• Non ci sono risultati.

LA “CALDA ESTATE NEGRA”: I RIOTS DI NEWARK E DETROIT

CAP 3: NEL CUORE DELLA PROTESTA: LA “CALDA ESTATE NEGRA” DEL 1967 E IL 1968.

3.1 LA “CALDA ESTATE NEGRA”: I RIOTS DI NEWARK E DETROIT

Due anni dopo la rivolta di Watts vi fu una nuova esplosione della tensione razziale che culminò in nuovi violenti disordini, partiti da Newark e nel giro di pochi giorni estesisi ad altre città americane; disordini talmente violenti da far ipotizzare che la rabbia degli afroamericani fosse destinata a causare un‟insurrezione. I tumulti infatti esplosero proprio nella città del New Jersey il 12 luglio 1967 e durarono fino al 17 luglio, causando la morte di 26 persone, di cui 24 afroamericane, mentre oltre 700 rimasero ferite e circa 1500 vennero arrestate.

Lo schema di partenza fu simile a quello di Watts: un afroamericano venne fermato ed aggredito dalla polizia per violazione del codice della strada e ciò causò l‟immediata reazione degli afroamericani. Secondo quanto riportato dal “Corriere della Sera” del 15 luglio 1967 un nero alla guida di un taxi avrebbe tallonato un auto della polizia, sorpassandola irregolarmente165.

In questo contesto tuttavia l‟aggressione della polizia avrebbe rappresentato il culmine di tensioni che da tempo sarebbero state sul punto di esplodere per vari motivi. Ad esempio il Sindaco di Newark, poche settimane prima, aveva designato come assessore alla scuola James Callaghan mettendo così da parte la nomina dell‟afroamericano Wilbur Parker, considerato più qualificato dalla comunità nera della città. Un altro importante motivo di tensione era rappresentato, non secondariamente, dall‟emergenza abitativa che riguardava prevalentemente i ghetti neri166.

In seguito all‟arresto si sarebbero poi scatenate le violenze dei cittadini di colore della città, che all‟epoca costituivano il 60% della popolazione. Proprio su queste violenze si sarebbe concentrato l‟articolo scritto da Franco Occhiuzzi: “mattoni, pietre e

165

Franco Occhiuzzi, Stato d’assedio a Newark devastata da dimostranti negri, “Corriere della Sera”, 15 luglio 1967.

166

82

bottiglie vuote sono state lanciate contro le finestre del commissariato [...]. Una ventina di agenti hanno fatto una sortita da una porta laterale, disperdendo i dimostranti con il solo impiego degli sfollagente167”.

Dopo questo fatto si diffuse per un breve periodo la sensazione che la situazione si fosse calmata quando in realtà i dimostranti si sarebbero spostati nel quartiere cittadino degli affari, “appiccando incendi a negozi e a macchine e assalendo i passanti168”. Poi qualcuno di loro, una volta salito sui tetti, avrebbe iniziato a sparare contro gli agenti, ai quali sarebbe stato quindi ordinato di rispondere al fuoco. Vista la gravità dei fatti tutti i 1400 agenti di Newark furono chiamati ad intervenire. Da questi scontri ebbero tuttavia la meglio quest‟ultimi, visto che, come ricordato da Occhiuzzi, i tre morti dei primi due giorni sarebbero stati tutti afroamericani. Nonostante ciò comunque l‟attenzione sarebbe stata immediatamente spostata sugli agenti feriti, venticinque tra poliziotti e vigili del fuoco; alcuni di questi, peraltro, così gravi da far pensare che il numero di morti potesse aumentare rapidamente.

Per questo motivo il governatore del New Jersey Hughes, definendo Newark “una città in aperta ribellione”, decise di inviare uomini della polizia statale e della Guardia nazionale in supporto ai già nominati agenti della polizia cittadina, oltre a ordinare la chiusura di tutti i negozi di alcolici, particolarmente colpiti dai saccheggi di quei giorni. Preoccupava soprattutto l‟attività di guerriglia dei cosiddetti franchi tiratori afroamericani, accusati di non interrompere gli spari nemmeno di fronte al passaggio di ambulanze con il compito di raccogliere i feriti. Inoltre erano stati chiamati in causa anche i vigili del fuoco di città vicine per far fronte ai numerosi incendi scoppiati durante i tumulti, circa cento secondo l‟opinione del capo dei pompieri di Newark Joseph Redden169.

