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La radicalizzazione del Civil Rights Movement e il Black Panther Party nella stampa italiana.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE p. 2

CAP. 1: CONTESTUALIZZAZIONE

1.1 Alle origini: dalla guerra civile agli anni 50 p. 5 1.2 Il Movimento per i diritti civili p. 10

1.3 Malcolm X e la contrapposizione all’integrazionismo p. 25 1.4 L’Italia negli anni ’60 p. 34

CAP. 2: L’AVVIO DELLA RADICALIZZAZIONE 2.1 La rivolta di Watts p. 49

2.2 La nascita del Black Power p. 65

CAP. 3: NEL CUORE DELLA PROTESTA: LA “CALDA ESTATE NEGRA” DEL 1967 E IL 1968 3.1 La “calda estate negra”: i riots di Newark e Detroit p. 81

3.2 La morte di Martin Luther King p. 106

3.3 Le Olimpiadi di Città del Messico 1968: il gesto di Tommie Smith e John Carlos p. 126

CAP. 4: IL BLACK PANTHER PARTY 4.1 La nascita del movimento p. 132

4.2 Il fascino e i limiti delle pantere nere nella stampa “underground” italiana p. 148 4.3 La repressione e il declino p. 163

CONCLUSIONE p. 173

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INTRODUZIONE

Questo lavoro intende trattare la radicalizzazione delle battaglie condotte negli Stati Uniti dal Civil Rights Movement a partire dal 1965 da una prospettiva italiana, analizzando sia l‟impatto che esse ebbero all‟interno della stampa sia il dibattito politico e culturale che ne scaturì.

La seconda metà degli anni ‟60 infatti fu caratterizzata dall‟esplosione di una serie di tumulti razziali che colpirono i ghetti delle grandi città del Nord aprendo così una nuova fase all‟interno del Movimento per i diritti civili, segnata in primo luogo dal generale distacco nei confronti della strategia della non violenza che aveva dominato gli anni precedenti.

Scopo del lavoro è dunque analizzare questa radicalizzazione a partire dalle speranze, timori, preoccupazioni e fraintendimenti che essa stessa avrebbe provocato all‟interno di alcuni dei principali quotidiani italiani, intersecando il loro racconto con la ricostruzione storica dei fatti.

Si è fatto riferimento a speranze, timori e fraintendimenti perché, paradossalmente, questi avvenimenti si verificarono in un momento in cui lo stesso Movimento per i diritti civili, guidato da Martin Luther King, aveva ottenuto due fondamentali conquiste: il Civil Rights Act (1964), che sanciva la fine della segregazione razziale vietando le discriminazioni legali basate sulla razza e sul colore e il Voting Rights Act (1965), che abolì i test di alfabetismo e gli altri dispositivi usati per negare il voto ai neri. La vittoria sarebbe stata storica e avrebbe rappresentato anche il frutto di proteste, marce, sit-in e altre manifestazioni all‟insegna della non violenza, alle quali le autorità avrebbero risposto in molti casi in maniera opposta.

Eppure il periodo immediatamente successivo sarebbe stato caratterizzato dal progressivo allontanamento dalla strada che aveva condotto a quei successi: nel 1965 infatti esplose la rivolta nel quartiere di Watts, a Los Angeles, seguita da quelle di Newark e Detroit del 1967, nel 1966 vi fu la nascita dello slogan del Black power (“Potere nero”), prospettiva politica abbracciata da organizzazioni che miravano ad adottare un approccio radicale e allo stesso tempo nazionalista ed infine, sempre nel 1966, nacque il Black Panther Party, sviluppatosi in origine con l‟intenzione di

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difendere la comunità nera dagli abusi della polizia ma capace di assumere nel tempo posizioni più marcatamente socialiste e rivoluzionarie.

Tutta questa serie di eventi, svoltisi in un arco limitato di anni, vengono in questa sede analizzati, come accennato, attraverso il punto di vista di alcuni dei più importanti quotidiani italiani dell‟epoca, ovvero “l‟Unità”, il “Corriere della Sera” e “la Stampa”, tenendo conto, oltre che dello specifico quadro generale americano, sia del contesto politico italiano ed internazionale sia delle peculiarità della stampa del nostro Paese. A questo scopo vengono usati come fonte i quotidiani appena citati, adoperando come supporto le ricostruzioni storiografiche di storici italiani e americani.

Per trattare l‟esperienza del Black Panther Party invece, non potendo contare sui quotidiani che per vari motivi che verranno presentati più avanti non si sarebbero praticamente occupati delle Pantere Nere, si è usufruito dei contributi di riviste della sinistra extraparlamentare e dei movimenti underground come “Lotta Continua e “Re Nudo”: fu infatti in un simile contesto, teso a valorizzare i movimenti rivoluzionari stranieri, che quest‟ultime trovarono maggiore spazio.

Per quanto riguarda i limiti cronologici, si è partiti dall‟agosto 1965, periodo in cui si verificò la rivolta di Watts, fino al 1968, anno segnato da molti avvenimenti tra i quali i disordini provocati in seguito all‟uccisione di Martin Luther King e la clamorosa protesta portata avanti ai Giochi olimpici di Città del Messico dai velocisti afroamericani Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente primo e terzo nella gara finale dei 200 metri piani. Il Black Panther Party invece è stato studiato a partire dalla nascita, avvenuta nell‟ottobre 1966, fino al 1972, momento in cui “Lotta Continua” prese coscienza del fallimento delle speranze suscitate dalle Pantere Nere dopo la scissione del febbraio 1971.

A proposito della scelta di trattare il seguente argomento è necessario a mio avviso ricollegarsi alla sua attualità: dopo il 1965 infatti le rivendicazioni degli afroamericani iniziarono a coincidere con richieste più strettamente economiche e sociali; l‟attenzione venne quindi spostata dal piano dell‟uguaglianza legale al piano dell‟uguaglianza sostanziale. Tuttavia in seguito all‟avvento del backlash conservatore avviato a partire dall‟elezione di Richard Nixon e proseguito negli anni ‟80 da Ronald Reagan, queste richieste, almeno in parte, sarebbero rimaste in sospeso se non addirittura disattese. Secondo molti studiosi infatti,

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contemporaneamente alla nascita della legislazione sui diritti civili, avrebbe iniziato a svilupparsi una reazione conservatrice che si sarebbe prefissa, anche con mezzi nuovi come un razzismo non più esplicito ma spesso ambiguo e subdolo, di negare l‟apertura a qualsiasi nuova concessione.

Ciò comunque non significa che gli obiettivi raggiunti da Martin Luther King e dal resto del movimento, ovvero il Civil Rights Act e il Voting Rights Act, siano sfuggiti del tutto a questa offensiva e nemmeno che le richieste economiche e sociali fossero totalmente assenti nelle lotte portate avanti dal movimento di liberazione nero all‟inizio degli anni ‟60. Compito di questo lavoro tuttavia è concentrasi sulla radicalizzazione dello stesso, accompagnata anche da personaggi oggetto di non molti studi (come ad esempio il contradditorio Stokely Carmichael) e su tematiche capaci di generare un‟ampia e spesso varia serie di interpretazioni ed affermazioni. Ecco che da qui nasce, a mio parere, l‟esigenza di rapportarsi con quel movimento, quelle organizzazioni e quegli individui che contribuirono a spingere la società statunitense al cambiamento, provocando anche resistenze ed opposizioni.

A tale proposito, come riportato Bruno Cartosio, durante il convegno del 2004 tenuto dall‟Organizzazione degli storici americani Jacquelyn Dowd Hall, nel suo discorso, avrebbe posto in relazione il percorso dei movimenti sociali degli anni ‟60, mettendo in particolare evidenza il Civil Rights Movement, con quelle criticità economiche e sociali che ancora oggi suscitano proteste e dibattiti; basti pensare all‟”ipersegragazione dei ghetti urbani”, all‟aumento della disoccupazione tra i giovani neri e ad un incremento delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi tale da impattare duramente sulla comunità afroamericana1.

Pertanto la realtà sociale americana, unita ad una questione razziale ancora oggi evidentemente aperta, si richiama attualmente in maniera forte alle rivendicazioni fatte nel quadro della lotta per la liberazione del popolo nero degli anni ‟60.

