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4. IL PALCOSCENICO: LA BOLIVIA

7.1 La verità del corpo

In questo paragrafo vorrei approfondire il valore dato nell’antropologia del turismo al corpo ed alle emozioni, applicandolo anche alle modalità con cui le persone convalidano le proprie esperienze e le negoziano.

precedenti, incentrati sul ruolo dell’autenticità nelle esperienze turistiche vissute da me e e dai miei interlocutori, e i paragrafi successivi, che si occupano del ruolo che le persone in viaggio si danno.

Ad esempio, consideriamo la discussione tra Antonio Paolillo ed Enrico, di cui ho già parlato, riguardo alla “autenticità” o meno dell’esperienza turistica nelle miniere di Potosì.

Il Professore rifiuta di partecipare in quanto “è tutta una recita”, mentre Enrico è convinto della veridicità dell’esperienza.

La discussione è avvenuta a priori –prima della visita- facendoci intuire che quando le persone parlano di autenticità, attingono ad un calderone di esperienze pregresse, stereotipi, informazioni che comprendono i concetti di “vero”, “verità”, “originale”, ecc, ma le

sfumature sono tante e tali per ogni persona coinvolta che difficilmente si può essere in grado, nell’ambito turistico, di dare giudizi definitivi al riguardo. Come dice Bruner, non c’è

simulacro perché non c’è originale.

Ogni performance turistica andrebbe ritenuta autentica in sé e per sé, se proprio il termine va usato (Bruner, 2004; 5), ed ogni turista usa una sua bussola interiore per orientarsi in tutte le conoscenze ed esperienze pregresse che gli permettono di dare un giudizio sull’esperienza in questione di volta in volta. Questa bussola interiore può essere data dai sensi e le sensazioni. Capita che l’industria turistica crei le attrazioni in modo da stimolare i sensi del turista, tanto che Pine e Gilmore, nel loro articolo del 1998 “Welcome to the Experience Economy”, hanno rivoluzionato il marketing proponendo il paradigma della “economia dell’esperienza”, su cui oggi è fondata gran parte del turismo e della pubblicità.

Possiamo usare i sensi, e l’antropologia dei sensi, per dare significato ai dati sull’autenticità raccolti, e capire come autentichino le esperienze dei turisti e validino i ruoli che essi scelgono o si trovano a ricoprire.

Ad esempio, vorrei portare l’attenzione sul feto di lama e sui suoi usi.

Questi sono oggetti dal potente valore rituale; il lama viene fatto abortire ed i feti essiccati e poi venduti nei mercati. Don Aurelio, da cui io, Martina e Sara eravamo ospiti a Lullaya, vicino a Charazani, aveva deciso di farci partecipare ad un rituale, e ce ne fa comprare uno a testa.

Durante il rituale essi vanno messi a contatto con il cuore (con la pelle) e tenuti lì, affinché attraverso il contatto fisico assorbisse le negatività.

Ciò che è interessante, è che nella mia esperienza di turista, il rapporto con questi elementi dei rituali è visivo. Sono oggetti da portare con sé in forma di fotografia, da guardare e far

sola idea provoca, nella maggior parte del mio gruppo, malcelato disgusto.

Invece Don Aurelio vuole che vi sia contatto fisico tra il corpo morto e la persona che sta vivendo il rituale; un contatto prolungato.

Parafrasando Miller, l’organico e disgustoso perché è stato vivo (Miller, 2003; p.34). Nel mio terzo tour al Salar, ci siamo fermati a “pescare negli ojos78”. Gli ojos sono delle buche di diametro variabile che si formano sulla superficie del sale e hanno varie profondità. Qui si accumula acqua, e al loro interno crescono dei cristalli di sale, più duri della superficie del resto del Salar e di colori che variano dal bianco del resto della superficie a rosa, giallo e verde. Molti boliviani guadagnano venendo a recuperare questi cristalli e vendendoli alle bancarelle di Colchani, lungo il tour.

Quando arriviamo agli ojos Juan, Rafael e Morgan si rianimano; iniziamo a guardare dentro le piccole pozze. Esteban, la nostra guida, tira fuori un coltello e infila la mano nel buco. Tira fuori un cristallo di sale, uguale a quello che vendono alle bancarelle. Quando vediamo cosa esattamente c’è negli ojos, tutti si accendono e iniziano ad andare di buco in buco, a mani nude o facendosi prestare il coltello. Passo almeno una mezz’ora con la mano dentro i buchi, solo tastandone la superficie interna. Bisogna fare molta attenzione perché i cristalli sono taglienti come rasoi e l’acqua gelata non permette di accorgersi quando ci si ferisce. Nelle pozze non si vede nulla perché l’acqua non è limpida. L’unico modo per capire dove prendere il cristallo è toccare.

Ne raccolgo molti che saranno ottimi souvenir; le mani sono coperte di tagli aperti, ma me ne accorgerò solo quando il gelo diminuirà ed inizierò a sentire il bruciore del sale.

Ricordo questa esperienza con una vividezza molto maggiore rispetto a molte altre che hanno avuto su di me altrettanto impatto emotivo.

Ad un livello più profondo, dice Le Breton (2007; p.174), nel momento in cui tocchiamo qualcosa ne attestiamo la realtà. Confermiamo a noi stessi che esiste.

Esistono episodi, come questi esempi mostrano, che trattengono uno status di autenticità, sono autenticati da chi li vive, ma non hanno nulla a che fare con processi di potere istituzionale; coinvolgono i sensi, ma non predominantemente la vista, e contribuiscono in modo

importante a formare la memoria dell’esperienza.

Il primo ricordo vivido che trattengo della Bolivia, infatti, riguarda l’odorato.

Era buio, l’aria calda e umida ma accogliente; scivolava sulla mia pelle come l’aria estiva, più calda dell’Italia in quel periodo dell’anno ma non particolarmente differente.

Ciò che ricordo, a due anni di distanza, è l’odore di bruciato. Francesca, che era venuta in Bolivia a osservare la situazione politica su cui aveva già scritto la sua tesi triennale, mi ha poi spiegato che probabilmente stavano bruciando parti di foresta attorno a Santa Cruz. Questi ed altri episodi, in cui magari si è di fronte a situazioni sgradevoli come il dover usare un bagno pubblico boliviano (un’esperienza da film dell’orrore), o l’essere perseguitato dai mariguì79, o impreviste, o inusuali (come andare a fare uno scavo archeologico) vengono

valutate da chi le vive non semplicemente in termini di vero/non vero, ma anche come base per delle narrative che andranno a definire e negoziare l’identità stessa del turista. Una identità che si articola in ruoli in continuo mutamento, negoziazione e significazione.