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La vita in Serbia e nelle province dell’Impero austro-ungarico nelle corrispondenze del «Corriere»

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 68-101)

1.2 La questione adriatica nelle pagine del «Corriere della Sera»: analisi degli articoli dall’eccidio di Sarajevo al “maggio radioso”

1.2.3 La vita in Serbia e nelle province dell’Impero austro-ungarico nelle corrispondenze del «Corriere»

Abbiamo ricordato una certa ritrosia del «Corriere», fino alla vigilia della guerra, nell’affrontare il tema delle terre irredente per tutelare obiettivi ritenuti più urgenti, come il mantenimento della pace europea e dei rapporti di collaborazione con la duplice Monarchia. In questo momento di repentino e totale stravolgimento di tutto ciò che fino a poche settimane prima aveva rappresentato un punto fermo sulla scena politica europea e italiana, ecco che iniziano ad apparire nella testata lombarda trafiletti e piccoli articoli dedicati alla drammatica situazione vissuta dagli italiani posti sotto il dominio austriaco, che si trovano improvvisamente in regime di guerra. Nella terza pagina del 4 agosto, infatti, un trafiletto non firmato in taglio medio proveniente da Venezia ci informa che “la vita di Trieste è sconvolta”. La lunga cronaca è innanzitutto un pezzo di bravura del giornalista che l’ha inviata al «Corriere» poiché riesce, con poche e intense immagini, a rendere l’idea di una città che sta per attraversare un momento cruciale della sua storia. Il dramma è già riassunto nella frase che apre l’articolo: “Trieste sta per essere isolata dal mondo”;67

di questo isolamento parla la scena che viene descritta qualche riga dopo:

Sul molo staziona molta gente ansiosa di notizie complete e più abbondanti di quelle che permetta la censura austriaca dei giornali dell’impero. La vera situazione delle truppe austriache, nonostante che da Vienna sia partita al popolo la promessa che sarebbero stati pubblicati i bollettini di guerra, viene riassunta in comunicazioni così laconiche, così schematiche, così frammentarie, che non c’è modo di comprendere e di connettere le operazioni finora sviluppate dall’Austria.68

In effetti, come sarà analizzato nel terzo capitolo, i giornali di Trieste a partire dalla dichiarazione di guerra alla Serbia sono mutilati a tal punto dalla censura austriaca che alcune testate decideranno addirittura di sospendere la pubblicazione, non potendo più assolvere alla loro funzione informativa. Ma i problemi di Trieste, secondo la cronaca, non sono solo quelli relativi alla diffusione delle notizie, ma riguardano soprattutto i trasporti di persone e di generi alimentari, poiché i collegamenti marittimi e ferroviari con l’Italia sono stati interrotti dal Governo austriaco. Viene data notizia anche della drammatica caccia da parte della polizia austriaca ai richiamati italiani che non si sono presentati all’appello e che sembrano subire un trattamento diverso da quelli tedeschi, che vengono mandati al confine con un biglietto gratuito. A riprova, invece, del fatto che i nemici di ieri sono diventati i compagni di sventura di oggi, l’autore dell’articolo comunica l’arresto a Pola di don Chiaraz, “uno dei sacerdoti slavi noti per la propaganda anti-italiana, caduti ora in disgrazia”,69 mentre a Trieste preoccupa la sorte di due commercianti di farina di origine slava trovati, secondo voci ufficiose, in possesso di armi ed esplosivi e misteriosamente scomparsi.

Il quadro che emerge è, dunque, quello di una città tormentata dalla scarsità dei rifornimenti di cibo, dal rincaro dei generi di prima necessità e dalla paura delle fucilazioni austriache. La situazione non è migliore nemmeno in Istria, conclude il trafiletto. Bisogna però notare che l’articolo che parla di Trieste si inserisce in una terza pagina che porta il titolo Spettacoli e miserie della guerra

tra coloro che non combattono e che è occupata da cronache provenienti anche da

altre città i cui cittadini sono chiamati in causa dal conflitto, quali Budapest, di cui Fraccaroli offre un ritratto impareggiabile, e Vienna.

