• Non ci sono risultati.

Non hai tu spirto di pietate alcuno?

Commedia dell’Angelica

36 Non hai tu spirto di pietate alcuno?

40-42 Come d'un stizzo verde, che arso sia

Da l'un d'e lati; che da l'altro geme , Et cigola per vento, che va via ;

furto dell'Arios(to)

43 Si de la scheggia rotta usciva inseme

44 Parole & sangue: ond'i lasciai la cima

usciva parole accorda co 'l sing. piu lontano

48 Ciò c’ha veduto pur con la mia rima;

55-57 E 'l tronco; sì col dolce dir m'adeschi ; Ch'i non posso tacere: & voi non gravi , Perch'i un poco a ragionar m'inveschi.

Desid. di fama

69 Ch'e lieti honor tornaro in tristi lutti . 70 L'animo mio per disdegnoso gusto

25 Celani scioglie l’abbreviazione senza darne avviso. - 40 Celani non registra il raggruppamento tassiano e scioglie l’abbreviazione senza darne avviso. - 44 Celani usciva parole accorda co 'l sing. pur lontano. - 48 Celani non registra la sottolineatura del Tasso. - 56 Celani tacer e grave.

84 Ch'i non potrei; tanta pietà m'accora. pietà de gli homicidi di se stesso.

91-93 Alhor soffiò lo tronco forte; & poi Si convertì quel vento in cotal voce; Brevemente sara risposto a voi . imit.

103 Come l'altre, verrem per nostre spoglie; 114 Ch'ode le bestie & le frasche stormire. 117 Che de la selva rompean'ogni rosta.

rosta

128 Et quel dilaceraro a brano a brano : 132 Per le rotture sanguinenti in vano . 132 Soffi col sangue doloroso sermo?

148 Quei cittadin, che poi la rifondarno,

91 Celani Allhor. - 117 Celani della selva. - 148 Celani non registra la sottolineatura tassiana.

NOTE

25 La sillaba per di persona, qui sciolta, è realizzata dal Tasso con la p ad asta tagliata. Tasso, con una linea orizzontale sul margine destro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. Il poeta nota evidentemente qui, come esplicitamente nel postillato alla Commedia Sessa, la desinenza in -e della prima persona singolare all’imperfetto congiuntivo in luogo di -i.

40-42 Una linea verticale riunisce i vv. 40-42 e la postilla si trova sul margine destro. Una sottile linea orizzontale sembra separare questa postilla dalla successiva. All’origine dell’invenzione dantesca è l’episodio virgiliano di Polidoro presente in Eneide III, 22 e sgg. (Nam quae prima solo ruptis radicibus arbos / vellitur, huic atro liquuntur sanguine guttae / et terram tabo maculant [...] / Rursus et alterius lentum convellere vimen / insequor et causas penitus temptare latentis; / ater et alterius sequitur de cortice sanguis); tra le profonde differenze che si potrebbero notare tra i due episodi interessa qui rilevare il particolare tutto dantesco della similitudine col ramo ancora verde che, quando viene bruciato, espelle linfa e vapore. A questo proposito Tasso nota che il riferimento al testo di Dante (non, dunque, genericamente ascrivibile alla fonte virgiliana) è presente in Ariosto, e precisamente in Orlando Furioso VI, 27 e sgg., quando Rinaldo si trova a legare l'ippogrifo a un mirto: «Come ceppo talor, che le medolle / rare e vote abbia, e posto al fuoco sia, / poi che per gran calor quell’aria molle / resta consunta ch’in mezzo l’empìa, / dentro risuona e con strepito bolle / tanto che quel furor truovi la via; / così murmura e stride e si corruccia / quel mirto offeso, e al fine apre la buccia». In questo consiste il furto. Si noti l’uso di questo termine, anziché quello di imitazione, che esprime evidentemente l’atteggiamento polemico da parte del Tasso nei confronti di Ariosto.

