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Il problema dell’Adriatico

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 101-114)

1.2 La questione adriatica nelle pagine del «Corriere della Sera»: analisi degli articoli dall’eccidio di Sarajevo al “maggio radioso”

1.2.5 Il problema dell’Adriatico

La riflessione del «Corriere» inerente alle possibili variabili che disturberebbero le ambizioni italiane in Adriatico diviene predominante nel mese di ottobre e si arricchisce di un nuovo motivo di preoccupazione: non è solo la minaccia del pangermanesimo, a cui accenna D’Annunzio, a turbare i progetti di Roma, ma inizia a prendere corpo un altro pericolo, quello di un panslavismo guidato non tanto, o non solo, dalla Russia, ma dalla stessa Serbia, i cui successi militari non sono certo trascurabili. Se ne fa cenno per la prima volta in un commento in seconda pagina del 3 ottobre, che verosimilmente è scritto da Albertini. L’autore del lungo articolo, posto in taglio alto, prende spunto dalle parole di un deputato appartenente alla destra, Pasquale Grippo, che rappresentano, a detta del quotidiano milanese, quello che è il pensiero dello stesso Governo italiano, visto che colui che le proferisce è in ottimi rapporti con Salandra:

L’on. Grippo, esaminando la situazione odierna, s’è domandato: «Che cosa dovrebbe avvenire se i serbi, per esempio, oltrechè in Bosnia, dovessero andare in Dalmazia?

121 Anonimo, Un appello di Gabriele d’Annunzio agl’italiani, in «Corriere della Sera», 1 ottobre 1914

Dovremmo noi tollerare un fatto simile? Evidentemente no. Non potremmo mai consentire che le città della Dalmazia divenissero slave».122

Il giornale di Albertini ritiene certamente giuste le affermazioni di Grippo, pronunciate durante una riunione della Destra parlamentare, soprattutto in merito all’ipotesi che “l’Austria non possa più scongiurar l’avanzata dei serbi in Dalmazia nell’Adriatico settentrionale”.123

Nello stesso tempo, questa formula è “deficiente” (come indica il sottotitolo dell’articolo), poiché non propone la soluzione al problema dell’isolamento in cui, secondo il «Corriere», l’Italia già si trova e a cui si può ovviare soltanto scendendo in campo senza ulteriori indugi.

Il distacco dalle Potenze della Triplice è ormai sempre più manifesto, come emerge nella lunga risposta che Torre scrive idealmente a un professore dell’Università tedesca di Halle riguardo la stretta dipendenza del destino italiano da quello della Germania. Alle teorie esposte dall’accademico tedesco sul fatto che “la civiltà tedesca abbraccia il mondo” e che, quindi, scendere in guerra accanto a Berlino è inevitabile per Roma, Torre risponde demolendole punto per punto. Il giornalista campano afferma, ancora una volta, l’impossibilità per l’Italia di cooperare “alla pax germanica”, che detterebbe alla fine della guerra le condizioni per il nuovo assetto europeo, poiché la sua vocazione è piuttosto quella di allearsi con quegli Stati “dove si coopera alla liberazione etnica e alla libertà nazionale”.124

A proposito della questione adriatica, nella stessa seconda pagina dove è presente il lungo articolo di Torre, è possibile leggere un trafiletto da Parigi di Croci che riferisce le parole di un deputato croato residente in Francia, pubblicate dal quotidiano «Temps». Secondo l’uomo politico slavo, l’Italia, una volta conquistato il dominio di Trieste, di Pola e di Valona, che secondo il suo punto di

122

Anonimo, L’Italia e il conflitto europeo, in «Corriere della Sera», 3 ottobre 1914

123 Ibid.

vista le spettano di diritto, non avrebbe poi nulla da temere da una futura Grande Serbia che, anzi, potrebbe essere un ottimo partner commerciale:

Sento dire certe volte che le ambizioni smisurate di certi imperialisti italiani non possono rassegnarsi a riconoscere i bisogni ed i diritti della nostra grande Serbia. Questo significa conoscere molto male la intelligenza e la generosità degli italiani. La nazione italiana reclama le sue frontiere naturali e le garanzie della sua egemonia nell’Adriatico. In qual modo una grande Serbia potrebbe compromettere le une e diminuirne le altre? Signora di Trieste, di Pola e di Vallona [sic!], l’Italia avrà per vicino il più pacifico e soddisfatto lavoratore di tutti i popoli.125

L’espressione “Grande Serbia” inizia, dunque, a comparire nelle pagine del maggiore quotidiano italiano, che ancora una volta e già dal primo momento si distingue per la diplomazia e la pacatezza dei toni nell’affrontare la questione della spartizione dei territori appartenti all’altra sponda del mare Adriatico.