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CAP. 1: CONTESTUALIZZAZIONE

1.1 ALLE ORIGINI: DALLA GUERRA CIVILE AGLI ANNI „50

Le rivendicazioni del Movimento per i diritti civili, e più in generale degli afroamericani, negli anni ‟60 non possono essere comprese senza ricostruire il periodo della segregazione, caratterizzata dalla separazione fisica tra bianchi e neri, nonché i fatti antecedenti ad essa.

Occorre innanzitutto dire che la segregazione è stata una novità della seconda metà dell‟800, novità che ha avuto un fortissimo impatto all‟interno della comunità afroamericana, in primis negli stati del Sud. Tuttavia essa non fu un‟esclusiva del Sud, pur essendo qui disciplinata da precise normative locali e legislazioni statali, ma produsse conseguenze anche nel Nord, dove i neri vivevano isolati rispetto ai bianchi sperimentando una segregazione determinata non da leggi ma piuttosto da comportamenti quotidiani. Inoltre quest‟esperienza avrebbe ulteriormente modificato i rapporti tra bianchi e neri dopo la schiavitù producendo una separazione ancora più netta; in tal senso la segregazione fu qualcosa di completamente diverso dalla schiavitù, fu un modo per limitare e restringere le libertà degli afroamericani in quanto cittadini aventi pieni diritti e non in quanto schiavi.

A questo proposito esiste una corrente storiografica guidata da Ullrich Bonnel Phillips tesa a mettere in evidenza come gli equilibri razziali tra bianchi e neri fossero meno divisivi durante la schiavitù che nel periodo successivo, in quanto i padroni, in alcuni casi, avrebbero addirittura considerato gli schiavi, pur essendo essi subordinati al loro volere, come dei membri della propria famiglia sui quali sarebbe stata esercitata una tutela di tipo paternalistico. Esempi di questo tipo dunque non furono rari e soprattutto sarebbero stati favoriti dal fatto che i proprietari terrieri vivevano a stretto contatto con gli schiavi.

Comunque, nonostante una simile condizione potesse causare anche situazioni opposte di soprusi e violenze, è indubbio, secondo Stefano Luconi, che fino alla seconda metà dell‟800 fosse esistita una contiguità tra bianchi e neri nella vita

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quotidiana rispetto alla quale la guerra civile avrebbe certamente rappresentato un momento di rottura2.

Negli Stati Uniti fu infatti combattuta a partire dal 1861 quella che Arnaldo Testi ha definito come la più sanguinosa guerra contemporanea prima dei conflitti mondiali del Novecento3, ovvero la guerra civile americana. Essa però sarebbe stata considerata una guerra civile solo dai dirigenti politici del Nord i quali credevano che gli Stati Uniti costituissero non solo un‟Unione permanente ma anche un‟unione organica nazionale e che per tale motivo la secessione fosse costituzionalmente inammissibile. Per gli amministratori degli stati del Sud al contrario la rescissione del patto costituzionale era vista come l‟unica strada possibile per garantire il mantenimento della propria “istituzione peculiare”, ovvero la schiavitù degli afroamericani, attorno alla quale ruotava la propria stessa economia e che gli unionisti del Nord volevano cancellare.

Ciò che più ci interessa però è che nel settembre del 1862, al termine di una fase del conflitto in cui i Confederati avevano dimostrato di saper resistere agli unionisti, Lincoln annunciò che avrebbe emesso un Proclama di emancipazione degli schiavi, valido a partire dal 1° gennaio 1863. Il Proclama avrebbe rappresentato essenzialmente, come ricordato dal già citato Testi, una misura di guerra finalizzata a rendere più favorevole il conflitto alle forze unioniste in nome della salvaguardia dell‟Unione piuttosto che dell‟abolizione della schiavitù4

.

L‟abolizione comunque fu resa effettiva, come conseguenza della vittoria, in seguito all‟approvazione del XIII Emendamento nel 1865. Nonostante ciò però la popolazione bianca del Sud non era assolutamente disposta a concedere la libertà e la parità dei diritti agli ex schiavi e pertanto cercò di utilizzare nuovi strumenti per marginalizzare i neri all‟interno della società; questi nuovi strumenti, denominati black codes (codici neri), miravano a confinare i neri in una posizione subordinata all‟interno della società medesima dando il via ad un processo di istituzionalizzazione della separazione

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 24.

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Arnaldo Testi, La Formazione degli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna 2013, p. 185.

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fisica tra neri e bianchi5. Venne inoltre introdotto il reato di vagabondaggio per coloro i quali si trovavano senza lavoro, che difficilmente veniva loro concesso, in modo tale da consegnare i neri alle autorità e da costringerli a lavorare, di nuovo e non raramente in peggiori condizioni, per conto di imprenditori bianchi6.

Oltretutto nei territori del Sud iniziarono a diffondersi in maniera sistematica i linciaggi come metodologia usata al fine di spaventare la popolazione di colore e di convincerla che niente era effettivamente cambiato, anche se venne adottato come pretesto la diffusione di crimini, in particolar modo stupri perpetrati dagli ex schiavi nei confronti delle donne bianche.

Secondo Luconi però i linciaggi si configurarono come un mero strumento di vessazione della comunità afroamericana per ridurla all‟impotenza e costringerla ad una condizione di continua paura7; non a caso a tale scopo nel 1866 era nata perfino un‟organizzazione segreta fondata da un ex ufficiale delle forze armate, Nathan Bedford, che prese il nome di Ku Klux Klan. Proprio il KKK insieme ad altre associazioni di questo tipo come White Faces, Black Horse Cavalry, Southern Cross e Knights of the White Camelia si impegnò nel cercare di mantenere gli afroamericani in una condizione di soggezione sociale e psicologica non solo attraverso i linciaggi ma anche tramite intimidazioni e altre tipologie di violenza. I linciaggi comunque, secondo la storica Grace Elizabeth Hale avrebbero avuto da una parte soltanto lo scopo di intimidire gli afroamericani ma dall‟altra avrebbero riflesso l‟intenzione di forgiare un‟identità culturale razziale e culturale bianca tra coloro i quali eseguivano queste azioni e il resto della popolazione.

Le violenze comunque riguardavano in alcuni casi non solo gli afroamericani ma anche i rappresentanti del governo di Washington: dopo la guerra civile infatti quest‟ultimi avevano deciso di mantenere le truppe al Sud ma ciò sarebbe stato visto dagli ex Confederati come una vera e propria occupazione militare.

5 Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova

2008, p. 26.

6

Michelle Alexander, The New Jim Crow: mass Incarceration in the Age of Colorblindness, The new Press, New York, 2012, p. 31.

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Tuttavia di fronte alle decisioni e agli atti di violenza appena descritti il Congresso non rimase a guardare e varò una serie di provvedimenti che miravano a rendere effettive le variazioni costituzionali consacrate dalla fine della guerra civile e che avrebbero fatto parte della cosiddetta Ricostruzione, ovvero di quella fase durata dieci anni, dal 1867 al 1877, che avrebbe consentito agli afroamericani, come ricorda il già citato Testi, di partecipare ad un esperimento di democrazia multirazziale che non avrebbe avuto precedenti nel resto dei paesi del continente8.

Il governo dunque reagì al tentativo dei rappresentati politici di riaffermare lo status

quo precedente al conflitto, innanzitutto rafforzando i poteri del Freedmen’s Bureau,

un ufficio federale che avrebbe avuto il compito di assistere i neri nel difficoltoso passaggio dalla schiavitù alla libertà appena ottenuta, offrendo loro aiuti economici, assistenza medica, alimentare e protezione legale. Un ruolo importante l‟avrebbe avuto anche il Civil Rights Act, una riforma sui diritti civili che avrebbe dovuto contrastare gli effetti discriminatori dei black codes. Ma soprattutto nel 1868 entrò in vigore il XIV emendamento che affermava la parità di diritti per tutti i cittadini degli Stati Uniti e quindi anche per gli ex schiavi mentre nel 1870 fu approvato il XV emendamento che assicurava il diritto di voto a tutti i cittadini senza distinzione di razza, colore o precedente condizione di schiavitù.

