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In questa lettera al Tolomei Contile si dispiace di non aver trovato l‟amico a Roma: impegni di lavoro lo costringono a partire immediatamente per Milano, provocando

il rammarico di non essere libero di fare ciò che vuole (riferimento chiaro alla vita

di corte come sorta di schiavitù). I saluti portati da parte del marchese del Vasto,

inoltre, testimoniano come già in questa data, marzo 1541, Contile avesse contatti di

un certo tipo con la corte degli Ávalos. Importante infine l‟accenno a una sua

traduzione perduta del dodicesimo libro dell‟Eneide, la quale dimostrerebbe la

dignità del volgare a paragone con il latino.

A Monsignor Claudio Tolomei170.

La mia sciagura è pur alle volte sì grande che la patienza di Socrate non la sosterrebbe giamai. Sono di volo venuto qui per vedervi, overo almeno per darvi una occhiata, dovendomi poi partir presto; et crediatemi che ciò ch'io fo è contrario al voler mio, et ciò che voglio, secondo me, è con assai più ragione che ciò ch'io non voglio, al qual sempre la prima causa lascia la briglia in mano di quanto non nuoce al nostro giusto arbitrio. Chi mi guidi, adunque, a mio marcio dispetto non è la ragione, non è Iddio, ma veramente il fato, et però potete esser sicuro ch'io tengo la mente et il disiderio volto a stantiar in questa città, sì perch'ella è di amor commune verso ogni sorte d'huomini, sì ancora per esser habitata da voi, che sete il primo lume in questa vita de‟ miei disegni. Ma lasciamo andare che io non possa per hora rimutar la forza del destino, non è incomportabil cosa non haver ritrovato voi? Non è egli un dispetto mortale che io non mi ci possa fermar tanto, o che voi ritornasse, o che io venissi a San Silvestro? Tenevo per certissima cosa il potermi fermar per un mese almeno, ma sopraggiunti i negotii non publichi, che pur s'abbandona ogni interesse proprio per giovamento commune, ma privati, ch'ogni huomicciuolo gli maneggiarebbe a sufficienza, mi

170 Tra i protagonisti più illustri del Cinquecento italiano, Claudio Tolomei è ricordato soprattutto per

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conviene in tutti i modi balzar via per Milano. Haverei che dir molte cose assai piacevoli et di fondamento con voi, et particolarmente dell'animo del gran Marchese del Vasto171, il quale mi commesse che io a suo nome vi salutassi, ma esse sono sì degne che schifano la scrittura. Mi affaticai tutto hieri per ritrovar la mia tradottione del XII di Virgilio, perché volevo che si vedesse quanto si possa scrivere et tradorre usandosi la brevità nella lingua nostra quasi tanto bene come nella latina, et perché dinanzi al Reverendissimo Bembo si parlò di quel gran poeta che non lasciò soddisfattione nel duello di Turno et di Enea172. Però vi fei sopra la tradottione quel discorso di che vi ragionai a longo, et non solamente vi piacque, ma ancora al suddetto Reverendissimo, et l'uno et l'altro di voi lodò molto l'impresa. Non ho tempo di ricercarlo a bastanza, la copia prima fu data al Reverendissimo, l'originale, così frastagliato, restò in mano della stampatrice del Pellegrino173, et mi dice di non haverlo visto dopo la morte del suo marito. Se potrete farvi attendere con più diligenza mi sarà gratissimo favore. Il discorso ho voluto che rimanga intitolato al Signor Sforza Pallavicino174, il quale, una sol volta veduto da me, ho di quello aspetto cavato gran costrutto di cavalleria, et ancor che egli senza pelo sia su le guancie, però vi comprendo non so che di somiglianza di Severo Imperatore175, et nelle spalle et nella fosca apparenza del volto mi par di veder il ritratto d'Annibale Cartaginese176, se Monsignor Giovio non inganna il mondo nello spettacolo del suo Museo177. Questo mi basti in satisfattione di non potervi vedere, raccomandandomi di cuore a voi et desiderandovi la liberalità di Giunone, che s'ella diede ad Argo cento occhi178, ne conservi a voi dui soli et schietti e buoni.

Di Roma a‟ dì XIII di marzo MDXLI.

171 Alfonso d‟Ávalos, governatore di Milano tra il 1525 e il 1546. Contile fu a suo servizio dal 1542

fino alla sua morte, e poi per due anni seguì la moglie Maria d‟Aragona.

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Questo discorso sullo scontro finale tra Enea e Turno, così come la traduzione dell‟intero libro, è andato perduto. Contile allude a una critica sul finale dell‟Eneide causata, come si legge nella lettera XLVII della nostra selezione (a Sforza Pallavicino, da Piacenza il 28 maggio 1560), dal fatto che i due si scontrarono «quasi vilmente».

173 Figura non identificata.

174 Generale veneziano, con lui Contile ebbe diversi contatti, finché nel 1558 non entrò a suo servizio

(terminato nel 1560).

175

Settimio Severo, imperatore romano al potere dal 193 d.C. al 211 d.C.

176 Terribile comandante degli eserciti cartaginesi nella seconda guerra punica (218 a.C.-202 a.C.). 177 Nel suo celebre Museo il Giovio aveva raccolto figure, antiche o fatte fare su commissione, di

personaggi del passato (insieme a ritratti di letterati e artisti contemporanei).

178 Argo, il gigante dai cento occhi, fu ucciso da Hermes per volere di Zeus. Quando Era stava per

scoprire il marito con una delle sue amanti, Io, questi per salvarsi la trasformò in una giovenca bianca. Continuò a unirsi a lei assumendo forma di toro finché Era, insospettita, pose Argo a sorvegliare la giovenca. Il re degli dei quindi lo fece uccidere da Hermes, che prima lo addormentò suonando il flauto e poi gli tagliò la testa. Era per onorarlo pose i suoi occhi sulla coda del pavone, prima di perseguitare Io.

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III

(I, cc. 10v-11v)

Questa lettera al vescovo di Tolone è uno sfogo di Contile contro il cardinale

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