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La silloge epigrafica di Einsiedeln: tentativo di datazione e rapporto con le fonti itinerarie.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea

magistrale

in Scienze dell’antichità

Tesi di Laurea

La silloge

epigrafica di

Einsiedeln

Origine, tentativo di datazione

e rapporto con le fonti

itinerarie

Relatore

Ch. Prof. Lorenzo Calvelli

Correlatori

Ch.ma Prof.ssa Giovannella Cresci Marrone Ch. Prof. Luigi Sperti

Laureando

Marco Del Longo Matricola 853511

Anno Accademico 2018 / 2019

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Indice

Introduzione p. 5

Parte 1: la silloge epigrafica p. 16

1-2. Iscrizioni di Ponte Salario p. 17

3. Iscrizione del Ponte Elio p. 20

4, 5, 5a. Iscrizioni del Mausoleo di Adriano p. 23 6. Iscrizione musiva dell’arco trionfale della Basilica di San Pietro p. 29 7. Iscrizione dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II p. 32 8. Iscrizione del ninfeo restaurato da Flavio Filippo p. 35

9. Iscrizione dell’Aqua Virgo p. 37

10. Iscrizione musiva dell’abside della Basilica di San Pietro p. 39 11. Iscrizioni dell’ambone dell’antica Basilica di San Pietro p. 43 12. Iscrizione della base di statua di Petronio Massimo p. 45 13, 14, 14a. Le iscrizioni del foro Traiano p. 47 13. Iscrizione della colonna Traiana p. “ 14. Iscrizione della riduzione dei debiti di Adriano p. 50 14a. Iscrizione del tempio delle Matrone p. 52 15. Iscrizione dell’arco di Graziano, Valentiniano II e Teodosio p. 53 16. Iscrizione delle terme di Diocleziano p. 55 17, 18, 19. Iscrizioni di Porta Prenestina/Maggiore p. 58 20. Iscrizione del restauro del Macellum Liviae p. 63

21. Cenotaffio di Gaio Dillio Vocula p. 65

22. Iscrizione del Ponte Cestio p. 67

23. Iscrizione della Basilica di Sant’Anastasia p. 69

24. Iscrizione del Foro del Palatino p. 71

25. Iscrizione della chiesa di Santa Sabina p. 73 26. Iscrizione della basilica di San Pancrazio p. 76

27. Iscrizione dell’Obelisco Vaticano p. 78

28. Iscrizione dello spianamento del clivus Martis p. 81 29. Iscrizione dell’Arco di Tito al Circo Massimo p. 83

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31. Epitaffio di Marco Camurio Sorano p. 95 32. Iscrizione frammentaria nella catacomba di San Sebastiano p. 97 33. Iscrizione della statua equestre di Costantino p. 99 34. Iscrizione dell’Arco di trionfo di Settimio Severo p. 103 35. Le iscrizioni dei templi In Capitolio p. 107

351.Tempio di Saturno p. “

352. Tempio del Divo Vespasiano p. 112

353. Tempio della Concordia p. 114

36. Iscrizione dell’arco di Costantino p. 116

37. Iscrizione dell’arco di Tito p. 121

38. Iscrizione dell’arco perduto di Marco Aurelio p. 124

39-43. Iscrizioni del Campidoglio p. 127

39. Iscrizione onoraria per Nerva p. “ 40. Iscrizione della base di statua di Rufio Albino p. 129

41. Dedica alla Pietas Augusta p. 131

42. Iscrizione del locus adisgnatus p. 132 43. Iscrizione dei curatores tabularum publicarum p. 133 44. Iscrizione per Tiberino e per i lavori pubblici p. 135 45. Monumento funebre di Gneo Domizio Primigenio p. 139 46=52. Cippo con decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo p. 141 47. Editto contro gli abusi nella macinazione del grano p. 146 48. Iscrizione dell’abside di San Paolo fuori le Mura p. 150 49. Iscrizione dell’aula battesimale di San Paolo fuori le Mura p. 151 50. Iscrizione del restauro del Teatro di Pompeo p. 153 51. Iscrizione della biblioteca di papa Agapito p. 158 53-55 Monumento dell’auriga Publio Elio Gutta Calpurniano p. 161 56-66: Iscrizioni del Mausoleo di Adriano p. 165

56. Epitaffio di Commodo p. 167

57. Epitaffio di Lucio Vero p. 169

58-59 Epitaffi di Lucio Elio Cesare e Antonino Pio p. 170

60-66 Le iscrizioni minori p. 171

67 (68), 71, 74, 75. Gli epigrammata damasiani p. 176 67-68. Iscrizioni dei Santi Proto e Giacinto p. 178

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71. Iscrizione dei martiri Nereo e Achilleo p. 180 74. Iscrizione dei martiri Felice e Adautto p. 184 75. Iscrizione dei santi Pietro e Paolo p. 187 73. Iscrizione greca di Lucio Giulio Vestino p. 190

76, 77, 78, 79, 80. Iscrizioni di Pavia p. 193

76-78 Iscrizioni dell’arco augusteo di Pavia p. “ 79. Iscrizione di Sestilio Fusco p. 198 80. Iscrizione dell’icona in San Pietro in Ciel d’Oro p. 199

1.2. La silloge epigrafica del codice di Einsiedeln: origine e datazione p. 202

1.2.1. Origine p. “

1.2.2 Datazione p. 207

Parte 2. Il rapporto tra silloge ed itinerari p. 210

2.1. L’origine degli itinerari e il caso dei testi 69, 70 e 72 della silloge p. “ 2.2. Silloge ed itinerari: un confronto parallelo p. 215

I: A porta sancti Petri usque ad sanctam Luciam in Orthea p. 216 II: A porta sancti Petri usque ad Portam Salariam p. 218 III: A porta Numentana usque Forum Romanum p. 220 IV: A porta Flaminea usque via Lateranense p. 221

V: A porta Tiburtina usque Subura p. 222

VI: Item alia via Tiburtina usque ad sanctum Vitum p. 223 VII: A porta Aurelia usque ad portam Praenestinam p. 224 VIII: A porta sancti Petri usque porta Asinaria p. 226 IX: De septem viis usque porta Metrovia p. 228 X: De porta Appia usque Scola Greca in via Appia p. 230 XI: [A] porta sancti Petri usque ad sanctum Paulum p. 233 XII: elenco delle tombe dei martiri p. 234

Iscrizioni di dubbia attribuzione p. 235

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2.4 Commento p. 239

Parte 3: Conclusioni p. 241

3.1 Silloge e itinerari del codice di Einsiedeln p. “ 3.2 La silloge epigrafica: origine e datazione p. 242 3.3 La corrispondenza topografica tra silloge e itinerari p. 243

3.4 Considerazioni finali p. 244

Indice delle figure p. 246

Principali abbreviazioni p. 249

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Introduzione

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Cod. 326

Rinvenuto da Jean Mabilion all’interno della biblioteca dell’abbazia svizzera di Einsiedeln nel 1653, il Stiftsbibliothek 326 è un manoscritto membranaceo e miscellaneo di 17,8 x 12,6 cm, composto da un totale di 104 fogli e che comprende cinque sezioni diverse, rilegate insieme tra XIII e XIV secolo. Non sono note le modalità con cui il libello sia arrivato a Einsiedeln, ma si sa che in precedenza doveva appartenere alla biblioteca di Pfäers, nel cantone di San Gallo, come si può dedurre dalla nota iste liber est monasterii Fabariensis presente nell’ultimo foglio. A livello contenutistico, le cinque sezioni comprendono:

1. un estratto dalle Notae di Valerio Probo (ff. 1r-10v); 2. i Gesta Salvatoris (Evangelium Nicodemi) (ff. 11r-34v);

3. una serie di canoni penitenziali intitolata Quod diversitas culparum diversitatem faciat penitentiarum (ff. 35r-66v);

4. un insieme di diversi testi di carattere epigrafico, topografico e liturgico (ff. 67r-97v); 5. Un testo della De inventione s. Crucis, relativo alla conversione di Costantino e al

ritrovamento della santa croce da parte di Elena.

Nello specifico, questa ricerca è dedicata alla quarta sezione del manoscritto, la quale era in origine un lavoro a sé stante. Essa si compone a sua volta di cinque parti, tutte redatte da un’unica mano: la prima è una silloge di testi epigrafici esistenti a Roma e Pavia; la seconda una raccolta di alcuni itinerari di Roma; la terza una descrizione delle mura di Roma; la quarta un insieme di pratiche e rituali per la Settimana Santa, conosciuto con il nome di Ordo Romanus; la quinta una raccolta di vari poemi in latino.