Il Congresso però non solo varò queste disposizioni ma si accertò anche che, quantomeno in un primo momento, fossero applicate: a tale scopo vennero emanati due Force Acts nel 1870 e nel 1871 i quali prevedevano pene severe per chi avesse ostacolato l‟esercizio del diritto di voto agli afroamericani arrivando anche a sorvegliare direttamente il corretto svolgimento delle elezioni. Bisogna aggiungere comunque che queste disposizioni, volute fortemente dai repubblicani, non sarebbero state disinteressate ma avrebbero mirato ad assorbire il voto degli afroamericani.

Tale intervento infatti si rivelò efficace solo per un breve periodo in quanto sarebbero mancati i presupposti per garantire una reale uguaglianza tra neri e bianchi. Innanzitutto la giurisprudenza della Corte Suprema avrebbe di fatto ridimensionato le conquiste in materia di diritti ottenute dagli afroamericani per volontà del Congresso attraverso alcune celebri sentenze che stabilirono, ad esempio, che il XIV

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emendamento non si sarebbe riferito ai diritti derivanti dalla cittadinanza statale ma piuttosto ai diritti derivanti dalla cittadinanza federale. Questa giurisprudenza quindi avrebbe posto le basi per una società meridionale segregata, cosa che sarebbe effettivamente avvenuta a partire dagli anni „809. Ma c‟è di più: secondo lo studioso Gunnar Myrdal l‟incapacità di combattere la discriminazione applicando effettivamente le disposizioni costituzionali sarebbe stata dovuta soprattutto all‟incapacità e alla mancanza di volontà politica da parte delle autorità locali, comprese polizia e tribunali10.

La reazione del Sud si realizzò effettivamente a partire dal 1877 quando vennero ritirate le truppe dagli stati meridionali ancora soggetti all‟occupazione, ovvero Carolina del Sud, Florida e Louisiana: ma come si giunse a questa decisione? Secondo la maggioranza degli americanisti non c‟è dubbio che un simile risultato fosse il prodotto di un compromesso che prevedeva il ritiro dei militari in cambio dell‟assegnazione della presidenza al repubblicano Rutherford Hayes al termine di un‟elezione, quella tenutasi nel 1876, terminata con risultati non del tutto chiari11

. Il ritiro delle truppe a sua volta rese quindi più facile agli stati del Sud riprendere il controllo della situazione e “rimettere i neri al loro posto” attraverso le cosiddette “leggi Jim Crow”, ovvero le leggi di segregazione razziale emanate a partire dal 1887, che prendevano il nome da una caricatura popolare dei neri costruita ad inizio „800. Il primo di questi provvedimenti venne preso dalla Florida quando nel 1887 iniziò a costringere i neri a sedersi in scompartimenti appositi lontani dalle postazioni dei bianchi. Inoltre si cercò anche di impedire la partecipazione elettorale dei neri attraverso stratagemmi che impedissero di contravvenire apertamente al XV emendamento come ad esempio l‟adozione di test alfabetici, oppure di tasse di registrazione; tuttavia il più particolare di questi fu probabilmente la cosiddetta clausola del nonno (letteralmente grandfather clause) la quale escludeva dai test

9 Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova

2008, p. 34.

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Gunnar Myrdal, An American Dilemma. The Negro Problem and Modern Democracy, Harper and Row, New York 1944.

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Enrico Beltramini, L’America post-razziale. Razza, Politica e Religione dalla Schiavitù a Obama, Einaudi, Torino 2010, pp. 73,74.

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previsti per ottenere la possibilità di votare tutti coloro i quali non avessero un nonno che avesse esercitato proprio tale diritto.

Questa nuova realtà inoltre ottenne nuovamente l‟assenso della Corte Suprema federale tramite la celebre sentenza Plessy v. Ferguson del 1896 che praticamente sancì la validità costituzionale della segregazione sulla base del principio del “separate but equal” (separati ma uguali), principio che a sua volta, nel 1899, venne esteso dai trasporti all‟istruzione pubblica tramite la sentenza Cumming v. Board of education.

Così, una volta abolita la schiavitù, il razzismo avrebbe fondamentalmente trovato altri modi per esprimersi e per mantenere i neri in una posizione subordinata ai bianchi.

Ma come avvenne concretamente questo passaggio e cosa portò il Nord a favorirlo? Praticamente, con il ritiro delle truppe, il Nord avrebbe iniziato a spostare il proprio interesse politico dalla ricostruzione del Sud allo sviluppo delle infrastrutture che avrebbero dovuto collegare il Paese. Allo stesso tempo la popolazione del Sud, piegata dagli eventi devastanti della guerra civile e umiliata dalla sconfitta, avrebbe placato il proprio risentimento grazie alle leggi Jim Crow12.

1.2 IL MOVIMENTO PER I DIRITTI CIVILI

L‟ESORDIO DEL MOVIMENTO

La sentenza Plessy v. Ferguson del 1896 sarebbe stata rovesciata solamente nel 1954 dall‟altra celebre sentenza Brown v. Board of Education of Topeka che sancì l‟incostituzionalità del principio “separati ma eguali” in quanto avrebbe prodotto una forte discriminazione. Più precisamente la sentenza aveva sostenuto la tesi dei ricorrenti, i genitori di una ragazza di colore che era stata costretta ad iscriversi ad una scuola lontana da casa perché la più vicina era riservata agli studenti bianchi. Brown v. Board of Education of Topeka dunque rovesciò la situazione mettendo

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Enrico Beltramini, L’America post-razziale. Razza, Politica e Religione dalla Schiavitù a Obama, Einaudi, Torino 2010, pp. 79,80.

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esplicitamente in evidenza che imporre la separazione su base razziale significava imporre la disuguaglianza e ciò doveva essere pertanto considerato incostituzionale. Così a partire da questo momento i militanti afroamericani del Sud, che comunque contestavano il loro status da anni, presero fiducia e iniziarono a portare avanti iniziative particolarmente coraggiose. La generazione di militanti che si affermò in questo periodo nacque comunque durante la seconda guerra mondiale: una parte degli afroamericani infatti durante il conflitto partecipò alla guerra (furono circa un milione) ma lo fece in unità segregate scontrandosi con il razzismo dei soldati bianchi, mentre la restante parte fuggì al Nord nelle città e nei centri industriali dove comunque dovette affrontare problemi simili. Come ricorda Testi, fu proprio in questi contesti che si affermò la suddetta generazione di militanti per i diritti civili che avrebbe poi preso particolarmente forza negli anni ‟50. A tale proposito basti pensare che la più antica organizzazione afroamericana, la NAACP (National association for the Advancement of Colored People) nata nel 1909, aumentò esponenzialmente i propri iscritti, che da 50.000 divennero 500.00013.

Queste tendenze dunque anticiparono e segnarono la nascita del Civil rights Movement che, storicamente, sarebbe durato tredici anni, dal 1955 al 1968 e si sarebbe diviso in due fasi: durante la prima fase, che va dal 1955 al 1965, il movimento si sarebbe concentrato sull‟abolizione della segregazione e sulla lotta a quelle conseguenze del razzismo che impedivano agli afroamericani di far valere i loro diritti politici; durante la seconda, che va dal 1965 al 1968, invece l‟enfasi sarebbe stata posta da una parte sulle rivendicazioni socioeconomiche che il movimento stesso aveva affrontato (ed era probabilmente stato costretto ad affrontare) in maniera parziale nel periodo precedente e dall‟altra su idee di matrice nazionalistica come l‟identità e l‟orgoglio razziale. Chiaramente le due fasi non sono scindibili e lo studio del secondo periodo, seppur da una prospettiva esterna, non può che prescindere da un‟analisi delle questioni che caratterizzarono il primo, tenendo conto sia dei suoi punti di forza sia dei suoi limiti.

A questo proposito interessante è il punto di vista di Cornell West: per lui il primo stadio del movimento di liberazione nero iniziò come risposta al razzismo portato avanti dai bianchi del Sud e assunse poi le forme di una forte critica allo status quo

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vigente negli stati meridionali. Da qui, sulla base della sua interpretazione, il movimento ottenne degli evidenti successi come la fine della segregazione e la conseguente trasformazione della vita quotidiana nelle regioni del Sud ma, allo stesso tempo, non riuscì ad andare oltre al raggiungimento di obiettivi tipicamente liberali e a modificare i rapporti di forza tra bianchi e neri14.

