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IL CONTESTO POLITICO

Prima di passare ad analizzare le rivolte urbane dalla prospettiva italiana è necessario chiaramente fare riferimento alla situazione sociopolitica del Paese durante gli anni „60, tenendo in particolare considerazione anche l‟evoluzione della stampa quotidiana a partire dal secondo dopoguerra.

Innanzitutto a partire dalla metà degli anni „50 l‟Italia fu al centro di uno sviluppo economico senza precedenti, riassunto nel significativo termine di “miracolo economico”.

In primo luogo bisogna dire che l‟Italia beneficiò di una congiuntura favorevole data dal combinarsi di vari fattori come gli effetti positivi provocati dalla produzione in serie di beni di consumo, dalla fine del protezionismo, dalla scoperta di nuove risorse energetiche come metano ed idrocarburi. Secondo Ginsborg dunque la fine del protezionismo rivitalizzò il sistema produttivo italiano e lo costrinse a modernizzarsi, mentre allo stesso tempo la disponibilità di nuove fonti di energia avrebbe fornito un prezioso sostegno alle capacità competitive dell‟Italia51

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Ancora più in generale un ruolo molto importante fu svolto anche dall‟iniziativa economica statunitense fornita in primo luogo dalla crescita della spesa per gli armamenti che aumentò addirittura del 360% dal 1950 al 1970, passando da 15 miliardi di dollari a più di 70 miliardi di dollari e coinvolgendo anche le economie dei principali paesi europei, tra cui quella italiana. Proprio l‟Italia era stata tra le nazioni beneficiarie degli investimenti provenienti dal celebre Piano Marshall, un programma di aiuti economici pensato per i paesi della zona occidentale europea usciti devastati dalla seconda guerra mondiale, investimenti che furono utilizzati per la ricostruzione di edifici, strade e reti di trasporti in generale, oltre che per l‟avvio di un processo di industrializzazione che avrebbe riguardato soprattutto le regioni settentrionali del Paese. Il processo però riguardò anche altre regioni come quelle centrali dove si

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verificò la nascita di aziende dalle dimensioni più piccole e specializzate in settori come il tessile e il calzaturiero52.

Per quanto riguardava la crescita in un primo momento, dal 1951 al 1958, essa riguardò soprattutto la domanda interna, con il prodotto interno lordo capace di aumentare di circa il 5,5% all‟anno. A partire dal 1958 vi fu poi anche un aumento significativo delle esportazioni grazie anche allo sviluppo di un mercato comune europeo fondato su tariffe doganali basse, sulla libera circolazione delle merci e un maggiore coordinamento delle politiche agricole ed industriali, promosso a sua volta dalla nascita prima della Comunità europea del carbone e dell‟acciaio (CECA) nel 1951 e poi della Comunità Economica Europea (CEE) nel 1957. La percentuale delle merci italiane destinate al mercato europeo infatti crebbe dal 23% del 1953 al 29,8% del 1969 fino a raggiungere il 40,2% nel 196553.

Più nello specifico, una delle caratteristiche principali del “miracolo” fu il notevole sviluppo dell‟industria elettrodomestica; aziende come la Candy e la Zanussi, che nel dopoguerra erano piccole aziende, diventarono marchi conosciuti in tutta Europa. Il boom economico tuttavia non fu equamente distribuito: fu infatti un processo spontaneo capace di seguire delle dinamiche direttamente collegate al funzionamento del libero mercato. Ne derivarono perciò dei profondi squilibri strutturali dovuti in primo luogo alla crescita della produzione di beni di consumo privati che favorì a sua volta uno sviluppo incentrato su scelte individuali e familiari. Ciò significa che la distribuzione della ricchezza derivante dal cosiddetto “miracolo” non fu equa ed equilibrata ma piuttosto aumentò le differenze tra Nord e Sud, oltre a quella tra settori industriali dinamici e produttivi e settori più tradizionali con un‟alta intensità di lavoro corrispondente ad una bassa produttività.

Al di là di ciò occorre comunque sottolineare come il boom economico fosse un fenomeno fondamentalmente settentrionale destinato a provocare grandi ondate

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Alberto Mario Banti, L’Età Contemporanea dalla Grande Guerra a Oggi, Laterza, Bari 2009, pp. 292-294.

