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Italo Roncador: un solco incisivo nel campo dell’agricoltura

Nel documento Annuario 2015-2016 (pagine 121-125)

Pensare a Italo Roncador e associarlo al Teroldego può sembrare una bana- lità che non gli rende merito perché l’orizzonte del suo impegno in agri- coltura è stato ben più ampio e con- sistente. Eppure non è sbagliato an- noverarlo subito tra i padri nobili di questo vitigno e di questo vino assie- me a personaggi come lo storiografo del Concilio Tridentino Michelangelo Mariani che, già nel 1679, ebbe a in- dicarlo fra i “vini muti trentini che fan parlare”; come il geografo e ambien- talista Cesare Battisti - martire irre- dentista proprio un secolo fa - che ne definì il sito di elezione, la Piana Rota- liana, come “il più bel giardino vitato d’Europa”; come Rebo Rigotti (1891- 1971), insigne genetista e sperimen- tatore agrario che a San Michele fu in

parte ispiratore proprio di Roncador; fino a Guido Gallo (1896-1996) che pose il Teroldego (non più Teroldico, 1937) a pilastro dei nostri prodotti di qualità definendolo “vino principe del Trentino”.

Ecco, Italo Roncador ha un posto nella storia anche per il Teroldego - non tanto perché il padre Marco fu direttore della Cantina sociale di Mez- zocorona dal 1948 al 1971 - quanto perché l’ha onorato ai massimi livelli della ricerca storica, risalendo dalla riscoperta del toponimo fino alla più completa caratterizzazione viti-eno- logica, promuovendone sperimen- tazioni e relazionando in convegni e congressi anche internazionali, fino a diventare uno dei più importanti stu- diosi in campo viticolo del Trentino.

Autoscatto Italo Roncador:

grappolo di vite Gosen (autunno 2000) ANGELO ROSSI

Italo Roncador

(dal necrologio: Mezzocorona, 21 ottobre 2009)

Con l’incarico di responsabile della sezione viticoltura alla Stazione spe- rimentale agraria e forestale, a San Michele ha lasciato un’ampia serie di studi e ricerche non solo su vitigni locali ed internazionali, condensando l’interesse e l’impegno anche per altre (allora nuove) coltivazioni: un esem- pio fra tutti quello sull’Actinidia (kiwi) descritta in Trentino nel 1978. Certamente era un esponente della scuola di pensiero classica appresa all’Istituto Cerletti di Conegliano, dove si era diplomato enotecnico nel 1963 (i primi a San Michele si diplomeranno nel ‘64), applicando il metodo scienti- fico sperimentale con l’obiettivo di ri- spondere ad esigenze pratiche (come la selezione di tipi varietali, praticata innanzitutto nel rispetto dei dettami biologici e agronomici, contrariamen- te al sempre più prevalente approccio per via genomica odierno). Esperien- ze svolte in prima persona, le sue, con meticolosità e caparbietà in campagna o laboratorio, sorrette da una chiara valutazione dei risultati ottenuti, pri- ma della divulgazione agli interessati con il corredo fotografico a suppor- to dei testi. Ci rimane così anche un

prezioso lascito di materiali genetici (incroci Rigotti e cloni di vitigni tradi- zionali) che testimonia ancor oggi il valore assoluto del personaggio per il vivaismo, la viticoltura e l’enologia nazionali, nel solco tracciato da Rigotti e dagli studiosi dell’epoca, soprattutto in materia di selezione di materiali e certificazione vivaistica. Sul substra- to culturale del pur solitario Rigotti si era, infatti, sviluppato un team di spe- rimentatori che all’epoca annoverava con Roncador anche gli indimenticati Olimpio Gosen e Claudio Nicolli che, a loro volta, hanno passato il testimone a ricercatori ancor oggi impegnati in FEM. Goldtraminer, Sennen e Gosen, oltre al noto Rebo sono ad esempio le varietà di vite “autoctone” ottenute da incrocio e oggi inserite nel Catalo- go Nazionale dove l’iscrizione – anche di cloni delle stesse varietà - non è scontata, ma che, accanto alla neces- saria documentazione, abbisogna di una volontà caparbia: quella che Italo Roncador (e collaboratori) non han- no mai fatto mancare e che a decenni dall’ottenimento costituiscono sicuri riferimenti produttivi per viticoltori ed enologi.

