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L’in iziale approvazione del «Corriere» per la scelta della neutralità

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 61-68)

1.2 La questione adriatica nelle pagine del «Corriere della Sera»: analisi degli articoli dall’eccidio di Sarajevo al “maggio radioso”

1.2.2 L’in iziale approvazione del «Corriere» per la scelta della neutralità

Pur nell’equilibrio della descrizione dell’attacco austriaco alla capitale serba, il giornalista della testata di Albertini non può esimersi dall’esprimere il proprio stupore per un’azione militare incomprensibile nella sua crudeltà, dato che l’Austria è perfettamente al corrente del fatto che Belgrado sia una città completamente inerme, poiché il Governo serbo, ben sapendo che la città non aveva alcuna protezione contro un’invasione nemica, si era tempestivamente trasferito a Niš. Sottolineare, sia pure con la consueta misura in perfetto stile "da «Corriere»", l'inopportunità della manovra austriaca assume, in un giorno di forte importanza storica come il 2 agosto 1914, un significato particolare. In questa data, infatti, viene dichiarata ufficialmente da Salandra la neutralità italiana rispetto al conflitto.

1.2.2 L’iniziale approvazione del «Corriere» per la scelta della neutralità

Il giorno precedente alla dichiarazione ufficiale di neutralità, 1o agosto, il «Corriere» anticipa la notizia con il fondo in prima pagina intitolato: L’ultimatum

– La neutralità dell’Italia. Si tratta di una cronaca-commento esaustiva che alterna

la sintetica notizia, comunicata per telefono da Roma e aggiornata due volte, dell’ultimatum dettato dalla Germania alla Russia e alla Francia e delle motivazioni per cui l’Italia si dichiarerà neutrale (il mancato casus foederis), al

commento, non firmato, della situazione ormai compromessa considerata dal punto di vista degli interessi italiani:

Se fosse possibile immaginare che un atto di estrema gravità come quello del duplice

ultimatum rivolto dalla Germania alla Russia e alla Francia potesse ancora dar adito a una

speranza di ulteriore opera diplomatica, l’attesa del mondo civile potrebbe durar ancora – non osiamo dire qualche giorno – qualche ora e la vacillante speranza alimentarsi ancora della stessa visione di orrore che è la visione d’una guerra europea. Ma all’ultimatum della Germania la Russia e la Francia non hanno che una sola risposta da dare: l’invio degli eserciti alle frontiere. Così l’incubo che è gravato sul mondo per una settimana diviene la più spaventosa delle realtà. Tutta la nostra umanità si rivolta contro un simile scatenamento di violenza guerriera, ma tutta la nostra ragione ci obbliga a vedere nella storia che comincia, non il capriccio di uomini, non il giuoco di ambizioni dinastiche o partigiane, ma l’epilogo fatale di un contrasto di forze dibattentisi da lunghi anni entro i confini di questa tragica Europa che serra in sé troppe e troppo antiche e troppo profonde discordie. La pace armata, la pace custodita dai cannoni e dalle corazzate, la pace assisa sui cumuli delle armi,

muore della morte a cui si sentiva andar incontro.53

Il tono è accorato per la perdita della pace in Europa, per il cui mantenimento Albertini e i suoi collaboratori, negli anni precedenti al 1914, avevano deciso di tacere diverse notizie relative a irregolarità commesse dall’Austria. Tuttavia, c’è l’ammissione che quella pace era soltanto un temporaneo armistizio, una tregua in vista di nuove lotte che sarebbero inevitabilmente scoppiate; il riferimento alle discordie “troppe e troppo antiche e troppo profonde” è certo volto agli attriti esistenti tra Austria e Serbia, tra Russia e Germania, ma non è impossibile leggere tra le righe un’allusione anche al precario equilibrio e alla poco salda fiducia reciproca presenti all’interno della Triplice Alleanza. Ma ancora non è tempo di aperte recriminazioni sulle pagine del prudente «Corriere», tanto che l’articolo prosegue:

L’Italia in questo momento sembra avere, per privilegio del destino, il compito di spettatrice. Si afferma autorevolmente che il modo come la grande guerra si determina le consenta, nel più leale rispetto del trattato, il più chiaro diritto di mantenersi neutrale.54

Il «Corriere della Sera» riconferma dunque il diritto alla neutralità della Penisola, per i motivi esposti già in numerosi articoli, e soprattutto insiste nello spiegare agli italiani che l’astenersi dal partecipare alla guerra da parte dell’Italia è assolutamente compatibile con la lealtà verso il contratto sancito dalla Triplice Alleanza e con il conseguente mantenimento di rapporti cordiali con le altre due Potenze. Del resto, dichiararsi neutrali, almeno nel primo concitato incrociarsi di

ultimatum e relative risposte è, in questo periodo storico, quasi un obbligo

stabilito da “regole non scritte” di politica internazionale; è necessario farlo soprattutto per l’Italia che si trova, come ricordato, in un momento assai difficile anche per quanto concerne la politica interna.55

