• Non ci sono risultati.

Inclusi ma sospesi. Trasformazioni sociali e nuove emigrazioni. Una ricerca sui laureati italiani all'estero

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Inclusi ma sospesi. Trasformazioni sociali e nuove emigrazioni. Una ricerca sui laureati italiani all'estero"

Copied!
142
0
0

Testo completo

(1)

D

IPARTIMENTO DI

S

CIENZE

P

OLITICHE

C

ORSO DI

L

AUREA IN

C

OMUNICAZIONE D

’I

MPRESA E

P

OLITICHE

DELLE

R

ISORSE

U

MANE

T

ESI DI

L

AUREA

M

AGISTRALE

I

NCLUSI MA SOSPESI

.

T

RASFORMAZIONI SOCIALI E NUOVE

EMIGRAZIONI

.

U

NA RICERCA SUI LAUREATI ITALIANI ALL

ESTERO

CANDIDATO

RELATORE

L

ORENZO

B

OLDRINI

G

ABRIELE

T

OMEI

(2)
(3)
(4)

TEMPO E TEMPI

Non c’è un unico tempo: ci sono molti nastri che paralleli slittano spesso in senso contrario e raramente s’intersecano. È quando si palesa la sola verità, che, disvelata, viene subito espunta da chi sorveglia i congegni e gli scambi. E si ripiomba poi nell’unico tempo. Ma in quell’attimo solo i pochi viventi si sono riconosciuti per dirsi addio, non arrivederci.

(5)

INDICE

Introduzione ... 7

I - Concetti chiave e contesti ... 9

Il programma di ricerca ... 12

1. Trasformazione sociale e migrazioni qualificate ... 13

1.1 Migranti qualificati: una categoria problematica. ... 14

1.2 Evidenze del fenomeno ... 17

2. La ricostruzione dei modelli interpretativi del nesso fra migrazioni e sviluppo ... 20

2.1 Dall’automatismo alla dipendenza. Il paradigma della standard view ... 21

2.2 Dalla libertà alla gestione. Circolazionismo e management delle migrazioni ... 24

3. Il contesto della società della conoscenza ... 29

3.1 La prospettiva critica del capitalismo cognitivo ... 31

3.2 Le migrazioni qualificate nella società della conoscenza ... 34

II – Quadro teorico-metodologico e disegno della ricerca ... 38

4. Il quadro teorico-metodologico di riferimento ... 40

4.1 Elementi di teoria della pratica ... 41

4.2 Il ciclo della strutturazione dell’emigrazione qualificata ... 47

4.3 Processi di “soggettivazione”: integrare la riflessione Foucaultiana alla prospettiva della strutturazione ... 53

5. Il disegno della ricerca ... 58

5.1 Analisi delle dinamiche trasformative delle strutture esterne ... 58

5.2 Analisi delle strutture interiorizzate e dell’agency attiva ... 59

III – La ricerca sugli emigrati qualificati italiani ... 62

6. Dinamiche strutturali e flussi migratori qualificati. I dati quantitativi. ... 63

6.1 L’emigrazione qualificata dalla semiperiferia Italia... 63

6.2 Analisi comparata dei risultati dell’adozione della EU Blue Card. ... 68

7. Laureati italiani all’estero. I risultati dell’analisi qualitativa. ... 77

7.1 Mettersi alla prova fra esperienze, legami e aspettative ... 78

(6)

Riflessioni conclusive ... 94 Riferimenti bibliografici ... 97 Appendice... 106

(7)

7

INTRODUZIONE

La recessione economica ha contribuito alla ripresa delle emigrazioni qualificate dai paesi dell’Europa mediterranea (e quindi anche dall’Italia) (Pugliese, 2018) verso i poli dello sviluppo Europei e internazionali. Questo processo, che s’inserisce nell’ambito della recente trasformazione dei processi di produzione e redistribuzione socio-economica globale (Castles, et al., 2014) coinvolge diversi collettivi di persone sulla base della loro disponibilità di capitale umano e sociale, di reti di relazioni e della presenza di condizioni di opportunità economica e socio-legale, che ne abilitano o vincolano l’inclusione nei mercati del lavoro dei paesi di destinazione.

Il tema delle nuove migrazioni qualificate è attualmente al centro delle indagini e dei programmi pluriennali di ricerca di sociologi, economisti e geografi delle migrazioni. Tuttavia, rimangono ancora debolmente esplorate le connessioni fra queste specifiche dinamiche migratorie e le recenti trasformazioni del modello di produzione capitalista in Europa, e, in particolare, il ruolo che la migrazione qualificata sta svolgendo sia in Europa sia nel mondo, nella selezione e allocazione della forza lavoro richiesta dai nuovi poli di sviluppo dell’economia della conoscenza. Ancora poco esplorati sono gli effetti trasformativi di questa migrazione sulle dinamiche di sviluppo dell’Italia e sulle condizioni di possibilità di vita dei singoli individui.

In Italia, il fenomeno delle nuove emigrazioni è interpretato negativamente, da una parte, evidenziando il concetto di “fuga dei cervelli”, ovvero di quei talenti che sono “obbligati” a partire e a cercare fuori dall’Italia un percorso coerente con i propri studi e all’altezza delle proprie competenze. L’Italia è rappresentato come un paese in “perdita”, che forma i laureati ma non offre loro le possibilità di lavoro e di realizzazione personale, privandosi del loro contributo per la crescita e lo sviluppo dell’economia nazionale. Dall’altra, s’insiste sulla mobilità dei laureati in termini positivi, come opportunità “necessaria” per la costruzione dei propri percorsi biografici, incoraggiando l’esperienza all’estero, l’apprendimento di una lingua, il confronto con una realtà differente e l’auto-determinazione. “Cosa” e “quanto” di questi discorsi pubblici è sempre valido? Qual è, se esiste, il livello effettivo di questa perdita? Che tipo di opportunità e quali limiti si configurano per i soggetti mobili?

Per cercare di rispondere a queste domande e di porne ulteriori ho sviluppato il presente lavoro. Attingendo dalla ricerca pilota dell’Università di Pisa sulle dinamiche migratorie dei laureati italiani nella società della conoscenza (Tomei, 2017), la tesi si compone di tre parti: nella I parte viene problematizzato il tema delle migrazioni qualificate nel contesto internazionale, Europeo e italiano, inquadrandolo nell’ambito del processo di trasformazione sociale globale. Dopo aver individuato i termini chiave della questione, sono fornite le evidenze empiriche più rilevanti e si passa in rassegna lo stato dell’arte riguardante il nesso fra migrazione e sviluppo economico. Infine, l’attenzione è posta ai processi

(8)

8

politico-economici, culturali e sociali riconducibili al concetto di società della conoscenza, realizzando uno sforzo analitico e critico che riconduca le migrazioni qualificate alle dinamiche evolutive della società della conoscenza.

La II parte, di carattere teorico-metodologico, prende le mosse dal dibattito sociologico sulla dicotomia struttura/agency considerando entrambe le dinamiche strutturali e le motivazioni individuali al centro delle dinamiche migratorie (O’Reilly, 2012). L’obiettivo è esplorare il grado in cui la migrazione altamente qualificata opera come dispositivo produttivo di soggettività molteplici, abilitando o vincolando la mobilità delle persone sia secondo le traiettorie imposte dalle pressioni strutturali, sia in risposta all’attivazione delle risorse ed energie personali e all’adesione dei migranti al discorso neo-liberale sull’auto-imprenditorialità. Al termine della ricostruzione del paradigma teorico di riferimento, viene dettagliata la duplice strategia d’indagine, i cui obiettivi sono: 1) verificare la forza della relazione tra i flussi migratori qualificati e gli investimenti in economia della conoscenza (nel contesto europeo), e a che tipo di gestione dei flussi di laureati espatriati corrisponde questa relazione. 2) Esplorare da vicino i percorsi di mobilità e costruzione identitaria dei laureati italiani, nel quadro della recente trasformazione dei processi di produzione e redistribuzione socio-economica determinatasi con l’affermazione dell’economia della conoscenza.

