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CAP 2: L‟AVVIO DELLA RADICALIZZAZIONE

2.1 LA RIVOLTA DI WATTS

Tornando agli Stati Uniti, il momento cardine, capace di segnare l‟avvio di una nuova fase nella storia delle rivendicazioni politiche degli afroamericani fu la rivolta di Los Angeles, che riguardò in particolar modo il quartiere di Watts. Il riot di Watts inoltre non sarebbe rimasto isolato ma piuttosto sarebbe stato il primo di una serie di gravi tumulti capaci di sconvolgere l‟opinione pubblica statunitense e non solo: come fa notare Cartosio infatti, esse colpirono direttamente il “cuore pulsante” dell‟America e non aree considerate marginali ed arretrate82.

Prima di addentrarci nella questione occorre comunque ricordare che il Movimento per i diritti civili aveva ottenuto, grazie alle proprie battaglie, l‟approvazione da parte del Congresso prima del Civil Rights Act, nel luglio 1964, e poi del Voting Rights Act, sottoscritto dal presidente Johnson il 6 agosto 1965. Paradossalmente, solo sei giorni dopo, l‟11 agosto dello stesso anno, a Los Angeles, avvennero gli scontri, capaci di durare fino al 15 dello stesso mese, di causare 34 morti e quasi 4000 feriti. Le violenze comunque non nacquero all‟improvviso: l‟elemento scatenante infatti fu l‟arresto e la presunta aggressione di un ragazzo di colore, Marquette Frye, dopo essere stato accusato di guida in stato di ebbrezza.

Frye era un giovane di Los Angeles piuttosto inquieto proveniente dal Wyoming; l‟11 agosto venne fermato da un agente della polizia stradale della California, Lee Minikus che prima lo rimproverò di guidare troppo velocemente e poi, dopo essersi avvicinato, lo accusò di avere bevuto83. Questi sospetti vennero probabilmente confermati da alcuni test alcoolici che convinsero Minikus e i suoi colleghi ad arrestarlo. Di fronte al fermo il ragazzo protestò chiedendo con forza di non essere arrestato ma i poliziotti lo bloccarono provando a portarlo via; nel frattempo però si era radunata una folla di persone che non gradiva il comportamento di quest‟ultimi. Secondo Robert Conot la diffidenza nei confronti del consueto atteggiamento della polizia nel quartiere aveva creato una situazione di concreta sfiducia e risentimento

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Bruno Cartosio, Gli “anni sessanta” di cui si parla. Politica e movimenti sociali, in Acoma n. 15 1999, p. 15.

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nei confronti di qualsiasi agente84. Da qui si accesero gli scontri che causarono l‟immediato di fermo di altri tre afroamericani, tra cui la madre e il fratello di Frye che erano accorsi a difenderlo85.

I tumulti si configurarono perlopiù come dei violenti disordini, manifestatisi in maniera spontanea; perciò, sulla carta, sembravano non avere alcun elemento costruttivo, nessun obiettivo immediato in quanto caratterizzati da lanci di oggetti, incendi di auto e altri tipi di violenze anche se, allo stesso tempo, sarebbero stati interpretati come il prodotto di una rabbia repressa da decenni86.

L‟episodio avvenne infatti inaspettatamente e sconvolse una buona parte dell‟opinione pubblica insieme ad un establishment che si era convinto di avere messo la parola fine sulle proteste degli afroamericani grazie alla nuova legislazione sui diritti civili. In realtà il periodo più violento delle proteste, che avrebbe coinvolto oltre 250 città e causato 220 vittime, era appena iniziato e sarebbe durato fino al 1968. Non era stato considerato infatti che la contestazione della minoranza afroamericana non aveva ancora toccato gli stati del Nord, dove i problemi erano diversi rispetto al Sud ma altrettanto ben radicati. Essi, come si vedrà, riflettevano infatti una discriminazione ben presente sul piano economico e sociale nonostante, al contrario degli stati del Sud, non fosse presente la segregazione.

Bisogna dire inoltre che, nonostante questa non fosse la prima rivolta all‟interno di un ghetto nero, essa segnò comunque uno spartiacque nel contesto della più recente storia degli afroamericani: la nuova fase infatti sarebbe stata tale in quanto non più basata sul principio della non violenza e, pertanto, né guidata né intercettata da Martin Luther King e dal resto della classe dirigente a capo del Movimento per i diritti civili87.