Tra le prime iniziative comunque vi fu il boicottaggio dei bus di Montgomery che può essere considerato come il primo esempio di azione diretta non violenta capace a sua volta di creare i presupposti per l‟elaborazione e la messa in pratica della strategia delle azioni dirette che valesse anche negli anni successivi.

Come ricorda Nadia Venturini tuttavia, la mobilitazione civile in Alabama sarebbe comunque stata avviata prima del 1955: proprio in Alabama infatti vi sarebbe stata già prima della seconda guerra mondiale una forte mobilitazione a favore degli Scottsboro Boys, nove ragazzi neri arrestati nel 1931 in seguito alle accuse di stupro mai provate contro due donne bianche. Se l‟episodio del 1955 non colse impreparati i leader afroamericani che avevano iniziato a prendere coraggio, fu perché secondo lei questi avrebbero notato, a partire dagli anni „30, un progressivo cambio di mentalità e una crescita dell‟aspirazione alla libertà e alla giustizia.

Tornando al boicottaggio dei bus comunque bisogna dire che quest‟ultimo, insieme all‟avvio del movimento, è, come si sa, legato in maniera indissolubile al nome di Rosa Parks. Rosa Parks era una sarta di Montgomery che frequentava la Chiesa e da tempo aveva mostrato interesse per la condizione degli afroamericani essendo iscritta anche alla sezione locale del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), nata nel 1909 su iniziativa di alcuni intellettuali progressisti neri e bianchi preoccupati per l‟estrema diffusione di linciaggi e aggressioni razziste contro gli afroamericani a pochi decenni di distanza dell‟emancipazione degli schiavi. Nel 1955 però la sua sensibilità per il tema era cresciuta grazie anche alla frequentazione del seminario interraziale organizzato presso la Highlander Folk School del Tennessee, una scuola autogestita che rappresentava uno dei pochi luoghi del Sud dove si potesse sviluppare un dialogo interrazziale.

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Cornell West, Il Paradosso della Ribellione Afroamericana, in Bruno Cartosio, Senza Illusioni. I Neri negli Stati

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Al di là di questo comunque la scelta di Rosa Parks fu probabilmente, come da lei stessa dichiarato, istintiva e non premeditata anche se, secondo quanto appena accennato, le attività dei mesi precedenti avrebbero rafforzato le sue convinzioni15. Infatti il 1° dicembre 1955, mentre quest‟ultima stava tornando a casa da lavoro, si sedette nel settore riservato ai posti comuni che però, secondo il regolamento adottato sugli autobus di Montgomery, avrebbe dovuto essere liberato dai neri nel caso in cui dei bianchi si trovassero in piedi. Quel giorno si verificò esattamente tale situazione ma Rosa Parks, al contrario di tutti gli altri afroamericani, non si alzò: “non avevo alcun piano, ero solo stanca e mi dolevano i piedi” disse Rosa Parks16

. A questo punto allora l‟autista prima le intimò di alzarsi e poi chiamò la polizia che effettuò l‟arresto.

Quanto successo allora convinse alcuni attivisti del movimento locale come E.D. Nixon che lo stesso episodio di Montgomery fosse un potenziale caso nazionale da fare scoppiare per diffondere le idee antisegregazioniste. Secondo Fred Gray fu invece l‟organizzazione del WPC (Women’s Political Council) a prendere l‟iniziativa. Ciò che è certo comunque è che si decise di attuare un boicottaggio degli autobus che ottenne un grande successo: furono più di 500 infatti le persone di colore che decisero di disertare gli autobus, organizzando peraltro un sistema di passaggi che avrebbe dovuto sopperire al suo utilizzo. Inoltre alcuni giorni dopo venne presentata un‟istanza alla corte federale contro la segregazione sugli autobus, dato che l‟associazione dei trasporti non aveva, fino a quel momento, mostrato alcun segno di apertura.

La protesta di Montgomery comunque mise in luce anche la figura di Martin Luther King, il quale venne messo a capo della Montgomery Improvement Association, ovvero l‟organizzazione che si occupava di coordinare il boicottaggio dei trasporti. King infatti si era fino a quel momento segnalato come una personalità forte ed istruita, era un pastore battista con un dottorato in teologia conseguito a Boston, dalla retorica convincente e capace di ispirare fiducia nella comunità. Come riportato da tutte le sue biografie il 27 gennaio 1956, dopo il suo primo arresto, si rese conto

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, pp. 87,88.

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del ruolo che aveva iniziato ad assumere e della responsabilità che esso avrebbe comportato; attraversò infatti una crisi che si trasformò per lui in un momento rivelatore e che lo rese consapevole di non potersi più tirare indietro. Questa consapevolezza di avere imboccato una strada nuova fu definitiva pochi giorni dopo, in seguito ad un attentato contro la casa della sua famiglia: il reverendo non a caso, dopo essersi accertato dell‟incolumità di sua moglie e dei suoi figli, riuscì a convincere la folla a non usare le armi e ad evitare i tumulti. In quel momento fu evidente che i neri di Montgomery ormai si fidavano di lui, lo ascoltavano e ne riconoscevano la caratura del leader. Da qui egli si sarebbe fatto sempre più conoscere cercando di costruire una fitta ed ampia rete di contatti che andasse oltre alla realtà locale e che lo portasse ad ottenere consensi sempre maggiori, soprattutto tra i più giovani. Viene da chiedersi a tale proposito da dove venisse questa attitudine alla leadership e questa capacità di attrarre consensi: in risposta a questo interrogativo Beltramini sottolinea non solo l‟abilità retorica del reverendo ma, più in generale, il fascino che è in grado di esercitare la parola negli Stati Uniti in quanto tramite la parola si possono costruire discorsi e soprattutto visioni in cui le persone siano in grado di riconoscersi. Non a caso, prosegue Beltramini, in America il collante delle comunità religiose risiederebbe anche nei sermoni domenicali dei pastori protestanti17.

Al di là di ciò comunque la Corte Suprema si sarebbe espressa il 13 novembre 1956, dichiarando l‟invalidità giuridica della segregazione sugli autobus. Secondo la Venturini il risultato ottenuto fu storico perché per la prima volta la mobilitazione degli afroamericani attraverso la protesta aveva portato al raggiungimento di un obiettivo concreto, contribuendo oltretutto a collegare generazioni diverse di attivisti e a mettere in evidenza il carattere comunitario della protesta stessa18.

Il boicottaggio dei bus di Montgomery dette quindi fiducia agli attivisti del Sud che avrebbero d‟ora in poi considerato quel momento come punto di partenza per le lotte future. Ma secondo alcuni come Adam Fairclough il boicottaggio non dovrebbe essere inteso come il momento in cui ebbe origine effettivamente il Civil Rights

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Enrico Beltramini, L’America post-razziale. Razza, Politica e Religione dalla Schiavitù a Obama, Einaudi, Torino 2010, p. 106.

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, pp. 112,113.

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Movement; quest‟ultimo piuttosto sarebbe stato il risultato di un processo di

rivendicazioni che aveva avuto origine nel Sud a partire dal secondo dopoguerra19. Infatti il boicottaggio di Montgomery non fu isolato in quanto preceduto da quelli di Baton Rouge e di Tallahassee, attivati dal basso da forme diverse di grassroots leadership e poi guidati e organizzati dalla Chiesa nera. Proprio la Chiesa avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella lotta per i diritti civili perché, come si può immaginare, essa conferiva maggiore autorevolezza e rispetto alle battaglie degli afroamericani nonostante i pastori neri fossero stati spesso accusati di sfruttare la situazione per acquisire maggiore prestigio a livello personale.

Nel frattempo le autorità e le istituzioni segregazioniste rimasero spiazzate e non riuscirono inizialmente a decifrare le nuove ondate di protesta; addirittura in un primo momento si era addirittura diffusa l‟idea che dietro vi potessero essere i comunisti, come se qualunque attività anti-segregazionista non avesse potuto che essere fomentata da comunisti o sovversivi20.