D’altra parte, però, il problema di Trieste inizia a diventare sempre più dibattuto anche sulla stampa estera, come dimostra un trafiletto firmato dal corrispondente da Londra, Emanuel, in seconda pagina il giorno successivo, 5 ottobre. Secondo la stampa inglese, infatti, l’unione dei serbi e dei croati si opporrebbe decisamente alla possibilità che Trieste diventasse italiana alla fine della guerra, e del resto, sempre secondo alcuni giornali d’oltremanica (soprattutto il radicale «Nation») non sarebbe legittimo espropriare l’Austria-Ungheria, nell’eventualità della vittoria dell’Intesa, dei porti di Trieste e di Fiume per compensare l’Italia della sua neutralità. Neutralità che, secondo il più diplomatico e autorevole «Times», sarebbe contraria anche alla storia della Penisola e alla decisione presa in passato da uno dei suoi maggiori statisti, Cavour, che in occasione della guerra di Crimea la respinse. Come si è già ricordato, è chiaro

125 P.Croci, L’avanzata serba in Bosnia e gli interessi adriatici dell’Italia, in «Corriere della Sera», 4 ottobre, 1914

l’interesse della stampa inglese nel portare motivazioni a supporto dell’intervento italiano, così come è altrettanto lampante lo sforzo del «Corriere della Sera» che, riportando questo tipo di articoli, cerca di mettere in guardia l’opinione pubblica sul pericolo di perdere definitivamente Trieste. Nonostante ciò, Emanuel non approfitta delle voci per il coraggio dimostrato nel combattere riguardanti la reticenza degli slavi del Sud circa l’acquisizione italiana della città portuale per scagliarsi contro questi ultimi, ma anzi sottolinea come la Serbia sia oggetto delle simpatie britanniche valorosamente contro l’Impero asburgico.126

Le osservazioni dei giornali inglesi sulla legittimità delle pretese italiane riguardo terre che sono abitate in prevalenza da popoli slavi, non cadono però nel vuoto, tanto che - all’indomani della loro pubblicazione sul «Corriere» - Giovanni Amendola in prima pagina firma un lungo articolo di spalla dal titolo Il problema

dell’Adriatico e l’Italia. Il giornalista napoletano si sofferma soprattutto

sull’affermazione del «Times», secondo cui alcuni territori dell’Adriatico orientale, oggetto delle mire italiane, rappresenterebbero, per la loro composizione etnica, più un problema per l’Italia che un reale vantaggio. Amendola va a fondo della questione, identificando prima di tutto l’autore di tali speculazioni nella persona di Henry Wickham Steed, giornalista della maggiore testata inglese, corrispondente dalle principali capitali europee, tra cui Roma, e autore nel 1913 di un importante studio sull’Impero austro-ungarico. Per il giornalista del «Corriere» le teorie dello studioso inglese non tengono conto delle peculiarità delle diverse terre adriatiche, tra le quali occorre fare delle distinzioni:

Lasciamo in disparte Trieste e l’Istria. Nonostante i dubbi affacciati dal «Times», la questione della destinazione di questa regione, nel giorno in cui l’Austria-Ungheria non potesse più conservarne il possesso, ci sembra di non

difficile soluzione. Vi sarebbe invece da discutere, lo riconosciamo, intorno alla Dalmazia.127

Profondamente affine per carattere ad Albertini, Amendola è lontano da qualsiasi fanatismo di tipo nazionalistico e per questo, come ricorda Prezzolini,128 dopo la guerra verrà addirittura tacciato di essere contro la nazione italiana, vista la sua opera per favorire il dialogo tra l’Italia e i popoli un tempo assoggettati all’Austria, attraverso il Patto di Roma nel 1918. Nel commento pubblicato sul quotidiano milanese, tuttavia, sia pure con la dovuta precauzione, il giornalista ritiene ancora legittime le rivendicazioni italiane anche in territorio dalmata, non tanto in virtù di “molti diritti fondati sull’etnografia, sulla lingua e sulla storia”129

che pure vengono menzionati, ma soprattutto per fronteggiare lo strapotere adriatico di un futuro Stato jugoslavo, a causa del quale si potrebbero creare nuovamente tensioni tra l’Italia e un vicino ingombrante, ripetendo un copione già visto con l’Austria-Ungheria. In questo primo articolo dedicato alla questione adriatica, comunque, Amendola stempera la discussione, dichiarando che probabilmente le preoccupazioni italiane riguardo la Dalmazia sono premature, dal momento che l’Impero asburgico ancora non si è disgregato e, cosa ancora più importante, l’Italia è ancora arroccata su una posizione di neutralità.

