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Tant'è amara ; che poco è più morte Nota, si riferisce tanto, a quanto et à poco

Commedia dell’Angelica

7 Tant'è amara ; che poco è più morte Nota, si riferisce tanto, a quanto et à poco

12 Che la verace via abandonai .

17 Vestite gia de' raggi del pianeta , Elocution di Virgilio

20 Che nel lago del cor m'era durata 22 Et come quei ; che con lena affannata 28 Po ch'ei posat' un poco 'l corpo lasso ; 29 Ripresi via per la piaggia diserta,

1 Celani mezzo. - 4 Celani quanto a. - 7 Celani non registra le sottolineature tassiane al verso e alla propria stessa postilla.

30 Sì, che 'l piè fermo sempr'era il piu basso . imit.

33 Che di pel maculato era coperta . 42 Di quella fera la Gaietta pelle : 46 Questi parea, che contra me venesse

venesse

53 Con la paura , ch'uscia di sua vista ; paura attivo

60 Mi ripingeva là , dove 'l Sol tace .

silentia luna’. <Virgilio> Plinio Lambino sovra Horatio 100 Molti son gli animali , a cui s'ammoglia ,

la femina s'ammoglia, dunque il maschio si marita. 106 Di quell'humile Italia fia salute ,

epiteto non opportuno tolto da Vir. che l'usò opportunamente.

112 Ond'io, per lo tuo me' penso & discerno , 116 Vedrai gli antichi spiriti dolenti ,

46 Celani che contro me venesse. - 60 Celani silentia lunae. Virgilio Plinio Lambino sovra Horatio.

118 Et vederai color , che son contenti

124 Che quello Imperador, che la su regna;

127 In tutte parti impera , & quivi regge :

impera, e regge, regna, par che voglia distinguere reggere da imperare, e che si imperi à coloro anche che non volentieri ubidiscono come sono i diavoli e che si reggano i contenti di essere retti.

124 Celani Che quello. - 127 Celani impera, e regge, regna par che voglia distinguere reggere da imperare e che si imperi a coloro anche che non volentieri ubidiscono come sono i diavoli e che si reggano i contenti di essere retti.

NOTE

3 La postilla tassiana, da attribuirsi al v. 3, è stata erroneamente riferita dal Celani al v. 4. Tasso sottolinea il vocabolo anche nei seguenti vv. 12 e 29, senza lasciare alcun commento. Nel postillato alla Commedia Sessa, invece, la voce via del v. 3 è sottolineata ma non commentata e in margine ai vv. 12 e 29 si leggono le seguenti postille: «replica via, detto sopra benché strada qui empiesse meglio il verso» e «ripresi via, se(n)za articolo». Tav. 1.

7 Tasso riferisce tanto sia a poco, presente nel medesimo verso, che a quanto del v. 4. Di seguito il commento di Grosso (p. 26): «Costringere quel povero tanto a servire in un tempo stesso a due correlativi, cioè a quanto, correlativo che gli sta innanzi, e a che poco più, correlativo che gli vien dietro, è farne come un cocchio tirato simultaneamente da due cavalli ad opposta direzione; in una parola, è mostruosità di sintassi».

17 La metafora, come annota il poeta, è virgiliana: largior hic campos aether et lumine vestit purpureo (Eneide VI, 640- 641). Nel postillato alla Commedia Sessa Tasso sottolinea il relativo commento del Landino: «ne la sommità [del monte n.d.c.] è il Sole, cioè la sapientia. Et come Virgilio pone il ramo d’oro che è la sapientia su l’altezza dell’alboro circondato dalle valli, così Dante pone il Sole ne la sommità del monte. Virg. pone le colombe per la contemplatione che guidano Enea insino al ramo d’oro perché volano in alto & altrove dice Ergo alte vestiga oculis [Eneide VI, 145 n.d.c.]. Adunque per l’albero & per le colombe & per questo verso dimostra l’altezza che Dante dimostra pel monte». Tasso in margine all’esegesi del Landino scrive l’annotazione «Allegoria del ramo d’oro».

30 La chiosa imit sta per imitazione. In numerosi casi è possibile rintracciare la fonte esatta di riferimento.

33 Il passo è sottolineato anche nella Commedia Sessa, dove si legge in margine: «pelo macchiato poteva dire e sceglie la voce latina forse più sonora qui».

46 Tasso sottolinea e riscrive in margine questa forma arcaica, ricalcata per analogia sull’imperfetto congiuntivo della

seconda coniugazione, propria del linguaggio della lirica. Il testo stabilito da Petrocchi sceglie la lezione venisse, interpretando la lezione come uno dei casi di rima imperfetta o siciliana (rima di -i con -e o di -u con -o), di uso generale in tutta la poesia del Due-Trecento. La voce è sottolineata e riscritta in margine anche nella Commedia Sessa.