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migratorie54. Infatti fra il 1955 e il 1971 furono più di 9 milioni i migranti interregionali, concentrati soprattutto nel periodo 1955-1963 e negli anni 1967-197155.

L‟area di maggiore concentrazione fu il nord-ovest: basti pensare che nella sola Lombardia il numero degli operai nell‟industria crebbe di ben 200.000 unità, concentrate in primo luogo nell‟hinterland di Milano, che divenne uno dei centri industriali più importanti d‟Europa56

. La crescita occupazionale comunque riguardò non solo l‟industria ma anche il settore terziario.

L‟altra faccia del boom economico era però comunque presente ed era rappresentata in primis dalle condizioni di lavoro nelle aziende. L‟orario di lavoro variava solitamente dalle 10 alle 12 ore, le paghe erano basse e i contratti spesso a termine (dai 3 ai 6 mesi); inoltre l‟altissima richiesta di lavoro rendeva particolarmente difficile fare rivendicazioni sociali, almeno in questa fase. Tale aspetto va tenuto in particolare considerazione perché finirà per confluire nel contesto delle proteste degli anni „60. Se da una parte il boom favoriva, come detto, un maggiore individualismo e l‟assimilazione dei valori dominanti dall‟altra, secondo lo stesso Ginsborg, metteva in contatto gli operai del Nord con i giovani del Sud provocando tensioni sociali molto potenti.

Dal punto di vista politico questi cambiamenti furono gestiti innanzitutto dalla Democrazia cristiana (DC) che nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale era stato il principale partito italiano, seguito dal Partito comunista italiano (PCI). Le elezioni del 1958 furono vinte proprio dalla Democrazia Cristiana con circa il 42% dei voti seguita dal Partito comunista con circa il 22%. Il presidente del consiglio divenne il Segretario del partito Amintore Fanfani che ricoprì anche la carica di Ministro degli esteri. Fanfani venne percepito come una sorta di leader incontrastato all‟interno della DC e, a tale proposito, non lo aiutava il fatto di essere noto come un importante sostenitore di una linea che avrebbe previsto l‟alleanza con i socialisti. Contro questa linea si formò una nuova corrente, i dorotei, così chiamati per essersi formati al Convegno di Santa Dorotea. Essi pensavano che questa apertura fosse

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Guido Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture identità, trasformazioni fra anni cinquanta e anni sessanta, Donzelli, Roma 1996.

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Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 2006, p. 295.

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pericolosa e avrebbe portato il partito a ricalibrare i rapporti con la gerarchia ecclesiastica e quindi si presentarono all‟importante convegno dell‟ottobre 1959 sostenendo come nuovo segretario Aldo Moro, il quale prese pochi voti in più di Fanfani.

Data la complicata situazione il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi incaricò Fernando Tambroni di formare un nuovo governo ed egli ci riuscì grazie all‟appoggio di monarchici e del Movimento sociale italiano. Tambroni da questo momento perse la reputazione di uomo dalle idee tendenzialmente di sinistra57; tuttavia quest‟ultimo, secondo molti storici, sarebbe stato principalmente un opportunista in contatto sia con i socialisti sia con lo stesso MSI58.

Tuttavia Tambroni nel giro di poco tempo avrebbe pagato la scelta di fare intervenire la polizia contro le manifestazioni antifasciste e antigovernative del 1960. Così facendo, il 5 luglio 1960, la polizia uccise un manifestante e ne ferì altri cinque a Licata in Sicilia mentre due giorni dopo furono uccisi ben cinque manifestanti e ferite diciannove persone. Tale linea inquietò i quadri dirigenti del partito che richiamarono Fanfani per costituire un governo ad interim.

A questo punto l‟apertura ai socialisti, sostenuta in primo luogo da Moro, aveva più speranze di essere portata a termine ma questa la sarebbe stata pagata alle elezioni del 1963, quando la Democrazia cristiana scese addirittura sotto il 40%. Ciò comunque non avrebbe impedito ai democristiani di allearsi coi socialisti formando il primo governo Moro, contrastato dagli ambienti ecclesiastici e imprenditoriali che temevano per le conseguenze economiche e politiche causate dall‟apertura a sinistra.

Tale governo comunque fu caratterizzato dalla politica del rinvio che a sua volta avrebbe riflesso una certa incapacità di portare avanti le riforme auspicate e, per tale motivo, durò solo un anno.