I risultati della ricerca vengono presentati nella parte III che è composta da due direttrici d’analisi: la prima di tipo quantitativo, volta a mettere in relazione i dati statistici secondari prodotti da OECD, World Bank, UNESCO, EUROSTAT, ISTAT sui flussi di migranti qualificati e sugli investimenti nei settori R&S con a) il riposizionamento del contesto italiano di partenza nella società della conoscenza e b) comparando la capacità di cinque paesi europei (fra cui l’Italia) nell’attrarre i talenti dall’estero nel contesto della competizione globale (Boeri et al., 2012). La seconda è tesa ad approfondire qualitativamente le biografie degli espatriati, attraverso l’analisi di 8 interviste in profondità fatte a laureati italiani all’estero, che esplorano: le modalità di arrivo e inserimento; il rapporto tra aspettative e realtà quotidiana; le relazioni sociali e le reti di appartenenza; il percorso di ricostruzione della propria identità; le aspettative, la nostalgia e la riflessività rispetto alla pressione del dispositivo neoliberista della prestazione.

(9)

9

I

-

C

ONCETTI CHIAVE E CONTESTI

L’onda lunga della recessione economica ha contribuito alla ripresa delle emigrazioni dirette dai paesi dell’Europa meridionale verso i poli dello sviluppo economico continentale e globale, generando un cambiamento della composizione sociale e professionale dei flussi (Pugliese, 2018). Al loro interno risultano, infatti, incrementate le quote di migranti qualificati, caratterizzate da una popolazione di giovani con connotazioni comuni – in particolare l’elevato livello di scolarizzazione, anche se non esclusivamente – che si muove sia nello spazio europeo, sia seguendo traiettorie globali, per studiare, specializzarsi o cercare un’occupazione per lo più coerente con il proprio profilo professionale e lavorativo, sulla base delle competenze acquisite e delle proprie aspirazioni.

I trasferimenti verso l’estero per un periodo superiore a dodici mesi rientrano nella categoria di migrazioni che però presenta significative differenziazioni in relazione alla specificità della composizione qualificata dei flussi. Tali spostamenti spesso mantengono alcuni elementi della mobilità di breve durata: la temporaneità del progetto migratorio (connessa alla durata del contratto o del progetto), la circolazione fra più paesi, i ritorni periodici nel paese di origine, il mantenimento di relazioni e contatti con la comunità di provenienza e la possibilità di beneficiare o meno di forme specifiche di tutela giuridica (e.g. nel caso di spazi giuridici sovranazionali come l’Unione Europea).

Il fenomeno della migrazione e quello della mobilità, seppur differenziati dal punto di vista giuridico, sono interconnessi e concorrono sostanzialmente a plasmare la globalizzazione. In quest’ottica si è orientato lo sforzo complessivo della ricerca del sociologo australiano Stephen Castles che ha concettualizzato il nesso fra l’approccio della trasformazione sociale e le migrazioni internazionali (Social Transformation and International Migration in the 21st Century) (Castles et al., 2015). Prendendo a prestito da Polanyi la definizione di «grande trasformazione»1 (Polanyi, 2000), Castles individua una connessione fra trasformazione sociale e sviluppo globale alla luce della stretta relazione fra l’accelerazione della globalizzazione economica e la riarticolazione delle strategie di potere dominanti. Tale approccio rileva una forte interconnessione fra i cambiamenti economico-politici e la trasformazione delle relazioni sociali, concettualizzando la migrazione come «parte integrante» (Castles et al., 2014: 26) e radicata (embedded) nei processi di globalizzazione, sviluppo e trasformazione sociale.

L’interazione fra migrazioni e trasformazione sociale è stata messa in luce da un dibattito multidisciplinare che trova le sue radici nell’influente confronto fra la critica del modello politico-economico liberale (Stiglitz, 2017), sulla scia del lavoro di Polanyi, e gli approcci che si concentrano sulle relazioni spaziali e studiano il rapporto fra le forze globali e le reazioni a livello locale (Sassen, 2010; Levitt e Glick Schiller, 2004).

1 Polanyi spiega come il processo spontaneo di trasformazione socio-economica della società, che ha

rivoluzionato le economie occidentali nel corso del diciannovesimo secolo, sia stato caratterizzato dal radicamento delle relazioni sociali all’interno del sistema economico.

(10)

10

Castles (2016) suggerisce di collegare il carattere situato della migrazione (paesi di origine e di approdo) con i processi sociali globali. In questo modo è possibile studiare il cambiamento da una prospettiva multilivello, integrando in modo sistematico le teorie migratorie all’interno di un quadro teorico più ampio e metodologicamente coerente.2 L’approccio della trasformazione legge il mutamento della posizione socio-lavorativa del personale nelle economie avanzate, connettendolo alle dinamiche di ristrutturazione globale degli investimenti, della produzione e degli scambi commerciali. I processi trasformativi, legati alla ristrutturazione neoliberale, danno vita a una serie di dinamiche sistemiche che frammentano gli spazi geopolitici ed economici a livello internazionale e si rivelano in grado di abilitare, o vincolare, la migrazione sia del personale altamente qualificato sia di quello dequalificato o non qualificato (Amelina et al., 2016).

Castles et al. (2014) individuano cinque trend macrostruttuali che mettono in luce i massivi processi di trasformazione in corso che caratterizzano il mondo globale contemporaneo:

1) la crescente connessione fra la globalizzazione, la trasformazione sociale e i processi migratori, mostrando come i processi di cambiamento e di sviluppo economico, politico e culturale trasformano le relazioni sociali a livello internazionale e condizionano la crescita della mobilità umana.

2) La rapida transizione demografica e l’aumento dell’età media che nei paesi sviluppati riducono le coorti dei potenziali nuovi ingressi dei giovani nel mercato e incrementano il tasso di domanda di lavoro migrante a tutti i livelli di qualificazione.

3) Le dinamiche che interessano la forza-lavoro legate, da un lato, all’esternalizzazione delle occupazione a basso valore aggiunto nelle economie a salario ridotto sempre più caratterizzate da sfruttamento e scarsa regolamentazione; dall’altro, ai processi di segmentazione del mercato del lavoro sulla base del genere, dell’etnia, delle origini e dello status legale, che obbligano i migranti ad accettare occupazioni precarie caratterizzate da subcontratti, forme spurie di lavoro autonomo, lavori temporanei e informali, ricoprendo quelle posizioni occupazionali che i nativi rifiutano.

4) L’emergere di un mondo multipolare caratterizzato dalla regionalizzazione politico-economica, cui si accompagna la crescita dell’influenza politico-economia delle potenze emergenti, che plasmeranno il futuro panorama delle migrazioni globali, incrementando i tassi di competitività per l’attrazione del lavoro migrante.

5) La flessibilizzazione dei tipi di mobilità internazionale. Le innovazioni nei trasporti, nella tecnologia e nella cultura, consentiranno a una fetta sempre più ampia della popolazione di valicare i confini nazionali incrementando la mobilità di breve durata. Essa implica una

2 Castles (2016) suggerisce lo sviluppo di teorie a medio-raggio che possano aiutare a integrare gli

approfondimenti provenienti da varie scienze sociali per comprendere le variazioni e le regolarità dei processi migratori, entro un contesto socioeconomico storicamente dato, costruendo un framework concettuale che consideri i processi contemporanei di trasformazione sociale come punto di partenza per la comprensione dei mutamenti dei percorsi della mobilità umana e in grado mappare le connessioni tra i fattori (economici e non) che influenzano i processi migratori.

(11)

11

maggiore porosità dei confini e l’incremento della flessibilità del movimento, non necessariamente legata alla permanenza di lungo periodo.

Seguendo tali dinamiche, i processi di trasformazione sociale risultano intermediati dai pattern storici, dagli schemi culturali locali e dal complesso delle strategie individuali o collettive, nei cui confronti le persone praticano varie forme di adesione e resistenza (Castles, 2016). Le migrazioni sono, infatti, connesse ai recenti processi di cambiamento che hanno caratterizzato la produzione e la redistribuzione socio-economica globale e vanno osservate in quanto coinvolgono differenti tipologie di soggetti, selezionandoli in base alla loro disponibilità di capitale umano, sociale e simbolico, di legami reticolari e transnazionali3.

Il modello presentato è quindi molto sensibile all’azione promossa dalle reti sociali, non solo quali fattori di attrazione, ma come insieme di legami che sostengono e accompagnano l’integrazione nella società ricevente. Inoltre, viene attribuita molta importanza alla dimensione politico-istituzionale, in termini di esclusione e inclusione dei soggetti migranti.

