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Io era tra color, che son sospesi ; sospes

Commedia dell’Angelica

52 Io era tra color, che son sospesi ; sospes

55 Lucevan gli occhi suoi piu, che la stella : la stella, assolutamente di Venere.

60 Et durerà, quanto 'l moto lontana ;

Diuturna. lontano diuturno / diuturni silentii che disse Tullio fù tradotto da spositore antico del lontano silentio. 75 Tacette allora ; & poi comincia' io :

tacette

77 L'humana specie eccede ogni contento 90 De l'altre no ; che non son paurose .

paurose in significato attivo

93 Né fiamma d'esto incendio non m'assale.

né fiamma non m'assale due negative non affermano 94 Donna è gentil nel ciel : che si compiange

95 Di questo 'mpedimento , ov'io ti mando ;

60 Celani Diuturna lontano diuturno, 'diuturni silentii', che disse Tullio fu tradotto da spositore antico 'del lontano silentio'. - 93 Celani registra la postilla tassiana al v. 95.

121 Dunque che è? perche , perche restai ? ristai da risto

122 Perchè tanta viltà nel cor allette ? 142 Intrai per lo camin alto & silvestro.

NOTE

7 La comprensione della postilla tassiana è resa possibile grazie alla chiosa apposta dal Tasso al medesimo verso nel postillato della Commedia Sessa, in cui dice «Invoca l’ingegno e la mente, sua medesima, <Orfeo> ad imitazione forse d’Orfeo che invocò l’intelletto, nell’Argonautica e di Platone ch’introduce ad invocar la memoria. L’ingegno intende per l’intelletto, mente prende per la memoria, di cui è propria ritener le imagini portele dai sensi». Cfr. Platone, Eutidemo (p. 770): «[...] Non è certo un’impresa da poco riuscire a ripercorrere dal principio e ad esporre una sapienza così straordinaria. E così io, come i poeti, devo iniziare la narrazione invocando le Muse e Mnemosine». Il riferimento al dialogo platonico si trova anche nei Discorsi del poema eroico (pp. 625-626): «Ma prima ch'io venga a trattar di questa ultima parte di qualità, non estimo inconveniente che si tratti de la proposizione de l'opera e de l'invocazione, la quale il poeta dee fare poi ch'avrà ritrovata e disposta la favola, avanti ch'egli cominci a spiegarla: perciò che non si può proporre quello che non s'è ancora ritrovato ed ordinato. E come che l'invocare l'aiuto divino in tutt'i luoghi ed in tutti i tempi sia necessario, nondimeno gli scrittori sogliono farlo assai spesso nel principio de l'opere loro; alcuna volta nel mezzo o nel fine, e sempre che s'avvengono a cosa che paia ricercarlo: dico gli scrittori, perché non invocano solamente i poeti, ma i filosofi e gli oratori, com'appresso Platone Timeo, il quale n'ammonisce che si debba invocare in tutte le cose, e grandi e picciole. E ne l'Eutidemo s'invocano le Muse e la Memoria, de la quale elle furono generate; Lucrezio invoca Venere, dea ch'è sovra la generazione; Demostene, ne la sua orazione de la Corona, tutti gli dei e tutte le dee». Poco oltre ancora più rilevante il riferimento del Tasso a questo verso della Commedia e al personaggio di Orfeo evocato nella postilla Sessa: «Più sicuramente Dante ne la sua Comedia invocò l’ingegno e la mente: O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate; / o mente che scrivesti ciò ch’io vidi etc., come prima Orfeo aveva invocato l’intelletto. Sarà dunque lecito al poeta cristiano invocar la mente e l’intelligenze, imperò che le Muse non furono credute altro che intelligenze» (p. 628). Cfr. anche T. Tasso, Apologia (p. 426): «E qui invoco la memoria, come fanno i poeti, e colui che me la diede insieme con l’intelletto, quando il mandò ad abitare in questo corpo quasi peregrino». Per quanto riguarda Orfeo, il riferimento ad Argonautica ci rimanda al poema di Apollonio Rodio, anche se sappiamo che da esso derivano altre opere a noi giunte in frammenti (cfr. E. Abel, Orphica, Lipsiae, Freytag, 1885; O.

Kern, Fragmenta Orphicorum, Berolini, Weidmannos, 1922). Nell’Argonautica di Apollonio Rodio Orfeo compare come primo nel catalogo di eroi che partirono con Giasone alla conquista del vello d’oro. Più volte si sottolinea l’effetto taumaturgico del suo canto, che riporta serenità fra i naviganti o costituisce sprone in momenti di smarrimento; oltre a questo Orfeo appare dotato di grande autorevolezza, certo consapevole della forza del suo canto: spesso consiglia (I, v. 915), talvolta ordina (IV, vv. 1547 e sgg), con prontezza e acume prende iniziativa in situazioni difficili (I, vv. 492 e sgg), dà indicazioni precise ai suoi compagni (II, vv. 684 e sgg), comprende ciò che ad altri rimane oscuro (IV, vv. 1409 e sgg). In particolare le sue doti si esprimono nell’episodio delle sirene: esse avrebbero sedotto i naviganti «se il figlio di Eagro, il tracio Orfeo, non avesse teso nelle sue mani la cetra bistonica e intonato un canto vivace, con rapido ritmo, in modo che le loro orecchie rimbombassero di quel rumore, e la cetra ebbe la meglio sulla voce delle fanciulle» (IV, vv. 902 e sgg). Un’invocazione diretta al proprio intelletto non si trova nel poema di Apollonio Rodio: in due sole occasioni sono espresse direttamente le parole del canto di Orfeo, accompagnate dal suono della lira: quando egli invita i compagni a innalzare un altare ad Apollo, facendogli sacrifici e promettendo offerte al momento in cui ritorneranno in patria (II, vv. 684 e sgg), e quando innalza una preghiera alle ninfe perché indichino loro un’acqua scaturita dalla roccia oppure una fonte divina che possa placare la loro terribile sete (IV, vv. 1411 e sgg). Tavv. 3 e 4. 15 Il verso dantesco reca a margine la seguente nota a stampa,