43-44 Il poeta, con una sottolineatura orizzontale sul margine destro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. Tasso nota l’accordo del verbo al singolare con il sostantivo più lontano, cioè sangue. Si legga il commento della Chiavacci Leonardi a questi versi: «si noti l’accordo del verbo al singolare con uno solo dei due soggetti di numero diverso, in questo caso il secondo. Tale uso non è eccezionale in Dante (si veda anche XIV 82-3 e XIX 22-4),

ma qui adempie alla funzione artistica di sottolineare la simultaneità dei due eventi, quasi uno stesso processo». Nel postillato alla Commedia Sessa, Tasso aveva già interpretato analogamente il passo, dicendo: «Usciva parole e sangue, usciano, par che dovesse dire, ma forse disse così (per) darci à rivedere che 'l sangue parlava e per mostrarci l’unità di queste due cose usa il verbo numero singolare». 55-57 Linea verticale di raggruppamento dal v. 55 al v. 57.

L’annotazione è apposta sul margine sinistro. Il passo è commentato da Tasso anche nella Commedia Sessa: «Nota quanto i dannati desiderino la fama» (riferimento ai vv. 52- 54) e «La fama qua(n)to desiderata da(i) dannati» (vv. 55- 57). Cfr VI 88-89; XV 119-120; XVI 84-85.

84 La chiosa è scritta sopra al verso, in testa alla pagina. Il verso è oggetto di commento da parte del Tasso anche nella Commedia Sessa, in cui il poeta constata il differente atteggiamento di Dante nei confronti dei dannati: «ha pietà di Piero e non di Filippo Argenti benché Piero secondo la dottrina di Dante sia vitioso e Filippo incontinente». Sulla distinzione tra i peccati di incontinenza e di malizia si veda la nota a XI 82-93. Cfr. IV 20; V 141; VI 58-59; VIII 37-42; XVI 52-57.

91-93 Una linea verticale riunisce i vv. 91-93; la nota imit. si trova sul margine destro accanto alla linea di raggruppamento. Il riferimento del Tasso all’imitazione dantesca di Virgilio trova più ampio respiro nel postillato alla Commedia Sessa, in cui il poeta cita Eneide III, 39-40: «molto piu efficacemente sono descritti questi due luoghi dove parla l’anima di Piero legata nell’arbore che quel di Virgilio ove Polidoro parla nel mirto gemitus lacrimabilis imo auditur tumulo et vox reddita fertur ad aures».

117 Tasso sottolinea e riscrive in margine questo vocabolo che sottolinea anche nella Commedia Sessa. In quel caso, però, Tasso mette in evidenza con una linea verticale anche il commento del Vellutello che interpreta così il termine: «Rosta è quella cosa con la quale di state si fa vento, e cacciansi le mosche, e perché questo spesse volte si fa con ramo, o frasca, però il Poeta la pose per quella». La Chiavacci Leonardi riporta i due significati affini con cui nell’italiano antico si incontra la parola, ossia ventaglio di frasche (come interpreta Boccaccio e secondo l’uso toscano

del termine) o impedimento, ostacolo (cfr. XV 39, in cui la forma verbale arrostarsi sta per fare schermo).

Canto XIV

8 Dico, che arrivammo ad una landa, landa

12 Quivi fermammo i piedi a randa a randa. 14 Non d'altra foggia fatta; che colei ,

colei à cosa inanimata

22 Supin giaceva in terra alcuna gente : alcuna gente supin

29 Pioven di fuoco dilatate falde; 34-36 Perch'e provide a scalpitar lo suolo

Con le sue schiere; percio che'l vapore Me’ si stringeva, mentre ch’era solo ; 37 Tale scendeva l'eternale ardore :

42 Iscotendo da se l'arsura fresca.

Iscote(n)do

45 Ch'a l'intrar de la porta incontro uscinci ; 47 Lo’ncendio; & giace dispettoso & torto , 48 Sì, che la pioggia non par che'l maturi?

