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È l‟epistola che introduce il primo volume delle Lettere, la dedicatoria allo Spinola Luogo topico e privilegiato, in esso Contile si preoccupa soprattutto di spiegare e

giustificare la propria scelta di dedicare una raccolta di lettere familiari, che alcuni

giudicavano erroneamente riferite a «faccende per la casa» o comunicanti «ciò che

convenga a un padre di famiglia». Punto principale dell‟argomentazione è l‟elenco

di grandi autori del presente e del passato che hanno scritto con questo strumento di

materie importanti. I nomi citati di autori di lettere in volgare vanno a formare una

sorta di canone proposto da Contile, del quale quindi fanno parte Pietro Bembo,

Giovanni Guidiccioni, Annibal Caro, Girolamo Ruscelli, Lodovico Domenichi,

Ludovico Dolce, Bernardo Tasso e Claudio Tolomei.

All'Illustre Signor Giovanbattista Spinola157. Luca Contile

Come invero è men fatica alla vista dell'huomo debole per l'età, di veder l'oggetto quanto più il corpo di mezo è dal sole illuminato, così è a me stato più agevole di conoscer la bellezza dell'animo di Vostra Signoria vedendo la sua presentia et sentendo le sue parole che per quanto mi fu dato di lei notitia in voce. Anzi, si è me sì sfrenatamente scoperto lo splendor delle sue virtù, che, per gagliarda che sia, la mia vista ne è rimasta dolcemente abbagliata, et l'intelletto ingombrato di maraviglioso stupore. Ma che dico io, se per compiuto conoscimento delle ricchissime doti da Dio et dalla natura a Vostra Signoria largamente concedute mi ero apieno informato nella breve conversatione che io hebbi del Signor Franco

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suo fratello, tenendo io amendui di più maravigliosa gratia che non furono Castore et Polluce158? Percioché l'uno sta sei mesi dell'anno chiaramente palese avvicenda al mondo, l'altro nelle tenebre per altretanto tempo nascoso. Ma di voi, se uno si vede, con piena chiarezza amendui si veggono. Et è ben dritto che così sia, poiché quei dui fratelli sono favola de‟ greci, et voi historia de‟ cristiani. Et perché si sa non esser io stato di adulatione amico giamai, onde ne porto meco la povertà per testimonio, però rallegrisi che io dica il vero, come io mi rallegro che ella con suoi fratelli accreschi il poco numero de‟ veri gentilhuomini. Ha ella da credere ancora haver io in tanti viaggi fatti et nella notitia di tanti Signori usata diligentia di vertuoso spione, onde ho trovato pochi degni di laude, et quei pochi honoro et osservo. Riceva adunque la Signoria Vostra la prima parte di questa mia opera, come di mia pura volontà a lei cordialmente dedicata. Né guardi se non è in uso di consacrar altrui volumi di lettere familiari, percioché alcuni stimano in quelle non contenersi mai se non suggetti domestici, credendo, per poco giuditio, non chiamarsi lettere se non perché trattino di faccende per la casa. Et peggio questi dicono, cioè non potersi né doversi in scritture familiari communicare se non ciò che convenga a un padre di famiglia: goffa opinione è questa, essendo vero che i sette sapienti159 di Grecia si scrissero l'un con l'altro di cose altissime. Non si legge nelle lettere di Platone quasi qual si voglia materia di difficil notitia? Timeo160 a Pithagora non scrisse di soggetto maraviglioso? Tullio nelle sue epistole non trattò de‟ governi di stato? de‟ maneggi di guerra? et altri concetti civili, non che

158 Personaggi della mitologia greca e romana, Castore e Polluce sono conosciuti soprattutto come

Diòscuri, ossia "figli di Zeus", ma anche come Càstori. Nacquero dall‟unione tra Zeus, sotto forma di cigno, e Leda, che però quella stessa notte si unì anche al marito Tindaro, re di Sparta. La donna partorì due uova, e da una di queste nacquero i due gemelli. Tra i due solo Polluce risultò essere figlio di Zeus e quindi immortale, mentre Castore era condannato alla mortalità umana. Quando Castore fu ucciso Zeus intervenne per portare in cielo Polluce, che rifiutò però l‟immortalità per condividere il proprio destino con quello del fratello: chiese quindi al padre di ucciderlo o di dare l‟immortalità anche a Castore. Zeus concesse ai gemelli di vivere insieme, ma avrebbero trascorso metà del tempo nell‟Ade e metà in cielo. Vengono identificati con la costellazione dei Gemelli. La versione del mito riportata da Contile è diversa, poiché dice che i due gemelli erano visibili alternativamente. Il paragone serve comunque a esaltare i fratelli Spinola, i quali sono addirittura superiori poiché tanto uniti che vederne uno permette di vedere anche l‟altro.

159 I sette sapienti (detti anche i sette savi) sono pensatori, non solo filosofi, che abitarono l‟antica

Grecia tra la fine del VII e il VI secolo a.C. Il primo a enumerare i sette savi fu Platone nel Protagora. Le varie fonti propongono elenchi diversi, quindi non esiste una lista sicura e certa di chi fossero realmente questi sette personaggi.

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Timeo di Locri, filosofo greco appartenente alla scuola pitagorica del V secolo a.C. Sotto il suo nome ci è giunto un trattato Sulla natura del cosmo e dell‟anima, che si presenta come il presunto modello del Timeo di Platone. Sulla figura di Timeo si sa talmente poco che alcuni, come Nicola Abbagnano (Storia della Filosofia, vol. 1, Utet, Torino, 1998, p. 41), ne hanno messo in dubbio anche la reale esistenza storica. Non ci risultano informazioni relative a scambi epistolari con Pitagora.