Quest’ultima componente è d’aiuto per definire la datazione e l’origine di questo nucleo del manoscritto: i suoi ultimi due testi sono infatti rispettivamente gli epitaffi di Geraldo, cognato di Carlo Magno, e del vescovo di Strasburgo Beraldo. Il primo morì il primo settembre 799 durante la battaglia contro gli Avari e venne sepolto nell’Abbazia tedesca di Reichenau, sul lago di Costanza; il secondo, educato da giovane proprio a Reichenau, venne a mancare il 17 aprile 840, data registrata nel necrologio dell’Abbazia. Di conseguenza,

(7)

appare molto probabile che questa parte del codice di Einsiedeln sia stata in origine redatta proprio a Reichenau nella seconda metà del IX secolo, come si può dedurre anche dall’analisi paleografica del manoscritto, redatto in minuscola carolina in inchiostro nero alternato, talvolta, da una capitale rustica arancione, utilizzata per determinare le indicazioni topografiche delle iscrizioni e i termini primi e ultimi degli itinerari.

Giovanni Battista de Rossi, che studiò il manoscritto verso la fine del XIX secolo, aveva quindi chiamato il manoscritto Sylloge Reichenavensis , e Stefano Del Lungo , nel suo più 1 2

recente studio del manoscritto, ha assegnato al responsabile della redazione del codice il nome Anonimo Augiense, dal toponimo latino dell'isola di Reichenau, Augia. Il paleografo Bernard Bischoff, che attuò uno studio del manoscritto per volere di Gerold Walser nel 1986, dichiarò tuttavia che il manoscritto era simile nello stile alle produzioni di codici della scuola dell'abbazia medievale di Fulda: tale considerazione indusse Walser a suggerire che l'autore del manoscritto fosse un monaco dall'abbazia di Fulda, che si era unito a Carlo Magno in uno dei suoi viaggi a Roma . 3

I nomi appena citati sono solo alcuni dei numerosi epigrafisti, topografi e archeologi che negli anni hanno studiato il manoscritto, con un occhio di riguardo particolare proprio per le prime tre sezioni del quarto nucleo del manoscritto. Ed è proprio all’interno di questa discussione, della quale si accennerà nei prossimi paragrafi, che questo lavoro si vuole inserire, con una nuova analisi della silloge epigrafica e del suo ipotetico rapporto con gli itinerari.

Silloge, itinerari e descrizione delle mura di Roma: storia degli studi

Già lo scopritore del codice Jean Mabilion aveva intuito come, tra le varie sezioni, le più interessanti fossero la silloge epigrafica, gli itinerari e la descrizione delle mura di Roma. All’interno della sua opera Vetera analecta , l’erudito francese inserì la prima edizione a 4

stampa delle stesse, preceduta da un breve commento, in cui riferì sommariamente che: 


De Rossi 1888, pp. 9-35. 1 Del Lungo 2004. 2 Walser 1987. 3 Mabilion 1685, pp. 358-366. 4

(8)

1. Alcune iscrizioni, perlopiù quelle antiche, erano già note dalle sillogi a stampa di Giacomo Mazzocchi, Pietro Apiano e Bartolomeo Amantio e Jan Gruter, di cui riporta i riferimenti, ma molte erano per la prima volta attestate proprio nel manoscritto. Di sicuro, si trattava della più antica raccolta di testi epigrafici al tempo nota;

2. Gli itinerari e la descrizione delle mura erano del tutto inediti e, per quanto brevi, “non parum conferet illustrandae antiquitati” . 5

Il lavoro di Mabilion restò tuttavia un caso isolato e il codice di Einsiedeln di fatto dimenticato fino almeno al 1825, quando Gustav Friedrich Haenel, recatosi nell’Abbazia svizzera proprio per esaminare il libello, lo trovò a fatica nell’angolo di una libreria . Gli 6

esiti della sua analisi vennero pubblicati nel 1837, sotto forma di una nuova edizione stampata di silloge, itinerari e descrizione delle mura, questi ultimi due intesi come un’unica parte. Nell’introduzione all’edizione, Haenel evidenziò come una sezione degli itinerari fosse stata interpolata all’interno della silloge, definendo questo l’errore di un copista successivo. Il dotto tedesco non approfondì la questione, ma ebbe il merito di introdurre una considerazione molto importante per questa discussione: silloge ed itinerari erano copie più tarde di un lavoro precedente.

Il lavoro di Haenel diede avvio alla vivace ed accesa discussione sul codice, in particolare sulle tre componenti tra ff. 67r e 86r.

Theodor Mommsen studiò il manoscritto dall’opera di Haenel, recensendone la silloge in un articolo del 1850 . Il curatore del CIL ebbe l’illustre merito di riscontrare una probabile 7

relazione tra la silloge di Einsiedeln e quella redatta nel XV secolo da Poggio Bracciolini . 8

La raccolta di iscrizioni redatta dall’umanista aretino si divide infatti di due parti: una prima che deriva dalla copia di un manoscritto carolingio rinvenuto nell’abbazia di San Gallo, dove Poggio si era recato durante il concilio di Costanza (1414-1418), a cui aveva preso

Mabilion 1685, p. 359.

5

Haenel 1837: “Einige Male sind es aber offenbare Fehler des spätern Abschreibers, wie z.B. schon

6

die Versetzung eines Stücks in N. 4 lehrt” (“A volte, tuttavia, ci sono evidenti errori di un copista successivo, come dimostra ad esempio l’inserimento di un brano degli itinerari nella sezione 4”. Per sezione 4 Haenel intende la silloge epigrafica).

Mommsen 1850, pp. 287-328.

7

Sulla silloge epigrafica di Poggio vedere Kajanto 1985, pp. 19-40 e, più recentemente, Gionta

8

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parte come secretarius domesticus dell’antipapa Giovanni XXIII; una seconda derivante da riscontri autoptici condotti a Roma. La prima sezione comprende un totale di trentasei testi, tutti attestati anche tra la sesta e la quarantasettesima trascrizione della silloge di Einsiedeln. Queste iscrizioni, per quanto già scomparse in età umanistica, avrebbero goduto di una buona tradizione, che derivava perlopiù dalla copia che eruditi, quali Ciriaco d’Ancona, trassero proprio dalla silloge di Poggio, che circolava in due edizioni manoscritte . Secondo 9

Mommsen , Poggio avrebbe potuto vedere proprio il codice di Einsiedeln, copiando solo 10

una parte dei testi ivi compresi, o, più verosimilmente, avrebbe trascritto un’altra copia derivante proprio dal manoscritto a noi giunto o dalla più antica versione originale, riprendendo l’intuizione di Haenel.

Queste letture furono riprese da Giovanni Battista de Rossi nella sua opera Le prime raccolte d'antiche iscrizioni compilate in Roma tra il finire del secolo XIV e il cominciare del XV , pubblicata nel 1852, quattro anni prima del suo soggiorno ad Einsiedeln, dove 11

analizzò con perizia silloge, itinerari, descrizione delle mura e appendice liturgica, cui una prima relazione venne pubblicata nell’articolo Relazione dei lavori fatti dal sottoscritto per il Corpus Inscriptionum Latinarum dal novembre 1854 a tutto ottobre 1855del 1856 . 12

Nel primo volume de La Roma sotterranea cristiana descritta e illustrata (1864), l’archeologo italiano propose che gli itinerari e la descrizione delle mura della città dovessero accompagnare in origine una mappa di Roma : negli anni seguenti tale 13

congettura fu posta al centro dell’analisi dei percorsi; quindi, nel 1888, pubblicò all’interno del secondo volume della prima edizione delle ICVR un attento e approfondito lavoro sul manoscritto, concentrandosi in particolare su una nuova edizione della silloge epigrafica . 14

Questo lavoro - su cui si tornerà presto - seguiva di qualche anno altri tre importanti contributi sull’argomento: l’edizione di silloge, itinerari e descrizione delle mura a opera di Karl Ludwig von Urlichs , quella più dettagliata dei soli itinerari e mura a cura di Henri 15

Vat. Lat. 9152 e Angel. D 4,18, cfr. Kajanto 1985.