42 Celani non registra la sottolineatura del Tasso alla propria postilla e scioglie l’abbreviazione senza darne avviso. - 47 Celani Lo 'incendio.

51 Gridò;qual i fu' vivo,tal son morto . 55 O s'egli stanchi glialtri a muta a muta 59 Et me saetti di tutta sua forza ;

di, non con

61 Alhora'l Duca mio parlò di forza

62 Tanto, ch'i non l'havea si forte udito ;

elo.

67 Poi si rivols'a me con miglior labbia

69 Ch'assisser Thebe ; & hebbe, & par ch'egli habbia

70 Dio in dispregio ; et poco par che'l pregi:

scherzi

79 Quale del Bulicame esce'l ruscello , 87 Lo cui sogliare a nessun è serrato ; 90 Che sopra se tutte fiammelle ammorta. 96 Sotto'l cui rege fu gia'l mondo casto .

casto non par che convenga à l'età del oro nella quale si vive’va licenziosame(n)te

62 Celani non registra la sottolineatura tassiana. - 70 Celani non registra la sottolineatura del Tasso al verso e alla propria postilla.

111 Et sta'nsu quel, piu che'n su l'altro eretto . 113 D'una fessura, che lagrime goccia ;

115 Lor corso in questa valle si diroccia : 116 Fanno Acheronte, Stige, & Flegethonta : 123 Perche ci appar pur a questo vivagno ?

NOTE

8 Tasso sottolinea e riscrive in margine questo vocabolo che sottolinea anche nella Commedia Sessa. In quel caso, però, Tasso appone una sottolineatura anche al commento del Vellutello che interpreta così il termine: «Ad una landa, cioè, ad una campagna. Onde ancora nel XVII canto del Purgatorio [in realtà è da intendersi il XXVII n.d.c.], parlando del terrestre paradiso dice Giovane, & bella in sogno mi parea Donna veder andar per una landa. Et più oltre, di questa medesima dice Senza più aspettar lasciai la riva Prendendo la campagna lento lento [si tratta di Purgatorio XXVIII 5-6 n.d.c.]».

14 Anche nella Commedia Sessa il poeta commenta l’espressione con le medesime parole. L’uso del pronome di persona colei o lei con riferimento a cosa inanimata è raro ma non escluso nell’italiano antico (Chiavacci Leonardi; Sapegno).

22 Il poeta, con una sottolineatura orizzontale sul margine destro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. Tasso è evidentemente interessato all’aggettivo supin, troncamento di supino, qui usato come avverbio. Anche nel postillato Sessa il termine è oggetto di una sottolineatura tassiana; in margine del verso appone anche il segno N. Cfr. X 72, in cui il vocabolo supin era stato già sottolineato. 34-36 Linea verticale di raggruppamento dal v. 34 al v. 36. Si noti

che l’edizione giolitina presenta stringeva in luogo di stingueva e che Tasso, questa volta, non corregge l’errore. Nella Commedia Sessa Tasso sottolinea proprio la forma verbale stingueva.

42 Tasso sottolinea e riscrive in margine il gerundio, che qui ha valore di participio. Nel postillato alla Commedia Sessa risulta evidente che l’attenzione del poeta è concentrata sulla -i prostetica: «L’i si suole porre innanzi al sc qua(n)do precede alcuna consonante ma qui è posto senza questa necessità».

59-61 Il poeta, con una sottolineatura orizzontale sul margine sinistro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. La postilla tassiana, posta in margine ai vv. 59-61, potrebbe

anche riferirsi al v. 61. Di ciò abbiamo conferma nel postillato Sessa, in cui Tasso, dopo aver sottolineato saetti di tutta sua forza al v. 59 (e averlo in parte riscritto in margine) e di forza al v. 61 commenta con «di tutta forza e di forza in rima accordato».