Da questo punto di vista, migrazioni e mobilità vengono attivate dal differenziale di sviluppo fra paesi di destinazione e paesi di origine, generando contemporaneamente un’attivazione biunivoca di nuove e diversificate dinamiche di sviluppo. In letteratura è stato mostrato il grado in cui sia le città globali, sia le filiere produttive connesse alla logistica delle piattaforme, generano la co-esistenza e la “compresenza” di personale altamente qualificato e ben remunerato e di personale non qualificato, sottopagato e soggetto all’incremento della precarizzazione frutto dell’intensificazione del terziario (Boltanski e Chiapello, 2014; Castles et al. 2014; Mezzadra e Neilson, 2014; Sassen, 2010).

3 Al centro dell’analisi vi sono gli attori sociali, connessi in estese reti relazionali, le cui interazioni, gli incontri e

le negoziazioni influenzano le regole (scritte e non), la cultura condivisa, le decisioni economiche e la storia (Granovetter, 1985). Da questa prospettiva, l’azione dei migranti rappresenta un caso d’incorporazione sociale dei processi economici (Portes e Sensenbrenner, 1993).

(12)

12

IL PROGRAMMA DI RICERCA

Attingendo dal paradigma indicato, il programma di ricerca della presente tesi si propone di analizzare le dinamiche di mobilità e d’integrazione nel mercato del lavoro internazionale dei migranti qualificati italiani. Sullo sfondo della trasformazione globale dei processi produttivi e di redistribuzione socio-economica proliferati nel contesto dell’economia della conoscenza, l’obiettivo dell’indagine è quello di rispondere a due domande: qual è la struttura delle relazioni che connettono il volume e la traiettorie a livello internazionale dei flussi migratori qualificati con gli investimenti promossi in nome dell’economia della conoscenza? Quali sono i fattori che plasmano i percorsi d’insediamento e integrazione degli emigrati qualificati italiani e le modalità di inclusione nelle società di approdo?

Seguendo queste domande, il proposito è di restituire un resoconto il più possibile coerente con l’orientamento analitico diretto a esplorare i rapporti complessi che nei Migration Studies legano le dinamiche di tipo economico, politico e sociale (globalizzazione/trasformazione sociale, economia della conoscenza/capitalismo cognitivo, migrazione/mobilità) con le strutture intermedie (reti/culture migratorie, gli accordi inter-istituzionali, i dispostivi legali di selezione) e le strategie biografiche individuali.

Questo schema, seppur chiaro, presenta una logica ancora troppo meccanicistica delle dinamiche prodotte dai feedback fra i diversi livelli a cui è necessario integrare la rilevanza particolare delle forze in campo, tenendo conto del peso specifico dei soggetti e dei contesti considerati. Il tentativo del presente lavoro, attingendo dall’indagine pilota sui laureati dell’Università di Pisa illustrata da Tomei (2017), è quello di esplorare due importanti dimensioni: lo sviluppo di lunga durata dei fenomeni che legano le relazioni biografiche dei soggetti, le reti sociali, le istituzioni e le tendenze strutturali. Inoltre, focalizzando l’attenzione sul ruolo trasformativo della consapevolezza e delle pratiche del soggetto migrante è possibile individuare le modalità con cui, seppur abilitato o vincolato alla migrazione da fattori esterni, riesce a mantenere di per sé un potere di resistenza che può permettergli di retroagire in modo trasformativo sulle pressioni di livello macro e meso.

Il presente capitolo, di carattere più teorico, si articola seguendo due linee d’indagine: la prima è volta a ricostruire l’insieme delle conoscenze sul tema indagato e lo stato dell’arte in relazione alle nuove migrazioni qualificate e la seconda riguarda l’analisi critica del contesto politico-economico della società della conoscenza.

(13)

13

1. TRASFORMAZIONE SOCIALE E MIGRAZIONI QUALIFICATE

Il caso specifico delle migrazioni qualificate, è emblematico in relazione al grado in cui esse promuovono o ostacolano, attraverso la mobilità o la stasi delle persone, la circolazione di capitale umano e sociale, di competenze e saperi. Le migrazioni qualificate rappresentano un’ottima chiave di lettura per indagare le dinamiche di sviluppo nell’epoca del capitalismo cognitivo e nell’analisi dei fattori istituzionali e socio-culturali che ne costituiscono il contesto. Va inoltre rilevato come il crescente interessamento di sociologi, economisti e geografi nei confronti di tali fenomeni evidenzi, in effetti, la centralità assunta dalle migrazioni qualificate nella lettura del mutamento delle relazioni sociali. La trasformazione, come già anticipato, corrisponde, da un lato, all’intensificazione e alla globalizzazione della mobilità interna dei paesi del Nord del mondo. Dall’altro, è legata alle preoccupazioni crescenti per gli aspetti più critici del fenomeno generati dall’impatto sui tessuti sociali ed economici coinvolti.

Assumendo la prospettiva trasformazionale che intreccia globalizzazione, mobilità delle persone e delle loro competenze, ristrutturazione delle economie, trasformazione sociale e sviluppo, è possibile studiare i flussi dei migranti qualificati che si spostano fra i diversi paesi e i dispositivi che ne favoriscono o vincolano la circolazione. L’attenzione alle nuove mobilità permette di osservare sia le dinamiche di crescita delle aree che attirano le conoscenze, sia quelle recessive dei paesi di origine che soffrono gli effetti del brain drain.

Le analisi prodotte studiando il tema delle nuove migrazioni qualificate si sono focalizzate sulla comprensione del fenomeno, provando a valutarne i pattern di sviluppo possibili e l’impatto generato sui paesi coinvolti nei flussi. La maggiore attenzione al nesso che lega tali dinamiche migratorie con le trasformazioni intercorse nel modello produttivo europeo e globale e, più direttamente, con il ruolo che la migrazione qualificata svolge per l’allocazione ottimale del personale altamente qualificato nei poli della conoscenza, consente di indagarne gli effetti sulle potenzialità di sviluppo delle aree coinvolte. Nel caso specifico del presente lavoro, saranno esplorati gli effetti trasformativi prodotti da questa categoria migratoria e l’impatto generato sulle dinamiche di sviluppo dell’Italia.

Nel contesto italiano, il discorso pubblico, il superficiale dibattito politico attuale, la stampa e gli osservatori del fenomeno hanno sempre maldestramente registrato il fenomeno delle migrazioni qualificati usando l’espressione “fuga dei cervelli”4 Misinterpretando le reali

4 Sanfilippo (2017) ripercorrendo la storia dell’emigrazione italiana, segnala che, nell’ultimo decennio, seppur il

numero di laureati o i diplomati partiti sia significativo, raramente si è trattato di una fuga di cervelli: «appare più evidente l’insoddisfazione giovanile per l’Italia, dove le criticità lavorative si assommano a una più generale difficoltà di vivere. […] L’espatrio sembra […] l’unico modo di garantirsi […] un livello soddisfacente di vita e pare contraddistinto da una spinta generazionale. Non partono solo gli altamente qualificati, ma […] la maggioranza dei partenti ha una qualifica più alta della media di chi è espatriato tra il 1945 e il 1975. Le migrazioni provocate dalla grande recessione iniziata nel 2007 investono, sia pure in grado diverso, tutte le fasce d’età e quasi tutte le fasce sociali […]. Partono forse i cervelli ma anche i “talenti semplici”, cioè le persone normali […] inoltre è da tener presente che […] i nuovi migranti sono più qualificati dei precedenti, ma sono in media anche meno pagati. Il problema è l’esclusione dal patto sociale di un’intera generazione. » (Sanfilippo, 2017: 366-367)

(14)

14

dinamiche socio-demografiche che lo caratterizzano e sottovalutandone il portato politico-culturale (Beltrame, 2007). Attualmente sono disponibili varie riflessioni e diverse indagini conoscitive sul fenomeno che evidenziano l’impegno crescente nel dare vita ad una sua più ampia comprensione (Almalaurea, 2018; Boeri, 2014; Bonifazi, 2017; Bonifazi e Livi Bacci, 2014; Coccia e Pittau, 2016; Gjergji, 2015; Licata, 2018; Maddaloni, 2019; Maddaloni e Moffa, 2018; Milio et al., 2012; Pugliese, 2018; Recchi, 2013; Ricucci, 2017; Saint-Blancat, 2017; Tomei, 2017; Triandafyllidou e Isaakyan, 2016).