84 Robert Conot, L’estate di Watts, Rizzoli, Milano 1970, pp. 11-38.

85 L’episodio dell’arresto di Frye è stato ricostruito dall’autore usando i documenti del Los Angeles County

District Attorney, relativi alle indagini svolte in merito agli arresti, la copia del verbale del processo di Rena Frye

(la madre di Marquette Frye), tenutosi nell’ottobre 1965 e le interviste concesse dagli agenti Lee Minikus, Bob Lewis, Veale J. Fondville e dal sergente Richard Rankin.

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Enrico Beltramini, L’America post-razziale. Razza, Politica e Religione dalla Schiavitù a Obama, Einaudi, Torino 2010, p. 120.

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I fatti del 1965 quindi non avrebbero rappresentato, secondo Robert Conot, un momento isolato ma piuttosto una probabile svolta nei rapporti tra bianchi e afroamericani negli Stati Uniti. Secondo lui infatti i moti di Los Angeles simboleggiavano lo nascita di un nuovo atteggiamento nei confronti dei bianchi, che non prevedeva né la passività né la protesta non violenta: “a Los Angeles i negri hanno lasciato intendere che non erano più disposti a porgere l‟altra guancia e che, se frustati e provocati, si sarebbero ribellati, fosse appropriata o meno la reazione della violenza88”.

Inoltre, non secondariamente, gli stessi tumulti mettevano in evidenza come il modello della segregazione si riflettesse anche nelle aree urbane del Nord, nonostante l‟assenza di leggi segregazioniste, producendo peraltro effetti paradossali: gli afroamericani a Watts, secondo lo stesso Conot, avrebbero dimostrato come essi, isolati in porzioni periferiche della città, costituissero ormai un nucleo di potere negli agglomerati urbani e che, in simili circostanze di aperta ribellione, avrebbero potuto far valere questa posizione creando particolari difficoltà alle autorità. I ghetti neri infatti erano così estesi da configurarsi come delle “città nelle città” dove gli afroamericani vivevano isolati e marginalizzati rispetto ai quartieri dei bianchi, mentre al Sud invece, nonostante una segregazione razziale che aveva avuto fino ad allora valore giuridico, le strutture economiche e sociali erano tali da rendere i contatti continui ed inevitabili89.

Anche in Italia l‟evento trovò impreparati molti, stampa compresa, la quale non a caso iniziò a riservare spazio e prime pagine solo alcune giornate dopo lo scoppio dei disordini. “L‟Unità” ad esempio dette rilevanza all‟avvenimento solamente a partire dal 14 agosto, comprendendo probabilmente solo in quel frangente la portata e il valore delle proteste e aprendo con un articolo dal titolo: “Grandi folle di neri

oppressi insorgono contro la polizia e la Guardia nazionale”. Per l‟organo del Partito

comunista infatti le violenze non potevano essere spiegate senza prima prendere in considerazione le rivendicazioni degli afroamericani coinvolti nella “più grande rivolta della storia di Los Angeles“90. D‟altronde i tumulti, iniziati come detto in seguito

88 Robert Conot, L’estate di Watts, Rizzoli, Milano 1970, p. 7.

89 Ibid., pp. 7,8.

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all‟arresto di un afroamericano per guida in stato di ebbrezza, andavano avanti da ben due giorni e avevano visto l‟arresto di 100 afroamericani (definiti nell‟articolo “negri”) e l‟impiego di circa 900 agenti di polizia. Tra i feriti veniva riportata anche la presenza illustre dell‟attore afroamericano Dick Gregory, colpito da un proiettile vagante mentre cercava di ristabilire la calma all‟interno della comunità.

I disordini erano invece destinati a trasformarsi in una sorta di sommossa sostenuta da buona parte della popolazione nera: non a caso il 12 agosto centinaia di manifestanti si sarebbero radunati ad Athens Park dichiarando l‟intenzione di proseguire gli scontri all‟insegna della disobbedienza civile; il raduno sarebbe stato poi trasmesso in diretta dal canale CBS, dando agli stessi afroamericani coinvolti l‟impressione di essere per la prima volta il principale oggetto dell‟interesse mediatico, insieme al loro punto di vista91.

