• Non ci sono risultati.

LE OLIMPIADI DI CITTA‟ DEL MESSICO 1968: IL GESTO DI TOMMIE SMITH E JOHN CARLOS

CAP 3: NEL CUORE DELLA PROTESTA: LA “CALDA ESTATE NEGRA” DEL 1967 E IL 1968.

3.3 LE OLIMPIADI DI CITTA‟ DEL MESSICO 1968: IL GESTO DI TOMMIE SMITH E JOHN CARLOS

Le tensioni razziali comunque non si sarebbero manifestate solamente nelle periferie delle grandi città attraverso proteste e tumulti ma avrebbero interessato anche altre tipologie di contesti. L‟assenza di nuovi gravi disordini dopo quelli avvenuti in seguito alla morte di Martin Luther King infatti non significava che la situazione fosse tranquilla e che la rabbia degli afroamericani fosse scomparsa. Anzi, nel 1968 le idee radicali del Black power erano ancora molto diffuse e anche il Black Panther Parthy, come si vedrà nel capitolo successivo, si sarebbe dimostrato particolarmente attivo.

295

Carlo Casalegno, Nessun sacrificio è inutile, “la Stampa”, 9 aprile 1968.

296

127

In un simile quadro dunque la questione razziale arrivò a travolgere anche lo sport nella sua manifestazione più celebre, le Olimpiadi: il 16 ottobre 1968 infatti gli afroamericani Tommie Smith e John Carlos, arrivati rispettivamente primo e terzo nella finale dei 200 metri piani, decisero di partecipare alla premiazione indossando ciascuno un guanto di pelle nera, simbolo distintivo del Black Panther Parthy, alzando il pugno in segno di protesta. Il gesto inoltre fu accompagnato da altri carichi di significato, come la decisione di indossare calzini neri e di non portare le scarpe in rappresentanza delle loro umili origini.

L‟episodio destò scalpore e giunse inaspettato; tuttavia non si può dire che non vi fosse stata una preparazione: Smith e Carlos infatti si erano avvicinati da tempo alle idee di Harry Edwards, discobolo, nonché giocatore di basket e radicale sostenitore dei diritti degli afroamericani in ambito sportivo e universitario, dopo averlo conosciuto presso l‟Università di San Josè. Lo stesso Edwards nel 1967 aveva fondato l’Olympic Project for Human Rights297, un‟organizzazione vicina alle istanze delle Black Panthers che si era peraltro prefissata l‟ambizioso obiettivo di boicottare le Olimpiadi dell‟anno seguente, tenendo anche conto che il Presidente del CIO (Comité International Olympique)298 Avery Brundage, era conosciuto per le sue idee razziste (presiedeva un circolo in California in cui era vietato l‟ingresso ai neri e agli ebrei). In più a Brundage veniva rimproverato di aver detto nel 1935, poco prima dei Giochi olimpici di Berlino: “Gli ebrei devono capire che non possono usare le Olimpiadi per boicottare il nazismo” e nel 1936: “gli ebrei tedeschi sono soddisfatti del trattamento usato verso di loro dal regime nazista299”.

Ciò che la nuova organizzazione denunciava in ambito sportivo d‟altra parte era il riflesso di una discriminazione che veniva contestata a livello generale e che, sulla base di questi concetti, era in grado di permeare ogni strato della società americana. Un boicottaggio sistematico e ben pianificato tuttavia sarebbe stato particolarmente complicato da attuare così i due atleti, cogliendo di sorpresa gran parte dell‟opinione pubblica, decisero di organizzarsi individualmente.

297

www.repubblica.it, Sono uguale a voi quel volto bianco accanto ai pugni neri.

298

Comitato Olimpico Internazionale.