Attingendo da questi studi e attraverso database e dati statistici secondari, questo lavoro si da il compito di ricostruire le principali linee di indagine sulle migrazioni qualificate in generale e sulle nuove emigrazioni qualificate dall’Italia. A caratterizzare l’analisi sarà l’esplorazione delle caratteristiche sociali e culturali dei protagonisti di questa nuova emigrazione e il loro inserimento nel mercato del lavoro internazionale. Si tratta di fare luce sulle relazioni che insistono tra le trasformazioni globali e i pattern delle esperienze situate sullo sfondo dei nuovi processi di segmentazione del mercato del lavoro. Le possibilità occupazionali dei lavoratori dipendono, infatti, da tutta una serie di fattori (formazione, abilità, genere, etnia, origine, status legale) e riflettono i legami fra le trasformazioni della forza-lavoro e i processi di mutamento sociale. Concentrando l’attenzione sulle traiettorie biografiche e personali dei migranti qualificati e tenendo presenti tali connessioni è possibile mettere in luce le dinamiche trasformative complessive.

L’analisi seguirà queste direttrici mentre i prossimi paragrafi cercheranno di rispondere ad alcune questioni preliminari: qual è l’oggetto della ricerca? Quali sono le evidenze del fenomeno?

1.1MIGRANTI QUALIFICATI: UNA CATEGORIA PROBLEMATICA.

Con il termine migrante ci riferisce a una persona che risiede da almeno 12 mesi (o 3 mesi nel caso ci si riferisca alle migrazioni temporanee a breve termine) in un paese diverso rispetto a quello di cui ha la nazionalità. Questa identificazione varia secondo l’ordinamento giuridico cui si fa riferimento, e fra Paesi diversi, in base alla valutazione politico-istituzionale dominante (Cerna e Czaika, 2016). Il dibattito si è confrontato con la differenziazione fra migrazioni e mobilità, mettendo spesso in discussione i due termini da vari punti di vista. Nell’attuale panorama globale sempre più interconnesso, attraverso le tecnologie avanzate della comunicazione e della logistica, si sono moltiplicate le possibilità sia di spostamento della residenza all’interno delle vaste aree regionali e continentali, sia di espatrio per brevi periodi, che per transitare successivamente verso una nuova destinazione. Da una parte, quindi, la distinzione tra mobilità e migrazione si è affievolita dal punto di vista teorico, coinvolgendo nella definizione anche gli spostamenti di durata inferiore ai 12 mesi e interni a paesi di notevoli dimensioni. Dall’altra, la necessità di ancorare l’analisi alle statistiche ufficiali disponibili e alle definizioni accettate di migrazione internazionale non consente di

(15)

15

ricomprendere fra le osservazioni gli spostamenti di durata inferiore all’anno sottostimando, a livello strutturale, i fenomeni di mobilità. Ciò comporta necessariamente un’opacizzazione della distinzione effettiva fra migrazioni internazionali e interne, ad esempio, oppure nell’ambito della libera circolazione intra-Europea, dove la migrazione internazionale si profila in realtà come una mobilità regionale.5 Finché non sarà implementata l’auspicata armonizzazione dei criteri definitori, connessa alla necessità di produrre rilevazioni e raccolte dati sistematiche, è opportuno chiarire l’oggetto osservato e le categorie assunte dall’analisi (O’Reilly, 2012; Tomei, 2017).

Qual è, allora, l’oggetto specifico della presente ricerca?

Usare la terminologia “migrazioni qualificate” non consente di identificarlo precisamente, producendo un’omologazione dei profili disomogenei dei soggetti che migrano, incrementando la problematicità dell’individuazione dell’oggetto di indagine. Milio et al. (2012), rilevando le difficoltà di definire univocamente i migranti altamente qualificati, a causa delle differenze tra i vari paesi – in relazione ai diversi sistemi scolastici e alle diverse modalità di riconoscimento delle qualifiche –, descrive come altamente qualificati coloro che hanno un’educazione terziaria di primo o secondo livello, o superiore alla secondaria. Viene, inoltre, assunto che coloro i quali siano in possesso di un’educazione altamente qualificata, abbiano un impiego in lavori altamente qualificati. Si individuano così una serie di tipologie di «professionisti internazionali» (Iredale, 2001), classificabili nella categoria di migranti altamente qualificati, in possesso di laurea e con le capacità di operare in ambienti di alta specializzazione, legati a determinate abilità, con esperienza consolidata e in continua formazione, anche informale: trasferimenti inter- e intra-aziendali, tecnici e visiting firemen, personale medico e professionisti impiegati nei settori educativi e della salute, professionisti di progetto, investitori e operatori economici, consulenti specializzati, persone alla ricerca di opportunità per lo sviluppo di carriere e per la formazione, preti e missionari, personaggi dello spettacolo, sportivi e artisti, accademici, ricercatori e personale accademico, studenti, personale militare, coniugi e figli delle suddette categorie.

Generalmente, si riconoscono come soggetti altamente qualificati coloro che possiedono un livello di educazione terziaria di primo e di secondo livello. Per quanto riguarda il contesto italiano, è possibile indicare come qualificati gli individui che sono in possesso di diploma di laurea, master o dottorato. Tale definizione però assume che chi è in

5 Le organizzazioni internazionali hanno mosso alcuni passi in avanti in quest’ottica, coniugando mobilità e

migrazione all’interno dello stesso quadro programmatico. Nel 2018 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato, infatti, il Global Compact for Migration (GCM), un accordo non vincolante che promuove un approccio globale in materia di migrazione e di mobilità, rafforzando la coesione delle politiche tra i paesi sottoscrittori. Si tratta sostanzialmente della riproduzione a livello internazionale, al netto delle specifiche modifiche applicative, del modello adottato dall’Unione Europea attraverso l’istituzionalizzazione del General Agreement on Migration and Mobility (GAMM), che concepisce la mobilità transfrontaliera in una prospettiva più ampia rispetto al concetto di migrazione, incorporando la politica del rilascio dei visti nell’alveo delle strategie di sviluppo dei paesi coinvolti nei flussi. In questo senso, i migranti sono visti come i motori dei processi di sviluppo e quindi viene enfatizzata la promozione di una serie d’iniziative che aprono alla circolazione dei talenti – attenuando le ricadute negative del brain drain –, all’implementazione di prodotti finanziari per ingaggiare le diaspore (e.g. i Diaspora bond) e allo sviluppo di schemi di partnership fra pubblico e privati con il coinvolgimento dell’imprenditoria etnica.

(16)

16

possesso di un’educazione superiore sia necessariamente impiegato in lavori ad alta qualificazione, ma, come vedremo, ciò non è sempre vero. Infatti, sebbene l’accesso a determinate professioni sia spesso associato al possesso di una laurea, in molti casi l’inserimento in contesti di lavoro altamente qualificati è legato a specifici percorsi formativi, ad esperienze precedenti e conoscenze informali, a formazione continua o a nessuna ulteriore richiesta di qualificazione. Inoltre, non necessariamente i migranti appartenenti alle categorie qualificate sono inclusi nel mercato del lavoro svolgendo una professione qualificata. Questa molteplicità di situazioni complica ulteriormente la definizione di soggetti qualificati e incrementa l’eterogeneità della composizione dei flussi migratori, evidenziando categorie e ambiti differenti con incidenza e pattern di mobilità diversificati.

Nella definizione dei livelli di qualificazione dei migranti, secondo l’analisi di Parsons et al. (2014), esistono una serie di discordanze, che concorrono per gradi diversi a introdurre e riprodurre delle distorsioni nella rappresentazione del fenomeno indagato, e riguardano:

1) la scelta dei criteri in base ai quali le statistiche nazionali classificano i migranti (i.e.: educazione, occupazione, reddito). Ciascuna di queste dimensioni possiede un andamento diverso e non sono state evidenziate delle correlazioni reciproche.

2) Le modalità di classificazione delle professionalità (i.e.: esperienza lavorativa, livello di istruzione, professione da svolgere) che possono far si che un migrante siano identificato come qualificato e contemporaneamente come non-qualificato in paesi diversi, rispecchiando le categorie definitorie di ciascun contesto nazionale.

