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CAP 3: NEL CUORE DELLA PROTESTA: LA “CALDA ESTATE NEGRA” DEL 1967 E IL 1968.

3.2 LA MORTE DI MARTIN LUTHER KING

Il 1968 si aprì con la celebre “offensiva del Tet” organizzata del Fronte di liberazione nazionale del Vietnam e dall‟esercito nordvietnamita. Le forze militari statunitensi e sudvietnamite furono colpite di sorpresa da questa azione militare e riuscirono a rispondere alle prime sconfitte dopo pesanti perdite ed aspri scontri. L‟azione avrebbe rappresentato comunque un grave insuccesso per gli Stati Uniti in un momento di possibile svolta del conflitto e avrebbe smentito anche i continui riferimenti degli ambienti filogovernativi riguardo ai progressi compiuti nel contesto della guerra237.

L‟offensiva ebbe un gigantesco impatto sull‟opinione pubblica, soprattutto per quanto riguardava il numero dei marines morti e le grandi difficoltà incontrate dalle forze americane, dati che contrastavano con la retorica dei dirigenti politici e militari che fino ad allora avevano usato toni diversi. La realtà che si poneva di fronte dunque era che dopo quattro anni gli Stati Uniti erano ancora coinvolti in una guerra che aveva suscitato numerose proteste e polemiche e che, a maggior ragione dopo l‟offensiva del Tet, si annunciava come una disfatta.

Non a caso il 31 marzo 1968 Johnson durante un celebre discorso alla nazione annunciò che non si sarebbe ricandidato alle elezioni dello stesso anno. Secondo Cartosio la “politica del burro e dei cannoni” si era dimostrata impraticabile e aveva costretto il presidente a sacrificare la “Grande società” in favore del conflitto238

. Tuttavia le criticità della guerra in Vietnam e i fatti di inizio anno, pur avendo avuto un ruolo fondamentale nella scelta di Johnson, non costituivano le uniche motivazioni: gli Stati Uniti, come da lui stesso testimoniato, erano una “casa divisa al proprio interno” e in questo modo non avrebbe potuto rimanere in piedi.

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Mario Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il mondo, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 346.

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Il Paese era percepito come diviso anche a causa delle tensioni razziali, espresse in primo luogo dalle rivolte della seconda metà del decennio, che stavano lacerando il Paese mettendo sempre di più la minoranza afroamericana contro la maggioranza. Le rivolte della “calda estate” del ‟67 di fatto erano terminate ma avevano lasciato pesanti strascichi e tensioni.

Inoltre la guerra in Vietnam riassumeva in sé tutte le varie criticità in quanto i fondi destinati al conflitto sarebbero stati potenzialmente sottratti, tra le altre cose, al welfare e alla annunciata lotta alla povertà, penalizzando così la tendenza riformista di Johnson. Più concretamente la spedizione in terra indocinese, secondo l‟opinione di Todd Gitlin, avrebbe rappresentato una sentenza di condanna a morte per la sua “Grande società” e per la sua speranza di essere rieletto239

.

Le proteste e le manifestazioni infatti furono molto intense già a partire dal 1965, quando Johnson annunciò l‟escalation: in questo frangente una delle organizzazioni che più si mise in mostra fu sicuramente l‟Sds (Students for a Democratic Society) che il 17 aprile organizzò a Washington una grande dimostrazione contro la guerra alla quale parteciparono circa 25.000 persone.

L‟Sds era nata nel 1962 attraverso la stesura del Manifesto di Port Huron, nei pressi di Detroit e aveva mosso i primi passi proprio grazie alle iniziative degli studenti afroamericani dello SNCC, i quali avrebbero avuto una notevole influenza sugli studenti bianchi delle Università del Nord. La cultura politica di riferimento dell‟organizzazione studentesca aveva le sue fondamenta nella tradizione liberal americana e per questo motivo non prevedeva alcun legame, almeno inizialmente, con i testi del marxismo e con gli obiettivi politici del comunismo. Allo stesso tempo però, la Sds si dichiarava totalmente estranea dallo schema culturale tipico della Guerra fredda basato sull‟anticomunismo e sulla fiducia nelle istituzioni240

. I seguenti concetti, e in modo particolare il rifiuto a priori del Cold war liberalism, divenivano così il perno di una nuova sinistra, ribattezzata new left, di cui l‟Sds sarebbe stato uno degli elementi cardine insieme al suo antimilitarismo: già nel Manifesto di Port Huron infatti gli esponenti della Students for a Democratic Society241 si dicevano

239 Todd Gitlin, The Sixties: Years of Hope, Days of Rage, Bantam books, New York, 1987, p. 178.

240 Bruno Cartosio, I Lunghi Anni Sessanta, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 112,113.

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preoccupati riguardo le ingenti spese militari e la continua corsa al riarmo imposta dalla guerra fredda.