La dichiarazione di neutralità trova largo consenso presso la popolazione italiana, che accoglie con prevedibile sollievo la notizia. Anche nel mondo politico, almeno per il momento, sono soddisfatti i socialisti, i democratici, i cattolici e soprattutto gli irredentisti, poiché il loro timore che la Triplice Alleanza coinvolga presto o tardi la Penisola in una guerra si dissolve con la decisione presa da Roma.56 Accanto al consenso degli strati medio-bassi della società e quello, iniziale, di alcuni partiti politici, c’è però la maggior parte dell’intellighenzia italiana che, già all’indomani della dichiarazione del 2 agosto, inizia a nutrire un profondo malcontento rispetto alla scelta italiana della neutralità e che è ansiosa di riprendere le fila del discorso iniziato con la guerra di Libia e poi interrotto a causa dei pressanti problemi di politica interna del Paese.

È chiaro che il conflitto appena scoppiato rappresenta, molto più della spedizione di Tripoli, quel necessario “bagno di sangue purificatore” attraverso

54

Ibid.

55 Cfr. B. Croce, op. cit., p. 285

cui l’Italia deve passare se vuole rinnovarsi e trovare energie nuove indispensabili per un vero cambiamento sociale. Portavoce tra i più incisivi di quest’atteggiamento, molto spesso provocatorio, sarà, per tutta la neutralità italiana, la rivista «Lacerba» che, come nota Isnenghi, vive a questo proposito una sorta di contraddizione: da giornale prettamente culturale composto da artisti che non a caso si erano allontanati dalla politicamente impegnata «Voce», si trasforma a sua volta in foglio politico teso a promuovere l’intervento italiano già dalla metà di agosto.57 Il fatto che il periodico interrompa la pubblicazione il 22 maggio 1915 con un articolo di Papini dal titolo Abbiamo vinto! dice molto della passione con cui «Lacerba» affronta la propaganda interventista.

I giornali nazionalisti in senso stretto, invece, come sottolineano Giacheri Fossati e Tranfaglia,58 sembrano in un primo momento disorientati e pertanto accettano di buon grado il momento di riflessione del Governo. Perfino Ruggero Fauro, combattivo esponente della causa irredentista, in un articolo scritto per il «Dovere nazionale» di Alfredo Rocco il 1o

agosto, dal titolo Italia e Germania

nella crisi presente, sviscera i pro e i contro di un intervento italiano accanto alla

Germania (l’Austria viene ritenuta un alleato puramente formale), rilevando tutta la difficoltà di scelte che potrebbero andare a scapito della posizione italiana o in Adriatico (in caso di neutralità) o nel Mediterraneo (alleanza con l’Intesa e conseguente rafforzamento di Francia e Inghilterra).

Al di là del fermento anche intellettuale che scuote il Paese, comunque, l’interrogativo che si pone non appena la neutralità è dichiarata è se questa scelta sia legittima da un punto di vista legislativo, se non rappresenti in fondo un tradimento verso gli Imperi centrali e, in ogni caso, quali conseguenze ci potrebbero essere per l’Italia in area adriatica. Torre a tal proposito non ha dubbi, come afferma nel lungo articolo di spalla Le ragioni della neutralità italiana, talmente argomentato che si estende anche alla seconda pagina del numero del 2

57 Cfr. M.Isnenghi, op. cit., pp.98 -105

agosto. Nella sua corrispondenza telefonica da Roma, il giornalista ricorda come tra gli scopi principali della Triplice ci fosse quello di mantenere invariata la situazione balcanica, tanto che quando l’Italia si era trovata a fronteggiare la Turchia, Vienna aveva posto il suo veto a qualsiasi operazione militare di Roma che potesse minare lo status quo adriatico. Secondo l’analisi di Torre, con questo divieto:

L’Austria dunque non solo non facilitò allora l’Italia nella sua opera di guerra, la quale, se l’Italia fosse stata libera nei suoi movimenti, avrebbe costretta la Turchia a cedere, e noi avremmo risparmiato milioni e uomini e guadagnato in prestigio – sibbene la contrastò con le sue limitazioni.59

Adesso è l’Austria ad attaccare una nazione dell’area balcanica; l’Italia non pone alcun veto, ma di certo non può concedere il suo aiuto armato con tanta facilità, tanto più che l’attacco alla Serbia è stato concertato dalle due Potenze alleate tenendo all’oscuro Roma. Non esiste dunque alcun motivo, conclude l’articolo, per cui l’Italia debba sentirsi in obbligo riguardo la sua partecipazione al conflitto; di particolare effetto è poi la conclusione del pezzo:

Gli italiani devono essere informati della verità delle cose; devono sapere da qual parte è il diritto, da qual parte è la fedeltà ai patti dell’alleanza; da qual parte le giuste esigenze. Il momento è gigantescamente tragico. La grande guerra porterà profondi mutamenti europei. Noi non l’abbiamo voluta, e non ne dobbiamo subir danni.60

Torre ricorda le parole di Albertini, secondo cui il «Corriere della Sera» è “una corazzata e non può essere manovrato come un incrociatore”, tanto grande è il suo potere sull’opinione pubblica, e proprio per questo persevera nell’essere determinato nella sua sistematica opera di denuncia delle mancanze austriache nei confronti dell’Italia.