3) I criteri di definizione della qualificazione basati sul fabbisogno occupazionale (job-offer systems) e/o sugli schemi a punti (points-based systems) che dipendono, rispettivamente, a) dalle politiche d’incentivazione all’immigrazione funzionale alle carenze occupazionali di breve periodo (i.e.: interpelli ai lavoratori autoctoni, liste dei lavori mancanti, testi a punti, requisiti di settore o soglie di salario minimo); b) dalle politiche di facilitazione all’ingresso di capitale umano quale comburente della produttività di medio-lungo periodo (i.e.: richiesta di competenze, livello di formazione, esperienza professionale, età e adattabilità).

È possibile definire il livello di qualificazione di un lavoratore mobile incrociando i principali criteri usati dalle classificazioni ufficiali internazionali, tenendo sempre presente che le fonti utilizzate nelle ricerche solitamente dipendono dalle eterogenee prospettive politico-giuridiche nazionali connesse alle modalità di selezione e regolazione del personale in ingresso. A livello internazionale i principali database sulle migrazioni altamente qualificate attingono dalla classificazione dei livelli d’istruzione ISCED (International Standard Classification of Education) integrandola con le tipologie di occupazione ISCO (International Standard Classification of Occupation).

(17)

17

1.2EVIDENZE DEL FENOMENO

Analiticamente, la registrazione del fenomeno in esame può essere articolata secondo tre livelli: in relazione al contesto internazionale, rispetto al contesto europeo e, nello specifico del presente lavoro, rispetto al contesto nazionale italiano.

Le fonti statistiche ufficiali stimano che il numero dei migranti altamente qualificati rappresenti circa il 30% dei 243 milioni di migranti internazionali, inoltre più della metà di questi risiedono nelle economie più sviluppate (IOM, 2017). Sebbene il dato dei migranti internazionali, comparato alla popolazione globale, sia sostanzialmente piccolo (circa il 3%) si possono fornire almeno tre tendenze (Castles et. al, 2014) rispetto alle recenti evoluzioni dei flussi che danno un’idea abbastanza precisa del fenomeno e della percezione di questo:

1) Accelerazione: nonostante la recessione economico-finanziaria, le migrazioni globali sono incrementate, seppur sempre in misura minore6;

2) Differenziazione: il tasso emigratorio del personale altamente qualificato eccede quello emigratorio totale per la gran parte dei paesi di origine, Europei in particolare, riflettendo la natura selettiva della migrazione (OECD, 2013) e marcando più distintamente la crescita dei flussi diretti verso i poli dello sviluppo continentale e globale;

3) “Femminilizzazione”: il 52% circa dei migranti internazionali sono donne.

Per quanto riguarda le principali destinazioni OCSE, al 2016, per livello d’istruzione7, a includere nel mercato del lavoro nazionale i migranti altamente qualificati sono, in ordine decrescente, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Australia, Giappone, Canada, Francia e Germania (OECD, 2018b) e per quasi tutte le destinazioni viene registrato un aumento rispetto all’anno precedente, fino a +133% per il Canada. Al contempo, si evidenzia una flessione importante per gli Stati Uniti (-27%) rispetto all’anno precedente, mentre, per quanto riguarda la Germania la diminuzione si attesta al 4%.

Lo studio prodotto dal Centro Studi e Ricerche IDOS congiuntamente con l’Istituto di Studi Politici "S. Pio (Ricci e Coccia, 2019) registra che all’inizio del 2017, secondo i dati EUROSTAT, 16,9 milioni i cittadini comunitari che lavorano o vivono in un altro Stato membro e 2 milioni i frontalieri, tra lavoratori o studenti che attraversano le frontiere quotidianamente o su base settimanale. Tra il 2004 e 2016, rileva la pubblicazione, il numero dei migranti comunitari altamente qualificati è quasi triplicato, fino a raggiungere la cifra di circa 3 milioni nel 2016 (ISCED 5-8). A questi si devono inoltre aggiungere 3,6 milioni di occupati comunitari mediamente qualificati (ISCED 3-4). Un terzo circa degli altamente qualificati comunitari in mobilità si è inserito in attività professionali, scientifiche e tecniche (12,0%), nel settore sanitario (11,0%) e nell’istruzione (10,6%); la restante parte nell’edilizia

6 Dal 2000 al 2010 la crescita dello stock internazionale dei migranti ha segnato una forte accelerazione fino a

raggiungere i 4,6 milioni di migranti l’anno per poi subire un rallentamento contestuale alla crisi economica globale, per cui l’incremento annuale si attesta a circa 3,6 milioni dal 2010 in poi (IOM, 2017).

7 I dati si riferiscono alle stime fornite dal report dell’International Migration Outlook (OECD, 2018b) che

prende in considerazione i flussi in entrata nei paesi OCSE del personale in possesso di un titolo di qualificazione avanzato di livello terziario, assimilabile ai livelli ISCED 5-8.

(18)

18

(12,7%), nel settore manifatturiero (11,9%) e nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (9,5%).

Il Dossier Statistico Immigrazione (Di Sciullo e Paravati, 2018) evidenzia come la crescita dell’emigrazione dall’Italia, con 114.559 espatriati ufficiali nel corso del 20178 , sia un trend che interessa non solo gli italiani, ma anche le persone straniere (le cui cancellazioni anagrafiche per l’estero sono state 40.551 nel 2017) o che hanno acquisito la cittadinanza (il 18,5% in più rispetto 2016). Il trend appare inoltre privo di arresto, in quanto le registrazioni AIRE per il 2018 calcolano 116.732 cancellazioni anagrafiche per l’estero (Di Sciullo e Paravati, 2019). Il Rapporto Italiani nel Mondo (Licata, 2018) aggiunge che, in prevalenza, gli emigrati hanno un titolo di studio medio-alto (almeno la metà possiede almeno il diploma) e che i principali paesi di destinazione sono stati il Regno Unito e la Germania, rispettivamente per il 21,6% e il 16,5% degli emigrati italiani9. Più precisamente, la pubblicazione congiunta del Centro Studi e Ricerche IDOS e dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” stima circa 1 milione e duecentomila italiani in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni) che risiedono abitualmente in un altro Stato membro dell’UE, di cui il 30,4% risulta laureato (ISCED 5-8), il 36,3% ha conseguito un titolo di istruzione secondaria superiore e post-secondaria non terziaria (ISCED 3-4); e il 32,0% ha un’ istruzione inferiore (ISCED 0-2). I laureati italiani emigrati all’estero sono passati da circa 3.500 nel 2002 a circa 28mila nel 2017 e i titolari di un diploma di scuola secondaria superiore da 10mila nel 2002 a circa 33mila espatriati nel 2017. Appare statisticamente verificata la «ripresa delle emigrazioni» (Pugliese, 2018) e, al netto dei rientri, il saldo migratorio calcola una perdita netta di popolazione italiana in maggioranza con un titolo di studio medio-alto (Ricci e Coccia, 2019)10, sancendo un rapporto sbilanciato fra brain drain e brain gain a favore del primo.

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2018 (Licata, 2018) riscontra che sia il personale altamente qualificato sia le persone in possesso di un’educazione inferiore si trovano all’estero a svolgere lavori non all’altezza del titolo di studio da loro ottenuto. Risultano inseriti in modo subalterno nei diversi contesti di vita e lavoro dei paesi esteri e contribuiscono ad evidenziare come la mobilità italiana sia spinta da una pluralità di motivazioni: dalla ricerca di un’indipendenza economica e di una occupazione, a necessità di natura sentimentale e/o culturale, dal bisogno di sentirsi professionalmente realizzati e di

8 Nel 2016 le cancellazioni per l’estero sono state 114.000 (Licata, 2018).

9 I dati sono chiaramente sottodimensionati, disomogenei e, in molti casi, presentano errori di misurazione, in

quanto, molte persone trasferitesi all’estero omettono di fare la cancellazione anagrafica dal Comune di origine poiché non obbligatoria. Si tratta di un vulnus legislativo: la legge che istituisce l’A. I. R. E. (Anagrafica degli Italiani Residenti all’Estero) (Legge 27 ottobre 1988, n.470, “Anagrafe e censimento degli italiani all'estero”) prevede che l’iscrizione a tale archivio, poiché diritto-dovere dei cittadini, sia effettuata previa dichiarazione dell’interessato resa al Consolato competente nel territorio di destinazione, entro 90 giorni dal trasferimento e che solo tale dichiarazione comporta la cancellazione dall’Anagrafe del Comune di provenienza. In sostanza, le due operazioni contestuali dipendono esclusivamente dal cittadino. Parallelamente, questi dati amministrativi costituiscono una risorsa conoscitiva molto utile per lo studio del fenomeno dell’emigrazione qualificata, poiché sono sempre maggiormente resi disponibili dalle autorità.