Queste preoccupazioni divennero ancor più vive dopo l‟incidente del Golfo del Tonchino e la decisione di attaccare il Vietnam: da qui sarebbe iniziata una fortissima mobilitazione contro il conflitto che avrebbe costituito l‟elemento di maggior successo della new left e della Sds in particolare.

Dati tali presupposti il discorso di Johnson sembrava dunque segnare la presa d‟atto di una sconfitta; Johnson era divenuto il bersaglio di critiche provenienti da più parti e l‟andamento della guerra non aveva fatto altro che aumentare il senso di sfiducia nei suoi confronti; egli era pertanto consapevole di trovarsi in una fase di profonda incertezza e di dover gestire una crisi d‟immagine che il suo paese non aveva mai affrontato dopo il secondo dopoguerra.

Fu in questo contesto che avvenne l‟omicidio di Martin Luther King: il reverendo venne ucciso il 4 aprile 1968 mentre si trovava sul terrazzo del Lorraine Hotel di Memphis, città in cui si trovava per partecipare ad una manifestazione a sostegno degli spazzini locali, perlopiù afroamericani, i quali chiedevano un miglioramento delle condizioni di lavoro e un adeguamento salariale.

Secondo quanto riportato da “l‟Unità” King sarebbe stato colpito al volto da alcuni proiettili sparati da un‟arma utilizzata nella camera vicina mentre stava parlando con un proprio collaboratore, Taylor Branch, nella propria stanza di albergo242.

L‟omicidio fu commesso da James Earl Ray, che si sarebbe poi rivelato essere un comune razzista del Sud nonché convinto sostenitore del segregazionismo. Le accuse di parte pubblica chiamarono comunque in causa, in un primo momento, anche la polizia per non avere dato sufficiente protezione agli organizzatori della manifestazione243.

Al di là di ciò tuttavia l‟avvenimento avrebbe sconvolto gran parte dell‟opinione pubblica internazionale, nonostante lo stesso King non avesse più la stessa attenzione mediatica dei primi anni ‟60, testimoniando così come la figura di Martin Luther fosse ormai un punto di riferimento dell‟immaginario collettivo in quanto legata a doppio filo con le conquiste dei diritti civili della prima metà del decennio.

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Assassinato mentre preparava la nuova marcia per i diritti civili, “l’Unità”, 5 aprile 1968.

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Eppure della fase non violenta del Movimento di liberazione nero non sembrava esserci più traccia, a maggior ragione dopo la morte dell‟ uomo che con la sua immagine aveva maggiormente incarnato la protesta pacifica; a questo proposito, secondo Todd Gitlin “la rabbia stava diventando sempre più la moneta corrente della cultura statunitense244”. Nella seconda metà del decennio infatti erano esplosi i riots urbani, la protesta contro la guerra si era amplificata, e le occupazioni di università e gli scontri con la polizia erano divenuti sempre più frequenti, come sarebbe stato peraltro testimoniato successivamente dai disordini avvenuti alla fine di agosto alla convention democratica di Chicago245.

La morte di King, definita dal “Corriere” come una “seconda Dallas246”, dunque non faceva altro che rafforzare l‟atmosfera di confusione e di incertezza che regnava nel Paese, resa ancora più evidente dalla debole posizione politica assunta da Johnson in seguito all‟ ”offensiva del Tet”. Questa percezione era viva anche ne “l‟Unità”: per il quotidiano del Partito comunista infatti la vicenda relativa all‟assassinio di Martin Luther King legittimava il dubbio che la società americana non avesse gli anticorpi per affrontare e risolvere la questione razziale. Il paradosso sarebbe consistito nel fatto che il leader afroamericano non era un ribelle né tantomeno un sostenitore della strategia del Black power e, nonostante ciò, non sarebbe riuscito ad evitare l‟uccisione; egli sarebbe così divenuto, secondo l‟interpretazione del giornalista de “l‟Unità”, simbolo di cosa volesse dire vivere negli Stati Uniti in qualità di afroamericano247. Del resto anche la protesta non violenta, nonostante il raggiungimento degli obiettivi prefissi, aveva lasciato il posto al risentimento espressosi nella forma dei riots urbani, sintomo che l‟uguaglianza non era stata ancora raggiunta.