Invece questi leader riuscirono a guadagnarsi il crescente rispetto degli afroamericani e da una simile leadership religiosa nacque, nel 1957, una nuova importante organizzazione per i diritti civili, l‟SCLC (Southern Christian Leadership Conference).

Bisogna dire tuttavia che tale organizzazione sarebbe stata vista sia dalla stampa dell‟epoca sia per molti anni a seguire come l‟organizzazione di Martin Luther King contribuendo in questo modo a porre in secondo piano alcuni aspetti riguardanti la complessità del movimento. Secondo quanto fatto notare dalla già citata Nadia Venturini, infatti, la storiografia americana degli ultimi decenni si sarebbe concentrata su una visione più ampia del movimento, al fine di mettere in evidenza sia il ruolo e l‟importanza degli altri personaggi, sia i rapporti, talvolta perfino ambigui e controversi, che alcuni di essi ebbero con lo stesso King.

Comunque l‟SCLC avrebbe contribuito a dare forza ad un movimento capace di creare un leader come King e non viceversa, secondo quanto riportato dall‟attivista Ella Baker. Secondo questa interpretazione dunque la sola presenza di King non

19

Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 115.

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sarebbe potuta bastare ad ottenere risultati concreti qualora non vi fosse stata una base organizzata che pianificasse nel dettaglio le varie dimostrazioni.

L‟SCLC d‟altronde nacque come organizzazione regionale dall‟esigenza, sentita dagli organizzatori dei boicottaggi, di creare un movimento che federasse i piccoli gruppi di attivisti locali. Essa era poi formata esclusivamente da afroamericani del Sud ma, fin dall‟inizio, sarebbe stata sostenuta da elementi politici e gruppi della old left del Nord, in particolare di New York, con cui Martin Luther King avrebbe stretto accordi dietro le quinte ricevendo spesso consigli e sostegno politico21.

Tuttavia ciò che più avrebbe aiutato a far emergere l‟SCLC e lo stesso reverendo sarebbe stato soprattutto la teoria e la pratica della non violenza: su tale aspetto occorre a mio parere soffermarsi in quanto elemento distintivo della prima fase del Civil Rights Movement, diversamente dalla seconda che è quella su cui mi concentrerò più avanti. A livello storiografico si è a lungo dibattuto su questo tema il quale presenterebbe molti interrogativi e questioni ancora aperte: innanzitutto la non violenza sarebbe stata per Martin Luther King e per l‟SCLC una scelta graduale e non immediata; King, secondo questa interpretazione, si sarebbe reso conto con il passare del tempo che uno scontro violento con i bianchi avrebbe portato ad una rapida sconfitta per i neri a causa dell‟inferiorità numerica di quest‟ultimi22

.

Da qui emergerebbe oltretutto anche un secondo aspetto riguardante la non violenza, ovvero il fatto che una simile scelta non fosse un dogma anzi: King infatti avrebbe contestato l‟autodifesa proprio in quanto alternativa alla non violenza ma, allo stesso tempo, avrebbe condannato in maniera esplicita solo il ricorso diretto alle armi. Allo stesso tempo secondo Cristopher Strain egli sarebbe stato consapevole dei limiti derivanti da tale strategia e proprio per questo motivo, dato anche il suo pragmatismo, non ne avrebbe incoraggiato l‟adozione fin dall‟inizio23. Il timore sarebbe stato d‟altro canto condiviso anche da ulteriori esponenti dell‟organizzazione per vari motivi: innanzitutto gli afroamericani negli anni „50 erano soli e il Movimento

21 Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965,

FrancoAngeli, Milano 2010, p. 123.

22

Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 149.

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, cit., p. 135.

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per i diritti civili non era ancora inserito all‟interno di una protesta, cosa che invece sarebbe successa nel decennio successivo grazie anche all‟avvio delle manifestazioni studentesche.

Inoltre, in secondo luogo, non era ben chiaro a livello giuridico se le sentenze contro la segregazione consentissero di introdursi all‟interno di locali che erano di proprietà privata e questo avrebbe limitato in partenza le strategie dei neri, i quali comunque, qualora fossero stati denunciati anche in seguito alla violazione di una proprietà, difficilmente avrebbero potuto permettersi un arresto o il pagamento di una cauzione perché ciò avrebbe comportato la rovina economica della propria famiglia.

La storiografia si sarebbe poi confrontata anche sulla questione relativa al rapporto tra King e l‟adozione della non violenza: da un lato vi sono studiosi che hanno sostenuto il ruolo fondamentale rivestito da King nella scelta di questa strategia grazie alla propria leadership e alla propria capacità di attrarre consensi, dall‟altro invece vi sono studiosi che affermano che non fu lui a promuovere il boicottaggio di Montgomery, limitandosi a gestirlo, come avrebbe fatto del resto nelle successive campagne delle quali avrebbe assunto la guida solo dopo il loro avvio24.

Al di là di questo comunque occorre ritornare sul fatto che il Movimento per i diritti civili, dopo l‟episodio di Rosa Parks, ebbe difficoltà nell‟organizzare concretamente nuove forme di protesta; le cose però cambiarono, come appena accennato, durante gli anni „60 poiché la mobilitazione studentesca avrebbe costituito un‟importante base di appoggio allo stesso movimento che a sua volta, grazie alla propria mobilitazione, avrebbe dato una spinta ulteriore al primo. Un importante contributo sarebbe arrivato in primis dai giovani afroamericani i quali, non avendo solitamente famiglie a carico e particolari responsabilità economiche nei loro confronti, si sentivano probabilmente più liberi nel contestare la segregazione.

Il primo sit-in vi fu il 1° febbraio 1960 a Greensboro, una cittadina del North Carolina, ad opera di quattro studenti afroamericani: i quattro si recarono in un centro commerciale facendo alcuni acquisti e poi andarono alla caffetteria dove chiesero di essere serviti al pari degli altri clienti; poi, una volta ricevuto il prevedibile rifiuto, rimasero lì e ripeterono il gesto i giorni seguenti chiamando a sostegno un numero

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 159.

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sempre più alto di manifestanti. La nuova tattica ebbe allora un seguito inaspettato che produsse a sua volta un aumento della mobilitazione.

Secondo Clayborne Carson tuttavia queste manifestazioni erano caratterizzate da una spontaneità dettata da una forte rabbia e da un atteggiamento impulsivo piuttosto che da una vera e propria pianificazione. Lo stesso Carson ha peraltro fatto notare che in questa prima fase di proteste il risentimento represso avrebbe potuto condurre solamente a manifestazioni non violente; per molti ragazzi che parteciparono alla prima ondata di sit-in infatti il radicalismo, emerso poi successivamente, sarebbe stato, in un tale contesto, fondamentalmente inconcepibile25.

Tornando alla protesta, i partecipanti ai sit-in successivi si sarebbero presto resi conto che, essendo le manifestazioni pacifiche, la repressione da parte delle autorità sarebbe stata più difficile da attuare mentre il consenso e le nuove adesioni sarebbero state raccolte più agevolmente. Inoltre molti osservatori avevano la sensazione che i manifestanti protestassero non tanto per criticare la società americana ma piuttosto per entrare a farne parte tramite l‟abbattimento delle barriere razziali; essi rimanevano fermi al loro posto fino alla chiusura dell‟esercizio mostrando così un comportamento passivamente aggressivo che si limitava a mettere in evidenza una protesta priva di atteggiamenti ostili. L‟opinione pubblica quindi, di fronte a simili proteste rimaneva confusa ma non particolarmente spaventata (al contrario di quanto sarebbe successo più avanti durante i riots urbani). Ciò non significa però che la reazione delle autorità non ci fosse in nessuna occasione; basti pensare alla protesta di Nashville che si chiuse con l‟arresto di 150 persone.

Secondo William Chafe questi primi sit-in costituirono un momento di svolta in quanto nacquero come forme di protesta spontanea prive di una pianificazione di base e non furono portate avanti dai gruppi tradizionalmente attivi sulla questione dei diritti civili. Anzi, secondo questa interpretazione associazioni come NAACP e SCLC sarebbero state in realtà scettiche su forme di protesta di questo tipo, anche perché temevano che l‟inesperienza degli studenti avrebbe potuto creare problemi e mettere in cattiva

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 140.