299

128

Come riportato da “l‟Unità” Smith e Carlos chiarirono i motivi della loro protesta in conferenza stampa, alla quale parteciparono entrambi nonostante fosse prevista solitamente solo per il vincitore. Insieme a Smith quindi partecipò anche Carlos, peraltro il più disinvolto dei due di fronte alle telecamere. A quest‟ultimo un dirigente della squadra americana cercò di impedire che le sue parole venissero tradotte in spagnolo e francese dato che, a suo parere, non avevano alcuna attinenza con la gara300. Una delle affermazioni che più fecero scalpore comunque fu fatta da Smith: “poiché abbiamo vinto si dice che hanno vinto due americani, se avessimo perso avrebbero perso due negri301” il quale poi avrebbe ripetuto: “scrivetelo che i negri d‟America non vogliono più essere trattati come una razza inferiore, che soffrono e che lottano302”. Carlos aggiunse poi parole ancora più dure:

”Avete parlato del nostro tentato boicottaggio delle Olimpiadi perché i negri vi interessano solo all‟avvicinarsi delle gare. Ci considerate cavalli da esibizione, scimmie o bambini prodigio, voglio che mi consideriate un uomo303”.

Egli attraverso le sue parole volle probabilmente sottolineare uno stato d‟animo che teneva dentro sé da tempo; si sentiva infatti niente più che un “cavallo da esibizione” e ciò stava a sottintendere la condizione disumanizzante alla quale si sentiva sottoposto. Anche Smith sottolineò più volte questo concetto durante la conferenza stampa, dato che, una volta tornato a casa, era certo di ritornare ad essere denigrato per il colore della pelle, al di là dei propri meriti sportivi. I suoi timori peraltro erano fondati in quanto la maggior parte della stampa americana si sarebbe schierata contro il gesto dei due atleti.

Per quanto riguarda i giornali italiani invece “l‟Unità” si schierò con i protagonisti della vicenda criticando fortemente la decisione della squadra olimpica americana di espellerli dal villaggio olimpico.

300 “L’Unità”, 17 ottobre 1968. 301 Ibid. 302 Ivi. 303

Francesco Rosso, Clamorosa ma nella sede sbagliata la protesta dei due campioni neri, “la Stampa”, 18 ottobre 1968.

129

Quest‟ultimo episodio peraltro, come fatto notare dallo stesso quotidiano comunista, avvenne la notte, probabilmente per evitare la presenza di giornalisti che infatti, quando si presentarono sul posto, non trovarono nessuno se non un altro atleta nero, il quattrocentista afroamericano Lee Evans, in lacrime per quanto successo. Evans però si rifiutò di lasciare qualsiasi dichiarazione, segno che probabilmente le pressioni dei dirigenti americani al fine di evitare che la squadra si spaccasse erano state molto forti304.

Il quotidiano del PCI tuttavia avrebbe ipotizzato una serie di proteste dello stesso tenore di quella di Smith e Carlos che alla fine si verificarono solo in minima parte. Ad esempio l‟otto di canottaggio, formato da bianchi che avevano fatto trapelare la minaccia di non gareggiare qualora i due atleti di colore non fossero stati integrati, partecipò regolarmente alla competizione. Chi dichiarava invece l‟inutilità del gesto veniva definito come “zio Tom” o come “personaggio disposto ad accettare la subalterna collaborazione con i bianchi” come ad esempio il celebre velocista nero Jesse Owens, trionfatore delle Olimpiadi di Berlino del 1936, “il cui mito è caduto dal momento che si è schierato con i bianchi305”.

Allo stesso tempo “l‟Unità” avrebbe esaltato i gesti di solidarietà di alcuni atleti come il lunghista Ralph Boston che durante la premiazione avrebbe indossato il cappello delle Black Panthers in polemica contro la decisione della delegazione americana. Ciò allo stesso tempo mise sotto pressione il CIO e la stessa delegazione americana che si sarebbero affrettate a difendersi dalle accuse di razzismo affermando che i due atleti erano stati solamente puniti per la loro indisciplina306.

Lo stesso CIO come riportato dal “Corriere della Sera”, che da parte sua mantenne una posizione di maggiore neutralità sulla questione, aveva diramato un comunicato incentrato non tanto sulla questione razziale ma piuttosto sul presunto oltraggio alla bandiera che Smith e Carlos avrebbero commesso attraverso la loro azione:

“Uno dei principi basilari dei Giochi olimpici è che la politica non vi abbia alcuna parte. Questo principio è stato accettato con entusiasmo da tutti. Ma due atleti degli Stati Uniti, in una cerimonia di

304 “L’Unità”, 18 ottobre 1968. 305 Ibid. 306 Ivi.