9 Mommsen 1850, p. 287. 10 De Rossi 1852, pp. 105-111. 11 De Rossi 1856, pp. 46-49. 12 De Rossi 1864, pp. 146-148. 13 De Rossi 1888, pp. 9-33. 14 Urlichs 1871, pp. 59-78. 15

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Jordan , entrambe del 1871, e quella della sola silloge in apertura del VI volume del CIL 16

del 1876, edito da Wilhelm Henzen . 17

Di particolare importanza è lo studio di Jordan, il quale, oltre ad appoggiare la lettura degli itinerari in supporto ad una pianta di Roma elaborata da de Rossi, offrì una prima proposta di datazione per i percorsi e timidamente si interrogò, senza fornire risposta, su una possibile relazione tra silloge e itinerari. Il topografo tedesco rinvenne nella menzione del monastero di papa Onorio I (625-638) il termine post quem, nella presenza del toponimo S. Maria antiqua invece di nova - la basilica fu restituita con l’appellativo nova da Leone IV tra 848 e 852 - il termine ante quem . 18

Il primo e secondo punto continuarono ad essere centrali nella discussione sul codice degli anni seguenti, mentre il terzo non venne sostanzialmente più messo in discussione.

Fino al 1987, anno in cui, come si vedrà, Gerold Walser pubblicò una nuova edizione della silloge, i riferimenti alla raccolta di testi epigrafici furono scarni e generalmente poco approfonditi. Angelo Silvagni nel suo articoloNuovo ordinamento delle sillogi epigrafiche di Roma anteriori al secolo XI, pubblicato nel 1921, si legò al ragionamento di de Rossi, affermando addirittura che il primo nucleo di trascrizioni doveva risalire al V secolo ed essere opera di “un grammatico, forse romano e pagano quale spettatore accorato del tramontare dell’impero” . Tale lettura fu accolta anche da Ida Calabi Limentani, che citò 19

alla lettera Silvagni nel suo manuale di epigrafia latina del 1968, limitandosi ad aggiungere un sommario commento del contenuto . 20

Al contrario, all’indomani della pubblicazione del secondo volume delle ICVR l’interesse nei confronti degli itinerari divenne assoluto. Lanciani nel 1891 accettò nel complesso le proposte di de Rossi, definendo tuttavia “arida lista di nomi” confusa ed inesplicabile l’elenco degli edifici presenti nei percorsi, ed interrogandosi così sull’effettiva loro natura . 21

Dello stesso parere fu Hülsen, il quale, sulla base di un confronto tra gli itinerari e il

Jordan 1871, pp. 539-574.

16

CIL VI, pp. IX-XV.

17 Jordan 1871, p. 331. 18 Silvagni 1921, p. 203. 19 Calabi Limentani 1968, pp. 39-40. 20

Lanciani 1891, p. 445: “L'arida lista dei nomi, riesce a molti studiosi di poca ο nessuna utilità: anzi

21

il frequente ripetersi di molte leggende, quando a destra quando a sinistra delle varie linee, produce confusione e rende talvolta inesplicabile il documento”.

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percorso interpolato all'interno della silloge epigrafica, giunse a una conclusione ritenuta sicura e confermata anche dagli studi più recenti: gli itinerari del codice di Einsiedeln sono un’epitome “in molti luoghi troncata e confusa di un itinerario molto più ricco di notizie”, un cui esempio originale può essere letto, copiato erroneamente per intero da un disattento copista, all’interno della silloge epigrafica . Furono questi di fatto gli ultimi contributi sul 22

codice di Einsiedeln fino al 1942.

Tuttavia, interessante per questa ricerca, è un intuizione di Oliffe Richmond, che nel suo articolo The Temples of Apollo and Divus Augustus on Roman Coins, pubblicato nel 1913 all’interno dell’opera Essays and Studies presented to William Ridgway , fece un uso 23

congiunto di silloge e itinerari per determinare dove si trovasse il Forum Palatinum, menzionato come indicazione topografica di un titulus della prima. Quest’ultimo segue nella collezione di testi un’iscrizione della basilica di Sant’Anastasia al Palatino, la quale si trova a pochissimi passi dalla chiesa di San Teodoro, nei pressi degli Horrea Agrippiana, dove appunto sorgeva il tempio del divo Augusto. La chiesa di San Teodoro era anche citata negli itinerari, insieme al Palatino. Dunque, sulla base della conseguenza dei due tituli nella silloge, e vista la menzione della chiesa di San Teodoro negli itinerari, Richmond dedusse che il foro del Palatino doveva coincidere con lo spazio pavimentato degli horrea Agrippiana e, conseguentemente, che silloge e itinerari avessero una relazione. Tuttavia questa intuizione non è stata né approfondita dall’autore, né tantomeno ha avuto un seguito, e anche quella parte della critica che, come si vedrà, presupponeva una relazione tra i due nuclei non ha fatto menzione del lavoro di Richmond.

Nel 1942, dunque, Roberto Valentini e Giuseppe Zucchetti redassero una nuova edizione di itinerari e descrizione delle mura, insieme invero ad un compendio sulla silloge, esente però dalla trascrizione dei testi, nel volume secondo del Codice topografico della città di Roma . Nel commento introduttivo, i due autori riportarono gli studi sino ad allora condotti 24

sul manoscritto, prendendo le distanze da quanto proposto da Hülsen. Secondo la loro lettura, molto simile a quella di De Rossi, non esisteva infatti alcun rapporto tra il frammento di itinerario presente nella silloge e i percorsi tra ff. 79v e 85r, i quali sarebbero stati così redatti anche nella loro versione originale. Se questa lettura non pare essere

Hülsen 1907, pp. 7-9. 22 Richmond 1913, p. 211. 23 Valentini - Zucchetti 1942, pp. 155-207. 24

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corretta, altresì è merito dei due studiosi quello di aver individuato nel monastero di San Silvestro in Capite, edificato sotto Stefano II (752-757) e Paolo I (757-767), il S. Silvestro menzionato negli itinerari, permettendo così di anticipare di oltre un secolo il termine ante quem proposto da Jordan.

Nel 1965 itinerari e descrizione delle mura furono editi da Francois Glorie nel volume Itineraria et alia Geographica del Corpus Christianorum . Bisognerà quindi aspettare il 25

1987 per un nuovo studio del codice.

Il Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom di Gerold Walser presenta, dopo circa un secolo, una nuova edizione congiunta di silloge, itinerari e descrizione delle mura . La proposta avanzata dall’archeologo svizzero è che le tre sezioni 26

fossero in origine opera di un monaco benedettino sceso a Roma insieme a Carlo Magno tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, e tornato nell’abbazia di origine passando per Pavia. Per la prima volta dai timidi tentativi di Jordan e dalla categorica esclusione di de Rossi, la critica tornò ad interrogarsi sulla possibile relazione tra silloge e itinerari, ma lo fece senza offrire risposte credibili ed efficaci. Il rapporto sembra dato per scontato e i due nuclei sono analizzati separatamente, senza un lavoro di confronto che possa giustificare una proposta tanto allettante quanto, sostanzialmente, inedita in questi termini. Inoltre, a fronte di un'eccellente analisi dei percorsi sulla base dell’altrettanto ottimo studio di Hülsen del 1907, l’edizione della silloge risulta talvolta affrettata e poco chiara, con pochi riferimenti tanto alla bibliografia specifica di ogni iscrizione, quanto alla sua tradizione e, come fece notare Werner Eck nella sua recensione all’opera del 1990, con commenti talvolta nemmeno inerenti all’iscrizione in esame . 27

Stupisce in particolare come, pur riportando nelle schede epigrafiche i riferimenti all’edizione di de Rossi del 1888, manchi una controproposta alla lettura del curatore delle ICVR, ritenuta certa per un secolo esatto e secondo cui la silloge derivava dalla copia di quattro diversi nuclei di età e provenienza diversa e non aveva alcuna relazione con gli itinerari. Non è tanto che la proposta di Walser sia da ritenersi sbagliata, quanto piuttosto che l’approccio metodologico con cui ad essa si giunge non appare corretto: il commento sulla natura del codice non viene accompagnato da un doveroso sunto sulla storia degli

Glorie 1965, pp. 329-343. 25 Walser 1987. 26 Eck 1990, pp. 677-678. 27

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studi, l’ipotesi della visita del monaco durante la discesa di Carlo Magno non è supportata da testimonianze o evidenze di alcun tipo e manca, soprattutto, una menzione sulla datazione tanto della silloge quanto degli itinerari. Dal canto suo, il Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom ha avuto un ruolo importante nella storia degli studi sul codice di Einsiedeln, ravvivando l’interesse nei suoi confronti.