Il 15 luglio poi la situazione sembrava essere precipitata; i morti erano saliti a 14, i feriti a 600 circa e per questo il coprifuoco venne anticipato di un‟ora, dalle 23:00 alle 22:00. Nell‟articolo del “Corriere” del 15 luglio, sempre a cura di Franco Occhiuzzi, si ribadiva che la gravità della situazione era dovuta soprattutto ai saccheggi e alla

167

Franco Occhiuzzi, Stato d’assedio a Newark devastata da dimostranti negri, “Corriere della Sera”, 15 luglio 1967.

168

Ibid.

169

83

presenza di franchi tiratori armati, i quali sparavano non solo agli agenti di polizia e della Guardia nazionale ma anche contro le finestre degli ospedali, dove continuavano ad essere trasportati i feriti. Tra questi vi erano due agenti: Joseph Accaria, colpito gravemente alla gamba e Shelley Gooden, colpito alla spalla sinistra mentre cercava di disarmare un dimostrante. Tra i morti invece, “oltre ad un bambino negro di dieci anni”, veniva segnalato l‟agente Frederick Toto di trentanove anni, “già decorato al valore e padre di quattro figli170”.

In un simile contesto inoltre il governatore decideva di proclamare lo stato di emergenza ma non la legge marziale “per non fornire alla popolazione negra pretesto per nuovi risentimenti171”. Questa linea interpretativa veniva confermata anche da come veniva riportata la notizia del rilascio del tassista afroamericano John Smith, il cui arresto aveva fatto esplodere i tumulti: Occhiuzzi infatti arrivò a scrivere che con la scarcerazione di Smith, arrestato “per essersi ribellato alla polizia” sarebbe venuta meno la causa dei disordini, che tuttavia, affermava il giornalista, proseguivano. Tra gli arrestati inoltre veniva segnalato anche Le Roy Jones, autore afroamericano di lavori teatrali, accusato dallo stesso quotidiano milanese di predicare odio contro i bianchi.

“L‟Unità” trattava invece in maniera diametralmente opposta i nuovi disordini: oggetto della propria linea interpretativa era infatti l‟autorità, rappresentata in primo luogo dalla polizia e dalla Guardia nazionale, non più come elemento di salvaguardia dell‟ordine pubblico contro l‟instabilità creata dalle proteste ma piuttosto come forza repressiva in grado di alimentare la rabbia dei dimostranti. La linea editoriale del quotidiano infatti si concentrava sulla repressione dei disordini e sulle responsabilità dell‟autorità, in particolare della polizia e della “razzista Guardia nazionale172”. Secondo l‟autore dell‟articolo del 17 luglio 1967, in cui venivano fatti i bilanci dei tumulti nella città del New Jersey, la rivolta non avrebbe avuto particolari conseguenze qualora non vi fosse stata la violenta reazione già citata, presentata sotto la forma di una vera e propria spedizione punitiva. Proprio le forze chiamate a

170

Franco Occhiuzzi, Stato d’assedio a Newark devastata da dimostranti negri, “Corriere della Sera”, 15 luglio 1967.

171

Ibid.

172

84

sedare la rivolta si sarebbero spinte, secondo “l‟Unità”, oltre il proprio ruolo arrivando a scontrarsi apertamente contro i manifestanti.

In tal senso emergerebbe non solo un approccio diverso all‟interpretazione dei fatti ma anche una diversa ricostruzione: l‟organo del Partito comunista infatti da una parte tralasciava gli spari che gli afroamericani, secondo quanto riportato dal “Corriere”, avrebbero indirizzato contro ospedali ed ambulanze mentre dall‟altra attribuiva questi comportamenti a polizia e Guardia nazionale. Proprio alcuni agenti chiamati a sedare la rivolta avrebbero sparato contro la finestra di un‟abitazione, colpendo e uccidendo una donna afroamericana, Hattie Gainer. Le critiche tuttavia venivano riservate in particolar modo alla Guardia nazionale, colpevole, secondo le accuse del giornalista de “l‟Unità”, di essere ancora più violenta della polizia a causa delle proprie modalità di reclutamento: la Guardia nazionale era infatti costituita perlopiù da volontari, tra i quali si contavano, secondo tale interpretazione, diversi elementi “razzisti, violenti e con scarsa conoscenza della legge173”.

Bersaglio delle critiche de “l‟Unità” era poi anche il già citato governatore Hughes, responsabile di aver chiamato in causa la Guardia nazionale e di sottovalutare la questione razziale: per lo stesso Hughes, non a caso, i fatti in questione non avrebbero dovuto essere inseriti nel quadro della lotta contro la discriminazione ma piuttosto nell‟”ondata di violenza di una serie di elementi antisociali che odiavano il paese174”.

