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CAP 2: L‟AVVIO DELLA RADICALIZZAZIONE

2.2 LA NASCITA DEL BLACK POWER

I fatti di Watts avevano creato un importante cortocircuito; di lì a poco la non violenza avrebbe perso consenso attorno a sé, aprendo la via a nuove modalità di intendere la protesta. D‟altronde questi tumulti si erano manifestati sotto forma di una sorta di guerriglia assumendo proporzioni abbastanza ampie da pensare che il problema non si esaurisse assolutamente con il Voting Rights Act del 1965.

I diritti civili erano quindi visti da molti come una prima piccola parte di una lotta più estesa che avrebbe dovuto includere diritti sociali ed economici. Anche coloro i quali, come Martin Luther King e i suoi collaboratori, avevano fatto coincidere la libertà con la richiesta di uguaglianza nei diritti civili e politici, erano rimasti sorpresi dagli eventi; per non parlare dell‟establishment che sembrava non aver calcolato la complessità e la profondità della questione.

Il razzismo e tutto ciò che aveva prodotto, pareva non consentire più agli afroamericani, sulla base di ciò che sarebbe avvenuto dal 1965 in poi, di incanalare le loro rivendicazioni nei binari di una contestazione pacifica. Gli eventi successivi a Watts pertanto sarebbero andati tutti nella direzione di un‟evidente radicalizzazione: le rivolte urbane sarebbero così riapparse anche negli anni seguenti, la lotta di Martin Luther King sarebbe sembrata sempre meno attuale mentre lo SNCC avrebbe adottato una linea più aggressiva e poco conciliante con i bianchi e con le idee della non violenza sotto la guida di Stokely Carmichael.

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Proprio Carmichael intuì il potenziale dello slogan Black power, coniato da un attivista nero nel giugno del 1966 durante la cosiddetta “marcia contro la paura”, organizzata in solitaria da James Meredith e alla quale partecipò, in seguito al ferimento di quest‟ultimo, insieme a Martin Luther King e ad altri leader delle varie organizzazioni del movimento per i diritti civili: il grido, che significava “Potere nero”, nonostante l‟imbarazzo dei non violenti, suscitò effettivamente l‟entusiasmo della folla, colpita da quanto era avvenuto, dimostrando che, all‟interno del vario contesto, qualcosa stava per cambiare.

Meredith comunque era un giovane studente che aveva cercato di far valere il proprio diritto di iscriversi e frequentare l‟università statale del Mississipi, scontrandosi però con il governatore dello Stato, il segregazionista Ross Barnett. Nel 1966, alcuni anni dopo essere riuscito ad iscriversi, decise di marciare da Memphis a Jackson per convincere i cittadini dello stato del Mississippi che, dopo l‟approvazione del Voting Rights Act, sarebbe stato possibile andare a votare liberamente senza subire ritorsioni e violenza da parte dei bianchi razzisti. In realtà però lo stesso Meredith fu ferito da un colpo di fucile esploso da un segregazionista bianco130. Come riportato piuttosto dettagliatamente da “l‟Unità”, il fatto era successo a 5 km a sud di Hernando; qui Meredith incrociò un gruppo di sudisti bianchi, i quali iniziarono ad offenderlo invitandolo oltretutto ad interrompere la marcia. Durante il litigio un altro uomo bianco, Aubrey Norwell, situato più in lontananza, avrebbe puntato il fucile contro il giovane afroamericano e lo avrebbe colpito. Non è chiaro se in quel frangente fossero presenti anche agenti dell‟FBI e della polizia, accusati nell‟articolo del quotidiano comunista, di non aver saputo, o voluto, fare nulla per impedire che la situazione degenerasse.

Inoltre, dopo essere stato ricoverato in ospedale un attivista del Ku-Klux-Klan avrebbe telefonato alla struttura per comunicare la presenza di una bomba che poi si sarebbe rivelata inesistente131.

Anche “la Stampa”, riprendendo le parole del giornalista Sherwood Ross che aveva accompagnato Meredith durante la marcia, descriveva “il clima allucinante” in cui

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 182.