Se l’opera di Walser si può considerare il capostipite degli studi contemporanei su silloge e itinerari, l’articolo del 1997 di Franz Alto Bauer Das Bild der Stadt Rom in karolingischer Zeit: Der Anonymus Einsiedlensis ne è il più importante punto di riferimento . Bauer, a 28

differenza di Walser, introduce il suo lavoro con una dettagliata descrizione del codice e della sua storia degli studi. Quindi, dopo un compendio molto dettagliato sui percorsi degli itinerari - oggetto principale dell’articolo - lo studioso cerca di definire una datazione quanto più circoscritta. L’archeologo tedesco ha notato come sarebbe possibile abbassare ancora di più il termine post quem del 752 proposto da Valentini e Zucchetti secondo la menzione del toponimo aeclesia graecorum, attribuito per la prima volta alla basilica di Santa Maria in Cosmedin dopo il restauro, terminato nel 781/782, voluto da papa Adriano I, il quale ne affidò la gestione ad una colonia di monaci greci che si erano rifugiati a Roma per sottrarsi alla persecuzione iconoclasta di Costantino V; allo stesso modo, la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, che prima dell’VIII secolo si trovava quasi distrutta nei pressi del tempio della Concordia, fu ricostruita ed ampliata nel 790 da Adriano, il quale ne spostò le fondamenta nei pressi dei rostra del foro, vicino all’umbilicus urbis Romae, da cui appunto la menzione negli itinerari S(an)c(t)i sergii, ubi umbilicum Romae. Altri edifici menzionati negli itinerari che vennero restaurati sotto papa Adriano sono i monasteri di Onorio e Laurenzio in Pallacinis e la chiesa di S. Giovanni a Porta Latina.

Data l’enfasi posta sugli edifici restaurati da Adriano, Bauer ha abbassato il termine post quem per la redazione degli itinerari al suo papato. Sulla base di un ragionamento simile, quindi, ha alzato l’ante quem al pontificato di Leone III (795-816), sotto il quale le chiese di Santa Susanna e dei Santi Nereo e Achilleo, entrambe citate negli itinerari e su sua commissione restaurate, vissero un momento di grande splendore.

Definita la datazione, la questione volge sul compito degli itinerari, in cui viene confermato quanto già definito da Hülsen: gli itinerari, così come presenti nel codice, non avevano alcun scopo odeporico, ma erano una copia confusa di una guida più dettagliata, il cui

Bauer 1997.

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esempio originale poteva essere trovato, trascritto come se fosse un’iscrizione, all’interno della silloge epigrafica. Proprio questo figura in un breve paragrafo a sé stante: Bauer si è dichiarato d’accordo con Walser nel definire la raccolta di testi epigrafici opera di un singolo individuo e conclude, anch’egli congetturando e senza approfondire troppo la sua proposta, che dal momento che le iscrizioni erano state viste in un’area che pressappoco corrispondeva a quella degli itinerari, non è da escludere una possibile relazione tra le due componenti del manoscritto. Al contrario, escluso almeno nell’edizione originale degli itinerari è un rapporto con la descrizione delle mura, che lo studioso considera troppo dettagliata e tecnica per essere di interesse per i pellegrini. Piuttosto, essendo inserita dopo l’epitome del codice di Einsiedeln, che riguarda edifici solo interni alle mura, il suo compito poteva essere quello di una descrizione dei confini tra urbe e suburbio.

La relazione fra le tre componenti del codice non è stata presa in considerazione dai primi studi successivi a quello di Bauer, opera di Riccardo Santangeli Valenzani , Donatella 29

Bellardini e Paolo Delogu , i quali si sono interrogati per lo più sulla sola origine degli 30

itinerari e sul loro scopo odeporico, mentre è centrale nell’opera di Stefano Del Lungo Roma in età carolingia e gli scritti dell’Anonimo Augiense . 31

L’archeologo, dopo aver presentato un’edizione di silloge, itinerari e descrizione delle mura molto vicina nello stile a quella di Walser, avanza una proposta inedita e rivoluzionaria, secondo cui le tre componenti del codice erano in origine un unico documento di propaganda papale, commissionato da Adriano I in occasione di una visita da parte di Carlo Magno nel 774. Secondo l'interpretazione dello studioso, la curia papale avrebbe pubblicato il fascicolo con le tre sezioni in diverse copie. Le iscrizioni erano state scelte in quanto i testi rimandavano in qualche modo a esempi del potere imperiale e papale, mentre gli itinerari e la descrizione delle mura erano destinati a laici e sacerdoti al seguito di Carlo Magno, per dimostrare loro la grandezza dei monumenti, degli edifici e delle infrastrutture, in particolare dove era necessario o già in corso un restauro, dal momento che per questi poteva sembrare necessario l'aiuto della Franconia. Quest'ultima considerazione è suggerita in particolare dalla descrizione delle mura della città. Uno di questi fascicoli sarebbe quindi stato inviato al monastero di Reichenau da un monaco benedettino: tale copia servì da

Santangeli Valenzani 1999; 2001. 29 Bellardini - Deloglu 2003. 30 Del Lungo 2004. 31

(15)

modello per il codice di Einsiedeln. Nel suo compendio della storia degli studi sul codice del 2014, Riccardo Santangeli Valenzani ha definito le proposte di Del Lungo interessanti, ma esenti da altre testimonianze e, soprattutto, da confronti espliciti . Della stessa opinione 32

Anna Blennow, autrice dell’ultimo, importante contributo a questa ricerca, pubblicato nel 2019 . Nel suo attento lavoro di analisi di tutte e cinque le singole componenti di questa 33

parte del manoscritto, Blennow ha individuato una certa relazione tra silloge e itinerari, ma non, assecondando la lettura di Bauer, con la descrizione delle mura. La studiosa svedese afferma che tutte le iscrizioni - tranne ovviamente quelle di Pavia - più o meno si ricollegano agli itinerari, in quanto si trovano lungo i percorsi o nei loro pressi e sui monumenti che in essi sono elencati. Di conseguenza, la silloge potrebbe essere opera di un dotto viandante, il quale, impegnato nella percorrenza degli itinerari e incuriosito dai tituli che vedeva, li ricopiò per diletto.

Una lettura simile a quella di Walser, per quanto scientificamente più meditata, debitrice forse dell’intuizione sulla complementarietà topografica fra iscrizioni e itinerari di Bauer e che si pone come alternativa a quella di Del Lungo, ma anch’essa non esente da quegli stessi difetti che si sono evidenziati per gli studi che hanno proposto una relazione tra silloge ed itinerari.

Si tratta invero di idee suggestive, tendenzialmente credibili e talvolta accettabili, ma che non possono essere prese in considerazione senza aver dimostrato prima una serie di presupposti indispensabili i quali, in questo lavoro, si cercherà di definire.

Innanzitutto, scopo di una nuova edizione della silloge sarà quello di dimostrare che:

1. Essa possa essere effettivamente il risultato di un lavoro unico;

2. Le iscrizioni i cui testi erano stati copiati fossero esistenti e visibili almeno tra 773 e 816, coordinate entro le quali gli itinerari erano stati composti.

Per il primo punto indispensabile sarà un’osservazione sulla tipologia di iscrizioni riportate nella silloge e le modalità di copiatura dei testi. Partendo da questi bisognerà cercare di definire se ci fosse, dietro la trascrizione, una coerenza metodologica tale da giustificare il lavoro di un singolo redattore (da qui in poi Anonimo). Da Walser in poi pare ormai certo

Santangeli Valenzani 2014, p. 37.

32

Blennow 2019, pp. 33-54.

(16)

che la silloge fosse opera di una sola mano e frutto di autopsia, ma a parte Del Lungo - la cui proposta, si è visto, è stata ritenuta poco credibile - nessuno ha mai vagliato i testi da questo punto di vista.

Inoltre, questa comune opinione collide con la lettura di de Rossi, ritenuta a lungo canonica e mai ufficialmente smentita, secondo cui la silloge era il prodotto della copia di diversi testi di varia età. Uno dei fondamenti della teoria del padre delle ICVR era la presenza nella silloge dei testi da Pavia, la quale sembrerebbe forse ancora più insolita qualora si dimostrasse che i testi romani abbiano un’origine comune. In questo caso sarà quindi importante definire se la presenza dei testi pavesi sia da ritenersi o meno collegata a quella dei tituli romani.

Per ciò che concerne la datazione ci si concentrerà su due fattori: le date di produzione delle iscrizioni e la loro tradizione. La prime saranno utili per definire l’una il termine post quem la redazione della silloge, la seconda fino a quando ogni iscrizione sarebbe potuta essere vista. Essendo gli itinerari databili tra i papati di Adriano I (773-795) e Leone III (795-816), perché ci sia una relazione tra le due sezioni del codice è indispensabile che tutte le iscrizioni fossero già esistenti e ancora visibili dalla fine dell’VIII secolo.