62 La postilla, di non facile interpretazione, è stata spiegata dai critici in vario modo: De Romanis «Non so quel che si dicano queste tre lettere segnate così. Noi Plò, che io credo da plus usiamo dire alcuna volta ridendo ad una qualche rodomontata, o altra caricatura, a meno che sia per imitazione di quella esplosione che fanno le vesciche»; Maiocchi «Interpreterei la P. per piuttosto, avvisando che il Tasso abbia voluto accennare che avrebbe letto volentieri: Allor lo Duca mio parlò di forza. Cangiamento dal quale mi sembra che il verso acquisti più robustezza, e si accomodi meglio alla forza del concetto»; Rezzi «[…] la postilla recata di sopra al v. 59, ed altre simili ne certificano che Torquato non iscrisse Plo. ma Elo. cioè elocuzione, ossia verso notevole per la maniera del dire. Veramente anch’io ebbi da principio a stentare per intendere il significato di tale abbreviatura, diversamente indicata ora con una sola E. ed ora con le iniziali El. o Elo. Avvenutomi però in seguito nella voce interamente scritta, non mi fu più mestieri d’interrogare una qualche Sfinge affin di avere sciolto l’enimma. Osservato bene il Manoscritto Barberiniano, mi sono accorto, che anche in esso è scritto Elo. e non Plo.» Celani, sulla scia del Rezzi, legge elo. Cfr. XV 56.

70 A che cosa Tasso si riferisse postillando il verso con scherzi non è possibile comprendere con certezza. Neanche il postillato alla Commedia Sessa aiuta l’interpretazione, dal momento che il poeta sottolinea in quel caso soltanto disdegno e commenta apponendo in margine il sinonimo dispregio. Rezzi, che leggeva le postille tassiane alla Commedia giolitina su una copia dell’originale, scriveva: «Il significato di questa postilla non pare convenire né alla sentenza né alle parole del verso, onde è da credere che i copiatori siano stati tratti in inganno dalla mal formata scrittura del Tasso». Probabilmente la postilla potrebbe riferirsi al bisticcio fra dispregio e pregi; in questo caso scherzi avrebbe il significato di gioco retorico.

96 Tasso riflette sull’aggettivo che, a parer suo, non è appropriato al regno di Saturno, sotto il quale l’umanità vive l’età dell’oro. In realtà l’innocenza e la purezza di quel

periodo è narrata da Virgilio (Eneide VIII, 324-325: Aurea quae perhibent, illo sub rege fuerunt Saecula: sic placida populos in pace regebat), da Ovidio (Metamorfosi I, 89 e segg: Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo, sponte sua, sine lege fide rectumque colebat), da Giovenale (Satira VI, 1-2: Credo Pudicitiam Saturno rege moratam in terris visamque diu). Nella Commedia Sessa Tasso sottolinea e riscrive in margine il termine casto, senza però lasciare altro commento; sebbene non oggetto di sottolineatura da parte del poeta, anche nell’esegesi del Landino troviamo un riferimento all’età di Saturno, «il quale secondo le historie tenne il suo Reame in gran tranquillità senza homicidi, senza furti, senza adulterij, o altre scelleratezze. Et per questo finsero i Poeti, che ne’ tempi suoi fusse l’età dell’oro, perché come l’oro è puro, né mai s’arruggina; così quella età fu pura d’ogni vitio». Per il celebre riferimento tassiano all’età dell’oro cfr. Aminta, atto I, coro (vv. 656-681): «O bella età de l'oro, / non già perché di latte / sen’ corse il fiume e stillò mele il bosco; / non perché i frutti loro / dier da l'aratro intatte / le terre, e gli angui errar senz'ira o tosco; / non perché nuvol fosco / non spiegò allor suo velo, / ma in primavera eterna, / ch'ora s'accende e verna, / rise di luce e di sereno il cielo; / né portò peregrino / o guerra o merce a gli altrui lidi il pino; / ma sol perché quel vano / nome senza soggetto, / quell'idolo d'errori, idol d'inganno, / quel che dal volgo insano / onor poscia fu detto, / che di nostra natura 'l feo tiranno, / non meschiava il suo affanno / fra le liete dolcezze / de l'amoroso gregge; / né fu sua dura legge / nota a quell'alme in libertate avvezze, / ma legge aurea e felice / che natura scolpì: “S'ei piace, ei lice”».

