Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71v (www.e-codices.ch)
CIL VI 1032 (EDR104092)
(In una linea)
Imp(erator) Caes(ar) Divi M(arci) Antonini Pii Germ(anici) Sarm(atici) fil(ius), Divi Commodi frater, Divi Antonini Pii nep(os), Divi Hadriani pronep(os), Divi Traiani Parth(ici) abnep(os), Divi Nervae [adnep(os), L(ucius) Septimius Severus Pius Pertinax Aug(ustus) Arab(icus) Adiab(enicus) Parth(icus) max(imus), pont(ifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) XI, imp(erator) XI, co(n)s(ul) III, p(ater) p(atriae) et Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aurelius Antoninus Pius Felix] A̲u̲g(ustus) trib(unicia) pot(estate) VI co(n)s(ul) fortunatissimus nobilissimusque [princeps ---].
Il Septizodium era un edificio fatto costruire da Settimio Severo, idealmente come ingresso alla sua dimora imperiale, quindi come monumento a sé stante dopo che, come pare, il prefetto della città Fabio Cilo aveva fatto ereggere una statua dell’imperatore al suo centro, impedendo quindi l’ingresso al palazzo. Dedicato contemporaneamente alle thermae Severiane, l’altra grande opera pubblica di Settimio Severo, nei primi anni del III secolo d.C., esso si trovava nel lato sud-est del Palatino, di fronte Porta Capena e l’ingresso nella città attraverso la Via Appia. La struttura era molto curata e complessa: stretta e lunga,
CIL VI 8,2, p. 4318; Walser 1987, pp. 88-90, nr. 30; Lichttenberger 2011, pp. 250-266.
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Nº iscrizione silloge di Einsiedeln
Luogo
iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi
doveva superare i trenta metri in altezza, divisi in sette partizioni in orizzontale (tre nicchie più quattro corpi sporgenti) e tre piani colonnati (fig. 20). 188
L’iscrizione, da datarsi per motivi prosopografici tra 202 e 203, correva in una sola riga lungo la trabeazione tra primo e secondo piano. Non siamo a conoscenza del testo completo e definitivo: la lezione del CIL, infatti, deriva dalla giustapposizione della testimonianza della silloge di Einsiedeln con la copia di un frammento nella silloge Signoriliana - riportato più volte anche da autori rinascimentali - e, tra di loro, l’integrazione da parte dei redattori del Corpus. Nel complesso doveva essere iscritta la lunga serie onomastica di Settimio Severo e dei figli Caracalla e Geta. Nella prima parte del testo, quella riportata dal codice di Einsiedeln, Settimio Severo si legittimava come discendente diretto nella linea degli imperatori adottivi e membro della famiglia degli Antonini, venendo infatti menzionato come figlio di Marco Aurelio e fratello di Commodo, nonché nipote di Antonino Pio, bis- nipote di Adriano, bis-bis-nipote di Traiano e quindi di Nerva. La copia della silloge Signoriliana riporta parte della nomenclatura di Caracalla, di cui sono specificati la sesta tribunicia potestas e il consolato, utili al fine della datazione dell’iscrizione e, conseguentemente, per ricostruire la sezione inclusa tra i due frammenti. Le parole fortunatissimus nobilissimusque erano iscritte quasi sicuramente su rasura, dal momento che in precedenza lì vi sarebbe dovuto essere incisa la serie onomastica di Geta, vittima di damnatio memoriae da parte del fratello nel 211. Sulla base del confronto con l’Arco di
LTUR IV, pp. 269-272; Richardson 1992, p. 350.
188
Fig. 20: ricostruzione del Septizodium, da Hülsen 1886, tav. 4.
Settimio Severo e l’Arco degli Argentari, altri esempi di iscrizioni severine in cui il nome di Geta viene eraso lasciando spazio ad altri titoli di Caracalla , Walser ha proposto di 189
integrare l’ultima parte del testo con princeps [- - -], lettura accolta da Alföldy . 190
Ad essere precisi mancano, tanto nelle letture quanto nelle ricostruzione, la menzione del proconsolato e del titolo di pater patriae di Caracalla, che nelle iscrizioni dei due archi soprammenzionati precedevano i superlativi proprio nella sezione in rasura. È facile invero che questi non fossero presenti nel Septizodium, dal momento che il nesso fortunatissimus nobilissimusque disponeva di un numero maggiore di lettere rispetto ai termini inseriti nei due archi - optimis fortissimisque nel caso dell’Arco di Settimio Severo, fortissimo felicissimoque in quello degli Argentari - e dunque da solo avrebbero ricoperto la rasura. Fino alla sua completa distruzione nel 1589, il Septizodium viene citato in diversi testi e documenti - in particolare quelli relativi alla diaconia di Santa Lucia in Septisolio - ed è disegnato da diversi artisti. Dal recupero di queste fonti, Alfonso Bartoli è riuscito a ricostruire la cronologia dell’edificio, grazie alla quale possiamo cercare di trarre delle conclusioni circa la storia effettiva della sua iscrizione . A tal riguardo, tutto ciò che finora 191
sappiamo è che:
1. in età alto-medievale era possibile vedere almeno tutta la prima parte del testo, ricopiato nel codice di Einsiedeln;
2. in età pre-umanistica e ancora nel Rinascimento era visibile almeno una parte della fine della lunga riga.