Di questa crisi di governo tentò di approfittare nell‟estate del 1964 il comandante dei carabinieri, Generale Giovanni De Lorenzo, tramite un piano sulla carta anti insurrezionale ma nel concreto mirante a rovesciare il potere. Il piano secondo molti

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Guido Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture identità, trasformazioni fra anni cinquanta e anni sessanta, Donzelli, Roma 1996.

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difficilmente avrebbe potuto funzionare perché dotato di diversi limiti ma avrebbe contribuito comunque ad aggravare la crisi. In un tale contesto venne messo in piedi un secondo governo Moro che durò tre volte più a lungo del primo, ovvero fino al 1966.

Nel febbraio 1966 il secondo governo Moro cadde ma fu sostituito da un terzo governo presieduto dallo stesso Moro, basato sul sostegno di socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Secondo quanto riportato da Ginsborg in un simile frangente non vi sarebbe stato alcun particolare ostacolo che impedisse all‟esecutivo di portare avanti il proprio programma, nessun attentato alla democrazia e nessuna stretta maggioranza parlamentare, eppure anch‟esso fu caratterizzato dall‟immobilismo59

. Era quindi evidente come vi fossero questioni politiche che rendevano complicato realizzare quelle riforme strutturali da più parti richieste. Da una parte all‟interno della DC il progetto incontrò delle continue resistenze dall‟altra, secondo l‟interpretazione dello stesso Ginsborg, importanti settori del capitalismo italiano fecero il possibile per ostacolare il progetto del centro-sinistra utilizzando tutti gli strumenti in proprio possesso come la capacità di ridurre gli investimenti, di causare crisi di borsa o di provocare fughe di capitali60.

In definitiva, secondo la seguente chiave di lettura, la classe dirigente del paese non approfittò del “miracolo economico” e del conseguente sviluppo dinamico per apportare riforme strutturali. Vi fu dunque un generale declino dell‟impresa pubblica rispetto al decennio precedente61 mentre allo stesso tempo l‟aumento della spesa dello Stato contribuì al rafforzamento della pratica clientelare nel Meridione, oltre a favorire uno sviluppo disordinato delle città e un conseguente peggioramento dell‟abusivismo e, più in generale, della questione edilizia.

Le distorsioni del “miracolo economico” furono anche una delle principali cause delle proteste operaie avviate a partire dal ‟68: durante gli anni „60 infatti la questione di classe si era aggravata; ad esempio a partire dal 1967 ripresero i fenomeni migratori

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Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 2006, p. 379.

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Ibid., p. 382.

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L’Iri (istituto per la Ricostruzione Industriale) negli anni ‘50 era divenuto il fulcro dell’intervento dello Stato nell’economia italiana insieme all’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi).

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verso il Nord Italia amplificando le pressioni sulle aziende e sulla struttura urbana delle grandi città, complicando peraltro il processo di integrazione.

Inoltre all‟interno delle fabbriche era aumentata la meccanizzazione e quindi anche gli orari di lavoro, mentre allo stesso tempo si era intensificata la sorveglianza aziendale sui dipendenti. Peraltro bisogna dire che l‟incremento delle possibilità nel campo dell‟istruzione durante gli anni „60 aveva fatto in modo tale che coloro i quali entravano in fabbrica avessero a disposizione un bagaglio culturale tale da garantire loro una maggiore consapevolezza rispetto alle generazioni precedenti.

Tutti questi fattori contribuirono alla nascita di un nuovo spirito all‟interno delle fabbriche e all‟esplosione delle prime battaglie operaie. La svolta tuttavia avvenne quando il movimento operaio incontrò la protesta degli studenti che andava avanti dal 1967. Le basi materiali delle manifestazioni nelle università italiane devono essere rintracciate in un ambito legato prevalentemente all‟istruzione. A partire dal 1962 infatti, con l‟introduzione di un sistema di istruzione di massa che andava oltre alla scuola primaria, a diversi studenti delle classi medie, i quali beneficiarono anche dello sviluppo economico di quel periodo, si aprì la prospettiva di proseguire gli studi frequentando l‟università. Quest‟ultima però non sembrava pronta ad assorbire un simile cambiamento; secondo lo stesso Ginsborg infatti la nuova generazione di studenti universitari entrò in un sistema in avanzato stato di disfunzione (basti pensare che l‟ultima riforma universitaria risaliva al 1923). La decisione di liberalizzare l‟accesso ad un sistema universitario inadeguato fu quindi, secondo lui, come inserire al suo interno una bomba ad orologeria62: le strutture erano carenti, mancava un numero di professori tale da soddisfare il notevole incremento di studenti, gli stessi professori spesso svolgevano anche altre professioni e inoltre non vi era alcuna risposta per le esigenze degli studenti lavoratori.