Dopo il ferimento di Gregory comunque la folla avrebbe nuovamente invaso le strade saccheggiando anche alcuni negozi e trasformando il quartiere di Watts, in particolar modo la zona tra la Imperial street e la Avalon street nel teatro di una vera e propria guerriglia tra manifestanti e poliziotti, alcuni dei quali furono costretti, secondo la testimonianza di una giornalista del posto, a riparare nelle case con le armi in pugno. In questo contesto anche il parroco di Los Angeles Leon Washington, secondo quanto riportato nell‟articolo, avrebbe chiesto l‟immediato ritiro delle forze di polizia ritenendolo l‟unico modo per fermare gli scontri e riportare la calma tra la folla92

. Tuttavia il punto di vista dei poliziotti era diverso come si nota dall‟intervista fatta ad uno di loro; convinto che non esistesse alcun motivo che potesse giustificare disordini di una simile portata93.

Il culmine degli stessi disordini sarebbe stato raggiunto alle 22:00 quando la situazione era diventata talmente grave da richiedere l‟intervento della Guardia nazionale: la Guardia nazionale, National Guard of the United States, era, ed è ancora, quella forza militare composta di riservisti arruolati su base volontaria che venivano chiamati in caso di emergenza. Non a caso probabilmente, la tregua

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Robert Conot, L’estate di Watts, Rizzoli, Milano 1970, pp. 178,179.

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Grandi folle di negri oppressi insorgono contro la polizia, “l’Unità”, 14 agosto 1965.

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sarebbe arrivata intorno alla mezzanotte, interrotta però, nel corso della notte stessa, da incidenti altrettanto gravi.

Ciò che più interessa è tuttavia l‟interpretazione che i quotidiani italiani dettero di questi fatti: la causa principale dei tumulti, nonostante fossero esplosi da pochi giorni, venne immediatamente fatta risalire da “l‟Unità” al razzismo insito all‟interno della società americana, capace di riflettersi in varie di tipologie di situazioni concrete; dalla violenza della polizia alla mancanza di abitazioni passando dall‟isolamento nei ghetti e dalle condizioni di lavoro discriminatorie94.

Su “la Stampa” invece il taglio dato alle rivendicazioni degli afroamericani era molto meno critico nei confronti delle autorità e molto meno concentrato sulle responsabilità storiche dell‟America bianca. Piuttosto le colpe venivano fatte ricadere sull‟ “Altra America”, quella rappresentata dai neri, colpevoli di avere scatenato una sorta di guerra civile nella città di Los Angeles. Rispetto a “l‟Unità” dunque i toni utilizzati erano molto più severi e preoccupati e non lasciavano spazio a particolari tentativi di comprensione riguardo le azioni dei protagonisti: solo al termine del pezzo infatti l‟autore ipotizzava che le radici della protesta sarebbero potute essere più profonde95.

La prospettiva adottata sembrava pertanto coincidere, secondo la stessa linea editoriale, con il punto di vista delle autorità:

“Tutti i negozi, per 5 chilometri, sono devastati, un centinaio di case in fiamme, l‟aria è irrespirabile per il fumo degli incendi, cecchini appostati sui tetti sparano sui passanti, i negozianti bianchi montano la guardia davanti alle loro botteghe imbracciando il fucile; neppure 10.000 uomini con i carri hanno potuto domare i tumulti iniziati mercoledì96”.

Si trattava quindi, secondo quanto riportato, di una città dominata da un‟atmosfera irreale e da un clima di guerra caratterizzato anche dalla presenza di cecchini

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Grandi folle di negri oppressi insorgono contro la polizia, “l’Unità”, 14 agosto 1965.

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I negri di Los Angeles in rivolta saccheggiano ed incendiano, “la Stampa”, 15 agosto 1965.

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afroamericani appostati sui tetti; proprio uno di loro avrebbe ucciso lo sceriffo ventisettenne Ronald Widlow97.

Los Angeles veniva pertanto descritta come sotto assedio e preda di un clima di estrema violenza che nessun tipo di rivendicazione riguardante il miglioramento delle condizioni di vita avrebbe potuto giustificare, considerato che la qualità della vita dei neri del Nord era migliorata nel corso dell‟ultimo decennio ed era comunque migliore di quelle dei neri del Sud.