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essa si sarebbe svolta. Non a caso alcune persone situate agli angoli delle strade avrebbero iniziato a gridare addirittura: “vai avanti negro che tanto nel Mississippi ti ammazzeranno”, mentre uno sceriffo, al quale lo stesso giornalista aveva chiesto se Meredith potesse contare sulla protezione della polizia, aveva risposto: “Daremo a Meredith la stessa protezione che diamo a qualsiasi altro nigger (termine dispregiativo usato per indicare gli afroamericani) che raccolga cotone nei campi”. Così facendo poco dopo ci sarebbe stato l‟agguato che avrebbe visto Norwell agire indisturbato, colpendo la vittima prima da lontano due volte e poi una terza volta da vicino, mentre “riversava in un lago di sangue132”.

L‟uomo avrebbe peraltro condotto l‟azione nonostante la presenza di un collaboratore dello sceriffo che, secondo quanto affermato dal corrispondente de “la Stampa”, nonostante fosse armato, non avrebbe cercato in alcun modo di fermarlo. Norwell infatti sarebbe stato arrestato poco dopo dalla polizia federale e il suo processo si sarebbe svolto con la presenza di una giuria popolare scelta tra i cittadini del Mississippi. Si può immaginare come questo genere di giurie fossero poco adatte a casi simili, malgrado la frequenza di attentati contro afroamericani nel medesimo Stato; infatti in Mississippi fino ad allora non era mai stato condannato nessuno per aggressioni di stampo razziale133. Allo stesso tempo però, proseguiva l‟articolo, il presidente della camera McCormack affermava che l‟attentato a Meredith avrebbe aiutato ad affrettare l‟approvazione da parte del Congresso di una nuova legge in favore dei neri destinata a dare loro, in primo luogo, la protezione dei Tribunali federali degli Stati del Sud134.

Tutti questi particolari venivano invece ignorati dal “Corriere” che comunque sembrava dimostrare una sensibilità diversa nei confronti delle rivendicazioni degli afroamericani quando le proteste, in questo caso la marcia, si dimostravano pacifiche. Il giornale di Milano infatti, dopo aver plaudito all‟arresto dell‟aggressore di Meredith, il fanatico razzista Ambrey Norwell, affrontò con amarezza tutte le difficoltà incontrate dal giovane nero nel portare avanti il proprio percorso, segno implicito che

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Marcia della pace in America per protesta contro il ferimento dello studente negro, “la Stampa”, 8 giugno 1966.

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Ibid.

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i passi in avanti fatti dalla nuova legislazione sui diritti civili non avevano minimamente cancellato il razzismo diffuso negli Stati del Sud135.

La marcia tuttavia, come accennato, sarebbe stata portata avanti dai capi delle varie organizzazioni del movimento sullo stile, secondo quanto riportato dal “Corriere”, di quella che aveva condotto migliaia di manifestanti da Selma a Montgomery. La marcia in realtà avrebbe riflesso il mutamento del clima politico e delle dinamiche interne al movimento ma ciò sarebbe in parte sfuggito, almeno nell‟immediato, a buona parte della stampa italiana. Si può dire però che tale cambiamento sarebbe stato ben evidenziato dalle parole di James Meredith, trascritte proprio dal “Corriere della Sera” nell‟articolo del 9 giugno 1966: “molto prima di lasciare New York considerai l‟idea di portare una pistola. Poi decisi di mettermi in tasca una copia della Bibbia. Mai più commetterei un simile errore”. A questo punto un suo amico presente in ospedale fece notare che così facendo avrebbe messo da parte l‟ideologia della non violenza ma lui rispose di nuovo: “e chi dice che io sia ancora favorevole alla non violenza? Ho trascorso otto anni sotto le armi, e il resto della mia vita in Mississippi”136

.

La marcia sarebbe poi ripresa e portata a termine dai capi delle principali organizzazioni del Movimento per i diritti civili ma, in linea con la seguente affermazione, il principio della non violenza non sarebbe stato più un punto di riferimento per tutti e, pertanto, qualcuno lo avrebbe messo in discussione.

Personaggi come Roy Wilkins e Whitney Young, rispettivamente leader di NAACP e di Urban League, in effetti parteciparono alla marcia con l‟intenzione di incrementare il consenso intorno al Voting Rights Act. Carmichael invece si oppose e dichiarò che essa avrebbe dovuto rappresentare l‟opposizione di tutto il movimento al razzismo dilagante, rappresentato in quel frangente dall‟aggressione a Meredith137

. Martin Luther King era sicuramente più propenso ad appoggiare la linea più moderata ma cercò di contribuire a lavorare ad un compromesso che si sarebbe risolto in un

135 Giuseppe Josca, Arrestato il fanatico razzista che ha ferito il negro Meredith, “Corriere della Sera”, 8 giugno

1966.