53 Tasso nota la forma «attiva», come lui stesso afferma, del sostantivo: è la paura infatti che si sprigiona dall’aspetto della lupa. Cfr. II 90. Nel postillato Sessa si legge analogamente: «paura in significato attivo per terrore». 60 L’annotazione tassiana, qui più ricca di riferimenti che nella

maggior parte delle altre postille, dimostra l’attenzione del Tasso per quest’immagine, che ritorna in termini diversi in V 28, luogo commentato dal poeta con questo verso. La sinestesia è già largamente presente negli autori latini, e non solo in poesia. Tasso fa riferimento al commento cinquecentesco del francese Denis Lambin relativo ai Carmina di Orazio (p. 48v e p. 84r), in particolar modo ai vv. 11-12 di I, 25 (sub interlunio) e al v. 10 di II, 8 (taciturna noctis signa). In nota Lambino riporta molti passi in cui ricorre l’espressione nocte silente per concludere con la distinzione fra silente nocte e luna silente: come spiega Plinio, infatti, il silenzio della luna è da intendersi come novilunio (silentium lunae, interlunium intelligitur, id est tempus id, quo luna non lucet), cioè il periodo in cui la luna non splende (cfr. Naturalis Historia XVI, 74: quem diem - coitus lunae - alii interlunio, alii silentis lunae appellant). Il commentatore francese conclude poi con il riferimento al passo di Virgilio (Eneide II, 255: tacitae per amica silentia lunae) che invece il Tasso cancella dopo aver cominciato proprio da quello la sua postilla. Si noti che Celani non registra in questo luogo la cancellatura di mano del poeta. Tav. 2.

100 La chiosa è scritta a fondo pagina. Nella Commedia Sessa la forma verbale è sottolineata e ripetuta in margine.

106 Il poeta si riferisce a Eneide III, 522-23: humilemque videmus Italiam, che in Virgilio ha un valore geografico per indicare la bassa spiaggia dove approda Enea. In Dante, invece, il termine humile ha un significato morale e vale nel senso di misera, decaduta. Tasso, con una sottolineatura orizzontale sul margine destro della pagina, vuole forse

mettere in rilievo la sua annotazione. Anche nel postillato alla Commedia Sessa il passo è oggetto di interesse da parte del Tasso, che commenta: «epiteto ad imitation di Virg. non bene usato». Il poeta sottolinea pure l’esegesi del Landino a questo verso, cioè: «per Italia intendi ogni paese, dove si vive sotto christiana religione, & pose Italia pe 'l tutto, come parte più principale; & per altre molte cagioni notissime, & massime perché la sedia apostolica è capo dei christiani, & Roma è in Italia». Sebbene non oggetto di sottolineatura da parte del Tasso, il commento di Landino prosegue con il riferimento virgiliano: «Disse humile forse, ad imitation di Virgilio, nel quale haveva letto Humilem quae videmus Italiam. Overamente disse humile, non perché allhora fusse humile: ma perché sarà humile, & devota, quando cesserà l’avaritia».

127 La postilla è apposta a fondo pagina. Commento analogo anche in Sessa: «distingue il reggere dall’imperare. L’imperare si dice forse anco sovra coloro che non vorriano obedire e il reggere e il regnare par solo sovra i contenti». Tasso, nel suo poema maggiore, usa due volte il verbo imperare e ben più spesso (dieci volte) la forma verbale reggere: in effetti il verbo imperare è usato in due contesti in cui non si presuppone un consenso concorde e sicuro, ma ostacolato invece da tensioni o imposto da una disciplina che deve inevitabilmente basarsi sulle arti del «perdono» e delle «pene». In I 31 Pietro l’Eremita, individuando come fonte «di ogni indugio e d’ogni lite» nell’esercito cristiano il fatto che il comando non è nelle mani di uno solo ma è spartito fra molti e di diverse opinioni, consiglia di dare a uno solo «lo scettro e la possanza», poiché «ove un sol non impera» «ivi errante il governo esser conviene»; in V 39 Raimondo, a sostegno di quanto precedentemente detto da Goffredo e Tancredi, afferma: «chi bene impera / si rende venerabile a i soggetti» usando le armi del perdono e delle pene, poiché non vi è vera disciplina se il soggetto non si aspetta l’uno e le altre da chi esercita il comando. Quindi, anche in questo secondo caso, si presuppone che non ci sia un volontario consenso nei confronti del potere ma che lo si ottenga, o lo si imponga, usando le arti adeguate. L’accezione del verbo reggere sembra risultare distinta, e confermare l’ipotesi proposta nella postilla, se si guarda ai casi in cui è usato. Per due volte è riferito a Dio con espressioni conformi al testo di Dante (IV 9 «or Colui regge a suo voler le stelle, / e noi siam giudicate alme rubelle» e XVIII 7 «Quanto devi al gran Re che 'l mondo regge!»); in due casi è riferito al comando di uno stuolo armato dell’esercito cristiano, in cui vige valore e disciplina (I 44

«Maggior alquanto è lo squadron britanno; / Guglielmo il regge» e I 51, a proposito di un gruppo di duecento nati in Grecia, «Tatin regge la schiera») e in altri indica il governo di una regione dove il consenso dei sudditi pare risultare indiscusso e consolidato (I 41 «regge Carinzia», che costituisce con altre zone «retaggio materno» o XII 21 «Resse già l’Etiopia, e forse regge / Senapo ancor con fortunato impero»).

Canto II

5 Si del camino , & si de la pietate ;