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L’autenticazione come nuovo approccio all’autenticità

4. IL PALCOSCENICO: LA BOLIVIA

5.3 L’autenticazione come nuovo approccio all’autenticità

Spostando il focus da cosa sia l’autenticità a come essa venga costruita e negoziata , innanzitutto viene a cadere opposizione tra autenticità e mercificazione, una rimanenza dei discorsi sull’autenticità negli anni ’80, regalo del paradigma oggettivista35 (Moore, 2002; 210); ciò ci permette di focalizzarci su cosa viene definito autentico e cosa si vuole ottenere con questa definizione (Jackson, 1999; 101).

L’unico libro che finora si è occupato direttamente del processo di autenticazione, cioè

“Authenticating Ethnic Tourism” di Philiph Feifan Xie (2010), ha raccolto le fila degli

articoli pubblicati al riguardo ma ha rivolto tutta la sua attenzione ai processi istituzionali e locali di autenticazione, lasciando poco spazio, in verità, a come i turisti stessi costruiscano, accettino, sentano e, in fin dei conti, vivano una esperienza come autentica.

34 “Dwelling” in originale nell’articolo.

35 Ad esempio Davydd Greenwood, uno dei più famosi critici del processo di mercificazione messo in atto dal turismo, sostiene che la mercificazione renda la cultura locale inautentica (1977, 131; 1989, 173).

Nel suo libro, Xie avanza l’idea che il turismo etnico somigli ad un “panopticon etnico”, nel quale l’etnicità è spesso vista come un oggetto distante in una relazione di potere strutturata portata avanti da varie parti interessate. La forza del suo approccio è nel valutare non cosa sia l’autenticità, ma chi autentica i prodotti e le esperienze turistiche.

Il suo più grande limite, invece, soprattutto alla luce della mia etnografia, esposta nel capitolo seguente, è il ritenere l’autenticazione “un modo alternativo di evitare giudizi personali carichi di valore sull’autenticità” (Xie, 2010; 4). Ciò che lui chiama “giudizi personali carichi di valore” costituiscono a mio avviso pratiche sociali valide tanto quanto quelle attuate esternamente dagli attori delle performance turistiche.

Ciò che resta, nel suo testo, di centrale importanza in relazione ai temi che si possono

desumere dalla mia etnografia, è lo spostamento di attenzione dalla domanda “E’ autentico o non è autentico?” a quella, più utile, “Quali interessi sottostanno alla definizione di un

determinato oggetto, attrazione, evento come autentico? Come viene reso autentico e da chi?” (Feifan Xie, 2010; 46).

Già MacCannell (1989, 42-48) aveva ricostruito gli stadi che portano alla “sacralizzazione” di un’attrazione turistica, cioè la sua istituzionalizzazione come sito di valore nazionale o, come direbbe Appadurai, il suo passaggio da landscape a touristscape.

Innanzitutto serve un massiccio supporto istituzionale, che contribuisce a segnalare la veduta come meritevole di conservazione; l’oggetto poi viene messo in mostra, proteggendolo ed esaltandolo, e riprodotto in fotografie, in forma di souvenir ed esposto nei media.

L’ultimo stadio è quello della riproduzione sociale, in cui i gruppi sociali del luogo cominciano ad associarsi all’attrazione.

Queste riproduzioni, dice parafrasando e correggendo l’analisi sociale di Benjamin, sono ciò che a livello sociale produce l’importanza del sito, l’aura36 socialmente definita che ne attesta l’importanza. Anche se lui ne parla di passaggi che creano una struttura, se intesa come processo ha affinità con il concetto di autenticità emergente di Cohen (1988; 379), secondo il quale un sito turistico può assumere carattere autentico col passare del tempo.

