura del possibile: guardiamo che cosa posso fare.

I: Mi fa piacere che condividi il tuo punto di vista in base alla tua esperienza professionale. Ci sono passato in prima persona e avendo che gente che conosco, tantissima gente, che ha il problema di trovare un posto di lavoro, ma non perché non hanno voglia o non hanno risorse, ma proprio perché il mercato del lavoro non li prende e punto. Preferiscono in alcuni casi assumere gente e pagarla a metà salario, a sfruttarla al 100% e far figurare di assumerla al 50%: non ce ne sono uno o due in Ticino, ce ne sono centinaia di casi simili. Non so se posso condividerlo, è anche un discorso politico. Se guardiamo il settore dell’ufficio è finita in Ticino, c’è uno sfruttamento incredibile. Spesso quando mi chiedono quali lavori tirano in Ticino, rispondo nel sociale o sanitario.

I: Con quante aziende lavorate?

D: 400 circa, attivamente.

I: Sono piccole, medie, grandi?

D: Di tutto. Che ci conoscono sono molte di più, ma che collaborano attivamente… C’è apertura comunque.

I: Bene. Mi sembra abbastanza. Ti ringrazio moltissimo.

Allegato no. 6