10 Come conferma il Dossier Statistico Immigrazione: «la nuova emigrazione composta da giovani con un alto

livello di studio è andata incrementandosi specialmente dopo la crisi di fine 2007 ed è continuata negli anni successivi […]. Il loro flusso è probabilmente più alto di quello statisticato» (Di Sciullo e Paravati, 2018).

(19)

19

inseguire nuove opportunità di vita, dal voler confrontarsi con altre realtà al rifiuto di un sistema nazionale in cui non è più possibile identificarsi.

Concordando ancora con Pugliese (2018), i flussi qui considerati possono essere quindi visti come il risultato dell’interdipendenza fra mobilità e sviluppo economico, libera circolazione e scelte restrittive di politica economica. Per comprenderne tale connessione e provare a individuare ciò che ne causa l’eterogeneità, è necessario approfondire il grado in cui il neoliberismo influenza la vita delle persone, in termini sia cognitivi sia temporali, e incoraggia le loro pratiche di adattamento e negoziazione rispetto agli imperativi dell’economia globale della conoscenza.

La complessità dell’analisi delle traiettorie dello sviluppo nell’era della conoscenza, impone la necessità di prediligere alcune categorie e chiavi di lettura utili a entrare nel vivo del processo esplorativo della trasformazione sociale. In questo senso, le migrazioni qualificate costituiscono un punto di leva interessante per mappare le dinamiche del suddetto contesto e, al contempo, delineare i fattori politico-istituzionali e socioculturali che incorniciano e promuovono tali traiettorie. Nei successivi paragrafi l’indagine compone la linea teorica del presente lavoro, seguendo due direttrici parallele: la ricostruzione dei modelli interpretativi del nesso fra migrazioni qualificate e sviluppo e, in seguito, una problematizzazione dei processi politici, economici, culturali e sociali associati alla concezione problematica di società della conoscenza.

(20)

20

2. LA RICOSTRUZIONE DEI MODELLI INTERPRETATIVI DEL NESSO FRA

MIGRAZIONI E SVILUPPO

Le evidenze empiriche riportate esplicitano come i lavoratori altamente qualificati tendono ad emigrare spostandosi verso i poli economici più sviluppati ricercando una più soddisfacente remunerazione delle proprie competenze. L’interpretazione delle dinamiche della migrazione qualificata è al centro nel dibattito relativo al nesso fra migrazioni e sviluppo, nella misura in cui trasformano simultaneamente le società dei paesi di origine e destinazione coinvolti nei flussi. Rispetto a queste riflessioni, in connessione con il tema della mobilità dei soggetti altamente qualificati, esiste una vasta letteratura interdisciplinare costantemente in evoluzione, di cui è opportuno offrire un tentativo di sintesi che sia il più efficace possibile ed in grado di puntualizzare le diverse connotazioni e fasi interpretative che ha conosciuto nel corso del tempo.

Seguendo le più recenti rassegne della letteratura italiana e internazionale (De Haas, 2012; Milio et al., 2012) è stato evidenziato come la prospettiva dominante tenda a connotare il fenomeno delle migrazioni qualificate come negativo per lo sviluppo dei Paesi di origine dei flussi. Quest’approccio è stato in seguito approfondito in seno alla necessità di approfondire i meccanismi e la multi-direzionalità, enfatizzandone le ricadute positive. De Haas (2012) individuando un movimento “oscillatorio” (pendulum) fra la visione pessimista, associata con il concetto di brain drain, e quella più ottimista connesso al brain gain, ricostruisce un percorso dicotomico, dagli anni 60 ad oggi, fra le due visioni. Sebbene l’autore suggerisca in conclusione di «spingerlo fermamente verso il centro» (De Haas, 2012: 22, trad. personale), in realtà non rinuncia a prevedere un backswing pessimistico che non convince pienamente, dato quanto risulta dagli ultimi studi ed evidenze.

Il mio tentativo è quello di tentare una nuova classificazione, che può essere metaforicamente associata ad una sorta di sedimentazione della ricchezza delle prospettive presentate. Lo scopo è suggerire una critica al “pendolo” di De Haas, senza, però, rinunciare al grado esplicativo del dualismo ottimismo/pessimismo anzi, attingendovi e provando a esprimere un giudizio critico per ciascuna prospettiva. È necessario, infatti, tenere in conto che i processi di sviluppo che coinvolgono determinati gruppi sociali, regioni e paesi tendono a escluderne altri, creando nuove forme di disuguaglianza, tensioni e conflittualità (Castles et al, 2014). A tal proposito, la presente trattazione seguirà un percorso esplorativo segnato da quattro “strati depositati” del dibattito che posso ritenere in grado di descrivere, seppur in termini generali, le successioni continue e/o discontinue e i punti di contatto del dibattito. Attraverso l’associazione di ogni strato con una parola chiave ne verranno evidenziati i temi centrali e le caratteristiche principali: (1) automatismo, (2) dipendenza, (3) libertà e (4) gestione. Si assume che ogni “strato” si depositi epistemologicamente sul precedente, realizzando una sorta di sviluppo orizzontale per cui ciascuno strato rinvia agli altri. Attraverso tale prospettiva genealogica (Raghuram, 2009) che documenta la successione delle stratificazioni nel corso del tempo, tento di mettere all’opera, dall’interno del dibattito,

(21)

21

l’intreccio dei rapporti fra le rappresentazioni concettuali, enfatizzandone la variabilità e il mutamento11 per fare luce sul carattere socio-trasformativo delle dinamiche migratorie.

Le prospettive teoriche considerate sono tutte legate dall’importanza che attribuiscono ai legami mantenuti dai migranti con i Paesi di origine, i quali forniscono un legame fondamentale alla trasformazione dei paesi e delle condizioni stesse della migrazione, costituendo inoltre il fulcro dell’implementazione delle policy migratorie.

Vengono approfonditi di seguito gli strati introdotti precendentemente.

2.1DALL’AUTOMATISMO ALLA DIPENDENZA.IL PARADIGMA DELLA STANDARD VIEW

L’elemento caratterizzante il primo “strato” riguarda il fatto che le migrazioni qualificate sono viste ottimisticamente (migration optimism) dalla lettura micro-economica neoclassica come il risultato delle scelte degli attori individuali, - frutto del calcolo razionale di una serie di condizioni economiche favorevoli nei paesi di destinazione (pull factors) e sfavorevoli in quelli di origine (push factors) che cercano di ottimizzare il proprio potenziale beneficio, spostandosi nei paesi più sviluppati, al netto dei costi sostenuti per il trasferimento (Beltrame, 2007; Milio et. al., 2012). Trattasi di un processo che contribuisce a un'allocazione automatica e ottimale - tendente all’equilibrio - dei fattori di produzione e una maggiore produttività. Inoltre, attraverso i flussi di ritorno di conoscenza e/o attraverso l’effettivo ritorno, i migranti, con le loro idee e le loro attitudini imprenditoriali, sono visti come agenti attivi della modernizzazione e della crescita economica. I flussi migratori sono, quindi, l’«effetto aggregato delle scelte soggettive» (Ambrosini, 2011: 43).