Canto XV

2 E'l fummo del ruscel di sopra adhuggia 4 Quale i Fiăminghi tra Guizzăte et Bruggia 5 Temendo'l fiotto, che'nver lor s'aventa , 6 Fanno lo schermo, perche'l mar si fuggia ; 21 Come'l vecchio sartor fa ne la cruna.

22 Cosi adocchiato da cotal famiglia

24 Per lo lembo; e gridò, qual maraviglia?

27-28 Sì che'l viso abbrusciato non difese

La conoscenza sua al mi'ntelletto : 35 Et se volete, che con voi m'asseggia ; 39 Sanz'arrostarsi, quando'l foco il feggia . 44 Per andar par di lui: ma'l capo chino 45 Tenea; com'huom, che reverente vada .

comp. non del simile ma dell'istesso

56 Non puoi fallire a glorioso porto ;

elo.

4 Celani Fiaminghi e Guizzante. - 21 Celani l’ vecchio. - 22 Celani adocchiato da. - 24 Celani Per lo lembo, e gridò: qual meraviglia?. - 27 Celani non registra questo raggruppamento di versi. - 56 Celani non registra la sottolineatura del verso.

62 Che discese di Fiesole ab antico, 65 Et è ragion: che tra gli lazzi sorbi 66 Si disconvien fruttare al dolce fico .

67 Vecchia fama nel mondo li chiam’orbi ;

76 In cui riviva la sementa santa

81 De l'humana natura posto in bando :

92 Pur che mia conscienza non mi garra , 100 Ne per tanto di men parlando vommi

108 D’un medesmo peccato al mondo lerci . 112 Colui potei, che dal servo d’e servi 119-120 Siati raccomandato'l mio thesoro ,

Nel qual i vivo ancora ; & piu non cheggio: Deside’rio di fama.

67 Celani non registra la sottolineatura tassiana. - 81 Celani De l'humana natura posto in bando. - 108 Celani non registra la sottolineatura tassiana. - 112 Celani servo de’ servi.

NOTE

2 Tasso elimina con un tratto verticale la m di fummo, ritenendolo probabilmente un errore di stampa per fumo. Della qual cosa Celani non fa menzione. È interessante notare che l’edizione Sessa della Commedia, sulla quale come già visto Tasso appone i suoi marginalia, porta la lezione fumo.

27-28 Un segno verticale sul margine sinistro raggruppa i vv. 27- 28. Nel postillato Sessa Tasso sottolinea entrambi i versi e scrive in margine «el(ocuzione)».

39 Cfr. XIII 117.

45 Il poeta, con una sottolineatura orizzontale sul margine sinistro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. La postilla tassiana comp(arazione) non del simile ma dell’istesso vuole forse osservare che la similitudine dantesca non mette a confronto il poeta fiorentino con un uomo simile a lui, che procede con il capo chino per dimostrare reverenza; il termine di paragone è costituito da Dante stesso che, assumendo quell’atteggiamento nei confronti di Brunetto, dimostra al suo maestro il rispetto di un tempo.

56 La postilla tassiana elo. sta per elocuzione. Si veda a questo proposito la nota a XIV 62.

81 Anche nella Commedia Sessa il verso è oggetto di sottolineatura da parte del Tasso; in quel caso il poeta annota in margine «elo(cuzione)».