Anche nella capitale austriaca i cittadini sono vittime dei disagi della guerra, spaventati dalla mobilitazione generale e preoccupati dalla condotta fuori da ogni logica tenuta dalla censura, che non solo rende la vita impossibile ai giornalisti

locali ed esteri, ma proibisce anche l’invio di innocui telegrammi da parte dei cittadini. In questo periodo in cui inizia la lunga neutralità si assiste anche a un interessante fenomeno usato da molti giornali italiani per esprimere il proprio punto di vista senza però esporsi in maniera manifesta.

Si tratta dell’abitudine di riportare i commenti della stampa estera riguardo la situazione internazionale e quindi anche le scelte diplomatiche di Roma. Non si può non osservare che però vengono proposti preferibilmente articoli che sono in linea con le posizioni assunte dal «Corriere» come è lampante nell’articolo proveniente da Parigi, anonimo, in taglio medio nella seconda pagina del 5 agosto intitolato Come è giudicata dalla stampa francese la neutralità italiana. In generale il giudizio francese è positivo, come è logico aspettarsi, ma è soprattutto il commento dell’«Homme libre», che viene definito “il giornale di Clemenceau” a essere sibillino:

La decisione dell’Italia è prova di buon senso e di equità. Nel Mediterraneo, come sul continente, c’è posto per il libero pacifico sviluppo delle due nazioni latine. Nessuna rivendicazione di diritto comune può metterle una di fronte all’altra: se l’Italia ha da soddisfare qualche aspirazione nazionale, è contro qualche altro paese, ricordando i suoi sentimenti irredentisti.70

Anche se per il momento la questione di Trento e di Trieste ancora è lontana dall’esplodere come motivo privilegiato per l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, indubbiamente il nodo dell’irredentismo aleggia, non detto, negli articoli del giornale milanese, soprattutto quando si preferisce lasciare la parola alla carta stampata straniera, le cui idee vengono “semplicemente” riportate. Il fatto che proprio nello stesso giorno il «Corriere» annunci in prima pagina la partecipazione dell’Inghilterra al conflitto fa pendere ancora di più la bilancia verso un’adesione dell’Italia alle nazioni dell’Intesa, com’è segreto desiderio di Albertini. Il 7 agosto, infatti, non tarda ad arrivare un lungo commento in

70 Anonimo, Com’è giudicata dalla stampa francese la neutralità italiana, in «Corriere della Sera», 5 agosto 1914

occasione della visita a Roma dell’ambasciatore italiano in Austria, in cui è possibile leggere una disincantata analisi di quelli che sono ormai diventati i rapporti italo-austriaci e anche di come sia stato vano, per il giornale lombardo, cercare negli anni di smussare i toni di attrito tra Roma e Vienna:

Viene fatto di pensare con malinconia alle molte colonne di prosa animata da buona volontà che su questo e su altri giornali d’Italia furono consacrati per lunghi anni ad un’opera di chiarezza e di concordia nei rapporti austro-italiani. Gli scrittori di quella prosa erano pronti a sacrificare alla causa della pace e della alleanza tutto ciò che nel sentimento nazionale poteva essere o parere causa di equivoco e di risentimento; eppure trovarono al di là del confine incredulità e diffidenza. Lavoravano per la causa della Triplice Alleanza e furono giudicati nemici della Triplice. Sostenevano che la Triplice, per essere vitale, doveva garentire ai vari contraenti uguaglianza di diritti e di doveri; e furono ritenuti seminatori di discordia austro-italiana. E così siamo giunti all’ora della grande prova: e pare che ancora ci sia bisogno di discutere, di spiegare, di domandare e di rispondere.71

In poche righe, dunque, vengono riassunte le lotte, i sacrifici del «Corriere» che, come si è già ricordato, mai aveva guardato con entusiasmo all’alleanza con l’Austria, ma che nonostante ciò aveva sempre cercato di tacere, di trovare delle attenuanti a determinati avvenimenti sempre tenendo presente il valore della pace tra i popoli, anche a rischio di apparire indifferente alla causa irredentista. Ormai è però chiaro, e Albertini desidera che gli italiani siano consapevoli di questo, che tali precauzioni sono state inutili, poiché proprio nel momento in cui la Triplice avrebbe dovuto mostrare la propria coesione, si scopre in tutta la sua debolezza, evidenziando la posizione di minoranza in cui da sempre era stata tenuta l’Italia.