Qualora questi due punti siano accertati, si potrà procedere con la terza e definitiva questione: dimostrare con certezza, attraverso un confronto parallelo tra le due sezioni del codice, che tutte le iscrizioni di Roma fossero visibili e leggibili sui - o nei pressi dei - monumenti ed edifici menzionati negli itinerari.

Se anche questa parte della ricerca dovesse dare esito positivo, allora le proposte avanzate negli ultimi anni da Walser, Bauer, Del Lungo e Blennow potrebbero essere considerate, se non valide, quantomeno giustificabili sulla base di evidenze chiare e praticamente definite.

(17)

Parte 1: La silloge epigrafica

Si procederà ora ad una nuova edizione della silloge epigrafica del codice di Einsiedeln. Ad ogni iscrizione verrà attribuito un numero, sul modello della suddivisione fatta da Walser nel Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom, e una tabella riassuntiva, nella quale verranno indicati:

1. Il luogo dove l’iscrizione si trovava;

2. I riferimenti alla pagina del manoscritto di Einsiedeln;

3. I riferimenti al corpus e, laddove ci siano, al database digitale di competenza; 4. Se l’iscrizione è stata oggetto di autopsia da parte dei redattori dei vari corpora; 5. Se l’iscrizione è ancora oggi esistente.

Attraverso questo lavoro si raccoglieranno i dati necessari per cercare di definire quale fossero l’origine e la datazione della silloge epigrafica.

(18)

1-2: Iscrizioni di Ponte Salario 34

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Cod. 326, f. 67r (www.e-codices.ch)

CIL VI 8, 2 p. 4335; Walser 1987, p. 64-65, nn. 1-2; Giardina 2006, p. 96, nr. 39.

34

Nº iscrizione silloge di Einsiedeln

Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

1. Ponte Salario,

via Salaria 67r CIL VI 1199a EDR115838 No No

2. Ponte Salario,

(19)

CIL VI 1199 a/b (EDR115838)

P(ro) imperante d̅(omino) n̅(ostro) piissimo ac triumphali semper Iustiniano p̅(atri) p̅(atriae), A̅u̅g̅(usto), a̅n̅n̅(o) X̅X̅X̅V̅I̅I̅I̅I̅. Narses vir gloriosissimus ex praeposito sacri palatii ex c̅o̅n̅s̅(ule) atque patricius post victoriam Gothicam ipsis, eorum regibus celeritate mirabili conflictu publico superatis, atque prostratis libertate urbis Romae, ac totius Italiae restituta, pontem viae Salariae us=

que ad aquam a nefandissimo Totila tyranno distructum, purgato fluminis alveo, in meliorem statum, quam quondam fuerat, renovavit,

quam bene curbati directa est semita pontis, atque interruptum continuatur iter.

Calcamus rapidas subiecti gurgitis undas, et libet iratae cernere murmur aquae.

5 Ite igitur faciles per gaudia vestra Quirites,

et Narsim resonans plausus ubique canat. Qui potuit rigidas Gothorum subdere mentes, hic docuit durum flumina ferre iugum.

Le prime due iscrizioni della silloge vengono erroneamente assegnate dal redattore ad un pons Tiburtinus, quando in realtà si trovavano sui due lati del ponte Salario, sul fiume Aniene . 35

I testi non sono di età imperiale, ma fanno riferimento alla ricostruzione del ponte ad opera di Narsete nel 565, dopo che nel 547 gli Ostrogoti, guidati dal re Totila, lo avevano 36

profondamente danneggiato, per quanto non drasticamente come appare dall’iscrizione . 37

La sua collocazione è da datarsi a prima del 14 novembre 565, giorno della morte dell’imperatore Giustiniano , menzionato nel testo. 38

LTURS V, pp. 35-44, in particolare pp. 41 e 42.

35

PLRE III, Narses 1.

36

Valentini - Zucchetti 1942, p. 163, nota 1; LTURS V, p. 42.

37

PLRE II, Iustinianus 7.

(20)

Le due epigrafi godono di una copiosa e continua tradizione e sono state trascritte ed osservate fino al 1798 , un anno prima che l’esercito del Regno di Napoli abbattesse il 39

ponte per evitare il passaggio delle truppe napoleoniche, avvenimento questo che avrebbe portato alla perdita dei due testi di VI secolo. I redattori del CIL, dunque, non fecero in tempo ad analizzare autopticamente le due iscrizioni e ricostruirono i due testi sulla base del confronto tra le varie trascrizioni rinvenute.

Nello specifico, la versione presentata dal codice di Einsiedeln non è molto diversa da quella offerta da Henzen, discostandosi solo nello scioglimento dei pochi vocaboli abbreviati e a sua volta abbreviando alcune parole di facile e comune comprensione (tab. 1). A differenza dunque di altre iscrizioni dal significato più implicito a causa dei formulari classici, la lettura di questi due testi sarebbe dovuta essere facile e comprensibile.

Da segnalare è tuttavia un grave errore di trascrizione da parte del redattore all’inizio della sesta riga del foglio 67r del codice: laddove infatti la voce del CIL riporta la corretta voce Gothicam in riferimento alla vittoria ottenuta da Narsete contro Totila, la versione della silloge riferisce parthicam. Si tratta per certo di un errore di distrazione in fase di copiatura, dal momento che non ci sono indizi nel testo che possano giustificare in qualsiasi altro modo la confusione tra gli Ostrogoti battuti da Narsete in pieno VI secolo con i Parti combattuti da Roma dal I secolo a.C al III d.C.

Le cause di questo errore potrebbero essere tre, dipendentemente dalla natura della silloge:

1. Qualora il redattore stesse operando infatti in prima persona e previa autopsia dei tituli, si potrebbe ipotizzare come, involontariamente e confondendo le due diverse guerre, egli avesse trascritto parthicam invece di gothicam;

2. se invece stesse copiando una parte precedente, oggi dispersa, avrebbe o commesso lui stesso l’errore, similmente alla prima opzione, o ricopiato un refuso presente nell’antigrafo.

Qualsiasi fosse stata la dinamica che portò tale sostituzione, si deve presupporre che l’autore fosse a conoscenza dell’esistenza delle guerre partiche avvenute tra tarda età repubblicana ed età imperiale o, quantomeno, dell’aggettivo parthicus.

Walser 1987, p. 64.

(21)

3. Iscrizioni del Ponte Elio 40

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v (www.e-codices.ch)

CIL VI 973 (EDR104008)

Imp(erator) Caesar Divi Traiani Parthici filius Divi Nervae nepos Traianus Hadrianus

Augustus, pontif(ex) maxim(us), tribunic(ia) potest(ate) XVIII, co(n)s(ul) III, p(ater) p(atriae), fecit.

L’iscrizione numero 3, che secondo la silloge si trovava in ponte Sancti Petri , recava una 41 dedica da parte di Adriano riferita all’edificazione del ponte, allora chiamato pons Aelius, e del suo Mausoleo. Dal momento che viene menzionata la tribunicia potestas di Adriano, si può datare l’iscrizione tra il 10 dicembre 133 e il 9 dicembre 134 d.C.

La dicitura “Ponte San Pietro” riconduce la trascrizione del testo quantomeno all’età altomedievale, quando i pellegrini cristiani così facevano riferimento al ponte che conduceva dalla città alla mole. Esso, tuttavia, ufficialmente si era chiamato pons Aelius

CIL VI 8, 2 p. 4312; Walser 1987, p. 66, nr. 3.

40

LTUR IV, pp. 105-106; Richardson 1992, p. 296.

41

Nº iscrizione silloge di Einsiedeln

Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

3. Ponte San

Pietro (Ponte Elio/

Sant’Angelo)

(22)

fino al 590 quando papa Gregorio Magno, dopo aver intitolato il mausoleo di Adriano Castel Sant’Angelo in seguito ad una visione avuta durante una processione, cambiò di conseguenza il nome del ponte in Ponte Sant’Angelo.

L’iscrizione viene trasmessa anche da Giovanni Dondi dell’Orologio, che nella silloge redatta in occasione della visita a Roma del 1375 riporta di averla vista incisa sui due lati 42

di una grande tabula di marmo “in capite pontis S. Petri”, a testimonianza che ancora alla fine del XIV secolo il nome “tradizionale” del ponte veniva usato invece del titolo “ufficiale”.