Nondimeno, le previsioni su quello che sarà il futuro della costa a est dell’Adriatico continuano anche nel numero successivo del «Corriere», quello del 7 ottobre. Paolo Croci, da Parigi, riporta le ennesime esternazioni del deputato croato, di cui non viene mai indicato il nome, che ha rilasciato già diverse interviste al solito giornale «Temps». Questa volta il deputato si mostra possibilista rispetto alle future acquisizioni italiane e alla concordia tra Italia e la nascente Grande Serbia. Nonostante il deputato croato affermi che, in linea

127

G.Amendola, Il problema dell’Adriatico e l’Italia, in «Corriere della Sera», 6 ottobre 1914

128

Cfr. G.Prezzolini, Quattro scoperte. Croce, Papini, Mussolini, Amendola, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1964, p.186

teorica, “l’Istria, Trieste e Gorizia debbono far parte della Grande Serbia”,130

egli ritiene anche che, senza dubbio, gli slavi concederanno all’Italia le suddette regioni più il “colle di Tarvis” ovvero il Tarvisio, andando incontro alle esigenze economiche e di sicurezza della Penisola. Unica condizione per tanta generosità è, ovviamente, l’aiuto concreto apportato dall’Italia alla lotta di liberazione nazionale degli slavi, che essi saluterebbero con comprensibile entusiasmo.

Il quadro dei commenti della stampa estera è completato da una corrispondenza di Bonacci dalla Russia dell’11 ottobre, che riferisce di toni piuttosto duri e insoliti usati dai giornali pietroburghesi a proposito della neutralità italiana. In un passaggio l’Italia viene addirittura denominata “sfinge”,131 mentre le sue ambizioni territoriali sono giudicate eccessive. Le valutazioni della stampa russa, per inciso, sono molto importanti in area adriatica perché, come vedremo nel capitolo dedicato al «Politika» e come abbiamo già accennato, i quotidiani serbi tengono in grande considerazione quello che viene detto a Pietroburgo e lo presentano a loro volta ai propri lettori, influenzando la loro opinione nei confronti dell’Italia. Per il «Corriere» la misura è però colma, tanto che sotto l’articolo di Giuliano Bonacci, pubblicato in seconda pagina, compare un commento anonimo, proveniente da Roma, volto a puntualizzare che l’Italia agirà solamente secondo i suoi interessi (e quindi non preoccupandosi eccessivamente di problemi appartenenti ad altre nazioni) e che i suggerimenti provenienti dalla stampa inglese, francese e russa e rivolti al Governo di Roma sono inopportuni e spesso irrispettosi della dignità italiana.132

Il quotidiano di Albertini, dunque, dopo aver presentato per molti giorni di seguito numerosi articoli riguardanti il punto di vista della carta stampata europea senza mai aver aggiunto un proprio commento, con questa nota fa il punto della

130 P. Croci, Italiani e Slavi sull’Adriatico, in «Corriere della Sera», 7 ottobre 1914

131

G. Bonacci, Insolito linguaggio russo sulla neutralità italiana, in «Corriere della Sera», 11 ottobre 1914

132 Cfr. Anonimo, Dove sono errati i consigli dei giornali russi, in «Corriere della Sera», 11 ottobre 1914

situazione, ribadisce la sua opera di persuasione per evitare che il Governo italiano commetta errori nella gestione della politica estera, ma non dimentica di affermare con forza che, in ogni caso, l’Italia è una Potenza degna di considerazione come le altre che sono coinvolte nel conflitto. Il moto di stizza del «Corriere» è molto importante ai fini della sensibilizzazione dell’opinione pubblica circa i danni che stanno iniziando a emergere a causa della prolungata neutralità italiana.

Ottobre si rivela un mese cruciale per la politica estera italiana: è caratterizzato dalla crisi al Ministero della Guerra e soprattutto dalla morte, il giorno 16, del tanto discusso ministro Di San Giuliano, uno dei più fervidi sostenitori della neutralità italiana. La guida ad interim del Ministero degli Esteri viene presa da Salandra, che il 18 ottobre pronuncia il famoso discorso sul “sacro egoismo” dell’Italia. Per Albertini l’espressione è piuttosto infelice, a causa della sua ambiguità, in quanto verrà interpretata dagli interventisti come un chiaro segnale a scendere in guerra, mentre egli ritiene che, in realtà, l’egoismo italiano a cui accenna il Primo ministro sia quello di scegliere, con calma, la soluzione migliore per la tutela degli interessi nazionali. In ogni caso, le opere concrete preconizzate da Salandra sembrano, in effetti, attuarsi con un intervento italiano in Albania, iniziativa che il «Corriere della Sera» guarda con palese perplessità.