Tuttavia anche “la Stampa” iniziava a guardare anche oltre le responsabilità degli afroamericani chiedendosi come fosse possibile che fatti così gravi avvenissero nel paese più ricco ed avanzato del mondo. Se il riot di Watts infatti da un lato era stato interpretato da più parti come uno scoppio di rabbia assolutamente ingiustificato, quello di Newark dall‟altro avrebbe lasciato qualche interrogativo più profondo, spingendo alcuni ambienti prima riluttanti ad attribuire colpe alle autorità, a cambiare in parte il proprio approccio.

Bisogna dire che un simile mutamento di prospettiva era dovuto anche alla guerra in Vietnam, la quale avrebbe progressivamente minato la credibilità degli Stati Uniti e

173

Franco Occhiuzzi, Stato d’assedio a Newark devastata da dimostranti negri, “Corriere della Sera”, 15 luglio 1967.

174

85

della sua presidenza: si aveva la sensazione infatti che in Vietnam si stessero spendendo soldi che avrebbero potuto essere investiti in programmi contro la povertà, per lo sviluppo urbano, per il miglioramento dell‟assistenza sociale e della qualità dell‟istruzione pubblica. Fondamentalmente il finanziamento di quella che avrebbe dovuto essere la “Grande società” johnsoniana, secondo il giornalista de “la Stampa” Nicola Caracciolo, sarebbe stato assorbito per intero dallo stesso conflitto vietnamita175.

Prima di Newark inoltre, sempre secondo Caracciolo, le rivolte si sarebbero distinte come esplosioni di collera brutali ma passeggere, sviluppatesi solitamente a partire da un incidente che dava il via ai saccheggi e agli scontri tra bande di ragazzi e polizia, per poi rientrare e lasciare il posto alla normalità. Nel 1967 invece qualcosa sembrava essere cambiato.

I disordini in questione del resto erano nati proprio da un episodio ritenuto banale in cui la polizia, dal canto suo, avrebbe probabilmente dimostrato una reazione eccessiva; eppure un simile fatto non spiegava la gravità dei tumulti. Tuttavia secondo Caracciolo individuare le cause di una simile rabbia non era complicato: gli Stati Uniti stavano vivendo una fase di prosperità economica che in parte aveva toccato anche gli afroamericani della cosiddetta “nuova classe media” ma non i residenti neri dei ghetti. Anzi, un‟inchiesta del “Time” fatta nel 1966 aveva mostrato come i redditi di quest‟ultimi tendessero in realtà a diminuire mentre l‟indice di disoccupazione restava particolarmente alto. Proprio a Newark non a caso la percentuale di disoccupati era ancora più alta e tra i giovani superava addirittura il 30%176.

Peraltro nella ricostruzione del riot di Newark fatta da “la Stampa” emergeva un elemento perlopiù tralasciato dalle altre testate: gli afroamericani infatti avevano saccheggiato quasi esclusivamente i negozi dei bianchi dato che quelli posseduti dagli abitanti di colore erano dotati dell‟insegna “soul brothers”, che significava letteralmente “fratelli dell‟anima”. Un simile particolare, sulla base dell‟interpretazione di Caracciolo, avrebbe dato ai moti di Newark la connotazione di una sorta di momentanea rivincita o di vendetta a danno della controparte bianca, accusata di

175

Nicola Caracciolo, La rivolta dei negri, “la Stampa”, 18 luglio 1967.

176

86

avere escluso sistematicamente gli afroamericani dai benefici economici prodotti della società di mercato177.

La rivolta di Newark non fu tuttavia l‟unica dell‟estate del 1967, essa infatti trascinò con sé nuovi tumulti in varie città americane, in primo luogo a Detroit, dove la rivolta durò dal 23 luglio al 27 luglio 1967. L‟evento scatenante fu in questo caso l‟irruzione della polizia nel locale di un quartiere abitato prevalentemente da afroamericani, accusato di essere rimasto aperto dopo l‟orario di chiusura. Dentro il locale i poliziotti arrestarono alcuni dei presenti e questo scatenò la rabbia delle altre persone accorse intorno al locale a vedere cosa fosse successo, le quali iniziarono a scagliare pietre e altri oggetti contro le auto della polizia178. Da qui la folla iniziò ad assaltare alcuni negozi della zona e nel giro di poco tempo i disordini si estero ad altre zone della città.

La polizia cittadina fu colta di sorpresa e sopraffatta dall‟altissimo numero di incendi e di violenze che riguardarono la città e ciò spinse il governatore del Michigan, il 24 luglio ad autorizzare l‟invio della Guardia nazionale.