Italo aveva una sua “visione” delle cose, con quel suo fare suadente e determinato al contempo. Per ca- rattere era “affine” al pragmatico mondo tedesco, dove si era recato all’indomani del diploma e in seguito per approfondire lo studio del vivai- smo viticolo in funzione delle esigen- ze tecniche di un settore in continua evoluzione. Esperienze e competen- ze che ha portato alla Scuola di San Michele dove ha operato per oltre trent’anni dal 1968, dapprima nel ruolo speciale di esperto sperimen- tatore presso la Stazione regiona- le, poi dal 1979 quale responsabile nell’impostazione e realizzazione dei programmi della PAT. Ha curato i rapporti con analoghe istituzioni in Italia e all’estero nell’ambito delle applicazioni pubbliche della ricerca e sperimentazione (fu ad esempio, ispiratore, dal 1999, e primo segre- tario tecnico dal 2001, dell’Associa- zione dei Costitutori di materiali vi- ticoli selezionati, ACOVIT, con sede a San Michele ed ancor oggi nel 2016

sicuro riferimento ministeriale na- zionale); rapporti, quindi, puntual- mente curati come quelli mantenuti con singoli produttori, coinvolti sui temi del vivaismo e della selezione clonale, per la conduzione di prove sperimentali o vinificazioni o per migliorare la difesa antiparassitaria (oidio, peronospora, botrite). Le Istituzioni e i colleghi hanno rico- nosciuto il suo lavoro segnalandolo all’Accademia Italiana della Vite e del Vino dove fu socio dal 1989 e con- ferendogli la medaglia di Cangrande riservata ai “Benemeriti della vitivini- coltura italiana” nel corso del Vinitaly del 1996.

Dopo l’inquadramento nel ruolo uni- co di ricercatore nel 1994 a San Mi- chele, andò in pensione nel 2004 la- sciando oltre 150 pubblicazioni, per studi e sperimentazioni fra i quali, oltre al citato Teroldego, piace ricor- dare quelli per il recupero e rilancio del Groppello di Revò non meno del fondamentale riconoscimento

Italo Roncador Lisbona 2002,

viaggio di studio (al centro tra i colleghi A.Fabbro e M.Elisabetta Vindimian)

ufficiale in Italia dello Chardonnay (1978), del Meunier (1980), del Rebo e degli altri tre incroci Rigotti (1978 e 2002). A San Michele all’Adige circa una quarantina di apprezzati cloni di vite europea da 12 vitigni tradizionali e da 6 vitigni ibridi portainnesto por- tano il suo sicuro “stampo”, traccian- do quel solco – riguardo a “materiali e metodi” perseguiti – che è ancora conservato nelle successive attività di sperimentazione e selezione, tut- tora in corso, cui se ne aggiungono, tra cloni già riconosciuti o in via di registrazione ufficiale, una ventina. La locuzione latina “Nomen omen” per cui è spesso credibile il destino di una persona per il nome che por- ta, anche in questo caso trova con- ferma. Se è vero, infatti, che i “ron- cadori” storici disboscavano i terreni per renderli idonei alla coltivazione, ha ragione Umberto Malossini - erede professionale dell’amico Ita- lo - nel sintetizzarne l’operare come quello di chi “apriva un solco”, ed è perciò naturale mutuare il pensiero

rievocativo di Malossini, espresso al Convegno degli ex allievi di Co- negliano due anni fa: “Italo Ronca- dor è stato elemento catalizzante per svariate attività durante quasi un quarantennio di esperienze; ciò ha portato a un sicuro e tangibile miglioramento qualitativo nei ma- teriali di moltiplicazione della vite, non solo in Trentino, con indubbia ripercussione sulla coltivazione dei vigneti e sull’ottenimento dei relati- vi prodotti enoici. Competenze e ca- pacità fuori dal comune, associate a una caparbietà e orgoglio, anche nei momenti difficili del lavoro e della vita: una malattia che non perdona ci ha privati (il 21 ottobre 2009) di un grande uomo, lasciando in noi colleghi (italiani e stranieri) il ricordo delle Sue qualità. Tra queste, per- sonalmente ritengo sia dote molto rara, Italo riusciva spesso a trovare la soluzione più semplice e prati- cabile a problematiche complesse, con “estro” e competenza davvero eccellenti”.

Vista del CIF (Centro Istruzione e Formazione) dai vigneti

Nel documento Annuario 2015-2016 (pagine 121-125)