Nel frattempo, in Serbia, infuria la polemica in seguito alla pubblicazione di un articolo del conte Foscari sul «Giornale d’Italia», Salviamo la Dalmazia!, di cui si parlerà con maggiore precisione nel secondo capitolo. Com’è facile intuire dal titolo, Foscari esprime la preoccupazione che l’Italia perda definitivamente la speranza di annettere la Dalmazia a causa dell’insediamento delle Potenze dell’Intesa in quella regione. Il deputato della Dieta dalmata Bakotić (nell'articolo viene erroneamente chiamato Beakotic) che, come vedremo, sarà uno dei più accesi oppositori delle mire italiane nei territori dell'Adriatico Orientale, risponde all'articolo apparso sul quotidiano romano con un commento di fuoco sulle colonne del belgradese «Politika». Il «Corriere», nel numero del 23 ottobre, in un

trafiletto in seconda pagina, pubblica un'agenzia Stefani il cui titolo è eloquente:

„La Dalmazia è serbo-croata“. La risposta del Governo serbo a un articolo italiano.133 La Stefani nota che l'articolo in cui Bakotić afferma con decisione

l'appartenenza della Dalmazia al futuro Stato jugoslavo e nega la possibilità della sua appropriazione da parte di Roma, è stato ripreso anche dal giornale «Samouprava», organo ufficiale del Primo ministro Nikola Pašić. Questo dato indica che la linea di pensiero del Governo serbo coincide perfettamente con quella dell’uomo politico dalmata e che, di conseguenza, allo stato attuale del conflitto, l’orizzonte italiano è minacciato da nuvole nere.

L’amarezza provocata dalla presunta presa di posizione del Governo di Belgrado è però immediatamente dissipata da un annuncio a sorpresa fatto dall’ambasciatore russo a Roma, Krupenski. Riferendosi all’offerta fatta dalla Russia di consegnare i prigionieri austriaci di nazionalità italiana all’Italia, infatti, il diplomatico russo, in un colloquio tenuto con i giornalisti della redazione romana del «Corriere», dichiara:

Sopra tutto io desidero che non vi sfugga il significato più importante della proposta dello Zar. Essa rappresente il riconoscimento ufficiale da parte della Russia che le terre abitate dai sudditi austro-ungarici di nazionalità italiana, fatti da noi prigionieri, sono terre italiane.134

Questa affermazione viene ritenuta talmente significativa, che il quotidiano la presenta scritta in corsivo, a sottolinearne la portata politica. In effetti, le esternazioni di Krupenski provocano l’immediata reazione di commenti ed elucubrazioni della stampa italiana. Il giorno dopo, Amendola scrive in seconda

133

Anonimo,”La Dalmazia è serbo-croata”. La risposta del Governo serbo a un articolo italiano, in «Corriere della Sera», 23 ottobre 1914

134 Anonimo, “La Russia riconosce come italiane le terre abitate da italiani in Austria”, in «Corriere della Sera», 25 ottobre 1914

pagina un lungo servizio, in cui ripete le parole dell’ambasciatore russo e vi aggiunge questa osservazione:

Queste parole significano che le teorie svolte a Belgrado e diffuse di là attraverso l’Europa, non vengono accolte da quella corte d’appello per le questioni di nazionalità slava che è Pietrogrado. Questo fatto ha una grande importanza al tempo stesso politica e sentimentale e ci conforta a sperare nel rapido incremento di quei rapporti di amichevole collaborazione che dovranno stabilirsi, prima o poi, tra i due Governi in armonia col sentimento dei due popoli.135

Per le ambizioni italiane, dunque, c’è ancora un margine garantito dalla Russia. Del resto, le decisioni di questa grande Potenza non solo hanno un peso maggiore, in ambito internazionale, di quelle di un piccolo Stato come la Serbia ma, come si vedrà nel secondo capitolo, tutto quello che viene detto in Russia viene recepito nello Stato balcanico e tenuto in una considerazione tale da indirizzare anche le idee sostenute dalla stampa serba. Per questo, l’espressione di Amendola che indica nella Russia “la corte d’appello per le questioni di nazionalità slava” è particolarmente calzante. La neutralità italiana, alla fine di ottobre, subisce un altro grave colpo, rappresentato dalla discesa in campo della Turchia accanto agli Imperi centrali. A questo punto, l’intervento italiano sembra sempre più inevitabile, tanto che si inizia a parlare di un piano economico per preparare la nazione a scendere in campo.