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Giuseppe Josca, La marcia degli antirazzisti è ripresa nel Mississippi, “Corriere della sera”, 9 giugno 1966.

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Jeffrey O. G. Ogbar, Black Power. Radical Politics and African American Identity, The Johns Hopkins University Press, Baltimora 2004, p. 61.

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manifesto, nel quale veniva annunciata la decisione di continuare fino a Jackson la marcia interrotta in seguito al ferimento di James Meredith. La marcia sarebbe stata: “una grande manifestazione pubblica di protesta contro il fallimento della società americana, del governo degli Stati Uniti e dello Stato del Mississippi nel soddisfare i diritti dei neri”138. Il manifesto proseguiva poi con l‟elenco di una serie di richieste di provvedimenti: “invio di funzionari federali in seicento contee del Sud per garantire l‟iscrizione dei neri nelle liste elettorali, creazione di un freedom budget che preveda massicce spese in favore dei poveri e approvazione delle leggi sui diritti civili presentate dal presidente Johnson al Congresso, con emendamenti che obblighino gli enti statali e comunali ad assumere poliziotti e funzionari di colore in proporzione al numero dei neri in ciascuna comunità139”.

Si trattava di un documento che comunque sembrava andare oltre le intenzioni di Wilkins e Young di dare maggiore visibilità all‟ultima conquista del movimento, i quali si mostrarono a disagio di fronte a queste nuove istanze.

Per il giornalista del “Corriere della Sera”, Giuseppe Josca, autore dell‟articolo del 10 giugno 1966, le richieste della fazione più radicale erano demagogiche, contrarie al principio della non violenza e oltretutto decise ad opporre il razzismo nero a quello bianco140. La marcia sarebbe stata infine portata a termine con la scorta della polizia data l‟ostilità di molti sudisti, particolarmente attivi nell‟esprimere il proprio dissenso. Di fronte a queste manifestazioni razziste che ormai apparivano radicate all‟interno del tessuto sociale, iniziava a farsi spazio il concetto dell‟autodifesa degli afroamericani, concetto che sarebbe poi diventato uno dei punti di riferimento del

Black Panthers Party. L‟idea era stata cavalcata dall‟organizzazione dei Deacons for

the Defense and Justice, nati appunto per difendere gli attivisti per i diritti civili nel Sud del paese, e sarebbe stata ripresa con forza anche dallo stesso Carmichael. Durante la marcia le offese e i tentativi di aggressione dei razzisti del Sud vennero letti come l‟ennesima testimonianza di un razzismo endemico, difficile da scardinare. Lo slogan Black power, gridato appunto durante la marcia, rispondeva ad un preciso

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Giuseppe Josca, La marcia su Jackson riprende con la scorta della polizia, “Corriere della Sera”, 10 giugno 1966.

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Ibid.

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cambio di prospettiva: gli afroamericani non avrebbero più dovuto aspettare un‟apertura da parte dei bianchi e non avrebbero più dovuto premere sul tasto dell‟integrazione ma piuttosto avrebbero dovuto combattere per l‟autodeterminazione diventando padroni del proprio destino141.

Su questa lunghezza d‟onda sempre nell‟estate del 1966 venne promosso il manifesto programmatico del Black power intitolato “What We Want”, il cui significato sarebbe stato spiegato dallo stesso Carmichael: “per una volta tanto i neri sono decisi ad usare le parole che vogliono loro e non le parole imposte dai bianchi142”. Nelle seguenti parole era chiara l‟influenza di Malcolm X, morto un anno e mezzo prima, i cui insegnamenti erano rimasti ben impressi nella mente di molti afroamericani: lui riteneva infatti che il potere dovesse risiedere all‟interno della comunità nera e che essa dovesse rifiutare la collaborazione dell‟uomo bianco, ritenuta pericolosa ed ingannevole.