Dei processi che contribuiscono ad autenticare un sito avevano parlato già Bruner e

Kirshenblatt-Gimblett37, come arma di negoziazione da opporre alla fredda impermeabilità del binomio vero/falso implicito al paradigma oggettivista, ripresi poi da Frow, che intende

36 Con il termine “aura” Benjamin (2000, 25-6) si riferisce alla sensazione prodotta nello spettatore dalla vista dell’originale di un’opera d’arte.

autenticazione come lo stabilire una trasmissione verificata da origine a traccia -o meglio, da originale a rappresentazione (1991; 144).

Un approccio all’autenticazione utile agli scopi della mia ricerca è quello di autenticità “hot” e “cool” proposti da Selwyn (1996; 20-21)

Per Selwyn il modo di autenticazione “hot” si preoccupa non dell’autenticità del contesto turistico, ma dell’autenticità dei sentimenti creati nel turista dall’esperienza turistica, è implicita e basata sulle credenze ed è simile alla teorizzazione dell’autenticità esistenziale, mentre quella “cool” si tiene su una prospettiva scientifica, dichiarata da un esperto, e ricorda in un certo modo l’autenticità oggettiva (Wang, 1999; 351).

Questi due processi non sono opposti, ma interagiscono nei modi attraverso cui il turista da significato a ciò che esperisce attraverso corpo e sentimenti.

Ad esempio, quando sono andata con alcune compagne di viaggio nello studio di un guaritore L’interesse per i sensi e per le neuroscienze applicate alle scienze sociali, possono essere un valido appoggio per interpretare il lavoro etnografico e dare una lettura diversa del processo di autenticazione nel turismo.

Van de Port (2004), nella sua coraggiosa tesi in difesa dell’autenticità, sostiene che quando si parla di autenticità si tende a focalizzarsi su ciò che viene fatto credere (il “make-believe” utilizzato anche da Selwyn) invece che sull’atto stesso di credere (Van de Port, 2004; 8). Ciò che va studiato non è l’autenticità, ma i processi di sacralizzazione: i processi, le tecniche e le risorse attraverso cui le persone credono, cioè prendono le cose come vere; i “fondamenti dell’autenticità” (ibidem; 9).

Il turista può accettare o rigettare ciò che gli viene dato come autentico, e lo fa attraverso una autenticità che è sia socialmente costruita che costantemente negoziata, sia esistenziale. Ciò che spesso non è chiaro è che il concetto di autenticazione include il turista come agente, e non come ricevente passivo, perché è negoziato (idea che non viene specificata ma che può essere desunta da articoli come quello di Cohen e Cohen, 2012 oppure dal testo di Feifan Xie, 2010).

Tornando al discorso sull’autenticità Van De Port utilizza il termine risonanza. Per lui è il registro, il modo particolare con cui si attua una comunicazione, che porta certi campi esperienziali a, per usare un metafora musicologica, vibrare ad una profondità che porta tutti gli altri spazi e materiali in risonanza38 (Van de Port, 2004; 11).

Un autore che ha utilizzato il concetto di risonanza nel campo specifico dell’antropologia è Unni Wikan. Per lei la risonanza è una similitudine nella diversità, che può essere usata come punto di partenza per una teoria che lei definisce “dell’essere insieme nel mondo e

comprenderlo l’un l’altro” (Wikan, 2009; 99). Nella sua esperienza etnografica a Bali scopre che i balinesi non fanno distinzione fra sentimento39 e pensiero , ma li considerano parte di un unico processo.

La risonanza è andare oltre le parole e capire il significato più profondo, una volontà di impegnarsi con un altro mondo per capire ad un livello più profondo del linguaggio (ibidem; 102-104).

Il concetto di risonanza aggiunge, a mio parere, un tassello al definire i processi di

autenticazione: essi vengono portati avanti sia da volontà ed ideologie politiche e sociali del paese ospite e delle sue diramazioni nel turismo a livello locale, ma anche dal turista, a cui sta il compito di accettare o no.

Accettare un processo di autenticazione è un processo che trapassa il solo focus sulla mente o sul corpo: serve un’unione di questo binomio, che la risonanza di Wikan ci fornisce.