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Monumento funebre di Gneo Domizio Primigenio e della moglie Cenia

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v-74r (www.e-codices.ch)

CIL VI 16963 (EDR163954)

Cn(aeus) Domitius Primigenius et Afrania Burri lib(erta) C[a]enis

coniuges vivi fecerunt sibi et libertis libertabusq(ue) poste=

5 risque eourum.


In fronte p(edes) XXXV. H(oc) m(onumentum) h(eredem) n(on) s(equetur).

Dopo un consistente nucleo di iscrizioni dell’interno della città di Roma, il codice di Einsiedeln riporta un testo ascrivibile a un monumento funebre della via Salaria.

La motivazione che aveva portato il redattore della silloge a copiare il titulus è fornita probabilmente dalla sua ultima riga, in cui viene precisata l’ampiezza in fronte dell’area sepolcrale che, con i suoi XXXV piedi, è tra le più ampie tra tutte quelle della via Salaria di cui si è conservata questa particolare dimensione.

Come invero per gli altri monumenti funebri segnalati nella silloge, anche per questo, dunque, l’attributo principale che ha attirato l’attenzione del redattore doveva essere l’impatto visivo.

Nº iscrizione silloge di Einsiedeln

Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

45. Via Salaria 73v-74r CIL VI

16963 EDR163954 No No

Walser 1987, pp. 104-105, nr. 45; Orlandi 2004, p. 365, Da74.

I titolari del sepolcro, Gneo Domizio Primigenio e la mogli Cenia, liberta del prefetto del pretorio neroniano Afranio Burro, avevano predisposto il loculo per sé, per i loro liberti e per gli eredi di questi ultimi, ma non per i loro figli.

L’anonimo è l’unico a riportare il testo di questo monumento, poi copiato anche da Poggio ma non da altri autori più tardi. Invero l’indicazione in via Salaria non è poi così precisa, e per definire al meglio dove si potesse trovare il monumento funebre bisogna controllare la posizione della trascrizione all’interno della silloge. Di poco aiuto sono i tituli che la precedono, in quanto, come si è visto, segnano un itinerario definito tra i fori e l’area centro- occidentale della città, mentre di maggiore attinenza è l’iscrizione che segue, un cippo contenente un decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo che, come si vedrà, era posizionato in prossimità dell’ingresso alla città di Porta Salaria. Si può ipotizzare dunque che il monumento funebre si trovasse poco fuori la città e molto vicino alla porta: si può ricostruire che il redattore, probabilmente intenzionato a vedere la porta dall’esterno, ne era uscito e, attirato dalla grandezza della lapide di Primigenio e della moglie si sarebbe a essa avvicinato per trascriverne il testo, per poi tornare indietro e osservare il cippo.

46 = 52 Cippo con decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo 298

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 74r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1016b (EDR029596)

Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aurelius Antoninus Aug(ustus)

Germanicus Sarmatic(us) 〚---〛 〚[---]〛

5〚[---]〛

〚[---]〛

hos lapides constitui ̀ìussit propter controversias quae inter mercatores et mancip̣es

10 ortae erant uti finem

demonstrarent vectigali foricularì et ansariì promercalium secundum veterem legem semel dum

15 taxat exigundo.

CIL VI 8,2, p. 4316; Walser 1987, pp. 105-107, nr. 46=52; Cifarelli - Zaccagnini 2001, p. 250.

298

Nº iscrizione silloge di Einsiedeln

Luogo

iscrizione Pagina manoscritto Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi

46. Cippo presso Porta Salaria 74r CIL VI 1016b EDR029596 No No 52. Cippo presso Porta Flaminia 75rv CIL VI 1016c EDR029597 No No

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 75rv (www.e-codices.ch)

CIL VI 1016c (EDR029597)

Imp(erator) Caesar M(arcus) Aurelius Antoninus Aug(ustus)

Germanicus Sarmat(icus) et M(arcus) Aurelius Severus

5 Alexander Pius

Felix Aug(ustus)

hos lapides constituì ìusserunt maxime propter controversias, quae

inter mercatores et mancip̣es

10 ortae erant uti finem

demonstrarent vectigali foriculari et ansarii promercalium secundum veterem legem semel dum

Tra il 177 e il 180 d.C. gli imperatori Marco Aurelio e Commodo fecero redigere un decreto doganale da far apporre in prossimità degli ingressi alla città, al fine di proteggere i commercianti che si recavano a Roma dall’arbitrio degli esattori delle tasse.

In quel periodo Roma non era disposta di una cinta muraria e l’unico confine che ne segnava l’ingresso era rappresentato da una serie di trentasette porte erette come posto di blocco per il dazio. Secondo Plinio il Vecchio, la loro edificazione era da attribuirsi a Vespasiano , ed 299

erano considerate un limite tangibile per l’esazione del tributo ai mercanti nel punto esatto in cui già Augusto, ai tempi della suddivisione amministrativa in quattordici regioni della città, aveva posto la linea di confine di dazio. L’azione di Marco Aurelio e Commodo si pone come ulteriore segnalazione di tale confine: al fine di fermare le controversie sorte tra esattori e commercianti, i due imperatori avevano fatto apporre in prossimità di ogni entrata

Plin. N.H., III, 66: “Urbem tris portas habentem Romulus reliquit aut, ut plurimas tradentibus

299

credamus, IIII. moenia eius collegere ambitu imperatoribus censoribusque Vespasianis anno conditae DCCCXXVI m. p. XIII·CC, conplexa montes septem”.