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luce l‟intero movimento screditandone il lavoro. Allo stesso tempo l‟NAACP, da parte sua, riteneva che i maggiori successi sarebbero stati ottenuti attraverso la via giudiziaria e non attraverso l‟azione diretta volta a violare sistematicamente la legge26.

Anche per questi motivi probabilmente la componente studentesca cercò di crearsi uno spazio di maggiore autonomia fondando nell‟aprile del 1960 lo SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee) su probabile iniziativa di Ella Baker. Essa probabilmente vide nei giovani organizzatori dei sit-in una concreta possibilità di dare nuova linfa al Civil Rights Movement e perciò li spinse a fondare una nuova organizzazione incoraggiandone allo stesso tempo l‟indipendenza e lo sviluppo di un pensiero autonomo.

Gli studenti dunque non vedevano di buon occhio i tradizionali leader afroamericani e quindi per lo stesso King non fu semplice avvicinarsi allo SNCC, dato che egli stesso mirava a cercare l‟appoggio dei democratici e in particolare di John Fitzgerald Kennedy, candidato alle elezioni presidenziali del 1960, appoggio che invece altre organizzazioni come lo SNCC non avrebbero ritenuto fondamentale.

Il movimento comunque era in continuo fermento e pertanto dai sit-in si passò, nel giro di pochi mesi, ai cosiddetti freedom rides (letteralmente viaggi della libertà), organizzati da un‟altra associazione non violenta, il CORE (Congress of Racial Equality).

Bisogna dire innanzitutto che i freedom rides si basavano su una sentenza della Corte Suprema la quale sanciva che i servizi di trasporto degli autobus interstatali potessero essere aperti a tutti i cittadini americani; per questo iniziarono ad essere organizzate delle dimostrazioni all‟interno degli autobus che compivano lunghi viaggi da uno stato all‟altro del paese. L‟obiettivo di tale modalità di protesta era quello di spingere ad applicare la sentenza federale, che in molti stati del Sud veniva sistematicamente ignorata, suscitando l‟interesse dei media.

Tuttavia l‟SCLC anche in questa situazione si dimostrò riluttante perché temeva di inimicarsi l‟elettorato moderato bianco ma nel frattempo, dopo diversi viaggi repressi in maniera violenta dalle autorità, le istituzioni iniziarono a muoversi e a fare

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 153.

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pressione sull‟interstate commerce commission affinché emanasse un regolamento che consentisse di mettere in pratica la sentenza della Corte Suprema (il regolamento venne promulgato a settembre del 1960 ed entrò in vigore a dicembre dello stesso anno).

Questo risultato fu visto come un successo da parte delle nuove organizzazioni interne ad un movimento che, con tutta evidenza, si mostrava sempre più variegato e difficile da coordinare: se da una parte lo SNCC si configurava come l‟anima più vivace ed incline all‟azione diretta, dall‟altra l‟SCLC rappresentava la componente più moderata e incline all‟azione politica e quindi alla collaborazione con Washington. Nel frattempo infatti Kennedy aveva vinto le elezioni presidenziali del 1960 e, l‟anno seguente, avrebbe iniziato a fare alcune aperture sulla questione della registrazione elettorale. Fu in questo momento che la contrapposizione tra l‟ala più radicale del movimento e l‟organizzazione di King si fece più netta ed evidente dato che il reverendo stesso era considerato, soprattutto dai più giovani, troppo esposto e celebrato a livello mediatico nonché eccessivamente compromesso con il potere politico. Questa rottura sarebbe diventata insanabile più tardi, quando lo SNCC, insieme ad altre organizzazioni, avrebbe condotto la protesta su altri binari.

Nonostante ciò tuttavia in questa fase il movimento si era rafforzato e la mobilitazione a sua volta si era intensificata creando i presupposti per una serie di campagne che avrebbero dato ulteriore rilevanza alle sue rivendicazioni.

DA BIRMINGHAM A SELMA: LE CAMPAGNE DI AZIONE DIRETTA E LE CONQUISTE LEGISLATIVE

King e la sua organizzazione comunque si resero conto che la non violenza utilizzata al solo scopo di ottenere un ripensamento morale dei razzisti del Sud e di toccare le loro coscienze non sarebbe potuta funzionare: ciò avvenne durante la campagna per la desegregazione che si tenne ad Albany, una cittadina della Georgia, dove King finì in prigione per tre volte senza ottenere alcun risultato concreto. Da qui derivò probabilmente il cambio di strategia; si cominciò a rinunciare alla visione idealistica secondo cui il solo sforzo non violento potesse condurre a fare cambiare idea alle

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autorità e alle istituzioni del posto e si cominciò invece ad adottare una forma specifica di non violenza, una sorta di “coercizione non violenta”, di strategia della provocazione passiva che suscitasse una reazione opposta da parte dell‟esercito e delle forze di polizia e che non solo rendesse evidente agli occhi dell‟opinione pubblica la loro condotta ma anche che provocasse un diretto intervento del governo federale27.

Eppure il primo di questi due obiettivi inizialmente ebbe qualche problema ad essere raggiunto visto che gli afroamericani moderati in primis non comprendevano la logica di azioni simili; li ritenevano infatti, oltre che interventi suicidi, anche dei riflessi di un‟attitudine violenta mirante ad ottenere una reazione aggressiva da parte dei bianchi, la cosiddetta white backlash. Si trattava di una tattica “mordi e fuggi” che non rimaneva legata ad una determinata sede ma mirava a mobilitare più comunità possibili al fine di diffondere la protesta. In questo modo i razzisti erano invitati ad uscire allo scoperto senza lasciare che i manifestanti oltrepassassero i confini consentiti e adottassero provocazioni violente, come aggressioni o addirittura attentati.

Tutto questo dimostrerebbe anche come durante la prima fase, nonostante alcuni dissidi e malumori interni, il movimento riuscisse a rimanere compatto nell‟evitare disordini, cosa che, come si vedrà più avanti, sarebbe avvenuta con più difficoltà dopo il 1965 quando nemmeno Martin Luther King sarebbe apparso in grado di controllare le dimostrazioni e le marce pacifiche. Secondo molti altri tuttavia deve essere ridimensionata la tesi in base alla quale questa tattica fosse stata premeditata da King e dall‟SCLC fin dall‟inizio: essa piuttosto sarebbe maturata con il tempo, dopo aver notato che le reazioni violente della polizia non facevano altro che aumentare i consensi attorno al movimento. Il già citato Adam Fairclough ad esempio ha sostenuto che l‟organizzazione di King non avesse pianificato dei veri e propri scontri con la polizia dopo la campagna di Albany ma piuttosto che mirasse a generare ulteriore attenzione da parte dei media28. Tuttavia King avrebbe dichiarato successivamente che l‟obiettivo dell‟azione diretta non violenta in questo periodo

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 162.

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Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 164.

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fosse quello di creare una situazione di crisi volta a costringere la controparte ad accettare un confronto.

Al di là di questo comunque ciò che è certo è che a partire dall‟aprile del 1963 venne organizzata una campagna di mobilitazione a Birmingham in Alabama, durante la quale i dimostranti, compresi donne e bambini, furono effettivamente oggetto di pesanti aggressioni da parte della polizia. E‟ stato rilevato come tali violenze iniziassero a questo punto ad apparire effettivamente intollerabili anche per quella parte di popolazione bianca moderata che ancora non aveva preso una posizione sull‟intera vicenda29

.

Il 28 agosto dello stesso anno si tenne poi la celebre marcia su Washington alla quale parteciparono 250.000 persone, destinata a passare alla storia e a segnare l‟immaginario collettivo anche grazie al discorso di Martin Luther King. La marcia, come si sa, ebbe in un impatto potentissimo in tutto il mondo perché grazie alla sua carica ottimistica attribuì probabilmente un‟immagine più rassicurante della protesta, contribuendo a diminuire l‟ansia della popolazione bianca del Nord per le dimostrazioni dei mesi precedenti. Per Cornell West tuttavia l‟evento non segnò il culmine del Civil Rights Movement ma piuttosto rappresentò, tra le altre cose, il tentativo di mostrare l‟unità di quella coalizione di forze liberal che, all‟interno del movimento, stavano progressivamente perdendo la loro coesione30.