Durante il periodo post-bellico (anni ‘50 e ‘60), con la ricostruzione e la crescita economica nei paesi dell’Europa Settentrionale, le migrazioni dal Sud del Mediterraneo e dalle zone periferiche del vecchio continente erano viste generalmente come un processo di cui beneficiavano sia i paesi di origine sia quelli di destinazione erano impegnati a favorirle, spesso concludendo accordi bilaterali di reclutamento. Da una parte, la migrazione dei lavoratori in eccesso dai paesi poveri forniva il lavoro richiesto dai ricchi paesi industrializzati, dall’altra, le rimesse economiche, sociali e cognitive (esperienze, abilità e conoscenze acquisite all’estero dai migranti) erano assunte come il carburante per il decollo economico dei paesi in via di sviluppo. Da questo punto di vista, la migrazione contribuiva alla crescita di tutti i paesi coinvolti nei flussi. L’impatto generato contrastava con la tesi della “fuga di cervelli": con una bassa produttività del lavoro nelle aree di origine e alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione, gli effetti negativi della perdita di forza lavoro restavano limitati nel tempo ed erano soggetti a essere riequilibrati dalle rimesse e dal differenziale positivo del rapporto fra capitale e lavoro. Migrando le persone potevano aumentare il rendimento delle loro competenze e del loro "capitale umano", beneficiando le economie nel

11 È opportuno rilevare che lo scopo non è fornire una revisione dettagliata di tutte le teorie sostantive, le

prospettive e i concetti ma, per una questione di spazio e utilità, si predilige selezionare quelle più compatibili con l’obiettivo complessivo della tesi.

(22)

22

loro insieme (triple win). Aumentavano inoltre le opportunità di lavoro per chi rimaneva indietro, consentendo incrementi nella produttività e nei redditi. Molti migranti investendo e consumando migliorano effettivamente i loro standard di vita e le loro abitudini familiari, con effetti moltiplicatori positivi. Gli investimenti nella valorizzazione delle aree di provenienza potevano creare occupazione e guadagni significativi per i non migranti, spesso più poveri, purché i beni e i servizi vengano acquistati principalmente a livello locale o nazionale. Le rimesse, sociali e monetarie, contribuiscono, infatti, indirettamente ad aumentare i redditi e diminuire la povertà di tutti i membri dei Paesi coinvolti, tra cui i non migranti.

Un giudizio critico è possibile attingerlo da Massey et al. (2005) che individuano una convergenza delle condizioni economiche che riflette i processi di modernizzazione, industrializzazione e crescita scalari, evidenziando la possibilità per i paesi poveri di beneficiare dell’onda lunga dei trasferimenti di capitale dai paesi sviluppati. Alcuni punti deboli della spiegazione neoclassica sono stati affrontati dagli approcci legati alla nuova sociologia economica (NELM) (Stark e Bloom, 1985) che legge le migrazioni come l’insieme delle strategie collettive di diversificazione del rischio utili a superare le disfunzioni dei mercati locali e dei limiti allo sviluppo, attraverso le rimesse monetarie, che funzionano come capitali d’investimento (Castles et al., 2014). Parallelamente, con l’adozione delle teorie reticolari viene posta enfasi sull’agency individuale dei migranti e quella collettiva delle comunità nell’organizzazione dei processi migratori e d’inclusione, enfatizzandone l’autonomia e la capacità di iniziativa (Ambrosini, 2011). Le reti informali garantiscono le risorse per la sopravvivenza di individui e gruppi e, in base al contesto di partenza o di arrivo, valorizzano rispettivamente il capitale culturale e il capitale sociale (relazioni personali, traiettorie personali o familiari, legami amicali o comunitari e l’aiuto reciproco). Con l'aumento dei redditi e l'espansione delle reti sono rimossi ulteriormente i vincoli di povertà, rendendo però la migrazione sempre più accessibile per fette crescenti della popolazione.

Questa prima sedimentazione connette la migrazione su larga scala ai vantaggi conseguibili per lo sviluppo, emergono però alcune problematiche correlate ai deludenti risultati di lungo periodo delle politiche di reclutamento che non hanno, in definitiva, risolto i dissesti strutturali legati al sottosviluppo (De Haas, 2012).

Su questo “strato”, recuperando in una certa misura la dimensione automatica, si deposita il successivo della dipendenza. Avendo al suo centro la concezione pessimista (migration pessimists) di matrice neo-marxista, la migrazione viene interpretata come una dinamica connessa alle disuguaglianze che genera due effetti: il brain drain (Bhagwati e Hamada, 1974), ovvero la sottrazione delle competenze subita dai paesi di origine a causa delle migrazioni qualificate (si presume che i migranti siano fra i "best and brightest") e il brain waste (Milio et al., 2012), ovvero il mancato riconoscimento delle qualifiche e l’impossibilità di trovare un impiego adeguato a queste. Perciò, la migrazione va di pari passo con la "fuga di cervelli" che mina sistematicamente gli impegni di crescita da parte degli Stati e gli investimenti in educazione e provocava la dipendenza delle aree d’emigrazione dalle

(23)

23

rimesse migratorie, peggiorando quindi le dinamiche di sviluppo e vanificando l’effetto dell’immigrazione qualificata (Özden e Schiff, 2006).

In seguito alla crisi petrolifera del 1973, l’economia internazionale, in particolare quella Europea, ha subito un pesante tracollo economico che ha costretto ad una ristrutturazione del tessuto industriale e ha incrementato la disoccupazione. In questo contesto, la visione pessimista concepisce le migrazioni come un flusso idraulico in uscita, parte dei più ampi processi di estensione/instensione capitalisti che minano le pratiche di vita tradizionali e sradicano le popolazioni rurali, obbligandole a unirsi al proletariato urbano come unica strategia di sopravvivenza. Intrinseco al paradigma dello strutturalismo storico (O’Reilly, 2012), tale approccio assume come la diseguale distribuzione di potere economico e politico tra paesi ricchi e poveri e l’accesso iniquo alle risorse per le persone siano rafforzati dall'espansione capitalistica12. Inoltre, è connesso alla critica mossa ai benefici della crescita capitalista per le società povere che legge la migrazione quale meccanismo di sfruttamento e spossessamento della forza lavoro qualificata.

I paesi sottosviluppati della periferia sono intrappolati in una posizione svantaggiata all'interno del sistema economico globale e le migrazioni indeboliscono ulteriormente le economie locali e regionali privandole delle migliori risorse13 (Meyer, 2001). I migranti, infatti, sono raramente tra le fasce più povere della società e il loro spostamento è visto come un effetto della pressione esercitata dai paesi del centro su quelli della periferia dello sviluppo capitalistico. Da questa prospettiva, le rimesse sono assunte come dei meccanismi di rafforzamento delle disuguaglianze di reddito nelle comunità di origine, in quanto forniscono solo una fonte temporanea di entrate, raramente investita produttivamente e impiegata in consumi, spesso vistosi, di beni che devono essere necessariamente importati dall'estero, aumentando ulteriormente la dipendenza dalle rimesse e minando la produzione locale o nazionale. Inoltre, era criticata la strutturazione di una “cultura della migrazione” che generava un circolo vizioso d’emigrazione e sottosviluppo legato all’esposizione del successo dell’esperienza migratoria e ai cambiamenti nei gusti e nelle aspirazioni che facevano apparire le regioni e i paesi di origine meno desiderabili (De Haas, 2012; Castles et al., 2014).

Nei consessi politici europei, con la disillusione per le politiche che collegavano i ritorni allo sviluppo, attraverso i programmi formativi e d’investimento per i rimpatriati, unita alle ricerche che enfatizzavano la debolezza delle condizioni economiche e politiche dei contesti di origine – spiegando così la scarsità dei ritorni e degli investimenti in patria –,

12 Tale interpretazione è legata alla teoria del sistema-mondo, secondo cui la globalizzazione delle

comunicazioni e degli scambi ha incrementato i legami tra diverse aree del pianeta. Wallerstein (2006), uno dei suoi maggiori esponenti, riprendendo la concezione della divisione internazionale del lavoro e della disuguaglianza degli scambi, stratifica i paesi sulla base del loro grado di dipendenza dalla dominazione capitalista occidentale, distinguendo centro, periferia e semi-periferia.

13 Incrementi dell'emigrazione a breve e medio termine, sulla scia delle riforme commerciali e degli andamenti

economici, possono, infatti, promuovere la disoccupazione e l'emigrazione (effetto migration hump) minando principalmente i mezzi di sostentamento rurali e, conseguentemente, inficiando gli altri settori economici (Martin e Taylor, 1996). Inoltre, si stima che, dove i livelli di sviluppo economico (e di state-building) sono bassi, i sistemi migratori non si integrano nei circuiti globali e operano principalmente a livello locale o regionale (Skeldon, 1997).