Fig. 40: CIL VI 1016a, da http://www.edr-edr.it/ foto_epigrafi/immagini_uso/29/029595.jpg?

alla città alcuni cippi su cui era iscritto il loro decreto, che li individuava come unici posti in cui - per una sola volta secondo una vetus lex - si doveva pagare la tassa d’ingresso a Roma . 300

Oggi siamo a conoscenza dell’esistenza di quattro di tali cippi: uno, integro, è conservato in villa Albani ed è stato rinvenuto nei pressi di Porta Esquilina (fig.40); di uno sono stati 301

trovati due frammenti a Porta Asiniana, oggi conservati all’Antiquarium Comunale del Celio ; due, persi, sono stati copiati dall’anonimo di Einsiedeln in prossimità 302

rispettivamente di Porta Salaria e Porta Flaminia . 303 304

Tralasciando per un attimo il frammento dell’Antiquarium, l’epigrafe di villa Albani e le due viste dal redattore presentano alcune differenze nei testi.

La prima, infatti, riporta il testo originale del decreto, menzionante tanto Marco Aurelio quanto Commodo, mentre le altre due - stando alla trascrizione nel codice - presentano variazioni dovute alla damnatio memoriae sancita nel 193 d.C. nei confronti del figlio di Marco Aurelio.

L’esemplare di Porta Salaria viene trascritto privo delle righe in cui in origine si poteva leggere la serie onomastica di Commodo. Chi attuò la rasura si preoccupò di cambiare anche la coniugazione del verbo della principale iusserunt, trasformato nel singolare iussit, riferito al solo Marco Aurelio. Nella copia di Porta Flaminia, invece, il nome di Commodo è sostituito da quello di Alessandro Severo. Quest’ultimo era salito alla soglia imperiale circa trent’anni dopo la morte di Commodo, la cui memoria era stata riabilitata già nel 195. Il fatto che lo scalpellino abbia inciso il nome di Alessandro Severo è indice che il cippo, a cinquant’anni dalla sua redazione, si trovava ancora in prossimità di Porta Flaminia e, soprattutto, il decreto doganale era ancora valido. L’apposizione dell’imperatore regnante potrebbe considerarsi in un certo senso come un rinnovo della stessa disposizione normativa, che fu così confermata. I redattori del CIL ritenevano inoltre che il maxime che segue iusserunt alla settima riga del testo fosse stato aggiunto contemporaneamente alla titolatura di Alessandro Severo, come a ribadire ancora una volta il contenuto del decreto.

Zacagnini 2001, pp. 250-251.

300

CIL VI 1016a. Per Porta Esquilina: LTUR III, pp. 326-327; Richardson 1992, pp. 302-303.

301

NCE 5175 (frammento a), NCE 5137 (frammento b); CIL VI 31227.

302

CIL VI 1016b. Per Porta Salaria: LTUR III, p. 311; Richardson 1992, pp. 308-309.

303

CIL VI 1016c. Per Porta Flaminia: LTUR III, pp. 303-304; Richardson 1992, pp. 303.

Osservando a tal proposito lo specchio epigrafico del cippo di Porta Esquilina, tuttora conservatosi, e ipotizzando che tutti i decreti apparissero allo stesso modo, si può vedere come la parola iusserunt sia incisa in prossimità della fine della riga e, di conseguenza, l’aggiunta di maxime non sarebbe stata possibile. Si può ipotizzare che anche in questo testo, così come nel titulus di Porta Salaria, il verbo fosse stato cambiato dal plurale al singolare in concomitanza con la damnatio di Commodo e che quindi, quando Alessandro Severo ordinò di aggiungere il proprio nome, lo scalpellino fu costretto a ri-coniugare il verbo alla terza persona plurale. Dovendo anche aggiungere l’avverbio, è credibile abbia abbreviato una delle due parole o ristretto notevolmente le lettere.

Resta da capire perché i cippi di Porta Esquilina e Porta Salaria non riportino tali cambiamenti testuali. Partendo dal secondo, ancora visibile in situ ai tempi del redattore della silloge, si può avanzare la proposta di una rasura tanto eccessiva da non poter introdurre una nuova iscrizione o, più semplicemente, un’assenza di motivazioni dietro la scelta di lasciare il testo al singolare; per il primo è invece solo possibile congetturare che non fosse stato incluso tra le epigrafi erase nei due anni tra la morte di Commodo e la riabilitazione della sua memoria.

Del cippo di Porta Asiniana sono stati rinvenuti due soli frammenti, sufficienti però per definire che, come l’esemplare di Porta Salaria, esso presentava il verbo iussit in rasura e, di conseguenza, il solo nome di Marco Aurelio tra i soggetti.

Tornando alla questione relativa alla silloge di Einsiedeln, sappiamo dalle indicazioni topografiche che il redattore vide i due cippi in situ in prossimità di Porta Salaria e Porta Flaminia. Ciò dimostra che alcuni cippi fossero ancora visibili non solo diversi secoli dopo l’emanazione del decreto, ma anche e nonostante la costruzione delle mura aureliane, che dal 273 segnavano concretamente il confine attorno alla città di Roma. È facile che i cippi fossero posti poco prima delle porte, ma non in una prossimità tale da essere tolti in occasione dell’edificazione delle nuove porte, le quali per posizione corrispondono in toto alle trentasette porte originarie.