A colpire in particolar modo fu comunque il discorso di King, il quale spiazzò soprattutto coloro i quali non erano abituati alla potenza dell‟oratoria religiosa afroamericana, al suo linguaggio e alla sua fortissima espressività. Il reverendo parlò prima del termine della manifestazione e iniziò dicendo che erano trascorsi cento anni dalla proclamazione di emancipazione dalla schiavitù ma nonostante ciò i neri non erano ancora liberi: “cento anni dopo i neri sono ancora tristemente paralizzati dalle restrizioni della segregazione e dalle catene della discriminazione. Cento anni dopo i neri vivono in un‟isola deserta di povertà in mezzo ad un vasto oceano di

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Abigail Thernstrom, Stephan Thernstrom, America in Black and White, Simon and Schuster, New York 1999, p. 139.

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Cornell West, Il Paradosso della Ribellione Afroamericana, in Bruno Cartosio, Senza Illusioni. I Neri negli Stati

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povertà economica. Cento anni dopo, i neri languiscono ancora agli angoli della società americana sentendosi degli esiliati in patria”31

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King fece poi riferimento in maniera esplicita alle responsabilità dell‟America che non aveva mai dato seguito agli impegni sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione d‟Indipendenza. Fu quindi un discorso forte e diretto, accompagnato dal graduale coinvolgimento della folla ma, allo stesso tempo, non rappresentò un punto di rottura ma piuttosto si dimostrò conciliante e speranzoso nei confronti dei bianchi e della loro reazione: “continueremo a marciare con i nostri fratelli bianchi, se possibile, ma anche senza di loro, se necessario”. Le sue parole infatti, come si sa, per quanto dure, erano radicate all‟interno del sogno americano il quale, come lui si auspicava, avrebbe dovuto essere ampliato a tutti, afroamericani compresi32.

Il suo discorso ebbe quindi una grande risonanza ma secondo Fairclough e altri studiosi, nonostante la folla e l‟entusiasmo suscitato, non ebbe un effetto immediato sui legislatori e non li spronò ad anticipare i tempi del dibattito per paura, probabilmente, che l‟ostruzionismo e il risentimento dei sudisti potessero bloccare o ritardare altri disegni di legge33. D‟altronde questa possibilità era stata pronosticata anche da King a Washington quando disse che in molti avrebbero probabilmente provato a liquidare la marcia come una sorta di sfogo o di evento che li avrebbe resi soddisfatti almeno per un giorno.

Fu tuttavia l‟omicidio di Kennedy avvenuto il 22 novembre 1963, secondo Luconi, a provocare per vari motivi un‟accelerazione nella stesura di una legge sui diritti civili: Innanzitutto il suo successore, Lyndon B. Johnson, avrebbe spinto con più forza in direzione della legge per convincere i democratici, in buona parte scettici sulla sua figura, che egli non fosse un conservatore e che avrebbe dato continuità alle battaglie politiche di Kennedy. Così facendo egli avrebbe provato a garantirsi la ricandidatura alle elezioni del 1964. In secondo luogo, oltre alle ambizioni politiche di Johnson, anche la guerra fredda avrebbe giocato un ruolo importante nella battaglia per i diritti civili: secondo Mary Dudziak e Thomas Borstelmann infatti Johnson tentò

31

Lerone Bennett, Martin Luther King, Claudiana, Torino 1998, p. 146.

32

Ibid. pp. 147,148.

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Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili 1940-1965, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 186.

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di rafforzare l‟immagine degli Stati Uniti come baluardo della democrazia occidentale agli occhi dell‟opinione pubblica internazionale, ben sapendo che la risonanza mediatica avuta dalla segregazione in quegli anni avrebbe potuto comprometterla34. Proprio su questo punto avrebbe posto l‟attenzione la stampa comunista italiana a partire dal 1965, anno delle prime rivolte urbane; quest‟ultime infatti, sulla base di tale interpretazione, avrebbero smantellato l‟apparente democraticità della società americana e reso evidenti le disuguaglianze ancora esistenti al suo interno.

Nel frattempo comunque, il 2 luglio 1964, fu approvato dal congresso il Civil Rights Act: la legge proibiva la segregazione su base razziale nei luoghi pubblici; vietava la discriminazione nelle assunzioni in base a razza, religione, origine nazionale e sesso; istituiva una commissione federale, la Equal Employment Opportunity Commission, alla quale era possibile rivolgersi per i casi di discriminazione sul mercato del lavoro.

Conquistati i diritti civili agli afroamericani non rimaneva che lottare per il diritto di voto ma per Johnson la questione razziale si era conclusa con il Civil Rights Act e non aveva intenzione di riaprirla. Nonostante ciò le proteste e le manifestazioni ricominciarono nel giro di poco tempo e nel febbraio del 1965, quando alcuni afroamericani accompagnati da King tentarono di ottenere l‟iscrizione ai registri elettorali di Selma, una cittadina dell‟Alabama, la polizia intervenne per bloccare l‟azione e uccise un ragazzo. Il 7 marzo venne allora organizzata dall‟SCLC una nuova marcia che avrebbe dovuto portare i manifestanti da Selma a Montgomery per protestare contro le violenze della polizia; tuttavia anche questa manifestazione venne bloccata violentemente dalla polizia e da un gruppo di segregazionisti. Ne venne organizzata poi una seconda il 14 marzo, nonostante l‟opposizione di Johnson, che si concluse in maniera simile.

Tali violenze dunque fecero di Selma un caso nazionale e indussero il Congresso, probabilmente anche allo scopo di placare le polemiche, ad accelerare le pratiche per approvare il Voting Rights Act, promulgato il 6 agosto 1965. Quest‟ultimo proibiva i test di alfabetismo o di comprensione della Costituzione, i quali impedivano

34

Stefano Luconi, La Questione Razziale negli Stati Uniti dalla Ricostruzione a Barack Obama, CLEUP, Padova 2008, p. 167.

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regolarmente agli afroamericani di votare e predispose che le autorità federali garantissero la supervisione delle registrazioni elettorali nelle contee del Sud.

1.3 MALCOLM X E LA CONTRAPPOSIZIONE ALL‟INTEGRAZIONISMO

Le idee integrazioniste quindi furono per diversi anni molto popolari tra i neri e anche tra una parte dei liberal bianchi (soprattutto del Nord). Come accennato però, queste idee dopo il 1965 sarebbero diventate minoritarie all‟interno della comunità afroamericana e in particolare all‟interno dei ghetti delle grandi città. Tale passaggio non avvenne ovviamente in maniera spontanea in quanto il terreno era stato preparato in primo luogo dalle tesi di Malcolm Little, fattosi chiamare Malcolm X con l‟intenzione di cancellare l‟origine schiavista del suo cognome.

Malcolm X è chiaramente fondamentale per cercare di comprendere la radicalizzazione della protesta degli afroamericani a metà degli anni „60, soprattutto alla luce delle considerazioni che la recente storiografia ha espresso sulla sua storia e sul suo rapporto con le tesi degli integrazionisti.

Bisogna però innanzitutto dire che Malcolm nacque in una famiglia povera e numerosa guidata dal padre Earl, ucciso, secondo lo stesso Malcolm X, dall‟organizzazione suprematista bianca Black Legion in circostanze mai chiarite35

. La madre soffrì molto in seguito alla morte del marito e non riuscì più, a causa anche dei problemi economici, a mantenere i figli. Malcolm allora si trasferì dalla sorellastra a Boston finendo per rimanere coinvolto in varie attività illegali come spaccio, gioco d‟azzardo, truffe e rapine. Proprio a causa di una rapina, all‟età di vent‟anni, venne arrestato: tutte queste attività non lasciavano presagire quanto sarebbe successo più avanti ma piuttosto sembravano definire la classica esistenza di un giovane abitante nero all‟interno di una grande città come Boston.

