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L’ “Età dell’oro” e la diffusione dei giornali

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 176-182)

DALL’ALTRA PARTE DEL MARE: LA QUESTIONE ADRIATICA IN SERBIA NELLE PAGINE DEL «POLITIKA»

2.4 Questioni jugoslave e adriatiche nel processo di sviluppo della stampa serba tra Ottocento e Novecento

2.4.2 L’ “Età dell’oro” e la diffusione dei giornali

Pietro si rivela un monarca illuminato, rispettoso della democrazia e quindi teso a garantire che la vita della sua nazione si svolga in maniera consona ai princìpi liberali. Perciò egli concede spazio adeguato ai partiti politici, in particolare al partito radicale che detiene il controllo del Parlamento, consente agli operai e ai lavoratori di riunirsi in sindacati, consente il diritto di voto anche a classi sociali che nel resto dell’Occidente ancora stentano a vedersi riconosciuto un tale diritto. Oltre a essere un innegabile sintomo di democrazia, questo suffragio così allargato è anche, in qualche modo, una concessione inevitabile, in un Paese la cui popolazione, ancora all’inizio del Novecento, è costituita da contadini per l’87%.

Tuttavia, aiutata soprattutto dall’intervento di numeroso capitali stranieri, anche l’industria comincia a svilupparsi, le condizioni di vita migliorano progressivamente, tanto che la popolazione, che inizia a crescere, si sposta anche nelle città, che però sono ancora piuttosto lontane dal concetto di città europea. Basti solo pensare che Belgrado, all’inizio del secolo, non ha né l’aspetto né la conformazione sociale di una capitale ma, piuttosto, è una specie di grande villaggio dove tutti gli abitanti di un determinato quartiere si conoscono tra di loro. Solo nel 1910 la città risolve i suoi problemi urbanistici, grazie all’intervento di due architetti francesi che la dotano di una grande piazza principale e di viali, eliminando i vicoli e le stradine strette tipiche delle città turche. In questi stessi anni, per inciso, la capitale ottiene un acquedotto efficiente e un moderno sistema di fognature.

Parallelamente alla crescita del sistema industriale, si affaccia sulla scena serba un nuovo tipo di borghesia, quella legata proprio alle grandi fabbriche, formata da individui dalla mentalità piuttosto pratica, pragmatica, quasi “levantina”, che si sente perfettamente rappresentata dal partito di Pašić, benché il

partito radicale fosse in realtà nato sulla base delle idee socialiste per sostenere i diritti della classe contadina. Il numero degli imprenditori serbi è tutt’altro che elevato, eppure coloro che appartengono a questa categoria sono talmente abbienti da consentire, con i propri capitali, di dare un’ulteriore spinta alla modernizzazione della nazione, soprattutto con la creazione delle prime banche. Del resto, il solo fatto che in Serbia sorga una borghesia industriale è il segno forse più vistoso dei tempi che stanno cambiando e dell’avvicinamento al mondo occidentale, che è sempre meno lontano.

L’epoca d’oro dello Stato slavo è anche un periodo di grandi scontri tra “vecchi e giovani”, tra la tradizione e la modernità, di cui è l’emblema la scissione del partito radicale in vecchi radicali e nuovi radicali, più aperti ai cambiamenti e meno ancorati alle idee di Pašić. I serbi sono consapevoli di essere entrati in un periodo nuovo, che rappresenterà una svolta nella storia del loro Paese e, tuttavia, il nuovo vuole irrompere in un sistema che ancora non è del tutto pronto per accoglierlo. La classe media, come si è detto, si sta appena formando ed è costituita principalmente da impiegati statali, mentre gli intellettuali, anche se particolarmente attivi e vivaci, non sono molto numerosi.

Ad assolvere a quelle funzioni che in Europa vengono coperte dalla grande borghesia sono la burocrazia e soprattutto l’élite militare.208

Il potere degli appartenenti all’esercito, coloro che avevano assassinato re Alessandro e avevano posto sul trono Pietro, è molto forte in questo periodo storico, poiché il re delega a loro qualsiasi decisione che riguardi la vita militare della Serbia. Per questo motivo, i militari tendono a frenare l’ascesa della classe media, convinti di essere gli unici soggetti in grado di salvaguardare l’interesse della nazione e decisi a non lasciare che i “civili” insidino questa loro prerogativa. Infatti, soprattutto dopo il primo decennio del Novecento, la classe militare entrerà in aperto conflitto con quella politica. Tra l’altro, quest’ultima diventa sempre più corposa, grazie

all’aumento vertiginoso di nuovi partiti politici che nascono proprio in seguito al regno liberale di Pietro. Lo stesso Parlamento, da essere praticamente monopartitico, si apre a un pluralismo sulla scorta del modello europeo, sebbene, a un’indagine più approfondita, questo pluralismo non possa essere interpretato secondo i canoni occidentali poiché, come notato da Stojanović,209

non c’è ancora una vera differenziazione nelle idee e nei programmi proposti dai singoli partiti.