119-120 Il poeta, con una sottolineatura orizzontale sul margine sinistro della pagina, mette in rilievo la sua annotazione. Tasso non sottolinea qui i versi a cui la sua annotazione si riferisce, che sono evidentemente i vv. 119-120. Di ciò abbiamo conferma collazionando l’edizione giolitina della Commedia con il postillato Sessa: in quest’ultimo, infatti, Tasso raggruppa i versi suddetti con una linea verticale sul margine sinistro della pagina e commenta il passo dicendo: «vive nel suo tesoro perche i dannati non vivono se non

nella fama e (per) questo è tanto desiderata da loro». Cfr. VI 88-89; XIII 55-57; XVI 84-85.

Canto XVI

3 Simil a quel, che l'arnie fanno rombo ; 11 Recenti & vecchie da le fiamme incese : 13 A le lor grida il mio dottor s'attese : 15 Disse: a costor si vuol esser cortese.

17 La natura del luogo; i dicerei ,

19 Ricominciar, come noi ristemmo, ei

21 Fenno una ruota di se tutti e trei.

25 Cosi rotando ciascuna il viaggio

26 Drizzava a me, sì,ch'en contrario il collo

28 Et se miseria d'esto loco sollo

sollo

30 Cominciò l'uno, e'l tristo aspetto & brollo ; brollo

34 Questo, l'orme di cui pestar mi vedi ; 41-42 È Teggiaio Aldobrandi; la cui voce

fama

Nel mondo su dovria esser gradita :

17 Celani i dicerei. - 21 Celani e trei.- 25 Celani ciascuno e il visaggio. - 28 Celani non registra la sottolineatura del Tasso alla propria postilla.

43 Et io, che posto son con loro in croce , 52-57 Poi cominciai: non dispetto, ma doglia

La vostra condition dentro mi fisse Tanto, che tardi tutta si dispoglia ; Tosto che questo mio Signor mi disse Parole; per lequali io mi pensai , Che qual voi siete, tal gente venisse . pietà

74 Orgoglio, & Dismisura han generata

84-85 Quando ti gioverà dicer, io fui ; Fa che di noi a la gente favelle :

Desiderio di fama

124 SEmpr'a quel ver, c'ha faccia di menzogna , vero c'ha faccia di menzogna

125 Dè l'huom chiuder le labbra , quant'ei pote ;

74 Celani non registra la sottolineatura tassiana. - 124 Celani registra la postilla tassiana al v. 125. - 125 Celani De l’huom.

NOTE

25 Tasso corregge un errore di stampa: l’edizione che ha sottomano, infatti, presenta viaggio in luogo di visaggio. Il poeta sottolinea la svista e inserisce una s (della qual cosa l’edizione Celani non fa menzione). Il testo giolitino, in realtà, presenta anche ciascuna al posto di ciascuno (in questo caso però Tasso non rettifica): Celani corregge senza darne avviso al lettore.

28 Tasso sottolinea e ripete in margine l’aggettivo; così anche nella Commedia Sessa. In quest’ultima però il poeta appone una sottolineatura anche al commento del Landino: «Sollo significa sollevato; & non condensato ne rassodato. Onde diciamo ne l’arme la solla: quando in quella parte il ferro non è ben condensato». Sebbene la sottolineatura del poeta si interrompa, l’esegesi del Landino continua spiegando che il luogo era sollo «perché era arenoso, & la rena non si rassoda, ma sta solla». Il commento del Landino è riportato anche dalla Chiavacci Leonardi.

30 Per la valenza del vocabolo, sottolineato e riscritto in margine qui e in Sessa, si legga il commento di Sapegno «brollo, cioè pelato e scorticato dalle fiamme. Brollo è forma dissimilata di brullo (cfr. Inf. XXXIV, 60, Purg. XIV, 91) e significa pertanto, in senso proprio, 'nudo, spoglio'», quello della Chiavacci Leonardi «scorticato (brollo equivale