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La letteratura critica rispetto alle conseguenze di tale processo in ambito culturale, economico e sociale fa riferimento al concetto di “capitalismo cognitivo” enfatizzandone la dimensione storico-materiale e le contraddizioni intrinseche (Fumagalli, 2007; Vercellone, 2006). Queste, in particolare, sono rinvenibili nel ruolo centrale ancora assegnato al sistema capitalistico nel realizzare il profitto e nel regolare i rapporti di lavoro, cui si associa una natura cognitiva, emotiva e relazionale, in termini di modalità di creazione del valore e in relazione alle forme rinnovate dell’accumulazione capitalista. Il capitalismo cognitivo genera valore trasformando e utilizzando pensieri, emozioni e identità, operando sull’immaterialità delle risorse messe in rete attraverso le comunicazioni (Rullani, 2004).

Come evidenziato da Boutang (2012), con la prospettiva del capitalismo cognitivo, vengono ri-articolate le distribuzioni spaziali della produzione industriale, mostrando come esso moltiplica, intensifica ed estende la stratificazione globale, sia a livello centrale sia a livello periferico (Mezzadra e Neilson, 2014). Il capitalismo cognitivo, fondato sull’accumulazione del capitale immateriale, sulla disseminazione della conoscenza e sulla centralità della produzione immateriale, è caratterizzato dal crescente ruolo dei servizi connessi a tale produzione e dalla moltiplicazione dei processi di “estrazione” capitalista del valore delle innovazioni, frutto dei processi cooperativi e della riproduzione dei saperi generali.

19 L’apprendimento è il carattere distintivo di tale processo, in quanto prodotto dell’accumulazione della

conoscenza pregressa e della generazione di nuova conoscenza combinate con l’esperienza (learning by use/ doing).

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Tale modalità di accumulazione insiste sulla conoscenza20, quale risorsa base del valore e principale mezzo dei processi di valorizzazione. Il modo di produzione del capitalismo cognitivo si basa sul lavoro cooperativo dei “cervelli umani” connessi attraverso le reti informatiche. La mobilitazione della cooperazione dei “cervelli” nelle reti, promossa da saperi informatici e innovazioni, realizza una serie di esternalità positive, cui s’indirizza in modo crescente la spoliazione, guardando in particolare alla generazione di conoscenza tacita e alla capacità di contestualizzazione al di fuori dell'orario di lavoro. Questo aumento della «cooperazione tra cervelli» (Boutang, 2012: 53) implica una trasformazione della forza- lavoro: lavoro vivo e consumo della vita occupano entrambi una posizione centrale e il lavoro materiale perde il suo ruolo centrale di asset strategico, sostituito dai processi caratterizzati dall’uso delle tecnologie informatiche e della comunicazione (ICT). Accanto a ciò, la crescente complessità dei mercati richiede un maggior ricorso alle economie dell’apprendimento che comportano una differenziazione del mercato nel contesto di una competizione esasperata dal livellamento di tutti i mercati, ad eccezione del mercato del lavoro che diviene invece sempre più eterogeneo21. La produzione flessibile, che opera nei cicli brevi dell’industria just-in-time (in particolare nei settori pret-à-porter e in quello culturale), fa emergere la natura produttiva del consumo in termini di informazioni e di regolamentazione in tempo reale della produzione: gli stessi utenti dei servizi/dispositivi diventano prosumer/prouser contemporaneamente consumatori, fruitori e co-produttori di innovazioni, dando vita a nuovi meccanismi di sfruttamento del valore attraverso forme di auto-sfruttamento del lavoro.

Una tale forma di produzione/consumo, orientata verso quelle tecnologie che mettono a valore le facoltà mentali ed emozionali – attraverso l'interazione con i nuovi dispositivi informatici – è indice di una società capitalista in cui tutti sono collocati nell’alveo della produzione, integrati nella sfera economica delle risorse (sia fuori che dentro il mercato), anche coloro ai quali erano inizialmente precluse. La cooperazione in tempo reale, attraverso la condivisione di conoscenze senza restrizioni legali – come quelle che esistono per le proprietà intellettuali che ne limitano l'uso, la riproduzione e la circolazione –, fa emergere il carattere orizzontale delle comunicazioni tra i “cervelli”, ma le stesse reti digitali, incorporando le relazioni gerarchiche, producono una divisione cognitiva del lavoro che cerca di "specializzarsi", per dividere in compartimenti le discipline e pervenire alla circolazione del sapere (Boutang, 2012).

Emergono, riguardo alle trasformazioni degli assetti produttivi e degli stili di vita, dell’organizzazione economica globale e dei sistemi di comunicazione, dei linguaggi e delle

20 Il termine conoscenza richiama ciò che Vercellone, riprendendo il concetto marxiano di general intellect,

ritiene essere «capitale incorporato» (Vercellone, 2006) e che corrisponde all’insieme delle capacità intellettuali e creative dei lavoratori .