Ad ogni modo, è proprio grazie a questa proliferazione di partiti che il numero dei giornali, soprattutto quotidiani, cresce a un ritmo serrato. Infatti, molte testate fanno capo ai diversi gruppi politici e vengono utilizzate da questi al chiaro scopo di diffondere le proprie posizioni. Il successo di questi giornali è imputabile anche allo stile di vita del cittadino medio, che è solito, dopo il lavoro, passare ore al caffè con amici e colleghi (la Belgrado dell’epoca è una città con un numero impressionante di caffè e sale da tè in proporzione alla sua popolazione), dove l’argomento principe è sempre lo stesso: la politica, che viene affrontata con passione, interesse e discussa attraverso vivacissime polemiche.

Del resto, forse in nessun Paese come in Serbia l’idea di democrazia non è solo un’idea astratta da relegare ai libri di storia e filosofia, ma fa parte integrante della vita dei cittadini, veicolata anche dai tanti giornali che, riflettendo lo spirito del tempo e i programmi dei partiti che rappresentano, recano i significativi nomi di: «Pravda» (Giustizia), «Istina» (Verità), «Sloboda» (Libertà) e simili. A tanta nobiltà di ideali non corrisponde, però, un giornalismo di qualità: i molti fogli politici che girano a Belgrado sembrano fare cattivo uso della libertà di espressione assicurata dal re, usandola per imbastire dispute e polemiche tra i diversi partiti. I contenuti degli articoli sono spesso offensivi, carichi di ingiurie verso determinati personaggi politici, mentre il registro della lingua usata non è molte volte all’altezza delle maggiori testate diffuse nel resto d’Europa. Questo è

209

Cfr. D.Stojanović, Javnost u Srbiji 1903-1914. Skica za portret srpskog društva, Belgrado, Godišnjak za društvenu istoriju 1996, p.

dovuto al fatto che i partiti sono molto spesso fondati da notabili della città, personaggi conosciuti dal pubblico, spesso imparentati tra di loro e altrettanto frequentemente divisi da ripicche, gelosie, antagonismi di ogni tipo; il dibattito politico, quindi, soprattutto in una città ancora provinciale da un punto di vista culturale e sociale come la capitale serba in questi anni, diventa in molti casi una questione personale o familiare, da seguire con una curiosità che certo travalica il semplice interessamento all’operato di questa o quella corrente politica.

A completare il quadro di quello che è il giornalismo dell’epoca, interviene anche la concorrenza spietata tra i vari giornali che, per conquistare il maggior numero possibile di lettori (e quindi di futuri elettori), si impegnano nella ricerca del sensazionalismo, nella pubblicazione di notizie dai risvolti spesso scabrosi. In questo panorama a volte desolante, si trovano però esempi di grande pregio: è il caso di «Radničke novine» (Notizie operaie), organo del partito socialdemocratico. Una prima edizione di questa testata nasce a Belgrado nel 1897 e tra i suoi redattori vanta intellettuali del calibro di Vasa Pelagić e Jovan Skerlić. Anche questo giornale, come quelli fondati da Marković, conosce una difficile gestazione: chiude dopo due anni, riprende vita nel 1902, cambia redattori. Questa volta al timone ci sono Radovan Dragović e lo studente Dimitrije Tucović. La battaglia di «Radničke novine» corre su due binari, quello della lotta ai nemici del socialismo e quello incentrato sulla critica del sistema di governo. La polemica è talmente aspra che il giornale viene nuovamente sequestrato. Finalmente riprende la sua attività nel giugno del 1903, subito dopo la caduta del regime imposto dagli Obrenović ed è proprio a partire da questa data che il foglio troverà terreno fertile per la sua crescita grazie, come si è detto, alle migliori condizioni di libertà individuale che consentono agli operai di riunirsi in associazioni, di scioperare, di agire attivamente presso la popolazione. La testata diventa presto il cuore pulsante del movimento operaio, tanto che già nell’agosto del 1903 diviene organo ufficiale del nascente partito socialdemocratico. Il

successo del giornale è talmente vasto che dal 1911 esso diventa quotidiano, il primo giornale quotidiano socialista in Serbia.