Le condizioni materiali non furono però l‟unica motivazione di questo stato di cose; esse si incrociarono, dal punto di vista ideologico, con il risveglio del pensiero marxista il quale sembrava ben adattarsi all‟inatteso sviluppo economico dell‟Italia di quegli anni.

Furono fondamentali poi anche gli eventi internazionali come la guerra in Vietnam, capace di cambiare completamente il modo di vedere gli Stati Uniti da parte di

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un‟intera generazione di italiani. Ciò è molto importante anche in virtù della tematica affrontata, in quanto negli stessi anni „60 si ebbe per la prima volta la sensazione che gli Stati Uniti avessero perso una parte dell‟ampio consenso di cui godevano, nel paese e più in generale in Occidente, e che questa spaccatura fosse insanabile. Nei giovani studenti maturò così l‟idea che esistesse una sorta di “altra America” rappresentata dalle proteste contro la politica estera americana, dal rifiuto della guerra, dalla controcultura e anche dal cosiddetto Black power. A questo proposito, sulla base di tale interpretazione, il 1968 sarebbe stato molto più di una protesta per il miglioramento della condizione degli studenti universitari e dovrebbe pertanto essere inquadrato come una rivolta etica, mirante a ripensare i valori dominanti dell‟epoca63

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Le proteste più grandi avvennero all‟Università di Trento, di Milano e di Torino nel 1967 e poi all‟Università di Roma nel 1968, dove si tenne l‟evento simbolo della protesta studentesca in Italia, la “battaglia di Valle Giulia”. Il fatto fu una svolta per lo stesso movimento, che fino a quell‟istante era stato fondamentalmente pacifico, poiché da allora avrebbe iniziato a interagire in maniera diversa con la violenza, intendendola sempre di più come una risposta alla “violenza del capitale”, ovvero all‟intervento repressivo dell‟autorità.

Dall‟estate dello stesso anno dunque gli studenti persero definitivamente la spontaneità iniziale e cambiarono strategia cominciando a mobilitarsi insieme agli operai al fine di porre le basi per la creazione di una nuova piattaforma dalle intenzioni rivoluzionarie che potesse sottrarre al PCI il consenso della classe operaia. In quegli anni nacquero infatti numerosi gruppi rivoluzionari come i maoisti di Servire il Popolo, Avanguardia Operaia, concentrata soprattutto a Milano, Potere Operaio, il Manifesto, che avrebbe portato anche alla nascita di un giornale e Lotta Continua. Questi gruppi sarebbero andati a formare la cosiddetta Nuova Sinistra ma con il tempo si sarebbero configurati come dei piccoli partiti i cui membri avevano visioni settarie e i cui leader spesso erano vittima di una sorta di culto della personalità. Ciò non significa che essi non riuscissero, almeno in un primo momento, ad ottenere dei significativi risultati, come sarebbe avvenuto ad esempio nel 1969 alla Pirelli di

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Milano, destinata a diventare il modello delle agitazioni che avrebbero avuto luogo nei mesi successivi. In questa azienda infatti, la sottoscrizione da parte delle forze sindacali di un nuovo contratto ritenuto perlopiù insoddisfacente, portò un gruppo di operai, insieme ad alcuni membri di Avanguardia Operaia, ad organizzare il Comitato Unitario di Base (Cub) al fine di proseguire le rivendicazioni all‟interno della fabbrica. Tali eventi rappresentavano anche chiari segnali del fatto che il PCI stesse attraversando una fase complicata, rendendosi incapace sia di uscire dalla propria posizione di opposizione politica sia di attrarre il consenso della componente studentesca della protesta.