59 A. Torre, Le ragioni della neutralità italiana, in «Corriere della Sera», 2 agosto 1914

Appurato che la neutralità è la scelta giusta, appare però subito chiaro tra le alte sfere politiche, economiche e culturali italiane che essa non potrà essere una scelta definitiva. Il «Corriere», che di tutti questi campi della vita italiana è il compendio e la guida, inizia a porre la questione agli occhi dei suoi lettori già a partire dal 3 agosto, con un articolo in seconda pagina in taglio medio che è sormontato da un titolo molto eloquente: L’Italia deve tenersi pronta. L’autore, che possiamo presumere sia Amendola dato che l’articolo è inserito in un più ampio servizio particolare del quotidiano trasmesso da Roma, è molto preciso nell’esporre il suo punto di vista:

l’Italia deve vegliare con l’arme al piede: interessi suoi essenziali sono già in questione; altri suoi interessi potrebbero essere turbati dallo svolgersi della guerra. l’Italia deve essere pronta e disposta a tutelarli.61

Anche Albertini è consapevole che l’Italia dovrà necessariamente scendere in guerra e anzi egli, come testimonia una sua lettera alla moglie datata 30 luglio 1914,62 che diventerà poi il punto di riferimento per tutti gli studiosi di tematiche legate all’attività del «Corriere» durante la neutralità, spera che se anche l’Inghilterra combatterà contro l’Austria, Roma ne diventi alleata, uscendo definitivamente dalla Triplice alleanza, che ormai è tale solo sulla carta. Per il momento però, sulle pagine del suo quotidiano, il direttore del «Corriere» non può certo spingersi a questi auspici, perciò si limita a ribadire il concetto di neutralità “vigile” con ben due articoli nella prima pagina del 4 agosto. Il primo è un fondo che per la sua lucidità viene preso a esempio da autori come Licata63

e Seton-Watson64 proprio perché rappresenta il punto di partenza del processo che porterà il quotidiano di Milano a sostenere la partecipazione dell’Italia alla guerra:

61

Anonimo, L’Italia deve tenersi pronta, in «Corriere della Sera», 3 agosto 1914

62

Cfr. L.Giacheri Fossati e N. Tranfaglia, op. cit., p.242

63 Cfr. G.Licata, op. cit. p. 170

La neutralità italiana è dichiarata ufficialmente. Accolta, al primo annuncio, con generale soddisfazione, le poche voci isolate che si sono levate a criticarla non possono diminuirne nella coscienza pubblica la opportunità e la giustezza. […] Senza dubbio, la neutralità non significa la via senza difficoltà e senza pericoli e non significa un alleggerimento delle enormi responsabilità che gravano tuttora e continueranno a gravare sul Governo. La neutralità è appena un punto di partenza e non rassomiglia affatto a un assetto di cose.65

È evidente che, tra i tanti motivi per cui l’Italia non può rimanere esclusa dal conflitto, l’obiettivo principe sia quello di salvaguardare i propri interessi in ambito adriatico. Non è difficile prevedere che l’Austria, per vendicarsi della defezione italiana, in caso di vittoria non sarebbe certo disposta ad accogliere eventuali richieste e pretese italiane a proposito della costa adriatica dell’Est. Proprio per questo motivo, come ribadisce ancora, inesorabile e inflessibile, Torre sempre in prima pagina:

La neutralità non può essere quindi passiva: essa è soltanto un momento dell’opera nostra nei rapporti internazionali. Finirà un giorno se le ragioni diplomatiche non varranno a far riconoscere i nostri diritti e i nostri interessi. Due considerazioni derivano da ciò che abbiamo affermato: la prima è che i negoziati riguardanti la tutela dei nostri interessi devono essere rapidamente compiuti affinché noi sappiamo se si può essere sicuri che non solo non avremo danni, ma avremo le soddisfazioni o i compensi che ci spettano per i rivolgimenti che si vanno maturando; la seconda è che le ragioni diplomatiche devono essere fortemente appoggiate da una completa preparazione militare che ci metta in grado di far valere, con la forza, se occorre, le nostre buone ragioni.66

65

Anonimo, La nostra condotta, in «Corriere della Sera», 4 agosto 1914

66 A. Torre, Il dovere di esser pronti , in «Corriere della Sera» , 4 agosto 1914

1.2.3 La vita in Serbia e nelle province dell’Impero austro-ungarico

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 61-68)