244 Todd Gitlin, The Sixties: Years of Hope, Days of Rage, Bantam books, New York, 1987, p. 317.

245 In questa occasione una folla di giovani chiamata a raccolta dal Mobilization Committee to End the War in

Vietnam si riversò a Chicago al fine di interrompere il congresso dei democratici ma il tentativo di protesta fu

represso con estrema violenza dalla polizia.

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Una seconda Dallas, “Corriere della Sera”, 5 aprile 1968. Il riferimento a Dallas era dovuto all’assassinio del Presidente John Fitzgerald Kennedy, avvenuto proprio a Dallas il 22 novembre 1963, durante una visita istituzionale.

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Seguendo questa logica dunque chi aveva sparato non sarebbe stato né un pazzo né un fanatico ma piuttosto il braccio armato di una “società incapace di trovare un punto di mediazione tra neri e bianchi”, di una società razzista il cui problema sarebbe derivato dal suo passato segregazionista e, conseguentemente, dalle sue “radici marce248”.

Quali sarebbero state le conseguenze dell‟evento inoltre per il quotidiano comunista era piuttosto evidente: arrivati a questo punto infatti non si sarebbe aperto un periodo di instabilità e paure, come ritenevano alcune testate ma piuttosto una fase caratterizzata da un definitivo ed inevitabile regolamento dei conti249.

Il “Corriere della Sera”, che dette molto spazio alla morte del reverendo dedicandogli ben tre editoriali, da parte sua rifiutò totalmente questa posizione: a suo parere infatti la forza delle vere democrazie risiedeva nel non rinunciare mai ai propri valori, anche nelle situazioni di maggiore difficoltà. Abbandonarsi a violenze e regolamenti di conti avrebbe dunque solamente significato, sulla base di quanto scritto nell‟editoriale del 7 aprile 1968, mettere in pericolo la democrazia americana e i principi su cui essa si fondava250.

Era infatti in corso in tutto il mondo comunista, in seguito ai fatti di Memphis, un “processo all‟America” che il quotidiano milanese riteneva potesse essere smentito dalle stesse politiche del presidente Johnson251. In tale frangente peraltro la polemica contro la stampa comunista si fece potente: in virtù di ciò la propaganda antiamericana non si sarebbe infatti resa conto che Johnson sarebbe stato il primo ad adoperarsi per superare le criticità imputate al proprio Paese; ciò sarebbe stato confermato anche dall‟annullamento di tutti gli impegni e dalla convocazione di una conferenza alla quale avrebbero partecipato i principali dirigenti neri schierati sul fronte della non violenza.

Da una parte dunque egli era visto come l‟unico in grado di far proprio il messaggio di King e di risolvere la questione razziale dato che il suo nome era inevitabilmente legato alle due storiche conquiste relative ai diritti civili mentre dall‟altra si stava

248 I barbari del nostro tempo “l’Unità”, 6 aprile 1968.

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Ibid.

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Processo all’America, “Corriere della Sera”, 7 aprile 1968.

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concretamente impegnando nel trattare un accordo che avrebbe dovuto a sua volta riportare la pace in Vietnam. Per quanto riguardava il Vietnam soprattutto la trattativa non sarebbe stata facile, proseguiva l‟articolo, avrebbe anzi incontrato fasi di stallo e momenti critici ma l‟America, in quanto democrazia, avrebbe avuto in sé i mezzi per condurla a termine252.

Si può notare allora come anche sullo sfondo dell‟omicidio King emergessero costanti le polemiche relative al Vietnam e più in generale alla guerra fredda; polemiche che portavano il “Corriere della Sera” a schierarsi direttamente contro i detrattori degli Stati Uniti, rappresentati in Italia in primo luogo dal PCI e dal suo organo di stampa, “l‟Unità”.