Ma non solo; come riportato da “l‟Unità” la situazione era talmente grave da indurre le autorità a chiamare l‟utilizzo di carri armati che facevano parte del V corpo d‟armata americano, comandato dal Generale Cecil Simmons. Nemmeno questi tuttavia sarebbero riusciti a sedare la rivolta nell‟immediato, riscontrando difficoltà perfino ad entrare nel quartiere da cui erano partiti i disordini, il quale si trovava presidiato da squadre di cittadini di colore179. Allora Johnson decise da parte sua di inviare le truppe federali formulando così quella che il giornalista de “l‟Unità” interpretava come una vera e propria dichiarazione di guerra.

La situazione era quindi tale da spingere il quotidiano del Partito comunista a parlare addirittura di “rivoluzione negra”, ipotizzando che la ribellione afroamericana fosse giunta alla sua fase insurrezionale: in effetti i tumulti andarono avanti per diversi giorni e non rimasero confinati ad una sola città e alle sue zone limitrofe come era successo nel 1965. Si diffuse pertanto la sensazione che fossero in atto vere e

177

Nicola Caracciolo, La rivolta dei negri, “la Stampa”, 18 luglio 1967.

178

Max Arthur Hermann, Fighting in the street: Ethnic Succession and Urban Unrest in Twentieth-Century

America, Peter Lang Publishing Inc., New York 2005, p. 76.

179

87

proprie scene di guerriglia, capaci di diffondersi in diverse aree urbane del Paese; ciò inquietò le autorità ma non la redazione dell‟organo ufficiale del PCI, che sembrò al contrario reagire con un certo entusiasmo. Iniziò infatti a radicarsi l‟idea che si fosse consolidata una nuova fase della lotta nera che avrebbe portato alla definitiva emarginazione dei più moderati.

“L‟Unità” colse con eccitazione simili sviluppi e ciò la condusse a prendere le parti anche del cosiddetto movimento nazionalista nero. L‟attrazione risiedeva, come si può notare nell‟articolo del 25 luglio, nel fatto che quest‟ultimo aveva dichiarato guerra allo stato di subordinazione a cui erano sottoposti i neri; le tendenze separazioniste di questa complessa fase, le istanze nazionaliste e le accuse ad alcuni elementi di utilizzarle come arma per accrescere il proprio prestigio personale non interessavano o comunque non venivano menzionate180. Quello che interessava era che sembrava essersi messo in moto un percorso tramite il quale, nelle aspirazioni di parte del mondo comunista italiano, si sarebbe potuto produrre la delegittimazione dello status quo che regnava nella società americana. In tal senso interessava molto anche l‟andamento del Congresso del “Potere negro” che si sarebbe tenuto proprio in quei giorni e che avrebbe prodotto la richiesta formale di intervento dell‟ONU “contro l‟oppressione del popolo negro negli Stati Uniti181”.

Il diffondersi dei tumulti dunque testimoniava che la rivolta di Los Angeles non era stata un fatto isolato ma avrebbe rappresentato il punto di partenza di un fenomeno più ampio. Giovanni Cesareo, giornalista de “l‟Unità, cercò proprio di indagare questo fenomeno in un articolo dal titolo significativo “Trema la grande società nella calda

estate negra” mettendo in discussioni i fondamenti della cosiddetta “Grande società”

johnsoniana182. Il seguente articolo infatti si interrogava proprio sul presunto fallimento della politica d‟integrazione nonché sulle distorsioni della società americana che avrebbero impedito di agire sulla complessità del problema.

L‟incipit in tal senso sembrava essere già significativo:

180

Il Congresso del Potere Nero chiede l’intervento dell’Onu, “l’Unità”, 25 luglio 1967.

181

Ibid.

182

88

“Gli ammiratori di casa nostra della Grande società johnsoniana sono rimasti di sasso dinnanzi alle esplosioni a catena che scuotono i ghetti neri delle città statunitensi. Sono pietrificati dallo stupore e balbettano contro l‟incomprensibile violenza delle rivolte negre183”.

L‟accusa era rivolta a quei politici e giornalisti italiani che sostenevano apertamente gli Stati Uniti: questi, a suo avviso, avevano perlopiù creduto che le conquiste relative ai diritti civili e le battaglie sull‟integrazione potessero aprire ad una nuova epoca fondata sull‟uguaglianza e sulla giustizia quando invece le rivolte avrebbero testimoniato il contrario.