Stando ad un documento del 975, l’edificio era già diviso in due parti: un certo Stefano figlio del consul et dux Indebrando, infatti, cedeva il cosiddetto Septem solia minor al monastero di San Gregorio al Celio, già possessori del Septem solia maior . L’iscrizione, 192
di conseguenza, doveva quindi già essere mutila - non è da escludere che lo fosse da molto tempo - e per questo motivo l’anonimo redattore della silloge di Einsiedeln avrebbe copiato solo la prima parte del testo. Secondo Bartoli il codice era il primo documento medievale a
CIL VI 1033; CIL VI 1035. 189 Walser 1987, p. 89; CIL VI 8, 2 p. 4318. 190 Bartoli 1909. 191 Cfr. Augenti 1996, pp. 62-63. 192
far riferimento all’edificio. Il redattore originario della silloge era dunque passato per il Septizodium quand’ancora la parte minore era di proprietà della famiglia nobile di cui faceva parte il soprammenzionato Stefano. È probabile che il redattore non fosse molto interessato della parte più piccola del monumento, specie se di proprietà di una famiglia che poteva anche farne un uso privato, e fosse piuttosto attirato dal Septem solia maior, decisamente più monumentale e comprensivo di un’iscrizione più ampia.
I primi danni significati al Septizodium risalgono all’assedio di Enrico IV contro Gregorio VII nel 1084 , ma è durante le guerre baronali del 1257 che la parte maggiore crolla, con 193
conseguente perdita della prima parte dell’iscrizione. La parte minore sopravvive, più o meno stabilmente, fino al 1589, anno in cui Sisto V chiede a Domenico Fontana di demolire definitivamente l’edificio ormai decadente.
La versione del Septizodium tra 1257 e 1589 è dunque quella che viene vista dal redattore della silloge Signoriliana, che copia la parte ancora esistente dell’iscrizione, e in seguito dai numerosi artisti che l’hanno disegnato. Due stampe sono particolarmente utili ai fini di questa ricerca: la prima è quella di Antonio Lafreri (fig. 21), che nel 1546 ritrae il Septizodium di prospetto, riportando lettera per lettera e con grande precisione la stessa porzione di iscrizione trasmessa dalla silloge Signoriliana; la seconda è quella di Stefano Duperac del 1575 (fig. 22), accurata testimonianza del lato orientale del Palatino a pochi anni dalla rimozione del Septizodium, nel quale si può ancora leggere l’iscrizione, coincidente per parole e spazi alla copia di Lafreri.
Valentini - Zucchetti 1942, p. 333.
Fig. 21: incisione del Septizodium di Antonio Lafreri, 1546, da Hülsen 1886, p. 10.
Fig. 22: incisione del Palatino di Stefano Duperac, 1575, da Hülsen 1886, p. 30.
In entrambe si può ben vedere come la parte del testo in rasura sia iscritto in prossimità della fine dell’abside, il ché implica che princeps ed eventuali altre parole, come già detto presenti secondo Walser e Alföldy, si sarebbero dovute trovare nel lato nord dell’edificio. Si può assecondare questa lettura solo qualora l’iscrizione originale fosse iniziata e finita lungo i lati del Septizodium cosa che, tuttavia, pare difficile sia da un punto di vista artistico e propagandistico sia, e soprattutto, da quello più puramente epigrafico.
Trattandosi infatti il Septizodium di una sorta di ingresso monumentale alla città di Roma volto a celebrare l’ascendenza e la discendenza di Settimio Severo, viene più logico pensare che la lunga iscrizione fosse riportata solo lungo la facciata dell’abside, visibile e leggibile da chi, entrando in Palatino, fronteggiava l’edificio. Inoltre la serie onomastica di Geta, presente nell’iscrizione originale, non doveva superare nel 203 le trentuno lettere, esattamente lo stesso numero delle parole fortunatissimus nobilissimusque . Si deve 194 dunque credere che l’iscrizione corresse solo lungo l’abside del Septizodium e che, soprattutto, il testo finiva come riportato dalla silloge Signoriliana. Errate sono tanto l’integrazione di Walser quanto la voce del CIL, per cui l’iscrizione era lacunosa alla fine. In conclusione, degna di essere menzionata è una delle numerose copie dell’edificio da parte di Marten Van Heemskerck, da datarsi tra 1532 e 1536, nella quale l’artista olandese pone la sua firma proprio al posto dell’iscrizione, utilizzandone lo stile delle lettere (fig. 23).
Buonopane 2009, p. 290 riporta la serie onomastica di Geta: Imp. Caesar P. Septimius Geta
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Augustus. Qualora Caesar e Augustus fossero stati abbreviati come di fatto pare fossero nelle serie
onomastiche di Settimio Severo e Caracalla, il numero di parole scenderebbe addirittura a ventiquattro. Considerando anche le interpunzioni tra una parola e l’altra, non si eccederebbe in ogni caso lo spazio occupato dal testo in rasura e si resterebbe sempre all’interno dello specchio dell’abside.
Fig. 23: disegno del di Marteen Van Heemskerck, 1535 ca., da Bartoli 1909, p. 264.