Comunque dopo la vicenda del 4 aprile esplosero effettivamente nuove tensioni razziali le quali però, più che sotto forma di regolamento di conti, si presentarono seguendo uno schema simile alle rivolte precedenti: l‟uccisione di King rappresentò la miccia capace di scatenare disordini riguardanti molte città del Nord. Come ricordato da “l‟Unità” poi, gli appelli alla calma delle autorità non bastarono a placare le violenze che per vastità ed intensità sembravano inizialmente poter replicare quelle dell‟estate precedente253

. I fatti riguardavano soprattutto le città di Chicago (dove vi sarebbe stato il maggior numero di vittime), Washington, New York, Detroit e Minneapolis.

Per questi motivi Johnson decise di annullare ogni precedente impegno e di rinviare l‟imminente viaggio ad Honolulu nella speranza di trovare una strategia per fronteggiare l‟ennesima ondata di proteste. In questa occasione sembrava essersi diffusa la sensazione, vista anche la portata storica riguardante l‟uccisione del principale punto di riferimento del Movimento per i diritti civili, che l‟intera situazione fosse giunta ad un punto di non ritorno.

Come evidenziato anche dal “Corriere della Sera” rancore paura ed amarezza erano sensazioni diffuse e particolarmente forti accompagnate da appelli a terminare le violenze da parte dei restanti capi non violenti e dalle minacce di vendetta dei sostenitori del Black power, e quindi in primo luogo del solito Stokely Carmichael. Per il “Corriere” appunto gli appelli dei radicali come Carmichael erano pericolosi proprio

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Processo all’America, “Corriere della Sera”, 7 aprile 1968.

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perché avrebbero rischiato di diffondere l‟insicurezza e il disordine mettendo i bianchi nella condizione di reagire254. Se ciò fosse avvenuto infatti, faceva capire il giornalista Giuseppe Josca, si sarebbe potuta scatenare una faida intestina dalle dimensioni enormi e particolarmente complicata da gestire.

Secondo lo stesso Josca tuttavia era necessario sottolineare che l‟uccisione dell‟apostolo della non violenza non avesse generato una nuova serie di sommosse interne ai ghetti ma piuttosto un‟insieme di gesti di violenza fine a se stessa di giovani estremisti che avrebbero approfittato del momento di crisi per darsi al saccheggio255. Sarebbe stato inoltre paradossale, sulla base di una simile interpretazione, che la memoria del massimo rappresentante della non violenza venisse celebrata proprio tramite inutili e pericolosi spargimenti di sangue.

Per il già citato Carmichael invece gli atti in questione significavano altro: essi infatti, a suo avviso, svelavano il vero volto dell‟America bianca, un Paese che non era riuscito a sopportare nemmeno una personalità responsabile e pacifica come King a causa del proprio razzismo congenito; per questo motivo egli annunciava che i disordini dei primi giorni sarebbero stati solo un anticipo di quanto sarebbe accaduto: gli afroamericani infatti, a suo avviso, sarebbero stati chiamati vendicare l‟uccisione dei propri dirigenti, tra i quali adesso figurava anche Martin Luther King, l‟unico della vecchia generazione, come lo definiva Carmichael, in grado di avere un‟influenza perdurante sulle masse di giovani afroamericani e dei giovani militanti256. Tuttavia Carmichael insisteva anche su un altro concetto: la morte di King avrebbe simboleggiato a suo avviso il definitivo fallimento della strategia della non violenza, incapace di adattarsi a quelle che lui riteneva fossero le nuove esigenze della popolazione di colore.

Per dimostrare che le sue parole non fossero vane inoltre l‟esponente di punta del Black power, durante una conferenza stampa nella sede dello SNCC, iniziò perfino a dare indicazioni su come si sarebbero dovuti comportare i ragazzi negli scontri e su come avrebbero dovuto fronteggiare la polizia.

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Giuseppe Josca, Ventun morti e migliaia di feriti, “Corriere della Sera”, 7 aprile 1968.

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Ibid.

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Il “Corriere” aggiungeva inoltre altri particolari riguardanti la conferenza di Carmichael il quale avrebbe affermato:

“Penso che l‟America bianca abbia commesso il suo più grande errore la notte scorsa quando ha ucciso il Dottor King. Con lui essa ha infatti ucciso ogni speranza ragionevole. Sarebbe stato meglio se avesse ucciso Rap Brown o Stokely Carmichael. Uccidendo King l‟America ha perduto. Non vedo nessuno che possa sostituire il dottor King, l‟unico negro che predicasse l‟amore e la pace257”.