Un‟altra differenza con “l‟Unità” risiedeva nel riportare l‟appello del presidente Johnson in seguito ai fatti appena citati: Il presidente, descritto come “sconvolto dai fatti”, all‟indomani del primo giorno di scontri avrebbe fatto un appello dal suo ranch del Texas dichiarando che il governo federale sarebbe stato pronto a mettere a disposizione delle autorità della California tutte le risorse e l‟assistenza necessarie98

. Al di là di questa prassi comunque Johnson avrebbe chiesto anche la fine immediata dei disordini rivendicando i progressi fatti nei diritti civili e affermando che gli ulteriori diritti non avrebbero potuto essere ottenuti tramite l‟utilizzo della violenza. Questi ultimi sarebbero stati da lui definiti “atti di violenza senza pari” e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere puniti; in tal senso trovava contraddittorio sostenere l‟approvazione per leggi sui diritti civili e poi lasciare che venissero violate. Il monito era indirizzato quindi agli afroamericani riottosi dei ghetti, che egli distingueva dagli autori delle marce e dei sit-in pacifici al Sud, senza tuttavia trovare differenza tra le loro violenze e quelle del Ku-Klux-Klan, dato che entrambe attentavano, a suo modo di vedere, ai diritti della Costituzione.

L‟approccio de “la Stampa” era simile a quello del “Corriere della Sera” che il 14 agosto 1965 parlava dei fatti di Watts con un articolo dal significativo titolo “settemila

negri attaccano furiosamente la polizia”99. Il “Corriere” infatti condivideva con “la

Stampa” un approccio critico nei confronti delle azioni degli afroamericani; in particolare venne dato molto spazio all‟episodio scatenante la protesta riportando dettagli che dalle altre testate erano stati tralasciati: dopo aver fermato la macchina e avere accusato il giovane di guida in stato di ebbrezza infatti l‟agente sarebbe stato

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I negri di Los Angeles in rivolta saccheggiano ed incendiano, “la Stampa”, 15 agosto 1965.

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Ibid.

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oggetto di numerose offese da parte dello stesso Marquette Frye il quale avrebbe così chiamato in suo soccorso un elevato numero di afroamericani. Da qui si sarebbero poi scatenati gli scontri fino a richiamare l‟intervento, ritenuto indispensabile, della già citata Guardia nazionale.

Allo stesso modo il giorno seguente venne dato spazio all‟intervento del presidente Johnson il quale, come già in parte detto, si sarebbe dichiarato sconvolto dai fatti e avrebbe annunciato l‟invio di truppe aviotrasportate100

.

Il quadro continuava comunque ad essere caratterizzato dalla devastazione: negozi distrutti, macchine incendiate che ostruivano le strade e negozi di armi svaligiati. In questo contesto ogni oggetto rischiava di diventare uno strumento di lotta al servizio della cosiddetta “furia negra”, animata da circa 10.000 persone. La chiave interpretativa portava dunque a ridurre l‟evento ad una rivolta irrazionale, dominata dalla violenza e dall‟esagitazione: “facciamo fuori i bianchi era il grido della folla di colore esaltata101”. Questa narrazione lasciava tuttavia spazio alle azioni di quei neri disposti ad aiutare i “bianchi assaliti”, come lo stesso vescovo metodista afroamericano Morris, sceso in piazza, secondo quanto riportato dal giornalista del “Corriere”, “nonostante le minacce ricevute dalla sua stessa gente102”.

L‟articolo comunque non si sottraeva dal cercare più in profondità le cause della rabbia dei neri e a tale proposito venivano avanzate due ipotesi: da una parte gli scontri potevano avere avuto origine dal mancato riconoscimento delle richieste degli afroamericani da parte della polizia e delle autorità comunali, dall‟altra i gravi disordini avrebbero potuto rappresentare allo stesso tempo il prodotto del risentimento degli stessi afroamericani. L‟autore dell‟articolo, infatti ricordava che il quartiere di Watts era abitato prevalentemente da negri con un reddito procapite inadeguato e con un tasso di criminalità molto alto (più di 1000 reati in tre mesi)103. Gli aspetti di tipo economico e sociale erano tenuti in considerazione soprattutto da “l‟Unità”, la quale avrebbe ampliato la propria posizione sui disordini, vedendo in loro

100 Franco Occhiuzzi, Diciotto morti e centinaia di feriti per la furia negra a Los Angeles, “Corriere della Sera”, 15

agosto 1965. 101 Ibid. 102 Ivi. 103 Ivi.

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da una parte le contraddizioni e i limiti del paese leader del blocco occidentale e dall‟altra la vitalità di una minoranza pronta adesso a manifestare il proprio dissenso non solo tramite la non violenza ma anche attraverso nuove modalità.