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domestichi? Il Pico della Mirandola161, huomo celeste, non ha copiosamente a‟ suoi amici scritto di materie profonde? Il Politiano, il Merula162 et altri di quei tempi non hanno tocco et parlato più d'ogni altra cosa che de‟ fatti di casa? Il Sadoleto163 et il Bembo Cardinali sappiamo pure quante cose degne di notitia habbiano familiarmente scritto. Molti altri poi nella nostra lingua materna non hanno con artifitioso stile a più et più amici et gran Signori scritto, come il Bembo164 ornato, il Guidoccione165 sonoro, il Caro166 giocondo, il Ruscelli sensato, il Domenichi167 puro, il Dolce accorto, il Tasso168 leggiadro et il Tolomei169 facondo et dotto, leggendosi nelle sue epistole quasi ogni suggetto, o ver particolare avvertimento di tutte le scientie? Pertanto chi non dirà che la maniera di scriversi l'un l'altro non sia di tutte l'altre scritture la più necessaria, la più frequentata, la più giovevole et la più dilettevole? Conciosiaché maravigliosa dolcezza et incomparabile giovamento s'acquisti hora nella

161 Tra le epistole più celebri di Giovanni Pico della Mirandola, ricordiamo quella a Ermolao Barbaro

De genere dicendi philosophorum, nella quale rivendicava la dignità dei filosofi medievali, accusati

dal Barbaro di essere rozzi perché privi di eleganza stilistica e formale.

162 Giorgio Merula (Alessandria 1430 o 1431-Milano 1494), umanista, insegnò a Mantova, Pavia,

Venezia e all‟Accademia di Milano e fu autore di importanti edizioni di testi latini e commenti critici. Utilizzò l‟epistola latina per confrontarsi con altri umanisti, come nel caso delle lettere di invettive al Filelfo.

163 Iacopo Sadoleto (Modena 1477-Roma 1547), umanista, fu segretario dei brevi, vescovo e

cardinale, svolse importanti mansioni politiche ed ecclesiastiche e scrisse di pedagogia, di filosofia e di teologia. Scrisse lettere in latino e in volgare.

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La prima edizione delle lettere di Pietro Bembo uscì a Venezia in quattro volumi nel 1575, probabilmente presso Girolamo Scotto, con la seguente ripartizione: primo volume A sommi pontefici,

a cardinali et ad altri signori et persone ecclesiastice, secondo volume A suoi congiunti et amici, et altri gentili huomini venitiani, terzo volume A principi, signori et suoi famigliari amici, quarto volume A principesse et signore et altre gentili donne.

165 Giovanni Guidiccioni (Lucca 1500-Macerata 1541), nunzio papale e vescovo di Fossombrone.

Nominato nel 1537 presidente della Provincia Ramandiolæ, si avvalse della collaborazione di Annibal Caro. Celebre soprattutto per le sue Rime, non ha mai pubblicato una raccolta di lettere.

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De le lettere familiari del commendatore Annibal Caro volume primo [volume secondo]. Col

privilegio di n.s. Pio V et dell‟Illustriss. Signoria di Venetia, in Venetia, appresso Aldo Manutio, 1574

[il vol. 2° 1575].

167 Lodovico Domenichi (Piacenza 1514 circa-Pisa 1564), fu poeta, traduttore ed editore. Scrisse

lettere volgari e curò un‟edizione delle lettere tradotte di Paolo Giovio.

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Le Lettere di m. Bernardo Tasso. Utili non solamente alle persone private, ma anco a Secretarij de

Principi, per le materie che vi si trattano, et per la maniera dello scrivere. Le quali per giudicio degli intendenti sono le più belle, et correnti dell‟altri. Di nuovo ristampate, rivedute et corrette con molta diligenza, in Venetia, appresso Fabio, et Agostino Zoppini, fratelli, 1582.

Il secondo volume, delle Lettere di m. Bernardo Tasso. Nuovamente posto in luce, con gli argomenti per ciascuna lettere, et con la tavola dei nomi delle persone, a chi le sono indrizzate. Con Privilegio del Sommo Pontefice PIO IIII, et dell‟Illust. Senato Veneto, et d‟altri Principi, in Vinegia appresso

Gabriel Giolito De‟ Ferrari, 1575.

169 De le Lettere di m. Claudio Tolomei lib. sette. con una breve dichiarazione in fine di tutto l‟ordin

de l‟ortografia di questa opera. Con privilegio del Sommo Pont. de la Cesarea Mae. del Senato Veneto e del Duca di Fiorenza per anni dieci, in Vinegia appresso Gabriel Giolito De Ferrari, 1547.

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materia grave, hora nella giocosa, hora nella mista? Et chi niega che in simigliante usanza di scrivere non ci si senta la natura del genere deliberativo, demostrativo et giuditiale? et in tutto non ci si vegga la somiglianza del dialogo? Anzi, in niuna altra scrittura si può leggere et guadagnare tanto conoscimento di diversi disegni degli huomini et di varie opinioni, hora per necessità, hora per elettione, hora per amicitia, hora per odio, hora per pietà, hora per qual si sia passione che nella humana natura habbia il suo luogo, publicati. Laonde ho io sentito uscir di bocca a huomini eccellenti in ogni dottrina et a persone capi di provincie et de regni et de esserciti, che niuna lettione più gli aggradi quanto le lettere familiari leggiadramente et dottamente scritte. Riceva (replico io) la Signoria Vostra questa mia fatica degna veramente di lei nelle materie non fabulose, non finte, non di nuovo ritrovate, ancoraché non sieno di quello stile polito, commodo et suave che alle sue giuditiose orecchie converrebbe. Et con questo fine le bacio le mani.

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II

(I, cc. 5v-6v)

In questa lettera al Tolomei Contile si dispiace di non aver trovato l‟amico a Roma:

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