Tuttavia in carcere egli stesso iniziò a sentire l‟esigenza di diventare un uomo diverso attraverso l‟istruzione e la cultura; da qui entrò in contatto con l‟Islam e in particolare con l‟organizzazione Nation of Islam, dalla quale assorbì l‟idea che l‟uomo bianco non avrebbe mai potuto fare di nulla di buono per un uomo nero. Fu proprio grazie a

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questa organizzazione quindi che Malcolm maturò una profonda ostilità nei confronti dei bianchi, assumendoli come principale punto di riferimento della sua critica. Probabilmente il fatto che il padre fosse un sostenitore di Marcus Garvey incise su un simile aspetto ma, secondo Manning Marable, autore del volume Malcolm X. Tutte le verità oltre la leggenda, nemmeno il garveismo avrebbe potuto preparare ad un simile destino36.

Marcus Garvey era un sostenitore dell‟autodeterminazione degli afroamericani i quali avrebbero dovuto provvedere da soli al proprio futuro e alla propria educazione tramite forza di volontà e duro lavoro, senza aspettarsi alcun aiuto dai bianchi, ma anche senza il bisogno di sostenere il separatismo e l‟abolizione della segregazione. Anzi la separazione razziale sarebbe stata fondamentale per il progresso del popolo nero, il quale non avrebbe mai avuto rispetto di se stesso fino a quando avesse continuato a dipendere dai bianchi per il lavoro e tutto ciò che ne derivava.

Il garveismo aveva probabilmente inciso sulla formazione culturale di Malcolm ma molto più importante fu per lui l‟incontro con l‟Islam e con Elijah Muhammad, dai cui insegnamenti rimase particolarmente affascinato.

Malcolm divenne pertanto molto popolare all‟interno della Nation of Islam, distinguendosi, anch‟egli come Luther King, quale abile oratore, dotato di personalità, e sicurezza in se stesso.

Fu proprio lui a contribuire alla crescita del prestigio dell‟organizzazione in seguito ad un fatto avvenuto nel 1959: In quell‟occasione un aderente alla NOI, Johnson Hinton, fu picchiato e arrestato dalla polizia che lo portò al commissariato di Boston. Una volta venuto a conoscenza della notizia Malcolm fece radunare i muslims di fronte al commissariato dicendo alla polizia che finché non si fossero accertati che Hinton avesse ricevuto le adatte cure mediche non se ne sarebbero andati. I poliziotti, secondo quanto riportato dal protagonista della vicenda, si innervosirono ma alla fine accettarono le richieste; Malcolm si trovò allora di fronte a lui Hinton, il quale aveva riportato gravi ferite alla testa e ordinò di chiamare un‟ambulanza. Hinton da qui fu portato all‟ospedale di Harlem, che venne presto circondato dagli stessi muslims e da una folla nera che chiedeva giustizia; la folla fu però allontanata tramite la richiesta dello stesso Malcolm una volta venuto a sapere che Hinton sarebbe sopravvissuto. Il

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seguente evento fece quindi crescere la fama della Nation of Islam e dello stesso Malcolm, il quale aumentò il prestigio e l‟interesse intorno a lui.

Anche il suo pensiero e il suo ruolo all‟interno dell‟organizzazione da allora iniziarono a subire un‟evoluzione; con il tempo infatti l‟impronta religiosa lasciò sempre più spazio alla politica, anche a causa degli eventi riguardanti il Movimento per i diritti civili, per il quale non riservò parole accondiscendenti: per Malcolm infatti tutta la filosofia integrazionista era destinata al fallimento in quanto la maggioranza dei bianchi non avrebbe mai accettato l‟assimilazione. Come conseguenza di ciò si era secondo lui creata una leadership nera incapace di occuparsi in maniera efficace degli interessi e dei problemi degli afroamericani. Con i bianchi pertanto andava messa una distanza tale, come predicava Elijah Muhammad, da consentire ai neri di pensare in maniera autonoma e indipendente, ovvero di pensare e di parlare da neri. Questo era il punto di partenza dato dalla Nation of Islam ma il leader nero sarebbe andato molto oltre: egli sosteneva anche che Muhammad e la Nazione rappresentassero i neri disoccupati, poveri e arrabbiati. La maggioranza dei neri delle città era costretta a vivere relegata nei ghetti dove spesso finiva per subire la brutalità della polizia che, a suo parere, si comportava come un esercito di occupazione in un territorio post-coloniale. Questo riferimento è molto interessante secondo Marable perché permetteva di riprendere le tesi di Frantz Fanon raccolte all‟interno dei Dannati della terra prima ancora che esse venissero pubblicate37

. Lo stesso Fanon sarebbe infatti arrivato a dire che in ogni sistema coloniale esistevano due società in conflitto: la società dei coloni e quella dei colonizzati: per Malcolm una simile realtà corrispondeva alla condizione vissuta dagli afroamericani negli Stati Uniti, corrispondente a quella di colonizzati.

Per molti la forza di quest‟ultimo fu quella di interpretare il pensiero sommerso e sempre più radicale dei neri dei ghetti, i quali si sentivano invisibili agli occhi delle istituzioni e delle autorità americane.

I media dell‟epoca tuttavia, secondo l‟interpretazione di Bruno Cartosio, etichettarono le opinioni dell‟esponente della Nation of Islam come inammissibili perché violente ed estreme; in questo modo egli venne accusato di essere un agitatore e di predicare un‟ideologia religiosa contraria ai valori fondativi degli Stati Uniti e capace di istigare

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all‟odio razziale come in una sorta di “razzismo alla rovescia”. Fu una simile chiusura, sempre secondo Cartosio, ad impedire la comprensione delle rivolte urbane che di lì a poco si sarebbero scatenate38.

Malcolm X tuttavia rispondeva solitamente a tali accuse in maniera diretta come in questo discorso pronunciato in una trasmissione televisiva nel 1963:

“I musulmani che hanno accettato la religione dell‟Islam e la guida del venerabile Elijah Muhammad

non hanno mai minato alcuna chiesa, mai ucciso alcuna bambina come successo a Birmingham, non hanno mai linciato nessuno e non sono mai stati colpevoli di avere cominciato atti aggressivi nei 33 anni nei quali il venerabile Elijah Muhammad ci ha fatto da guida. L‟accusa di violenza nasce nel complesso di colpa, nella coscienza e nell‟inconscio della maggior parte dei bianchi in questo paese. Sanno di essere stati violenti e hanno paura che un giorno i neri si sveglieranno e che facciano ai bianchi quello che i bianchi hanno fatto a noi. Ci viene insegnato dal venerabile Elijah Muhammad a rispettare la legge e chiunque ci rispetti, ci viene insegnato a mostrare cortesia e ad essere educati ma ci viene anche insegnato che ogni qualvolta qualcuno ci infligge o prova ad infliggerci violenza abbiamo il diritto religioso di rispondere per autodifesa. Non abbiamo mai iniziato uno scontro ma se qualcuno ci attacca ci riserviamo il diritto di difenderci. Accusarci di essere violenti è come accusare un uomo che è stato linciato semplicemente perché si sforza di ribellarsi ai linciatori. La vittima è accusata di violenza ma il linciatore non lo è mai. Lo faccio notare solo perché i vari gruppi bianchi razzisti in questa nazione, che hanno esercitato violenza contro i neri per quattrocento anni, non sono mai stati associati o identificati con la violenza mentre per molti musulmano è sinonimo di violenza39”.

Malcolm X quindi più che predicare violenza contro i bianchi predicava la risposta alla violenza dei bianchi: ripeteva continuamente di non fidarsi di quest‟ultimi, come sostenuto anche dalla Nation of Islam e di non credere all‟integrazione non perché contrario all‟integrazione in sé ma perché riteneva una menzogna ogni apertura verso l‟integrazione fatta dai bianchi stessi. Dati questi presupposti egli si diceva contrario alla segregazione e convinto che l‟unica via possibile fosse rappresentata dalla separazione.

Allo stesso tempo i manifestanti per i diritti civili che in quegli anni cercavano di provocare la violenza della polizia per ottenere risultati politici erano secondo la sua opinione degli sciocchi perché così facendo si esponevano alle umiliazioni e alla brutalizzazione dei bianchi. Peraltro secondo l‟esponente della NOI tutto ciò sarebbe

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Bruno Cartosio, I Lunghi Anni Sessanta, Feltrinelli, Milano 2010, p. 183.

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