Infatti tra il 1956 e il 1966 il Partito comunista perse quasi un quarto degli iscritti passando da 20.350.000 a 1.576.000 mentre il movimento giovanile passò da 3.580.000 a 1.540.000 iscritti. Contemporaneamente, non a caso, i pensionati passarono dal 4,4 al 13,8% mentre una buona parte degli iscritti, circa il 40% continuava ad essere rappresentata dagli operai64.

Il partito sembrava dunque essere nel mezzo di una fase di transizione data da numerosi fattori: innanzitutto la morte di Togliatti il 21 agosto 1964, avvenuta mentre si trovava a Jalta in Unione Sovietica, dove si era recato per incontrare Chruscev, lasciò in eredità al dibattito interno questioni come il superamento delle rigide ideologie della guerra fredda e la richiesta di una maggiore propensione alla discussione.

Questi problemi furono affrontati vivacemente dalle due correnti del partito ed emersero in particolare durante l‟XI Congresso del gennaio 1966, quella di sinistra guidata da Pietro Ingrao e quella di destra guidata Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano: per questi ultimi l‟apertura a sinistra della DC era stata fallimentare e il PCI avrebbe dovuto approfittarne cercando di attrarre i socialisti stessi verso la cooperazione. Al contrario la corrente di sinistra non accettava questa tesi e muoveva nella direzione opposta: Ingrao infatti temeva che il movimento operaio potesse rimanere inglobato in una politica più moderata e tendenzialmente socialdemocratica. Per evitare questa sorte, la sinistra del PCI avrebbe dovuto ribadire la posizione anticapitalistica cercando nuove alleanze all‟interno della società civile; ciò avrebbe comportato un ruolo maggiormente attivo all‟interno delle lotte

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operaie. Se il PCI voleva avere un futuro di questo tipo tuttavia, secondo Ingrao, occorreva prima respingere i tentativi di avvicinamento al riformismo progressista. Le posizioni della sinistra erano comunque in netta minoranza e i suoi seguaci uscirono dal Congresso sconfitti e ridimensionati. Lo “spostamento a destra” probabilmente non aiutò il partito ad assorbire completamente il clima di protesta di quegli anni; anche perché la disciplina interna era ferrea, il funzionamento del partito dipendeva dalla segreteria e anche gli organismi di base erano abituati ad accettare la linea senza particolari discussioni. Non è chiaramente questa la sede per ricostruire il dibattito all‟interno del PCI in quegli anni; piuttosto è importante sottolineare che i problemi posti all‟attenzione dei partecipanti al Congresso ben testimoniavano la fase di passaggio vissuta dal partito.

Inoltre anche la discussione accesasi a livello internazionale sulla figura di Stalin in seguito alla sua morte e le vicende avvenute in Ungheria ridussero la capacità di attrazione dello stesso65.

Ciò non significa comunque che il PCI non fosse più un punto di riferimento all‟interno della vita politica e sociale del Paese: esso infatti continuava ad avere grandi consensi e il suo giornale “l‟Unità” rimaneva il secondo quotidiano più venduto dietro al “Corriere della Sera”.

LA STAMPA ITALIANA NEGLI ANNI „60

Proprio la stampa rimane da essere analizzata per completare il quadro italiano degli anni „60. Se infatti si vuole cercare di comprendere come i principali quotidiani italiani trattassero le questioni relative alla seconda fase del movimento per i diritti civili americano bisogna prima tratteggiare le loro principali caratteristiche e, più in generale, il contesto editoriale dell‟epoca66

. Per delineare le linee editoriali aiuterà probabilmente anche guardare a come i giornali affrontarono i più significativi eventi appena citati.

65 Giuseppe Galasso, Seguendo il P.C.I. Da Togliatti a D’Alema (1955-1966), Marco Editore, Lungro (CS) 1998, p.

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66 Per una panoramica più ampia vedi Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, Giovanni Santambrogi, Angela

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Innanzitutto l‟apertura della DC ai socialisti e i conseguenti governi del centro-sinistra non furono in generale ben visti dalla stampa nazionale, in particolare dai giornali controllati del ceto imprenditoriale, i quali temevano effetti inaspettati a livello economico e sociale. Tra questi vi erano il “Corriere della Sera” e “la Stampa”, ovvero quelli che più verranno considerati in questa sede: in tale frangente, mentre quest‟ultimo assunse una posizione più sfumata e aperta, il “Corriere della Sera” criticò la collaborazione alternando rimproveri, a consigli e richiami ad una maggiore