Il testo di Dondi è quasi del tutto equiparabile a quello della silloge di Einsiedeln, con unica differenza che il dotto clodiense non aveva copiato la ai suoi occhi troppo enigmatica sigla XVIII cos. III pp. - riportata ma non sciolta nel codice - limitandosi a segnalare “et alia pulcra sequuntur” ed inserendosi, in un certo senso, in quella cerchia di dotti che già nei secoli centrali del Medioevo avevano esplicitamente ammesso di non essere in grado di sciogliere il complesso sistema brachigrafico dell’epigrafia latina . 43

In ogni caso, il fatto che i testi delle due sillogi coincidano indica che l’iscrizione si era mantenuta integra, leggibile e nello stesso sito almeno dal VI al XIV secolo, anche se, verosimilmente, non è da escludere che essa si fosse trovata in capite pontis S. Petri sin dalla sua prima collocazione tra 133 e 134 d.C.

Quanto alla sua scomparsa, Walser propone la datazione del 1450, quando, durante il giubileo, le balaustre del ponte cedettero causando la morte di 172 pellegrini . L’epigrafe 44

fu forse distrutta durante le operazioni di restauro finanziate da papa Niccolò V, quando una serie di edifici alla testata del ponte, dove di fatto essa si trovava, erano stati abbattuti per consentire un maggiore spazio di deflusso. Appare strano tuttavia che il testo non venga trascritto da nessun autore nel lasso di tempo che separa la discesa di Dondi a Roma all’incidente del 1450, specie se si considera come la generale rinascita dell’interesse nei confronti delle iscrizioni di età classica tra fine XIV e prima metà del XV secolo non avesse trascurato le iscrizioni superstiti di Castel Sant’Angelo. Si può avanzare quindi l’ipotesi che la scomparsa del titulus fosse antecedente al 1450. Ipoteticamente non è da escludere che il ponte stesso avesse subito dei danni nel 1379, quando Castel Sant’Angelo venne quasi raso

Cfr. CIL VI, pp. XXVII, XXVIII.

42

Calabi Limentani 1970; Petoletti 2002; Petoletti 2004, p. 1; Calvelli 2012; Calvelli 2016.

43

Walser 1987, p. 66.

(23)

al suolo da parte della folla inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del castello da Urbano V, o nei susseguenti lavori di restauro voluti da Bonifacio VIII.

(24)

4, 5, 5a. Iscrizioni del Mausoleo di Adriano 45

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v-68r (www.e-codices.ch) 46

I tre testi della mole presentati dopo il titulus di Ponte San Pietro vengono letti nel Mausoleo di Adriano , e sono stati trascritti per due volte ciascuno all’interno della silloge. 47

Oltre alla sezione qui in esame, infatti, essi vengono ripetuti tra le iscrizioni numero 56 e 66, quelle che riprendono, ovvero, l’intero programma epigrafico del Mausoleo visibile al

CIL VI 8, 2 p. 4340; Walser 1987, pp. 118-120, nn. 4=56, 5=57, 6=58; Petoletti 2004, pp. 11-12,

45

nn. 3, 4, 5.

Per la trascrizione dei testi si vedano le schede 56, 57 e 58.

46 LTURS I, pp. 15-22; Richardson 1992, p. 249-251. 47 Nº iscrizione silloge di Einsiedeln Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

4. Mausoleo di

Adriano 67v CIL VI 992 EDR104033 No No

5. Mausoleo di

Adriano 67v CIL VI 991 EDR104032 No No

5a Mausoleo di

(25)

redattore. Se per il commento relativo al contenuto e alla tradizione dei testi si rimanda appunto alle schede nr. 56, 57 e 58, qui si vuole porre l’attenzione su un altro e importante dettaglio.

Dopo aver infatti riportato l’epitaffio di Commodo collocandolo in Adrianio, il redattore introduce i tituli di Lucio Vero e Lucio Elio Cesare con la frase in alio loco pleni scripsi. Questa è una chiara annotazione dell’Anonimo, che scrive che, altrove nella silloge, aveva riportato i tituli dell’intero Mausoleo. Tuttavia nel codice essa presenta le caratteristiche tipiche delle indicazioni topografiche del resto dell’antologia: è scritta in capitale rustica, con inchiostro arancione e accanto alla fine del testo precedente. È questo probabilmente il primo, vero e concreto indizio del fatto che la silloge contenuta nel codice di Einsiedeln sia una copia di un lavoro precedente: il copista, non avendo colto il senso di questo messaggio, aveva considerato l’annotazione del redattore come un’indicazione topografica da riferirsi agli epitaffi di Lucio Vero e Lucio Elio Cesare, i quali erano in origine esenti da collocazione perché di fatto ancora dipendenti dall’in Adrianio del testo precedente. Non è questo l’unico errore del genere all’interno del codice. Le voci 69, 70 e 72 non sono iscrizioni, ma elenchi di sepolture di martiri e un itinerario. Il copista, tuttavia, li inserisce erroneamente nella silloge, trascrivendoli come fossero iscrizioni e assegnando loro delle indicazioni topografiche. Allo stesso modo, un più esteso elenco di tombe martoriali nelle varie vie fuori le mura di Roma viene inserito al termine degli itinerari tra ff. 79v e 85r, rappresentato graficamente con le stesse caratteristiche degli altri percorsi.

Questi esempi verranno analizzati più avanti, ma per ora sono più che sufficienti per confermare come questi piccoli errori siano opera di un confuso copista alle prese con l’epitome di un lavoro precedente. L'espressione in alio loco plenius scripsi suggerisce inoltre la piena consapevolezza dell’azione di chi redige la silloge: egli sa che verso la fine della sua opera ci saranno altri testi redatti dalla stessa area e lo annota a margine. Essendo conscio che i testi scritti in alio loco appartengono sempre in Adrianio - e visto che nelle copie più avanti nella silloge loro disposizione nell’edificio è esplicata da clausole quali in parte australi e in altera parte - pare più che probabile che egli si trovasse di fronte al Mausoleo, mentre ne riportò i tituli.

In ogni caso si può notare come, se da un lato l’Anonimo si era riferito al Ponte Elio col nome cristiano e medioevale, al contrario tutti i testi relativi alla mole vengano assegnati in Adriano, unici tra gli esempi della tradizione Medievale, Umanistica e Rinascimentale di queste iscrizioni a non citare il nome Castel Sant’Angelo. Limitandoci ai primi esempi di

(26)

antologie di iscrizioni, la silloge Signoriliana, i Commentari di Ciriaco e la breve raccolta del manoscritto British Library, Add. 34758, edito anch’esso tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, laddove si riferiscano infatti ad un testo della Mole, la indicano in castro S. Angeli.

Anche nella descrizione della mole al termine della descrizione delle mura della città, il redattore fa riferimento all’edificio con l’appellativo Hadrianius: per quanto ci sia la lieve differenza rappresentata dalla h ad inizio parola, questo potrebbe essere un indizio circa l’unicità dell’origine di queste sezioni del codice di Einsiedeln.

Potrebbe sembrare, invero, che nella forma mentis del redattore originario - e nel periodo storico in cui egli operava - quest’edificio fosse ancora noto come il Mausoleo di Adriano e di conseguenza la datazione delle copie anteriore al 590, tuttavia sappiamo dai Mirabilia di XII secolo che la memoria dell’edificio in quanto monumento funebre di Adriano rimase viva . 48

Tornando a focalizzarsi sulle tre iscrizioni in esame, altra interessante questione è quella relativa al confronto tra esse e le loro trascrizioni gemelle. Qui di seguito si propongono tre tabelle nelle quali vengono confrontate e analizzate analogie e differenze tra gli stessi testi riportati tra ff. 67v-68r e 76v-77r. Si noti che non verrà trattata la questione relativa alla disposizione del testo, dal momento che chi trascrive i testi della silloge lo fa in maniera arbitraria, stando più attento allo spazio del foglio che non all’effettiva predisposizione delle parole sul monumento.

Valentini - Zucchetti 1946, pp. 46-47.