130

vittoria, hanno deliberatamente violato questo principio approfittando dell‟occasione per una manifestazione politica307”.

Anche in virtù di simili parole è stato ipotizzato che fosse stato proprio il CIO a fare pressione sulla delegazione americana affinché i due atleti neri fossero espulsi; infatti, qualora non fossero stati allontanati Smith e Carlos, probabilmente sarebbe stata espulsa l‟intera squadra americana.

Il quotidiano milanese inoltre non si sottraeva dal notare come la questione fosse particolarmente spinosa e delicata dato che gli atleti afroamericani portavano in dote al team americano un gran numero di medaglie. Era però anche e soprattutto una questione politica; lo stesso “Corriere” riportava come la già citata organizzazione di Edwards si proponesse di utilizzare gli atleti di colore e i loro risultati per mettere in risalto la battaglia condotta da organizzazioni radicali afroamericane come lo stesso

Black Panther Party308.

Politicizzare le Olimpiadi dunque significava accendere ancora una volta i riflettori su una questione che continuava ad essere considerata aperta. Il Comitato Olimpico tuttavia era ben a conoscenza dei rischi che ciò poteva comportare e decise di rispondere con forza pur facendo attenzione a non innescare situazioni che potessero a loro volta far esplodere le solite tensioni razziali.

Ben più netto era invece in tale situazione il commento de “la Stampa” la quale riteneva fuori luogo la protesta dei due atleti afroamericani, definita con l‟aggettivo “claunesca” come se i due avessero messo in piedi una sorta di spettacolo309

. Era questa infatti anche la posizione di molti giornali americani che avevano parlato di “show del Potere Nero” cercando di sminuire in questo modo il significato dell‟episodio.

Lo stesso quotidiano torinese, tramite un articolo scritto dal giornalista Francesco Rosso, a tale proposito si chiedeva infatti quali fossero le reali intenzioni dei due atleti e accusava Smith e Carlos di aver cercato di impressionare il pubblico con il

307

Paolo Bugialli, La squadra USA minacciata di espulsione rimanda a casa i due negri della “protesta”, “Corriere della Sera”, 19 ottobre 1968.

308

Ibid.

309

131

loro comportamento310. Il risultato sarebbe stato l‟ostentazione di un atteggiamento che, a suo avviso, poco aveva a che fare con le Olimpiadi; se infatti secondo lui Brundage poteva anche essere considerato un razzista, tale accusa non poteva essere rivolta alla manifestazione che aveva messo in evidenza un alto numero di atleti neri. Sulla base di tale linea interpretativa dunque la sede scelta per la protesta sarebbe stata sbagliata.

Rosso tuttavia criticava anche l‟episodio in sé definito come il risultato dell‟iniziativa di alcuni singoli come Carlos, “il più estremista” degli atleti afroamericani in gara311

. Non tutti infatti la pensavano come lui e Smith, i quali evidentemente non erano riusciti a trovare un‟unità di intenti con gli altri compagni, e per questo, secondo lo stesso giornalista, questi avrebbero dovuto lasciare il posto ad altri atleti più inclini a rispettare lo spirito olimpico.

Certo è che i due pagarono un altissimo prezzo per il loro gesto: una volta tornati negli Stati Uniti sarebbero stati oggetto di lettere minatorie e minacce di morte, non avrebbero più partecipato ad alcuna manifestazione olimpica e sarebbero stati messi sotto controllo per dieci anni dall‟FBI, segno che gran parte della società americana probabilmente non era ancora in grado di reagire in maniera tollerante ad una forma di protesta, anche puramente simbolica.

L‟episodio comunque assume un certo interesse ed un certo rilievo in questa sede anche perché fu quello che più di tutti contribuì a far conoscere, anche se indirettamente, il Black Panther Party all‟opinione pubblica internazionale; e proprio del BPP ci si occuperà nel prossimo capitolo.

310

Fracesco Rosso, Clamorosa ma nella sede sbagliata la protesta dei due campioni neri, “la Stampa”, 17 ottobre 1968.

311

132