71 Anonimo, Le visite del duca d’Avarna a Roma e le esigenze della politica italiana, in «Corriere della Sera», 7 agosto 1914

Come logica conseguenza di questo trattamento da alleato-vassallo destinato a Roma, si prospetta lo scenario descritto nell’articolo:

L'Italia avrebbe combattuto senza discutere al fianco degli alleati una guerra prefissa dal trattato della Triplice. Ma quando l'Austria straccia i trattati, rifiutandoci le garanzie richiestele per lo status quo balcanico; quando la Germania scatena la guerra preventiva e offensiva dell'imperialismo tedesco, il trattato della Triplice non chiama l'Italia a prendere le armi per una guerra che non è guerra di Triplice, che non è guerra italiana. E perciò l'Italia si astiene. Si astiene: ma guarda con preoccupazione l’immane sconvolgimento del quale è problematico se qualcuno o qualche cosa riuscirà a disimpegnarsi senza parteciparvi. E si mantiene vigilante su ogni punto della carta di Europa, dove sia qualche interesse italiano. Gli interessi italiani sono a destra e a sinistra, nel Mediterraneo e nell’Adriatico: è necessario tenerli tutti presenti nell’ora in cui tutto è messo in questione e in cui tutto può essere negato o capovolto.72

Più che il Mediterraneo, è proprio l’Adriatico l’oggetto della contesa, e il giornale di Milano, anche se nella maniera diplomatica e misurata che gli è propria, fino all’avvento del “maggio radioso” non perderà mai occasione per mantenere alta l’attenzione del suo pubblico verso quella zona. In verità, non è necessario neanche uno sforzo particolare per parlare di questioni inerenti il mare Adriatico, visto che esso è anche diventato teatro privilegiato di guerra tra le flotte rivali dell’Intesa e degli Imperi centrali con tutti i risvolti, spesso tragici, che ciò rappresenta anche per la popolazione italiana, come nel caso delle imbarcazioni che saltano in aria a causa delle mine.

In un breve trafiletto in seconda pagina del 10 agosto, collocato in taglio alto per poter essere immediatamente visibile, si parla infatti dei movimenti della flotta austriaca che, avvistata il giorno prima nel Canale d’Otranto, dovrebbe raggiungere la flotta tedesca in alto Adriatico. Ma a parte le speculazioni sulla posizione esatta delle navi austriache, è interessante la conclusione dell’articolo, che riporta i racconti angosciosi riferiti dai profughi in fuga da Trieste, Zara e

Fiume, le città-chiave di quella che tra qualche settimana diventerà “la questione adriatica”:

Gli italiani e gli stranieri profughi da Trieste, Zara e Fiume affermano che un regime rigorosissimo continua in tutte le città dell’impero austro-ungarico e che non passa giorno senza che vengano eseguite condanne capitali. Essi affermano inoltre che l’elemento slavo cerca di sobillare la popolazione nella speranza di intralciare le operazioni militari con movimenti rivoluzionari. Ma naturalmente si tratta di voci che vanno accolte solo a titolo di cronaca, con ogni riserva.73

Sembra una cronaca asciutta, che si limita a riferire quanto sentito dal giornalista che la racconta telefonicamente al suo giornale (e che non firma l’articolo), eppure quanti sottintesi in poche righe. Poco importa la rassicurazione alla fine, che pone il beneficio di inventario su quanto appena detto: l’immagine degli austriaci che torturano e condannano a morte e degli slavi che si rivelano improvvisamente alleati, sia pure indirettamente, dell’elemento italiano della Monarchia danubiana per arrecare danno a Vienna è ormai entrata nella mente dei lettori del giornale.

Allo stesso modo, in terza pagina, in un trafiletto in taglio medio proveniente da Roma, viene criticato il bombardamento austriaco di Antivari, oggi meglio conosciuta come Bar, in particolare perché uno degli obiettivi dell’attacco è proprio la Compagnia di Antivari, fondata con capitale italiano. Un modo subdolo dell’Austria per vendicarsi della neutralità della Penisola? Probabile, visto che, come racconta l’inviato a Vienna sempre in terza pagina, la delusione nella capitale dell’Impero austro-ungarico per la defezione italiana è grande e non mancano i mugugni e i maltrattamenti verso gli italiani che si trovano a risiedere in quella città. Il giorno dopo, 11 agosto, il «Corriere» non può a fare meno di registrare:

