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Istituzioni statali e Ong: ecoturismo e politica

4. IL PALCOSCENICO: LA BOLIVIA

6.10 Istituzioni statali e Ong: ecoturismo e politica

Soprattutto nell’ultimo mese di permanenza in Bolivia ho preferito circoscrivere il mio campo di ricerca alla cittadina di Uyuni, un polveroso avamposto del Salar il cui scopo è stato prima di essere uno snodo ferroviario per i metalli diretti al vicino confine con il Cile, e ora come punto di partenza dei tour.

Il punto di vista delle istituzioni statali e delle Ong non ha un piano diretto per preservare o perpetrare un’autenticità; ciononostante è inevitabile che i piani del governo abbiano un impatto forte su come la zona viene gestita anche turisticamente.

Leggendo tra le righe del discorso politico e sociale messo in atto, possiamo comunque trarre delle conclusioni riguardo sia all’ecoturismo come risorsa per preservare la zona “così com’è” e creare un circuito economico per i locali, sia per osservare come il discorso ufficiale

manipoli concetti densi come “Pachamama” o “sviluppo” per perseguire una crescita economica che con la preservazione del territorio ha poco a che fare.

Questo approccio si è rivelato proficuo per apportare nuove informazioni a questa tesi, soprattutto in una situazione come questa, in cui gli interessi dei locali, delle Ong e delle agenzie turistiche sono in diretto contrasto con quelli del Governo , almeno come linea di tendenza.

Uyuni mi ha dato l’idea di una versione per backpackers di un villaggio vacanze, o di una Disneyland, per certi versi: un posto in cui i boliviani sono quasi assenti e i pochi presenti relegati ai margini del paese o nei negozi di souvenir del centro, a vendere prodotti ai turisti. Il centro è invaso da un flusso perenne di turisti in transito che cercano le migliori offerte per

partire per un tour la mattina dopo e nel frattempo girano, mangiano al ristorante messicano o alla pizzeria della piazza e non si spingono oltre un raggio invisibile che va dal mercato, al mercato coperto, alla via dei negozi.

In questo snodo funzionale ed efficiente, non ci si può limitare ad osservare solo l’angolazione prettamente turistica, perché ci sono altre forze in gioco.

Gli interessi turistici sono in un costante rapporto di cooperazione e contrasto con le istanze politiche e quelle sociali, che si intersecano con il bisogno di salvaguardare l’area ma anche di sfruttare le risorse minerarie che potrebbero ridurre il divario economico tra la Bolivia e gli stati occidentali.

L’ascesa di un turismo che, relativamente ai numeri del turismo boliviano, può essere quasi considerato di massa, viene contrastata da problemi ecologici che in una decina d’anni rischiano di rendere turisticamente invendibile tutta la zona.

Il problema, per come lo vedono i lavoratori del turismo della zona, è che le nuove grandi opere statali in costruzione nella zona modificheranno inevitabilmente il paesaggio e peggioreranno una situazione ecologica già profondamente compromessa.

Inoltre, l’impianto di estrazione del litio, la centrale geotermica (le opere in costruzione al momento) e le miniere di stagno sono diventate luogo strategico della politica e della economia boliviana.

Ho voluto approfondire il discorso perché il destino del turismo in questa zona è legato a doppio filo ad interessi economici che con questo non hanno nulla a che fare. Qui le agenzie turistiche paradossalmente sono le più veementi nella difesa del patrimonio ambientale: nuove miniere estrattive per loro significherebbero la morte del turismo.

Dal punto di vista dell’autenticità, la tensione è tra il bisogno delle agenzie e delle Ong di mantenere il paesaggio intatto e la politica da giano bifronte del governo, che da un lato proclama il rispetto della natura e dall’altro promuove lo sviluppo perché ora, come dice il sindaco di Uyuni: “Voi l’avete fatto (lo sviluppo). Ora lasciate farlo anche a noi.”

Fernando Villarte, responsabile del SERNAP, l’ente statale che coordina le 22 aree protette in Bolivia, dice:

“… abbiamo parlato con le maggiori imprese turistiche, e sono quasi tutti contrari a questi megaprogetti. Vedono come questi progetti potranno causare un forte impatto nell'ambiente e quindi nel turismo, sia per tutti quelli che vivono ad Uyuni, sia per quelli in tutta l'area. Il turismo qui non è ben gestito, ma ora a partire dal 2009 c'è un nuovo regolamento nella Riserva, per regolare il turismo e porre in norma gli operatori, gli alberghi. Però questo si sta facendo passo a passo. Già il costo della Riserva per gli stranieri è passato da 30 a 150 bl77. Ovunque

77 Bl sta per “bolivianos”, l’unità di moneta del Paese. Un boliviano equivale a circa 10 centesimi di euro.

c'è il turista buono e quello cattivo; dobbiamo controllare più strettamente. Gli operatori sembrano avere buona volontà e voglia di collaborare, però non ha senso fare tutto in una volta.” (Villarte, La Paz, 10/12/2010, intervista in appendice)

Villarte rimarca come le miniere già attive siano detrimento sufficiente per un ecoturismo efficace, e la sua prognosi è che con l’aggiunta di ulteriori progetti, la desertificazione della zona potrebbe diventare realtà in pochi anni. Questa preoccupazione non è condivisa dalle altre istituzioni governative, che puntano tutto sullo sviluppo, anche a scapito del turismo, che diventa un discorso secondario. Blanes, a capo di REDESMA, un’associazione che si occupa di raccogliere informazioni sulla situazione ambientale della Bolivia e crea dei rapporti informativi, parla per più di un’ora attaccando il governo boliviano e la loro politica

ambientale (ironicamente, Morales, il presidente della Bolivia, è stato eletto proprio per le sue posizioni fortemente ambientaliste, almeno sulla carta). Ribadisce come il litio sia usato come scusa per rabbonire una popolazione a cui è stato promesso uno sviluppo veloce, ma che dopo anni ancora non sta vedendo nessun frutto. Il Sindaco di Uyuni, invece, fa un discorso

prettamente propagandistico e pur elevando i turisti a fonte di benessere per la cittadina, dice anche che l’estrazione del litio è più importante.

E’ chiaro dalle interviste fatte che il governo non ha alcuna intenzione di attuare un’efficace politica ecoturistica nella zona del Salar.

A battersi per l’autenticità sono le Ong, spesso con base europea (quelle americane sono state mandate via dal territorio quando Morales è stato eletto).

Non voglio che qui passi l’idea che queste istituzioni si stiano coscientemente cercando di attuare una qualche politica specifica riguardo alla questione dell’autenticità.

Questa lotta paradossale, in cui i ruoli sono invertiti (gli Occidentali a condurre una campagna per l’integrità del territorio ed i boliviani ad invocare la necessità dello sviluppo) rispetto ai ruoli affidati alle parti nel turismo, si combatte per l’ambiente e per una minoranza delle persone che vi vivono.