(27)

Tabella 1: 4 = 56

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 67v Trascrizione

IN ADRIANIO

Imperatori caesari divi marci antonini pii germanici sarmatici filio divi pii nepoti divi hadriani pnepoti divi traiani parthici abnepoti divi nervae adnepoti lucio aelio aurelio comodo augusto sarmatico germani co maximo britanico pontifici maximo tribu niciae potestat XVIII imperat VIII consuli VII patri patriae

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione

IN ADRIANIO IN PARTE AUSTRALI Imperatori caesari

divi marci antonini pii germanici filio divi pii nepoti divi hadriani pnepoti divi traiani parthici abnepoti divi nervae adnepoti

lucio aelio aurelio comodo augusto sarmatico germanico maximo brittanico pontifici

maximo tribuniciae potestat XVIII im perat VIII consuli VII patri patriae

(28)

Entrambe le trascrizioni presentano in riga 5 la dicitura Comodo con una sola M invece della corretta grafia Commodo; altro errore simile si ripete nelle righe 6, dove 4 presenta la dicitura britanico con una sola N, e 56 addirittura brittanico con una doppia T e una sola N, a differenza della corretta forma Britannico; la seconda trascrizione si differenzia dalla prima anche per l’assenza dell’appellativo Sarmaticus in seconda riga. Henzen nel CIL segue il testo di 56 abbreviando solo il praenomen di Commodo da Lucio a L., supponendone dunque lo scioglimento in fase di trascrizione da parte del redattore o del copista.

Differenze degne di nota sono: le forme diverse della menzione del titolo imperiale, abbreviata Imp. in 5 - opzione scelta da Henzen per CIL VI, 991 -, sciolta Imperatori in 57; la presenza in 5 di una M ascritta tra prima e seconda riga - da sciogliersi come maximo, in riferimento al pontificato appena menzionato - altrimenti assente tanto in 57 quanto nella proposta di ricostruzione nel CIL; l’uso in 5 di particolari forme di punteggiature a punto e virgola a fine di riga due e in riga 3, discrezione probabilmente del copista e altrove mai attestata nella silloge; l’errata forma abbreviata cons. a fine riga 2 della seconda trascrizione invece della corretta cos. presente in 5 e CIL VI 991.

Tabella 2: 5 = 57

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 67v Trascrizione

IN ALIO LOCO PLENIUS SCRIPSI

Imp caesari L. aurelio vero aug armeniac.

med. parthic. pontefic. m. tribunic pot; VIIII imp; v cos; III pp.

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione

ITEM IN EODEM (castro)

Imperatori caesari

L. aurelio vero aug armeniac. med. parthic. pontefic. tribunic potest. VIIII imp. v. cons. iii. p.p.

(29)

In questo caso le due trascrizioni sono quasi del tutto uguali, con la sola menzione di augusti diversa, sciolta in 5b e abbreviata in 58. Henzen nel CIL dispone il testo su tre righe, invece della singola della silloge.

In conclusione, le differenze tra le coppie di testi si possono dividere in tre categorie:

1. Errori di ortografia, talvolta comuni nelle due trascrizioni, talvolta presenti solo in uno dei due testi. Essi potevano tanto essere presenti nell’originale raccolta, quanto essere commessi dal copista ed essere dunque propri solo del codice;

2. Presenza di parole in una sola delle due iscrizioni, anch’essa attribuibile tanto ad una copia distratta da parte dell’Anonimo, quanto ad una dimenticanza da parte del copista; 3. Trascrizione diversa di parole, talvolta abbreviate, talvolta sciolte. Si deve credere

queste derivino dal lavoro originale, e che dunque l’Anonimo disponesse di una minima dimestichezza nell’interpretazione dell’epigrafia e nell’uso del suo vocabolario di base.

Tabella 3: 5a = 58

Stiftsbibliothek 326, f. 68r Trascrizione

L aelio caesari divi hadriani augusti filio cos II

Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione

(30)

6. Iscrizione musiva dell’arco trionfale della Basilica di San Pietro 49

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v-68r (www.e-codices.ch)

ICVR 4092 (EDB17047)

Quod duce te mundus surrexit in astra triumphans hanc Constantinus victor tibi condidit aulam

L’anonimo è il primo a trascrivere un noto testo incluso in un mosaico nella tribuna dell’arco trionfale dell’antica basilica di San Pietro in Vaticano . 50

L’origine di testo e mosaico è da farsi risalire alla vittoria di Costantino contro Licinio a Crisopoli il 28 settembre 324 , e rappresentava l’imperatore nell’atto di consegnare 51

l’edificio a Cristo e a Pietro, i quali possono essere considerati entrambi dedicatari del distico riportato nella silloge . Esso infatti vede un solo nome esplicitato, quello di 52

Costantino, mentre non è specificato a chi si riferiscano l’ablativo assoluto duce te e il tibi a cui l’imperatore condidit aulam. Altra questione grammaticalmente discussa dalla critica è quella in riferimento alla parola mundus: Walser, Liverani e Gem lo considerano come

Krautheimer 1987, pp. 317-320; Walser 1987, p. 67, nr. 6; Carletti 2008, 247-248, nr. 152;

49

Liverani 2008, 155-158; Gem 2013, 39-40.

LTURS IV, pp. 185-194; Nibby 1838, pp. 593-594.

50

Sulla datazione si considera qui valida la lettura di Krautheimer 1987, Liverani 2008 e Carletti

51

2008, i quali inseriscono mosaico ed iscrizione in un periodo compreso tra il 324, anno della vittoria su Licinio, e il 337, anno della morte di Costantino. Su datazioni più tarde e sul perché siano errate, si veda Liverani 2008, pp. 156-157, in particolare n.10.

Carletti 2008, p. 248. 52 Nº iscrizione silloge di Einsiedeln Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia ICVR Esistente oggi

6. Basilica di

San Pietro, arco trionfale

(31)

sostantivo a sé stante, soggetto della principale retta dal verbo surrexit , mentre Carletti, 53

con un attento confronto con il lessico epigrafico cristiano di IV e V secolo, lo definisce - probabilmente a ragione - aggettivo di Costantino . 54

In generale, è da segnalare come analisi e lettura di Walser siano decisamente poco corrette. Lo studioso tedesco non tiene conto della rappresentazione musiva, considera l’epigramma rivolto al solo Cristo e afferma inoltre, in maniera molto approssimata, che mosaico ed iscrizione sarebbero stati visti solo fino al 1506, anno dell’edificazione della nuova basilica di San Pietro. Tuttavia dal De Concilio Tractatus del cardinale Giacobacci appare evidente che ancora nel 1537 tanto l’ornamento musivo quanto il testo in lettere auree fossero visibili . Ancora nel 1527, per quanto già scomparsa, l’iscrizione godeva di buona 55

tradizione, se si pensa che Andrea Fulvio la riportava - corretta - nella sua Antiquitates Urbis, poi ampliata e tradotta in italiano col titolo L’antichità di Roma da Girolamo Ferrucci nel 1588 . 56

Invero il testo era molto famoso già all’indomani della sua disposizione, se si pensa che numerosi sono stati gli epigrammi cristiani che ne traevano spunto tra IV e V secolo: papa Damaso nel suo poema ai martiri Felicissimo e Agapito e nell’abside di San Lorenzo in 57

Damaso , il vescovo Achille nell’iscrizione dedicatoria della basilica di San Pietro a 58

Spoleto , Prudenzio nel suo poema contro Simmaco . L’iscrizione riecheggia anche 59 60

Walser 1987, p. 67; Liverani 2008, p. 156; Gem 2013, p. 39.

53

Carletti 2008, p. 247: “Il contesto complessivo induce, viceversa, a preferire mundus come

54

aggettivo, da riferire a Costantino, per significare l’implicita conversione dell’imperatore, vittorioso sotto le insegne di Cristo; mundus e mundare, nel IV e V secolo entrano nel lessico dell’iniziazione cristiana sia nelle iscrizioni ad fontes sia in quelle funerarie: cfr. ILCV 1513e (Roma Battistero lateranense), insonne esse volens isto mundare lavacro; ICVR II 4785, 5 (s. Paolo f.l.m.) purificatque

animas mundior amne fides; ICVR IV 12520, 9 (via Appia-Ardeatina) …sacro mundatus in amne,

nonché nei formulari che alludono alla rettitudine di vita come ad esempio in ICVR VI 17106 del lettore Paulus evocato come mundus ab omni labe”.

Giacobacci 1537, p. 783: “Cum adhuc temporibus nostris fuerit in ecclesia Sancti Petri in

55

frontispitio maioris arcus ante altare maius Constantinus imperator in musaico depictus, literis aureis ostendens salvatori & beato Petro apostolo ecclesiam ipsam a se aedificatam videlicet ecclesiam Sancti Petri”.

Ferrucci 1588, p. 67: “Leggevasi poco fa sopra la tribuna maggiore, laquale hora è rovinata, un

56

distico saputo da pochi commesso di Musaico, il quale diceva in questo modo”. ICVR V, 13872, v. 7: “[…] quod duce tunc […]”.