Ciò implicava una rottura con il cosiddetto “vecchio movimento” guidato da Martin Luther King, accusato di avere ormai fatto il suo tempo nonostante l‟importanza del ruolo da lui assunto. Carmichael in particolare accusava King e i suoi seguaci di adottare un linguaggio adatto ad un pubblico di liberals bianchi che per un periodo era riuscito a fare da cinghia di trasmissione tra quest‟ultimi e i giovani neri arrabbiati ma che adesso non poteva più funzionare. Secondo lui infatti un‟organizzazione come lo SNCC non poteva fare a meno di parlare a nome di una comunità e per fare questo doveva effettivamente utilizzare il linguaggio di quella stessa comunità e non parlare per conto di qualcun altro143.

La nuova linea dello SNCC dunque non contemplava più il compromesso come arma politica finalizzata a fare il bene del movimento lasciando intendere così che fosse giunto il tempo di scelte più radicali. In questo modo comunque parevano emergere definitivamente le insofferenze che una parte del movimento aveva manifestato già

141 Jeffrey O. G. Ogbar, Black Power. Radical Politics and African American Identity, The Johns Hopkins

University Press, Baltimora 2004, p. 62.

142

Bruno Cartosio, A Cavallo del ’68: Il Movimento Nero e i suoi Sbocchi, in Bruno Cartosio, Senza Illusioni. I Neri

negli Stati Uniti dagli Anni Sessanta alla Rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni Underground, Milano 1995, p. 33.

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prima della marcia su Washington e che l‟egemonia della strategia di collaborazione con il governo federale aveva contribuito ad accentuare.

Secondo Cartosio tuttavia vi era anche un altro elemento decisivo che aveva contribuito alla nascita del Black power: infatti il Movimento per i diritti civili aveva ottenuto un‟importante vittoria in seguito all‟approvazione del Civil Rights Act e del Voting Rights Act; risultato che sottraeva alla base gli obiettivi su cui lo stesso movimento aveva fondato la contestazione nella prima metà degli anni ‟60. Pertanto l‟aver raggiunto determinati traguardi non significava che non vi fosse l‟intenzione e l‟esigenza di conquistarne altri per cui sarebbero valse altre modalità di lotta. Finiva pertanto la fase dei sit-in, dei freedom rides, delle marce pacifiche e ne iniziava una nuova, basata su un diverso linguaggio, una diversa strategia e nuove necessità sul piano politico.

Dati tali presupposti, il terreno per lo sviluppo del Black power, e quindi del nazionalismo nero, sembrava essere stato preparato e la biforcazione del movimento pareva a questo punto impossibile da evitare.

Occorre dire anche che il Black power non era il nome di una nuova organizzazione ma piuttosto quello di un‟ atmosfera capace a sua volta di abbracciare una diversa prospettiva alla quale varie organizzazioni come il già citato SNCC, il CORE e il Black Pather Party, pur con le loro differenze, aderirono nel concreto.

Anche il CORE si schierò con questa linea grazie inoltre alla guida di Floyd McKissick il quale condusse la sua organizzazione sui binari del separatismo. Secondo lui infatti i dirigenti bianchi avevano fallito e non avevano compreso che il vero obiettivo dei neri di ogni ghetto d‟America, coincideva con l‟esigenza dell‟autodeterminazione. Quest‟ultimo faceva riferimento diretto ai ghetti, i quali avrebbero necessitato di salvaguardarsi da una società profondamente razzista che mirava a negare loro uguaglianza, libertà e dignità144; ciò chiaramente significava che il CORE avrebbe appoggiato eventuali successivi riots. Lui stesso non a caso a Jackson nel 1966 avrebbe detto:

“Il 1966 sarà ricordato come l‟anno in cui abbiamo abbandonato la condizione di negri (negroes) e siamo diventati uomini neri (black men). Il 1966 è l‟anno dell‟idea del Black power. L‟anno in cui gli

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Jeffrey O. G. Ogbar, Black Power. Radical Politics and African American Identity, The Johns Hopkins University Press, Baltimora 2004, p. 62.

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uomini hanno espresso il loro pieno valore nella società, la loro dignità e la loro bellezza; il potere più grande che esista sulla terra, il potere di chi è nel giusto145”.

Lo stacco tra le due fasi era comunque percepibile a causa delle differenze tra il Black Power e la protesta non violenta: innanzitutto i due tipi di protesta facevano riferimento a due diverse aree del Paese mentre, in secondo luogo, il Black power non solo mirava alla separazione dalla popolazione bianca ma rifiutava anche la società americana e ciò su cui si fondava come punto di riferimento. Se infatti Martin Luther King aveva sostenuto la volontà dei neri di fare parte del cosiddetto “sogno americano” e di godere dei suoi frutti, per i sostenitori del “Potere Nero” era necessario rompere con la tradizione statunitense e prendere le distanze da tutto ciò che la civiltà occidentale aveva creato.

