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L’immagine dell’Italia come pericolosa antagonista

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 195-200)

DALL’ALTRA PARTE DEL MARE: LA QUESTIONE ADRIATICA IN SERBIA NELLE PAGINE DEL «POLITIKA»

2.5 La neutralità italiana vista dalle pagine del «Politika»: analisi degli articoli

2.5.3 L’immagine dell’Italia come pericolosa antagonista

Secondo le previsioni del giornale serbo, nell’autunno del 1914 tutto sembra preannunciare un’alleanza anche tra Belgrado e Roma. Un articolo apparso sul «Giornale d’Italia» e firmato dal conte Piero Foscari inizia però a incrinare le speranze che i serbi ripongono nell’alleanza italiana.

L’uomo politico veneziano, autore dell’articolo, famoso in patria per aver proposto nel 1904 un progetto innovativo per la costruzione di un nuovo porto industriale nella laguna di Venezia, è una figura tipica dell’“imperialismo industriale italiano”.228

Nazionalista della prima ora e acceso sostenitore di un irredentismo privo di senso critico e di analisi obiettiva della realtà, il ricco veneziano è volto soprattutto a ottenere il sostegno del Governo italiano nel progetto di espansione economica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Una zona, questa, che Foscari conosce bene, avendo visitato il Montenegro nel 1902 e avendovi stretto accordi commerciali e realizzato un sindacato italo-montenegrino. Per i grossi interessi anche personali in gioco, l’influente deputato si attiva particolarmente per la promozione dei principi nazionalisti, scrivendo un gran numero di articoli che vengono pubblicati dai maggiori giornali italiani. È infatti proprio sul romano «Giornale d’Italia» che Lujo Bakotić, un deputato della

226

Anonimo, L’Italia e l’Intesa (Italija i Sporazum), in «Politika», 6 ottobre 1914 (23 settembre).

227

Ibid.

228 Cfr. Enciclopedia Treccani, consultabile anche all’indirizzo internet: www.treccani.it/enciclopedia/piero-foscari_(Dizionario-Biografico)/

Dieta dalmata, si imbatte in un articolo firmato da Foscari e intitolato Salviamo la

Dalmazia!. Nel pezzo scritto per il quotidiano italiano, il deputato veneziano

manifesta il timore che, con l’imminente caduta di Sarajevo a opera delle Potenze dell’Intesa, la Dalmazia, rimasta isolata dagli altri territori appartenenti alla monarchia austro-ungarica (a cui è collegata, appunto, solo attraverso una linea ferroviaria che passa per Sarajevo), venga in breve occupata dagli eserciti inglese e francese, che la sottrarrebbero in questo modo all’Italia. Per Bakotić leggere l’articolo, indignarsi e mandare una lettera aperta dai toni particolarmente accesi al «Politika» è un tutt’uno. Il 12 ottobre compare in prima pagina un lungo editoriale che presenta la missiva del deputato dalmata, dal titolo provocatorio di

Salviamo la Dalmazia, lo stesso usato da Foscari per il suo intervento. Il

quotidiano di Belgrado non introduce né commenta la lettera, lasciando che la parola vada interamente al suo autore:

Dunque salviamo la Dalmazia? E chi è che la salva? Ora è la coraggiosa Serbia a farlo, lo fanno gli eroici soldati serbi, che in migliaia cadono contro gli spietati nemici della nostra terra. Loro danno la vita per salvare la nostra Dalmazia dalla grinfie della nera aquila austriaca. [...] La Dalmazia non è italiana né per geologia (?), né per la storia, né per l’etnia. Non lo è per la geologia, perché la Dalmazia non è altro che la costa della Bosnia e dell’Erzegovina; non lo è per la storia, perché il dominio dei veneziani è Stato lo stesso una dominazione straniera come quella austriaca sulla Dalmazia, e perché secondo questo diritto storico non soltanto la Lombardia dovrebbe essere restituita all’Austria, ma tutta l’Italia non dovrebbe essere un’unica nazione. Ancora meno lo è per ragioni etniche, per dimostrarlo basta guardare quanto segue [cioè che il numero degli slavi che abitano in Dalmazia è superiore a quello degli italiani]. [...] E’ meglio che il signor Foscari non si preoccupi del destino della Dalmazia. Ancora meglio, può prendere in mano il libro di poesie del patriota italiano Niccolò Tommaseo, a cui a Venezia hanno eretto un bel monumento, e leggere la poesia