Si noti, di passaggio, che mentre il duca d’Avarna discuteva [...] l’Austria faceva bombardare Antivari e precisamente l’Antivari per così dire italiana. È chiaro dunque che a Vienna, anche nelle gravissime circostanze attuali, non si preoccupano troppo degli interessi e dell’amor proprio dell’Italia. Quanto al Lovcen, ammesso anche che Vienna fosse stata disposta a non impadronirsene qualora i montenegrini non avessero bombardato Cattaro, non si vede in qual modo l’Italia avrebbe potuto assumere un impegno di tale natura in nome del Montenegro. E si vede invece benissimo che il Montenegro può avere interesse a complicare e ad allargare il conflitto. Il Governo di Vienna doveva astenersi dallo scatenarlo: oggi che la tempesta infuria, essa sfugge alla mano stessa che l’ha provocata, e può creare ogni giorno sorprese e pericoli nuovi. Di chi la colpa? A Vienna si sapeva, da lunghi anni, che le questioni balcaniche ed adriatiche costituivano il tallone di Achille dell’alleanza austro-italiana. Ma il sapere questo non ha trattenuto gli uomini responsabili della Monarchia dal regolarsi come si sono regolati, senza subordinare affatto la loro azione al parere dell’Italia. Essi, in tal modo, hanno turbato i rapporti dell’alleanza e hanno messo il Governo di Roma nella necessità di provvedere esclusivamente alla tutela degli interessi italiani.74

Il concetto della scorrettezza austriaca di Vienna nel bombardare punti di interesse italiano in Montenegro è ribadito in terza pagina da Mantegazza, che ricorda ai lettori come proprio Antivari sarebbe dovuto essere il porto sull’Adriatico secondo il disegno dell’unione jugoslava, come esplicitato nel titolo stesso del suo intervento Contro il porto dell’unione serba.

In questo momento del conflitto, quando la neutralità è stata dichiarata ufficialmente da poco più di una settimana ed è appena incominciato il processo di allontanamento prima di tutto morale dalle Potenze della Triplice, gli slavi e in particolare i serbi non vengono visti dall’Italia né come antagonisti in Adriatico né come possibile elemento di disturbo in un progetto di allargamento territoriale. Prevale anzi, pur tra le righe, quasi un senso di solidarietà per il piccolo Stato slavo che sfida il Golia austriaco. Sempre in terza pagina è possibile leggere

ancora una volta dei commenti francesi riguardo la posizione dell’Italia e certo non sono di poco impatto le parole che l’ex-ministro Hanotaux pronuncia dalle colonne del «Figaro»:

Tra breve – dice – i conti del destino saranno chiusi. Delle battaglie decisive avranno stabilita la sorte di questa guerra gigantesca. Avverrà allora un nuovo assetto in Europa: i grandi sacrifici avranno grandi ricompense che non toccheranno a coloro che non avranno fatto niente. Ci troviamo di fronte a una questione di vita o di morte. In caso di vittoria l’Austria domanderà il dominio dell’Adriatico poichè ha fatto la guerra per ottenerlo. Venezia sconterà la vittoria austriaca per dei secoli e l’Italia sarà sotto il tallone austriaco. Se la sorte è favorevole, quali ricompense grandiose l’irredentismo può reclamare?75

E ancora, secondo il «Gaulois»:

Il Mediterraneo deve restare all’Inghilterra, alla Francia e all’Italia. L’Adriatico deve ritornare esclusivamente italiano. Una stretta solidarietà fra le tre Potenze costituisce la base di questa politica razionale.76

Il giornale di Albertini in questi giorni è dunque allusivo, fa capire chiaramente che l’intervento italiano ci sarà, che non sarà possibile che esso avvenga al fianco dell’Austria e che l’Italia deve riaffermare la sua influenza adriatica.