(24)

24

l’attenzione si è spostata all’ambito dell’integrazione, legata al fatto che i “guestworkers”, o “gastarbeiter”, nei paesi europei erano destinati a non rimanere solo ospiti temporanei. Il decennio successivo, caratterizzato invece dai processi di liberalizzazione, promossi dai paesi anglosassoni – che hanno condotto alla destrutturazione del welfare, contribuendo alla finanziarizzazione del mercato e alla riduzione della domanda di lavoro immigrato –, ha visto la sperimentazione di un’apertura dei processi di selezione dei migranti qualificati. Nel campo delle politiche di sviluppo, comunque, un elevato grado di scetticismo rispetto al nesso fra migrazioni e sviluppo è rimasto almeno fino ai primi anni ’90.

Dal punto di vista valutativo, la sedimentazione di questi due strati, automatismo e dipendenza, costituisce ciò che viene definito il paradigma della standard view (Beltrame, 2007), giudicato però inadeguato a interpretare il fenomeno migratorio (Brandi, 2001). Quest’approccio tende a considerare i migranti come soggetti passivi, aventi ridotta capacità di scelta, orientamento e definizione dei propri obiettivi e progetti di vita. Si tratta di una prospettiva che enfatizza lo schema push-pull che è necessario superare ed arricchire, approfondendo quei meccanismi che consentono di passare dall’analisi dei fattori macro-strutturali alle scelte micro-individuali, tenendo conto della dimensione politico-istituzionale, della regolazione degli ingressi e del ruolo delle politiche di integrazione (Milio et al., 2012).

2.2DALLA LIBERTÀ ALLA GESTIONE.CIRCOLAZIONISMO E MANAGEMENT DELLE MIGRAZIONI

Il successivo “strato” riflette i principi ideologici del neoliberismo e si deposita sui precedenti associando le rimesse al ruolo dei migranti nell’assicurare un sostegno dall’estero, conformemente agli imperativi di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione del mercato informati dal “Washington consensus”14. I governi dei paesi di destinazione hanno, in massima parte, collegato lo sviluppo alla circolazione, ritenendo la migrazione temporanea vantaggiosa sia per i paesi di origine e di destinazione, sia per gli stessi migranti. Questo ha condotto a tutta una serie d’iniziative politiche da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali per intensificare l’impatto sullo sviluppo prodotto da migrazioni e rimesse. Ciò è stato possibile solamente in un contesto geografico garante della libertà di circolazione e in

14 L’espressione «Washington Consensus» (Williamson, 1990) indica il modello di sviluppo condiviso dalle

istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Dipartimento del Tesoro statunitense). Teso a ricreare all’interno delle economie in via di sviluppo le condizioni favorevoli per ottenere stabilità e crescita economica, esso prevede l’adozione di una serie di riforme: stabilizzazione macroeconomica, liberalizzazione (dei commerci, degli investimenti e finanziaria), privatizzazione e deregolamentazione, stimolando la crescita e il mutamento strutturale attraverso una strategia di integrazione delle economie nazionali nel contesto globale. Tali misure per la crescita economica furono interpretate dalle istituzioni sovranazionali, come una successione di pattern obbligati che potevano essere accelerati o rallentati attraverso la gradualità nell’aumento delle importazioni, l’accumulazione di capitali e una serie di politiche specifiche (fiscali e valutarie, legate all’innovazione e alla competitività) per lo sviluppo di capitale umano e delle infrastrutture. Tali dinamiche di crescita economica sono state assimilate all’orientamento neoliberista e sottoposte a una critica che ha posto l’attenzione sulla necessità di garantire a livello istituzionale il funzionamento efficiente del meccanismo di mercato e un “equilibrio dinamico” tra il laissez-faire e l’interventismo statale (Stiglitz, 2017).

(25)

25

un periodo di transizione dalle economie nazionali a un’economia globale unificata, ovvero ad un sistema guidato dal mercato e indipendente dai vincoli politico-istituzionali dei singoli Stati nazionali.

All’interno di questo contesto, dalla seconda metà degli anni ’90, il dibattito presenta un nuovo ottimismo, connettendo il potenziale della migrazione alla promozione dello sviluppo economico e sociale nei paesi di origine. Le rimesse divengono il nuovo “mantra” dello sviluppo (Kapur, 2004) perché sono viste come la principale fonte di finanziamento “bottom-up” e un efficace cordone di sicurezza per le aree più arretrate. L’incremento delle rimesse, accompagnato dall’apertura promossa dal processo di globalizzazione e legato alla riconfigurazione circolatoria dei flussi dei migranti qualificati (brain circulation) – in termini di abilità, attitudini imprenditoriali, competenze, contatti, innovazioni, investimenti, saperi e scambi commerciali –, genera effetti benefici per i paesi di origine, di destinazione e per i migranti stessi. Le dinamiche produttive si rinnovano all’insegna dell’innovazione, della flessibilità, dello scambio e della diffusione del capitale umano e della conoscenza che assumono il ruolo di volano dello sviluppo dei paesi coinvolti nei flussi migratori.

La mobilità qualificata consentirebbe il dinamismo necessario e la flessibilità della diffusione del capitale umano a sostegno dei processi d’innovazione nei paesi di destinazione (Gaillard e Gaillard, 1997). Generando al tempo stesso feedback sistematici nei paesi di origine attraverso i flussi di rimesse, stimola la domanda interna di formazione, incrementando gli investimenti in istruzione (Beltrame, 2007) e trasferendo fra i paesi i saperi e le attitudini socializzate dai migranti durante la loro permanenza nel paese estero (Docquier e Rapoport, 2012; Lacroix et al., 2016).

Intendendo dare un giudizio critico di questo strato è possibile attingere, da una parte, dall’approccio della Sassen alle città globali (Sassen, 2010), i cui studi sulla globalizzazione hanno posto l’accento sulla dimensione strategica assunta dai poli urbani in qualità di centri direzionali delle imprese multinazionali, dove si concentrano i servizi ad alta qualificazione (finanza, marketing e comunicazioni). Viene evidenziato, in questo senso, un incremento della segmentazione fra mercato del lavoro primario e secondario (Piore, 1979): da un lato, crescono le componenti qualificate dei dirigenti e dei professionisti ad alto reddito, mentre declina la classe media e si allargano le fasce di lavoratori manuali che forniscono servizi alle persone degli strati più agiati. In quest’ottica, gli individui sono trattati come meri soggetti passivi della dominazione capitalista (richiamando l’automatismo della standard view). Sono sottovalutati quei motivi per cui determinati individui e gruppi rimangono in occupazioni precarie e marginali, mentre altri riescono ad accedere a occupazioni migliori avviando attività indipendenti e/o imprese etniche (Ambrosini, 2011) e associando il proprio sviluppo individuale con i processi di empowerment attraverso cui raggiungono livelli accettabili di benessere, libertà e inclusione sociale (Sen, 2014).

Sul precedente si deposita un nuovo “strato” del dibattito che si lega alle politiche migratorie relative ai meccanismi auto-propulsivi del mercato e della società civile, frutto di un programma di rafforzamento degli attuali controlli migratori globali e dei dispositivi di

Riferimenti

Documenti correlati

LAUREATI DI PRIMO LIVELLO E MAGISTRALI BIENNALI 2016.

22) Essere capace di modificare il mio modo di comportarmi con gli altri, se mi accorgo che non è adatto alla situazione.. 23) Essere in grado di raccogliere e interpretare

Per quanto riguarda la regolarità degli studi e il punteggio degli esami, la presenza di laureati non stabili (ossia di studenti che hanno concluso gli studi in università

Sono infatti 604 le unità aziendali in più, che nel 2006 vanno ad aggiungersi allo stock delle 48.521 imprese registrate in provincia a fine 2005; il saldo positivo risulta

Un dato in linea con quello nazionale dove a il totale delle società non supera il 41% delle imprese mentre le ditte individuali ammontano al 55,6% del totale e in

Nel 2018 il 29,4% è laureato o dottorato, il 29,5% è diplomato mentre il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o non ha titolo, con una crescita del +193,3%

The interface realization dependency from a classifier to an interface is shown by representing the interface by a circle or ball, labeled with the name of the interface, attached by

Questi postulati riguardano i criteri di scelta della funzione di distribuzione di probabilit`a sullo spazio delle fasi nel caso classico, e della matrice densit`a nel