Meno sorprese, secondo Cesareo, erano alcune testate americane come “Newsweek” che da tempo annunciavano l‟imminente arrivo della cosiddetta “estate calda”, caratterizzata da potenti tensioni razziali: Il pensiero di “Newsweek” a questo proposito era che i governanti fossero rimasti sordi alle rivendicazioni degli afroamericani dei ghetti e che non avessero cercato di comprendere le reali motivazioni della sollevazione di Watts. Sulla base di una simile logica il governo si sarebbe fondamentalmente preoccupato poco delle reali cause della questione e così facendo le sue decisioni non avrebbero prodotto alcun miglioramento riguardante la discriminazione e le disuguaglianze razziali, che sarebbero rimaste sostanzialmente identiche a quelle del ‟65.

Proprio il disinteresse sarebbe la chiave di lettura per comprendere i nuovi tumulti, opera di uomini che si considerano invisibili in quanto afroamericani: loro stessi infatti secondo quanto riportato dallo stesso Cesareo a “Newsweek” si chiedevano, arrivati a questo punto, se l‟amministrazione americana fosse effettivamente in grado di risolvere il problema razziale, che, nonostante i progressi fatti nei diritti civili sembrava peggiorare sempre di più, sfuggendo completamente di mano alle autorità184.

Ancora una volta veniva dunque ribadita la fine della fase integrazionista, ovvero la fase dei sit-in e delle marce pacifiche, definita nel seguente articolo come lo stadio della protesta in cui i neri “si esercitavano a ricevere sputi in faccia dagli

183

Giovanni Cesareo, Trema la “Grande società” nella calda estate negra, “l’Unità”, 25 luglio 1967.

184

89

avversari185”. Un linguaggio “alla Malcolm X” che però sembrava sempre più teso a saldarsi alle nuove tematiche tendenti ad affermarsi nel dibattito pubblico, in primo luogo la guerra in Vietnam; in tal senso la battaglia pareva allontanarsi dai confini della razza e assumere le sembianze di una lotta contro gli imperialismi186. Almeno questo si auspicava Cesareo, il quale vedeva la questione razziale come uno dei molteplici aspetti di un modello sociale, economico e politico, quello statunitense, che doveva essere messo in discussione. Gli afroamericani, da parte loro, occupavano una posizione marginale in questo schema e, secondo molti sostenitori del Black power, essi rappresentavano i principali esponenti di una lotta che doveva essere condotta in primo luogo contro “l‟imperialismo interno”. Ad esempio la guerra in Vietnam aveva una propria parte dentro la seguente logica, basti pensare ai soldi che venivano investiti nel conflitto, i quali sarebbero stati, da un punto di vista potenziale, soldi tolti a programmi sociali destinati anche gli afroamericani.

In virtù dell‟interpretazione dello stesso giornalista de “l‟Unità” pertanto la battaglia dei neri residenti nei ghetti diveniva la battaglia di “milioni di uomini che vogliono rovesciare il capitalismo e cambiare il mondo187”. Sembrava essere questa allora la speranza che lo stesso organo del Partito comunista riponeva in quelle che venivano percepite come le nuove lotte dei neri, lotte che avrebbero dovuto spostare l‟attenzione dalla richiesta di miglioramenti specifici sul tema dei diritti ad una più ampia lotta contro capitalismo ed imperialismo.

Le rivolte quindi erano viste da “l‟Unità” come una fase necessaria di un‟auspicata rivoluzione afroamericana alla quale avrebbero dovuto tuttavia partecipare anche gli operai e gli studenti bianchi.

A fianco all‟articolo erano state comunque inserite anche delle tabelle con dei dati statistici provenienti da “Daedalus”, giornale dell‟Accademia americana di arti e scienze, riguardanti le disparità sociali ed economiche tra bianchi e neri. Innanzitutto veniva inserito il confronto tra gli afroamericani che abitavano nelle zone più povere e la media nazionale dei bianchi per alcune fondamentali condizioni di vita come la mortalità infantile o il numero dei laureati. Per quanto riguarda il primo punto la

185

Giovanni Cesareo, Trema la “Grande società” nella calda estate negra, “l’Unità”, 25 luglio 1967.

186

Ibid.

187

90

percentuale ogni mille abitanti era il 46,9% tra gli afroamericani e il 22,3% tra i bianchi; i laureati neri allo stesso tempo erano il 3,6% contro il 15,6% dei bianchi mentre le case dotate di impianti igienici completi dei primi erano il 23,1% e quelle dei secondi il 79,7%. Nell‟ambito della disoccupazione veniva analizzato il periodo che andava dagli anni „30 agli anni ‟50: in questo arco di tempo la situazione sarebbe