di Lodovico Dolce: Per immortal secolo intende lo inferno, che ha ad esser perpetuo. Tasso inserisce un segno di richiamo sotto la suddetta nota e commenta a fondo pagina con Non intende il postillatore, cosa intenda il […]: segue una parola di difficile comprensione a causa della cancellatura da parte del poeta dell’intera glossa, ritenuta probabilmente ingiustificata. Celani ipotizza in tal luogo il termine poeta e trascrive la postilla in questo modo: Non crede il postillatore così intenda il [poeta?]. Tasso in realtà aveva giustamente avvertito l’errore del Dolce che intende immortal secolo per inferno, anziché per mondo eterno, aldilà. Nel postillato alla Commedia Sessa Tasso sottolinea il medesimo passo e il relativo commento a cura del Landino, da cui risulta che già san Paolo aveva compiuto questo cammino e «andò tant’alto co la sua speculatione, che fu rapito infino al terzo Cielo, & vide quelle cose, delle quali non è lecito all’huomo parlare».

20 Nel Dante Sessa il poeta sottolinea di suo e in margine scrive «di suo e non del suo».

48 Nel postillato Sessa Tasso sottolinea la parola ombra e di fianco si legge «ombra (per) adombra».

51 Tasso sottolinea e riscrive in margine dolve, forma arcaica regolare del perfetto forte di dolere, dal latino doluit poi sostituito da dolse per analogia con i perfetti in -si.

52 Il termine è riportato dal Tasso a fondo pagina. Cfr. IV 45. Anche nel postillato alla Commedia Sessa il sintagma è sottolineato; in margine si legge «sospesi nel Limbo».

55 La glossa si trova sul margine superiore della pagina. In Sessa il verso è commentato dal poeta con le seguenti parole: «la stella con l’articolo».

60 Tasso si riferisce qui all’incipit dell’orazione ciceroniana Pro Marcello: «Diuturni silenti, patres conscripti, quo eram his temporibus usus, non timore aliquo, sed partim dolore, partim verecondia, finem hodiernus dies attulit, idemque initium quae vellem quaeque sentirem, meo pristino more, dicendi». Nella Commedia Sessa è tracciata la seguente annotazione: «durar lontana. lontana denota lunghezza non solamente di luogo ma di tempo. onde il traduttor toscano, dell’oration di Tullio traduce Diuturni silentii, patres conscripti il lontano silentio». Dalla nota di Maiocchi a questa postilla (p. 17) si apprende che Tasso leggeva il volgarizzamento dell’orazione in un volume che comprendeva anche l’Etica di Aristotile ridotta in compendio da ser Brunetto Latini (Lione, 1568). Alla p. 73 l’antico e ignoto traduttore incominciava così la sua versione: «Questo presente giorno, Signori Senatori, ho posto fine al mio lontano tacere, il quale io ho tenuto a questi tempi non per alcuna paura, ma parte per dolore, e parte per vergogna». Sul margine destro, a lato del verso dantesco, Tasso annota la parola Diuturna, seguita da un segno di richiamo: il prosieguo della glossa si trova a fondo pagina.

75 Il poeta sottolinea e ripete in margine questa forma di perfetto debole, piuttosto rara nel toscano, per tacque.

90 Tasso rileva la forma «attiva», come lui stesso dichiara, dell’aggettivo, cioè «tali da far paura». Nel postillato Sessa, in margine al medesimo luogo, si legge «paurose in significato attivo cio è pone(n)ti paura, sì come anco di sopra al segno [si riferisce a I 53 n.d.c.]». Cfr. I 53.

93 La glossa è collocata in basso alla pagina. Nell’edizione Celani la postilla tassiana è erroneamente attribuita al v. 95. «Si tolgono nel verso osservato le due negative considerando che qualche volta gli antichi adoperarono il né invece della congiunzione e» (Maiocchi, p. 17). Nella Commedia Sessa il poeta lascia la seguente annotazione: «considera quelle due negative come son duplicate, né (per)ciò affermano».

121 Il poeta sembra qui precisare che la forma restai non è una voce del verbo restare, che abbia cioè il senso di rimanere, ma di ristare, ossia stare fermo. Nel Dante Sessa Tasso elimina con un tratto restai e corregge in ristai.

Canto III

11 Vid'io scritte al sommo d'una porta : vid'io non io vidi sì come nel Par. fui io. 30 Come la rena , quando a turbo spira :

36 Che visser sanza fama et sanza lodo .

lodo