Nel frattempo oltretutto gli scontri si stavano diffondendo anche in altre città come Chicago, in seguito alla morte di una donna colpita accidentalmente da un camion dei pompieri, dando l‟impressione che la protesta si stesse allargando a macchia d‟olio, superando i confini locali e coinvolgendo i ghetti di altre grandi città americane. A Long Beach ad esempio, come riportato dal “Corriere”, era stato ucciso un agente bianco di 23 anni, Richard Lefebvre104, dando conferma della diversa prospettiva adottata dai due giornali: se il quotidiano del PCI infatti si occupava solitamente delle vittime afroamericane, il “Corriere” al contrario si concentrava sulle biografie degli agenti e dei bianchi deceduti. Non a caso il “Corriere” medesimo riportava anche le parole rilasciate dal capitano della polizia di Long Beach, convinto della necessità di tutta la forza possibile per reprimere le violenze. Bisogna infatti non sottovalutare il fatto che, più i disordini e le contestazioni proseguivano nel tempo, più lasciavano l‟idea che negli Stati Uniti stesse nascendo un fenomeno nuovo, imprevisto e di elevatissima portata.

A tale proposito, insieme alle rivolte, anche nella città di Los Angeles, proseguiva la repressione, giudicata da “l‟Unità” come spietata ed eccessiva, il degno frutto di un regime di sfruttamento e discriminazione. Il 16 agosto, non a caso, il numero dei morti era salito a 33, tra cui 27 afroamericani uccisi per mano della polizia e della Guardia nazionale105.

I disordini erano dunque giunti al quarto giorno e per il governatore Brown era arrivato quindi il momento di parlare di una vera e propria insurrezione; al contrario, secondo “l‟Unità”, il termine più esatto e coerente da usare avrebbe dovuto essere “massacro indiscriminato da parte di polizia e Guardia nazionale nei confronti di cittadini americani di colore106”; sulla base di tale interpretazione infatti le autorità

104Franco Occhiuzzi, La violenza negra, domata a Los Angeles, esplode in altre città della California, “Corriere

della Sera”, 17 agosto 1965.

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Spietata la repressione razzista: assassini e rastrellamenti nel ghetto nero assediato, “l’Unità”, 17 agosto 1965.

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stavano mettendo in atto una repressione tanto ingiustificata e violenta da avere una chiara matrice razzista. Solo così poteva essere spiegata per il quotidiano la reazione della polizia, la quale avrebbe agito in maniera “ingiustificata e vile” provocando, come detto, più di 30 morti.

Una simile reazione era giudicata il risultato di un atteggiamento ottuso ed estremamente conservatore da parte delle autorità, atteggiamento che peraltro avrebbe ricevuto l‟appoggio di buona parte della stampa americana, interessata a mettere in evidenza in primo luogo l‟aggressività dei neri. Basti pensare al “Los Angeles Time”, importante quotidiano della città che parlava di paura e incredulità di fronte a questi fatti. Rimaneva in effetti l‟evidenza delle violenze che tuttavia all‟interno del quotidiano del PCI venivano interpretate come manifestazioni esasperate di una sofferenza caratterizzata a sua volta da un‟umiliazione pressoché quotidiana107.

La seguente tesi, e tutto ciò che ne conseguiva, era particolarmente evidente anche nell‟editoriale del 17 agosto a cura di Maurizio Ferrara dall‟eloquente titolo “C’è del

marcio nel mito americano108”. Già dal titolo, non caso, emergeva come la guerriglia

urbana di Los Angeles, secondo tale interpretazione, fosse stata in grado di “squarciare il velo di ipocrisia che permeava la società americana e che impediva di comprenderne le più crude contraddizioni”. Ciò valeva secondo lui anche per quei quotidiani italiani che, in un clima caratterizzato dalla contrapposizione bipolare, avevano assunto storicamente una posizione filoamericana e che, per tale motivo, tratteggiavano e mettevano in evidenza gli aspetti positivi della società americana. Ma c‟è di più: in questa sede emergeva infatti una questione che verrà più volte fuori all‟interno di questa trattazione, ovvero la connotazione classista assunta dalle rivolte dei ghetti. Essa sembrava infatti interessare i filocomunisti più di quanto lo facesse la dimensione razziale della protesta: la rivolta era quindi percepita in questo caso come la risposta classista e armata del movimento di emancipazione nero; gli afroamericani protestavano adesso anche in quanto poveri e ciò non passava

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Spietata la repressione razzista: assassini e rastrellamenti nel ghetto nero assediato, “l’Unità”, 17 agosto 1965.

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inosservato, anzi veniva valorizzato e messo in evidenza il più possibile secondo la