Data la gravità della situazione il 6 aprile Johnson proclamò lo stato di emergenza: dopo Washington la città più colpita era Chicago che all‟epoca contava 850.000 afroamericani su poco meno di 4 milioni di abitanti; tra di loro molti giovani si davano ai saccheggi e causavano incendi, ad esempio era stato appiccato il fuoco anche per un lungo tratto della Madison Street. Al contrario di quanto affermava il “Corriere” tuttavia, le vittime sarebbero state quasi tutte di colore e sarebbero state perlopiù legate all‟attività di polizia e della solita Guardia nazionale anche se la polizia di Chicago avrebbe attribuito la colpa ai cecchini neri appostati sui tetti258.

A New York invece, nonostante si temesse la sollevazione del quartiere di Harlem, i disordini avevano assunto proporzioni minori: per il giornalista del “Corriere della Sera” Giuseppe Josca gran parte del merito andava conferito al sindaco di New York Lindsay il quale avrebbe attraversato la città, e in particolare i quartieri abitati in prevalenza da afroamericani, privo di scorta per invitare la comunità a mantenere la calma259. Allo stesso tempo tuttavia “l‟Unità” avrebbe invece fornito un‟altra ricostruzione dei fatti: il sindaco di New York si sarebbe effettivamente recato nelle zone più periferiche della città “convinto che la sua sola presenza potesse bastare a riportare l‟ordine” ma sarebbe stato bersagliato dalle critiche e dagli insulti260

.

Al di là di ciò i disordini si erano diffusi in gran parte del paese coinvolgendo città come Boston, Filadelfia, Denver, Palo Alto, Charlotte, Atlanta, Nashville, San Francisco e anche la stessa Memphis. Ovunque in queste città vennero segnalati

257 Giuseppe Josca, Coprifuoco a Washington, “Corriere della Sera”, 6 aprile 1968.

258

Stato di emergenza negli Stati Uniti, “l’Unità”, 7 aprile 1968.

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Giuseppe Josca, Ventun morti e migliaia di feriti, “Corriere della Sera”, 7 aprile 1968.

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disordini ed atti di intolleranza con i vigili chiamati a spengere i numerosi incendi. Diversi episodi di questo tipo tuttavia colpirono anche città più piccole: ad esempio a Raleigh nel North Carolina il sindaco proclamò il coprifuoco e il divieto di vendita di armi e alcolici a causa delle intemperanze e dei saccheggi di diversi gruppi di giovani afroamericani; allo stesso modo a Tallahassee, in Florida, gli studenti dopo avere appreso la notizia dell‟omicidio si riversarono in strada abbandonandosi ad atti di violenza e sparando addirittura alcuni colpi di pistola in aria261.

Nel frattempo in Italia la morte di King aveva acceso i riflettori del dibattito politico sui fatti internazionali, complice anche la campagna elettorale per le elezioni che si sarebbero tenute nel maggio del 1968. Da parte del Partito comunista italiano l‟attenzione per l‟omicidio di King coincideva, nelle parole del segretario Luigi Longo, con la critica alle contraddizioni degli Stati Uniti in quanto massima potenza occidentale. In tal senso la posizione di quest‟ultimo era molto simile a quella già espressa da Carmichael; uccidere un premio Nobel per la pace era ritenuto paradossale e privo di senso e proprio per questo la vicenda avrebbe rivelato altro, ovvero l‟incapacità di un Paese piagato dal problema del razzismo di sopportare una personalità come quella del leader pacifista262. Longo aveva pronunciato queste parole proprio durante l‟apertura della campagna elettorale a Catanzaro durante la quale egli aveva fatto più volte riferimento anche al conflitto in Vietnam.

Come abbiamo già visto con il “Corriere” infatti spesso le due questioni venivano riportate assieme come se fossero due facce della stessa medaglia e per il PCI, più precisamente, sarebbe stato il modello politico di riferimento a determinare distorsioni sul fronte interno e una guerra “dichiarata impunemente contro piccoli Stati” a determinarle sul fronte esterno. Invece per i partiti che si trovavano ideologicamente più vicini agli Stati Uniti, come ad esempio PSU e DC, le democrazie come quella statunitense rappresentavano l‟unica forma di garanzia contro il razzismo, del quale peraltro non avrebbe dovuto essere accusato il