Proprio a causa di questo progetto e del dibattito riguardante eventuali nuove imposte, il 30 ottobre Salandra si dimette; tuttavia, pochi giorni dopo, egli riottiene l’incarico di formare il nuovo Ministero e designa come ministro degli Esteri Sonnino. Albertini, che aveva sempre nutrito grande stima nei confronti dell’uomo politico pisano, è soddisfatto di questa scelta. Novembre è perciò un mese di attesa per il «Corriere della Sera», che aspetta le decisioni di un Governo

che da adesso può contare su una maggioranza più compatta. Rimane, tuttavia, sempre il margine per inserire qualche intervista a un importante uomo politico straniero o alcune riflessioni tese a non lasciare che l’attenzione rivolta alla questione adriatica possa scemare presso i lettori.

Il 9 novembre, infatti, compare in seconda pagina, un trafiletto di De Luca, proveniente dalla Romania, che riassume il contenuto di un editoriale apparso su un quotidiano, «La Roumanie», firmato da un ex-ministro romeno, Take Jonesco, riguardante le mire italiane in Adriatico. Per l’uomo politico è assolutamente legittimo e necessario che l’Italia aspiri non solo al controllo di Trieste e dell’Istria, ma anche della Dalmazia fino a Sebenico. A suffragio di questa tesi, Jonesco riporta una serie di ragioni “storiche, strategiche e nazionali”,136

come segnala lo stesso De Luca. Con questo nuovo assetto geografico, l’Italia in seguito non avrebbe difficoltà ad accordarsi con i montenegrini e i serbi, a cui potrebbe cedere il resto della costa adriatica, compresa Cattaro, ma ad eccezione di Valona.

Il punto di vista di Jonesco è certo molto confortante per i progetti italiani e possiamo immaginare che il giornale milanese lo pubblichi volentieri, soprattutto a fronte di una situazione internazionale tutt’altro che rassicurante, tra le vittorie austriache in campo serbo che stanno per condurre alla presa di Belgrado e il pericolo di un panislamismo che potrebbe minacciare anche l’Italia, provocato dalla partecipazione della Turchia alla guerra.

Per fronteggiare le fosche previsioni che questi ultimi avvenimenti sembrano suggerire, Andrea Torre, in un articolo in seconda pagina del 1o dicembre, commenta positivamente l’ipotesi di un’unione balcanica tra Serbia, Bulgaria e Romania, che a suo avviso volgerebbe le sorti del conflitto a favore dell’Intesa.137

L’auspicio del giornalista campano è tanto più opportuno nel momento in cui gli austriaci entrano ufficialmente a Belgrado; il 3 dicembre il «Corriere della Sera»

136

B. De Luca, Le aspirazioni dell’Italia prospettate dall’ex-ministro romeno Jonesco, in «Corriere della Sera», 9 novembre 1914

137 Cfr. A. Torre, La necessità dell’unione dei popoli balcanici, in «Corriere della Sera», 1 dicembre 1914

cerca di non dare troppa enfasi a questo successo dell’esercito imperiale, ma pone l’accento sul valore della Serbia che ha tentato strenuamente di tenere lontano il nemico:

Belgrado fu attaccata dalle truppe austriache fin dall’inizio della guerra: ma i serbi erano fino ad oggi riusciti a respingere ogni tentativo di occuparla di assalto.[...] Nonostante l’eroica resistenza di tutto un popolo, l’avanzata austriaca procede lentamente, ma sicuramente, giorno per giorno.138

I primi giorni di dicembre, però, non lasciano molto spazio a riflessioni sull’andamento del conflitto, perché è la politica interna a dominare nelle pagine dei quotidiani italiani. Il 3 dicembre, infatti, Salandra presenta alla Camera la sua proposta per il nuovo Governo, che dovrà ottenere la fiducia del Parlamento; il giorno successivo, il quotidiano milanese racconta in prima pagina il successo raccolto dal Primo ministro e dal suo discorso circa l’importanza del fatto che l’Italia si prepari a scendere in guerra in tempi brevi. A questo primo, appassionato discorso di Salandra, seguono concitati dibattiti politici in vista

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 101-114)