57

ED, p. 212, nr. 58: “Haec Damsus tibi, Christe deus, nova tecta dicavi / Laurenti saeptus martyris

58

auxilio”.

CIL XI, pp. 698-699, LXXIX Spoletum 2.

59

Prudentius, Contra Symmachum 2.758-759: “Regnator mundi Christo sociabere in aevum, / quod

60

(32)

nell’iscrizione dedicatoria dell’abside dell’abbazia di Monte Cassino, fatta apporre nel 1071 dall’abate Desiderio, futuro papa Vittorio III . 61

Considerate tanto la collocazione, quanto l’importanza, non è da stupirsi dunque se e perché il redattore della silloge, entrato nella basilica di San Pietro, abbia trascritto questo testo.

Chron. Cas. III 28, p. 718, 33: “Ut duce te patria iustis potiatur adepta, / hinc Desiderius pater

61

(33)

7. Iscrizione dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II 62

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1196 (EDR129977)

Imppp. clementissimis felicissimis, toto orbe victoribus, ddd. nn[n.] Arcadio, Honorio, Theodosio Auggg., ad perenne indicium triumpho[rum] quod Getarum nationem in omne aevum doc[u]ere exti[ngui],

arcum simulacris eorum tropaeisq(ue) decora[tum],

5 S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus), totius operis splendore [---].

L’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II viene per la prima volta menzionato proprio nella 63

silloge del codice di Einsiedeln, che ne riporta l’iscrizione e lo colloca con un generico intus Romae.

CIL VI 8,2, pp. 4334-4335; Walser 1987, pp. 67-68, nr. 7.

62

LTUR I, pp. 79-80; De Maria 1988, pp. 323-324; Liverani 2007, pp. 86-89.

63

Nº iscrizione silloge di Einsiedeln

Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

7. Arco di

Arcadio, Onorio e Teodosio II

(34)

La tradizione del testo è totalmente debitrice di questa voce della silloge, derivando tutte le successive trascrizioni dalla copia del codice di San Gallo da parte di Poggio. L’arco si sarebbe trovato nel Campo Marzio, a poca distanza dal ponte Neroniano, e sarebbe stato dedicato ai tre imperatori dal Senato in seguito o della vittoria contro Alarico a Pollentia e Verona nel 402, o a quello del generale Stilicone contro i Geti guidati da Radagaiso a Fiesole nel 406 . Stando alle ricostruzioni di Eugenio La Rocca , la sua edificazione 64 65

originale sarebbe potuta essere di due secoli più alta, da collegarsi con l’istituzione dei Ludi Saeculares da parte di Settimio Severo nel 204 d.C., ed il suo compito quello di garantire l’ingresso dalla via Triumphalis al Trigarium . 66 67

Ancora in piedi durante il Medioevo, l’arco viene menzionato nelle varie versioni dei Mirabilia e nel più recente Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae , da datarsi ai 68 69

primi anni del XV secolo , che però lo confondono con l’arco di Teodosio, Valentiniano e 70

Graziano, a sua volta erroneamente denominato arcus Aureus Alexandri.

Questa confusione è probabilmente figlia della vicinanza tra i due archi, e sono proprio le indicazioni topografiche dei Mirabilia e del Tractatus a permetterci la correzione: in essi, infatti, l’arcus Aureus Alexandri viene detto essere nei pressi della chiesa dei Santi Celso e Giuliano, a sua volta vicina a ponte Sant’Angelo, dove invero si trovava l’arco di Teodosio, Valentiniano e Graziano; di conseguenza, l’arco ad Sanctum Ursum avrebbe dovuto essere 71

quello qui in esame. Molto importante diventa così la descrizione che ne fa l’anonimo autore del Tractatus, il quale è fonte di prima mano nel testimoniare come agli albori dell’età umanistica l’arco fosse ancora in piedi, per quanto privo della sua struttura

Liverani 2007, p. 88. CIL VI 8, 2, p. 4335 propende per la seconda opzione.

64

La Rocca 1984, pp. 66-67.

65

La via imperiale che collegava il Campo Marzio con il suburbio nordoccidentale di Roma e il

66

Vaticano attraverso prima il ponte Neroniano quindi il ponte Elio. Cfr. LTUR IV, p. 147.

Area dedicata alle corse dei cavalli. Philox., CGL II, 201: “trigarium τόπος ὂπου ἲπποι

67 γυµνάζονται”. Cfr. LTUR IV, p. 89. Valentini - Zucchetti 1946, pp. 18, 80, 132, 185. 68 Valentini - Zucchetti 1952, p. 117. 69

Valentini - Zucchetti 1952, p. 101: “A noi sembra che il nostro Anonimo sia ancora fuori da

70

qualunque sintomo di rinnovamento culturale e metodico, indizio sicuro dei tempi nuovi; ma, prima

di discorrerne di proposito, cerchiamo di fissare l'età della compilazione. Essa, fu già osservato, si può ben legare al 1411, perchè l'autore ricorda come fatto recente il restauro del corridoio dal Vaticano a Castel Sant'Angelo, che Giovanni XXIII compiva appunto in quell’anno”.

La chiesa di Sant’Orso, demolita in occasione dei lavori per la costruzione di Corso Vittorio

71

(35)

marmorea e, soprattutto, della sua iscrizione , il cui testo sopravvive grazie proprio alla 72

silloge. In sostanza, al tempo della rinascita dell’interesse storico nei confronti dell’epigrafia, il testo dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio era già scomparso e, dunque, unico e prezioso suo esempio rimane la trascrizione della silloge del codice di Einsiedeln, attraverso la quale è possibile immaginare quali fossero l’aspetto e la finalità dell’arco trionfale: decorato con statue dei tre imperatori (simulacris eorum) e immagini di trofei (tropaeisque), esso si presentava come l’ultimo arco trionfale romano di sicura dedica senatoria , in una sorta di manifestazione finale della romanità pagana tramite il messaggio 73

esposto di natura militare.

Valentini - Zucchetti 1953, p. 117: "Arcus Theodosii et Valentiniani est inter mercatores ad

72

Sanctum Ursum, de quo epitaphium diruptum est: tamen arcus est sanus, sed non marmoreus”.

De Maria 1988, p. 323, nr. 103.

(36)

8. Iscrizione del ninfeo restaurato da Flavio Filippo 74

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1728a (EDR123609)

F̲l̲(avius) P̲h̲i̲l̲i̲p̲p̲u̲s̲ v̲(ir) c̲(larissimus) p̲r̲a̲e̲f̲e̲c̲t̲u̲s̲ u̲rbi nym̲p̲h̲i̲u̲m̲ sordium squalo̲r̲e̲ f̲o̲e̲d̲a̲t̲u̲m̲ e̲t̲ m̲a̲r̲m̲o̲r̲u̲m nuditate deforme

a̲d̲ c̲u̲l̲t̲u̲m̲ p̲r̲i̲s̲t̲i̲n̲u̲m̲ r̲e̲vocavit.

Anche in questo caso, la tradizione del testo è figlia unicamente della trascrizione del codice di Einsiedeln, che ancora una volta la colloca genericamente intus Romae.

Non siamo a conoscenza di dove si trovasse il ninfeo restaurato per volontà del praefectus urbi Flavio Filippo , mentre il 391 sembrerebbe essere l’anno dell’iscrizione. Esistevano 75

almeno tre lastre con inciso lo stesso testo: la prima , oggi non reperibile, è stata descritta 76

da numerosi autori i quali non convergono circa la sua collocazione, per quanto quella di Smetius, che scrive di averla vista nei pressi del foro di Traiano, sembra essere la più plausibile; la seconda è stata rinvenuta integra tra la chiesa della Madonna dei Monti e S. 77

CIL VI 8, 3, p. 4745; Walser 1987, pp. 68-69, nr. 8.

74

PLRE, I, p. 697. Figlio dell’omonimo prefetto del pretorio per l’Oriente tra gli anni 346 e 351,

75

Flavio Filippo fu console di Roma nel 390. Durante il suo consolato venne dedicata la Basilica di S. Paolo fuori le mura. Sul ninfeo LTUR III, 352-353; Richardson 1992, p. 23.

CIL VI 1728b. 76 CIL VI 31912. 77 Nº iscrizione silloge di Einsiedeln Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

8. Ninfeo di

Flavio Filippo 68r CIL VI 1728 EDR123609 No Frammento superstite presso Palazzo Barberini

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