Con lo scoppio della guerra il foglio, sequestrato ancora una volta, si trasferirà a Niš, dove uscirà fino al 1915. «Radničke novine» vanta tra i suoi redattori i maggiori socialisti dell’epoca, tra cui Dušan Popović e Dragiša Lapčević, l’unico del gruppo che sopravviverà alla fine del conflitto mondiale.

I direttori che si susseguono alla guida del giornale tra il 1903 e il 1911 sono Dragović, che poco prima della sua morte diventa anche presidente del partito socialdemocratico e, per un breve periodo, Tucović, giovane di grande intelletto e preparazione politica, ma allo stesso tempo persona umile e sempre aperta al dialogo e allo scambio di idee con i suoi collaboratori e con i suoi avversari. Ma la figura di spicco, colui a cui «Radničke novine» deve il suo successo, è Popović. Appassionato giornalista, legato al mondo del proletariato, elegante scrittore, instancabile polemista, non solo Popović porta il suo giornale a essere un punto di riferimento per chi diffida della stampa troppo ancorata alle decisioni del governo e ai partiti, ma in alcuni periodi durante la guerra mondiale, soprattutto nel 1915 quando l’avanzata dell’esercito austriaco minaccia la Serbia, riesce a scrivere da solo l’intero giornale, a causa della mancanza di redattori. Muore a Londra, improvvisamente, nel 1918, mentre sta per dare alle stampe una nuova edizione di «Radničke novine».

Così come Marković era stato critico nei confronti dell’idea grandeserba, anche il programma del partito socialdemocratico, e quindi del suo giornale, si pone in maniera analoga di fronte a questo ambizioso progetto. I socialdemocratici auspicano infatti anche loro la liberazione dei popoli slavi, ma con l’obiettivo di creare un’entità comune soprattutto da un punto di vista economico dove ogni popolo possa godere di un governo democratico e

indipendente dal resto degli altri Stati fratelli.210 Questa convinzione, espressa da «Radničke novine», acquisirà maggiore forza soprattutto durante le guerre balcaniche del 1912-1913: in particolare Tucović, pur essendo contrario alla guerra e alla vita militare, va in Albania in qualità di ufficiale dell’esercito per cercare di diffondere il pensiero socialista anche tra i soldati. Gli orrori a cui assiste vengono pubblicati puntualmente da «Radničke novine», che utilizza queste testimonianze per ribadire perentoriamente il concetto di uguaglianza tra i popoli e il rifiuto dell’egemonia serba, affermando, nel caso dell’occupazione del Kosovo, i diritti nazionali della popolazione albanese. Questa decisa presa di posizione, del tutto in controtendenza rispetto all’ideologia della Grande Serbia che si impone in tutto il Paese, non è un tratto distintivo solo dell’opera di Tucović, il cui lavoro più conosciuto è Serbia e Albania, ma dell’atteggiamento che «Radničke novine» manterrà anche durante il conflitto mondiale.

La stampa politica, per quanto diffusa e apprezzata in Serbia, viene però affiancata, e molto spesso anche superata nelle preferenze della popolazione, da quella informativa che, sull’esempio del successo ottenuto da Todorović con il suo «Male Novine», riscuote successo presso un grande numero di lettori e porta con sé un nuovo dinamismo nella società, che non rimane più fossilizzata sulle dispute politiche, ma trova nuovi motivi di interesse culturale. Grazie a questo tipo di stampa, il giornalismo inizia a svilupparsi rapidamente in tutta la regione e a diffondersi per soddisfare una quantità sempre crescente di lettori, appartenenti a diverse classi sociali. Il successo di queste testate è tale da consentire loro di essere del tutto indipendenti e di non essere quindi asservite ad alcun partito politico per il proprio sostegno economico.

I giornali si diffondono in maniera capillare non solo a Belgrado, ma anche nella città minori del regno, che non sono per nulla paragonabili alle città medio-piccole del resto d’Europa, poiché assomigliano piuttosto a piccoli villaggi dalla

210 Cfr. S. Schwartz, Dietro le quinte. Ultranazionalismo e socialdemocrazia in Serbia prima del

chiara fisionomia turca, dove ci sono case a un solo piano con annesso l’orto e a volte anche la stalla. Eppure, la diffusione della carta stampata è di grande aiuto presso queste cittadine, perché consente alle comunità minori di non rimanere isolate nel loro mondo e di prendere parte al processo di modernizzazione dell’intera nazione.

Nel documento TRIESTE UNIVERSIT À DEGLI STUDI DI (pagine 176-182)