21 Accanto al lavoro stabile, erede della fase fordista, regolato dalla contrattazione, si moltiplicano vari esempi

d’informalità: l’atipicità degli impieghi terziarizzati come il “cooperativismo” (co-working), l’“auto- imprenditorialità” (self-entrepreneurship) , il “lavoro volontario” (free work), etc.

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relazioni sociali (Marazzi, 1999) 22, le figure professionali dei lavoratori della conoscenza (knowledge workers) (Drucker, 1994), consentendo di dare un volto preciso a coloro che, non solo sono accumunati dalla capacità di utilizzare le tecnologie informatiche allo scopo di anticipare, individuare, analizzare, elaborare e offrire soluzioni ai problemi (problem solving) ma che simboleggiano e permeano l’intera società contemporanea (Bologna, 2017). Si tratta di persone che, sia per Sennet sia per Rifkin, rappresentano una vera e propria èlite, poiché, negativamente, solo un numero esiguo fra loro, rispetto al complesso di chi vanta una formazione e un’educazione elevata, riesce a inserirsi nei settori del mercato del lavoro per i quali si sono formati (Sennet, 2016). Schematizzando, i settori molto qualificati tendono, infatti, a espellere la maggioranza dei lavoratori “in eccesso” (Rifkin, 2002), così che non può esservi un’esatta corrispondenza tra le conoscenze acquisite e la possibilità di applicarle per conseguire un miglioramento del proprio status sociale. L’inserimento differenziale dei professionisti della conoscenza nel mercato del lavoro va di pari passo con la problematizzazione del rapporto fra sapere e potere e sancisce un processo di inclusione attraverso l’esclusione.

Questa lettura osserva come la crescente diffusione sociale di preoccupazioni riguardo al futuro della collettività si accompagna alla maggiore riflessività dei soggetti (Beck, Giddens e Lash, 1999). Attraverso la continua messa in atto di processi di monitoraggio ed elaborazione critica dei nuovi saperi e delle nuove dinamiche sociali che diventano, quindi, sempre più riflessive – ovvero legate all’interdipendenza fra pensiero e azione – vengono abilitate o meno le possibilità riproduttive del sistema. Parallelamente a questi processi, Stehr (2015) evidenzia un aumento delle fragilità delle istituzioni moderne, sempre meno in grado di imporre la loro volontà sulla collettività e cui gli individui oppongono una generica capacità di resistenza. Fragilità e riflessività sono connesse alla capacità degli individui, entro determinate regole, di esercitare pratiche basate sui saperi acquisiti che consentono a un segmento della società di opporsi alle configurazioni di potere. Inoltre, ulteriori difficoltà in questo senso sono connesse alla incapacità dei contesti di fornire le condizioni basilari per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori della conoscenza che devono, invece, negoziare le loro carriere con i rischi, le distorsioni e le disfunzioni generate dalla speculazione neoliberista, fra cui la precarietà delle occupazioni e la riduzione dei salari e dei redditi da lavoro, lo smantellamento del welfare e il deterioramento delle prospettive professionali e di possibile occupabilità. (Pastore, 2015).

Contro queste tendenze è stata articolata la Strategia “Europa 2020”23 che priorizza la trasformazione dell’Unione Europa in un’economia della conoscenza, favorendo il

22 Le trasformazioni che hanno interessato l’organizzazione del lavoro – quali il decentramento,

l’esternalizzazione e le crescenti adattabilità e flessibilità delle funzioni produttive e commerciali – coadiuvate dallo sviluppo dell’informatica – con la diffusione globale dei personal device e del web – hanno reso possibile nuove forme di lavoro autonomo, trasformando, quindi, gli stili di vita e le strutture familiari, la mobilità sociale, diffondendo pratiche di benessere e di cura di sé e contribuendo alla crescita dei settori del terziario come il turismo, la ristorazione e i media.

23 Nel 2010, la Commissione Europea ha elaborato una serie di obiettivi comuni tra loro interconnessi da

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raggiungimento di alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Tutto ciò è da associare alla promozione dell’istruzione superiore, alla riduzione della povertà (favorendo condizioni di vita più dignitose e partecipazione) all’aumento dell’efficienza dell’allocazione di risorse da destinare alla R&S e all’innovazione, all’investimento in tecnologie a basso impatto ambientale (incrementando l’uso di fonti rinnovabili) creando nuovi sbocchi per le imprese, rafforzandone il grado di competitività su scala globale, e nuovi posti di lavoro (promuovendo il matching fra domanda e offerta), sfruttando i vantaggi del mercato unico.