“Alla Dalmazia”, per persuadersi che il dalmata Niccolò Tommaseo ha detto e desiderato la salvezza della Dalmazia attraverso l’unione con la Serbia. [...] Noi 682.000 dalmati vogliamo che la Dalmazia appartenga alla Serbia, perché come suoi figli l’amiamo di un amore filiale, perché lei è nostra, e perché vogliamo che sia libera e non straniera per noi. Noi stessi pensiamo che il destino ci spinga, in amicizia fraterna con l’Italia, a condividere e a godere dell’antico mare Adriatico, sulla cui sponda orientale slava noi stessi accanto alla vegetazione lussureggiante della nostra rinascita nazionale coltiveremo i fiori che l’antica cultura italiana ci ha lasciato in eredità, ma vogliamo che questi fiori crescano nel nostro giardino. Ma se in Italia dominano punti di vista come quelli del conte Foscari, noi non vorremo più essere fratelli dell’Italia.229

Non manca nulla, nella lettera di Bakotić, di tutto quello che rappresenta il pensiero dei dalmati e dei serbi circa il futuro della Dalmazia. L’affinità storica, geologica ed etnica al resto dei popoli slavi, l’appartenenza geografica alla Bosnia, il riconoscimento del grande contributo culturale italiano, risalente ai tempi della dominazione veneziana, l’utilizzo delle idee di Tommaseo ai fini della difesa dell’idea jugoslava, l’argomento schiacciante della superiorità numerica della componente slava nell’area. Il tono del deputato, che pure cerca di essere diplomatico e di argomentare bene le sue tesi, trattiene a stento l’indignazione. La tensione tra le due coste adriatiche ormai è destinata a salire.

L’attenzione del «Politika» verso l’Italia, però, non sempre è volta a criticarne la politica condotta da Roma o le posizioni di alcuni intellettuali italiani circa la questione adriatica. Succede anche di imbattersi, il 3 novembre, in un editoriale scritto dal grande Arnaldo Fraccaroli intitolato L’Italia e Vienna. Si tratta di un lungo racconto, scritto dal giornalista del «Corriere della Sera», che viene offerto ai lettori del «Politika» senza un’introduzione che dia notizie

229 L.Bakotić, Salviamo la Dalmazia (Spasavajmo Dalmaciju), in «Politika», 12 ottobre 1914 (29 settembre)

sull’autore e sulla fonte da cui proviene l’editoriale. Fraccaroli, grande cronista, inviato di guerra su diversi fronti, si interessa tra l’altro anche alla Serbia e alle sue guerre, come testimoniano in particolare due opere che pubblica per i fratelli Treves, La Serbia nella sua terza guerra (1915) e Dalla Serbia invasa alle trincee

di Salonicco (1916). In questo articolo però, il giornalista italiano non parla della

Serbia o della questione adriatica, ma si lascia andare a un racconto nostalgico su un sodalizio, quello tra l’Italia e l’impero austro-ungarico, che sarebbe potuto essere e poi non è stato.

C’è stato un momento in cui si credeva che l’Italia avrebbe marciato in guerra accanto alla Germania, quindi si organizzavano manifestazioni, si suonava l’inno italiano, si gridava: Evviva! Mi ricordo: allora ero a Budapest, e quando salutavano l’Italia lo facevano con insolita energia e la si acclamava davanti all’allora consolato.230

Fraccaroli narra poi di un episodio in cui un barone austriaco gli aveva detto che l’ora delle riscossa italiana era giunta, e che combattendo con Austria e Germania l’Italia avrebbe poi ottenuto Tunisi, Nizza, la Corsica, di fronte alle quali Trento e soprattutto Trieste, così importante per l’Austria, rappresentavano in fondo poca cosa. L’autore ricorda ancora:

Viene l’annuncio ufficiale della neutralità italiana. Si crea un malessere generale. Qui e lì si brinda ancora all’Italia, ancora e sempre piacevolmente e senza accennare a una tale decisione del governo italiano. I giornali ricevono l’ordine da Vienna di non commentare in nessun modo la neutralità dell’Italia,

primo per non compromettere il futuro, secondo per non stimolare prese di coscienza negli insediamenti italiani.231

C’è incredulità in Austria, si pensa che quella dell’Italia sia una decisione temporanea, ma con il passare dei giorni è chiaro non solo che l’Italia non entrerà in guerra a favore di Vienna, ma che c’è la possibilità, nemmeno troppo remota, che partecipi al conflitto contro la sua antica alleata. Fraccaroli, sempre più imbarazzato dalle domande che in tal senso gli rivolgono i suoi amici austriaci, dopo molte difficoltà riesce a lasciare l’Austria. Il giornalista chiude l’editoriale descrivendo il momento del saluto con gli ufficiali e i giornalisti viennesi: “Arrivederci! Speriamo di non vederci di nuovo, come nemici, su opposti fronti!”.

Sembra che il «Politika», oltre a voler regalare ai suoi lettori una lettura di pregio proveniente dall’Italia, voglia in qualche modo mostrare i due volti della Penisola, che è indubbiamente abitata da gente che non condivide in pieno le scelte del suo governo, e che forse non avrebbe disdegnato un atteggiamento più aderente allo spirito della Triplice Alleanza. Dall’altra parte, il quotidiano, mostrando l’incredulità e il risentimento austriaco per l’atteggiamento dell’Italia, pone l’accento sul fatto che la frattura tra le due nazioni è ormai insanabile, forse a futuro vantaggio anche della Serbia.

Un’altra possibile chiave di lettura potrebbe essere anche il voler instillare nei lettori il dubbio che il comportamento italiano verso la Triplice non sia stato molto leale e che, quindi, dell’Italia e delle sue promesse non conviene fidarsi a occhi chiusi nemmeno per quanto riguarda la questione della costa orientale dell’Adriatico. Molto meno enigmatico è il feuilleton anonimo che appare due giorni dopo, nel numero del 5 novembre, dal titolo Trieste.

La grande guerra europea, che deve cambiare la carta dell’Europa, deve dire la sua anche sul destino di Trieste, la più grande, la più ricca e la più bella città sul mare Adriatico. Quando due anni fa, con alcuni amici sloveni di Lubiana – sotto l’influenza delle nostre splendide vittorie al sud – fantasticavo sulla nostra campagna di guerra al nord e a ovest, ho fatto loro notare come allora saremmo Stati vicini di casa.

-Come vicini? – mi hanno chiesto loro con timore.

- Be’, ma le nostre truppe per allora avranno preso la Dalmazia e la Croazia. Allora loro mi hanno guardato, seri, e ancora più seriamente mi hanno chiesto: - Da voi la pensano tutti così?

- Non so esattamente cosa pensino, ma speculo su quello che presto potrebbe essere.

- Ma noi la pensiamo diversamente. Se la nostra Slovenia, con la sua bianca Lubiana, non ha il suo trono a Belgrado, allora a cosa ci serve questa Grande Serbia! Forse voi e i Serbi pensate davvero a una grande unione jugoslava senza gli Sloveni e potete dimenticare l’Istria e Trieste?

Oggi, dopo due anni, il discorso e le domande su Trieste devono essere di nuovo definitivamente e decisamente concluse e risolte. Perciò non è privo di interesse dare al nostro mondo almeno una piccola immagine della bella città sulla costa jugoslava, che non sarebbe nemmeno così piena di stranieri se essi non fossero favoriti da qualcuno... 232

Quest’ultima frase, letta oggi da un cittadino italiano, ormai abituato a considerare Trieste parte integrante e irrinunciabile dell’Italia, certo indigna per la sua apparente arroganza. Eppure rispecchia quella che è un’idea diffusa al tempo in cui si svolgono questi avvenimenti, sia presso gli italiani sia presso gli slavi che abitano le regioni dominate dall’impero asburgico: che gli austriaci favoriscano gli italiani di Trieste per tamponare la componente slava della città (e questa è una convinzione degli slavi, dentro e fuori la città giuliana, come appena dimostrato

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 195-200)