Ciò avveniva perché, in linea con il pensiero di Malcolm X, essa veniva collegata agli anni di schiavitù e di segregazione che gli afroamericani erano stati costretti a sopportare146. In conseguenza di ciò vennero progressivamente cacciati i bianchi da organizzazioni come lo SNCC, mentre molti dei gruppi che i neri formavano nei ghetti, nelle fabbriche e nelle università non includevano bianchi.

Gli integrazionisti tuttavia contestavano agli attivisti più radicali, che si stavano sempre più avvicinando ad una prospettiva separatista, di portare avanti un atteggiamento e delle idee utopiche e velleitarie che oltretutto avrebbero indebolito l‟intero movimento: la violenza e l‟intolleranza infatti divenivano per i bianchi stessi un pretesto per continuare a perpetrare la proprio condotta razzista.

D‟altra parte anche lo stesso Malcolm X non era mai stato tenero con i leader del Movimento per i diritti civili; li aveva più volte definiti “negri con la testa di bianchi” e li considerava leader mercenari al servizio dei bianchi. Egli, soprattutto nella prima fase, non comprendeva i loro obiettivi e non riusciva a capire come potessero ritenere l‟integrazione la soluzione al problema della questione nera:

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Bruno Cartosio, A Cavallo del ’68: Il Movimento Nero e i suoi Sbocchi, in Bruno Cartosio, Senza Illusioni. I Neri

negli Stati Uniti dagli Anni Sessanta alla Rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni Underground, Milano 1995, p. 34.

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 183.

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“Nessun negro con un briciolo di cervello crede che il bianco gli potrà mai dare qualcosa di più di una integrazione puramente simbolica. Il molto onorevole Elijah Muhammad ci insegna che l‟unica soluzione ai problemi dei negri americani è la separazione completa dall‟uomo bianco147”.

Per lui era quindi assolutamente privo di senso andare a “mendicare l‟integrazione con i bianchi schiavisti” semplicemente perché i bianchi avevano per lungo tempo deciso quali sorti e quale posto nella società dovessero ricoprire gli afroamericani:

“Ogni giorno, in mille modi, l‟uomo bianco vi dice non potete abitare qui, è vietato l‟ingresso, è proibito mangiare qui, bere, camminare, lavorare, è proibito passare in macchina, studiare; ma non avete abbastanza prove che non ha nessuna intenzione di unirsi con voi? Avete coltivato i suoi campi, gli avete cucinato il cibo, avete avuto cura di sua moglie e dei suoi figli quando lui non c‟era e, in alcuni casi, lo avete perfino allattato. Siete stati di gran lunga cristiani migliori di questo padrone di schiavi che vi insegnò il suo cristianesimo148”.

I sostenitori dell‟integrazione invece, in linea con quanto affermava pubblicamente lo stesso Martin Luther King, inserivano la condizione umana in una dimensione universale e in tal senso la religione aveva radicato in essi la convinzione di potere cambiare la visione del mondo dei razzisti bianchi. Sostenevano quindi un progetto di giustizia che avrebbe dovuto funzionare perché era in linea con dei principi dal valore religioso ed universale. Carmichael, Mc Kissick e gli altri invece questa fiducia l‟avevano persa: le condizioni imposte dalla schiavitù e dalla segregazione rendevano impossibile, sulla base di questa interpretazione, un ravvedimento morale da parte dei bianchi tutti.

Per Beltramini invece il discorso ruotava prevalentemente attorno all‟autostima dei neri: l‟approccio che abbiamo visto l‟SCLC portare avanti si basava sulla concezione di un‟identità nera molto forte che aveva iniziato ad ottenere importanti traguardi nonostante le sofferenze patite durante la segregazione; a tale proposito erano coscienti dei danni causati da secoli di schiavitù e poi di segregazione, ma, allo

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Malcolm X, Autobiografia (con la collaborazione di Alex Haley), Rizzoli, Milano 2004, p. 292.

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stesso tempo erano convinti che i neri avrebbero trovato la forza per ottenere un