Visto che, come si è ricordato, il «Corriere della Sera» utilizza volentieri l’espediente della selezione di articoli provenienti da giornali esteri per esprimere tacitamente il suo punto di vista, ecco che anche il giorno seguente, 12 agosto, è possibile trovare in terza pagina ancora due servizi particolari provenienti da Parigi e da Londra. Il primo articolo, in taglio alto dal titolo A Parigi riferisce le parole di un ex-ministro francese, Pichon, che in merito alla neutralità italiana

75 Anonimo, L’Italia e la conflagrazione, in «Corriere della Sera», 11 agosto 1914

ritiene che “sarebbe un grave errore per l’Italia favorire in una maniera qualunque i tentativi che l’Austria fa per ottenere il primo posto in Adriatico”.77

In un’intervista al «Petit Journal», infatti, egli dichiara:

Niente sarebbe più contrario agli interessi e alle tradizioni storiche dell’Italia che il suo contributo alla potenza di un paese che può essere il suo solo concorrente ed avversario. La vecchia nazione latina, così acuta e previggente ed attaccata ai grandi ricordi della sua storia, non sembra affatto disposta a commettere una simile follia.78

Più articolato e analitico il servizio tradotto dal «Times» e presentato nella colonna accanto al servizio da Parigi, intitolato appunto La neutralità e gli

interessi italiani. Un commento del Times. Il quotidiano londinese non esita a

ricordare ai suoi lettori quanto il rapporto tra Vienna e Roma sia sempre stato conflittuale, a dispetto dell’accordo di alleanza sancito tra le due nazioni.

Spesso direttamente in conflitto politico, sempre in conflitto morale [...] le due Potenze sono state delle alleate costrette ad agire l’una verso l’altra come se un giorno dovessero essere nemiche. La rivalità nei Balcani, le lotte sotterranee per il possesso dell’Albania e il predominio nell’Adriatico, la politica follemente repressiva di Vienna a Trento e a Trieste, la campagna burocratica austriaca contro gli italiani della Dalmazia e le amare indelebili memorie del dominio austriaco in Italia, hanno contribuito a mantenere questo spirito di antagonismo tra i due paesi.79

77

Anonimo, A Parigi, in «Corriere della Sera», 12 agosto 1914

78 Ibid.

Alla luce di questa analisi del passato recente dell’Italia, che secondo il «Times» aveva firmato il trattato della Triplice esclusivamente nella speranza di essere protetta dall’Austria e non certo per simpatia, Roma non può rendersi complice di Vienna nel compiere un sopruso nei confronti di serbi e montenegrini, anche per coerenza verso l’affermazione del principio di nazionalità che era stato alla base del processo di unificazione della Penisola:

L’Italia la cui unità si compì con una lotta contro l’oppressione austriaca, non può intervenire a schiacciare la valorosa resistenza della Serbia e del Montenegro contro il tentativo dell’Austria di opprimere i due popoli.80

I giudizi della stampa dei Paesi alleati sono molto chiari e scevri da ogni cautela diplomatica, e sono resi più audaci anche dal legittimo auspicio di Francia e Inghilterra che l’Italia prima o poi vada a rafforzare l’azione militare dell’Intesa contro gli Imperi centrali.

Ma il giornale di Milano, come abbiamo ricordato, deve sempre bilanciare questo tipo di articoli, caratterizzati da un forte sentimento anti-austriaco, presentando anche quello che viene detto “dall’altra parte” riguardo alle scelte italiane. In un servizio particolare per il «Corriere», infatti, il corrispondente da Vienna che firma con la sigla F.C., racconta della delusione degli austriaci per la neutralità italiana e della loro ansia per le intenzioni future di Roma.

Il giornalista che scrive da Vienna è Franco Caburi, triestino, già collaboratore del «Piccolo», dove firmava con lo pseudonimo Lelio.81 Caburi, ottimo cronista che vive nella capitale asburgica, dove si era iscritto all’università, è anche responsabile del risveglio della curiosità dei lettori italiani verso i problemi triestini e, in generale, verso gli impedimenti provocati dal

80

Ibid.

81 Cfr. Enciclopedia Treccani , URL: http://www.treccani.it/enciclopedia/franco-caburi_(Dizionario_Biografico)/

Governo austriaco, soprattutto quelli legati all’istituzione di un’università italiana nella città giuliana. Nell’articolo in questione, Caburi aggiunge di essere letteralmente assalito dalle telefonate provenienti dagli italiani che risiedono in Austria, desiderosi di trovare una spiegazione alle continue aggressioni verbali di cui sono oggetto in terra austriaca. Il racconto dalla capitale danubiana continua anche il giorno dopo, 13 agosto, in terza pagina.82 Il giornale avverte che la corrispondenza da Vienna è stata scritta, in realtà, qualche giorno prima, ma considera che per la loro attualità gli articoli siano ancora validi. Il giornalista rende onore al profondo senso di responsabilità dei viennesi, che hanno

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 68-101)