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L’ EMIGRAZIONE QUALIFICATA DALLA SEMIPERIFERIA I TALIA

Il consolidamento progressivo dei pattern della migrazione qualificata sembra essere correlato allo sviluppo (e al ritardo nello sviluppo) delle aree e dei settori economici ad alto tasso di conoscenza e il caso italiano è emblematico: l’emigrazione del personale qualificato nazionale è tutta diretta verso le aree più dinamiche del sistema economico europeo (Gjergji, 2015; Recchi et al., 2016; Tomei, 2017; Triandafyllidou e Isaakyan, 2016).

Richiamando le categorie analitiche della stratificazione sistemica (Wallerstein, 2006), l’Italia sembra subire uno spostamento dal centro della produzione capitalista globale verso la semi-periferia, un’area intermedia e funzionale al centro del sistema-mondo da cui dipende attraverso meccanismi strutturali di sfruttamento e spossessamento.

Vi sono almeno tre ordini di motivi associabili a questo declino sistemico che registrano l’incapacità italiana di fornire un programma di politiche economiche e industriali volte a un cambiamento strutturale (Gallino, 2015):

1) a dieci anni dalla crisi del biennio 2007/2008, il PIL pro capite italiano è calato di 10 punti, ben al di sotto della media Europea (Fig. 4);

2) il basso livello della spesa domestica in Ricerca45 e Sviluppo (R&S) che è sistematicamente inferiore rispetto sia alla media mondiale sia a quella Europea (Fig. 5);

3) i recenti tagli del 10% circa dal 2008 al 2015 alla spesa pubblica in istruzione e educazione (Fig. 6).

45 Il numero ridotto i fondi pubblici assegnati alla ricerca, pari all’1,34% del PIL, testimoniano una tendenza al

ribasso dei fondi pubblici destinati alla ricerca con taglio del 21% dal 2007 al 2016, accompagnato da quello del 14% subito dalle risorse destinate alle Università (Gruppo 2003, 2019).

64 FIG. 4: PIL PRO CAPITE ITALIA (2008-2017) A PARITÀ DI POTERE D’ACQUISTO (EU-28=100)46.

La XX Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati (Almalaurea, 2018) registra lo scarso stimolo degli investimenti italiani verso la componente immateriale. In particolare i dati sull'andamento della spesa in R&S evidenziano, infatti, il sotto-investimento dell’intero settore (spesa pubblica e privata complessivamente considerate).

Sebbene il nostro Paese abbia incrementato, in misura tendenziale, la proporzione di prodotto interno lordo a essa dedicate (Fig. 5) la distanza dalla media europea è ancora significativa. Risultano sotto-finanziati anche gli investimenti privati in R&S: «[…] posto a 100 il complesso degli investimenti in R&S stanziati nel corso del 2016, le imprese private hanno contribuito per il 58,1%, contro il 65,0% della media EU-28. Nel caso della Germania le imprese hanno partecipato per il 68,0%» (Almalaurea, 2018: 30).

Il calo della spesa pubblica per l’istruzione, di 0,4 punti percentuali (Fig. 6), si accompagna a quanto emerso nella pubblicazione Education at Glance (OECD, 2018a). Il report, sottolineando il ruolo centrale della spesa pubblica in Italia a tutti i livelli d’istruzione, rileva una problematica cruciale non dissimile da quanto rilevato per gli investimenti in R&S: circa tre quarti della spesa pubblica totale per l'istruzione è dedicata a quella non terziaria , «in

46 Fonte: elaborazione grafica personale dei dati EUROSTAT 2018, consultati al sito

https://ec.europa.eu/eurostat/statistics- explained/index.php/GDP_per_capita,_consumption_per_capita_and_price_level_indices#Overview, in data 31 gennaio 2019. 106 104 101 95 96 88 90 92 94 96 98 100 102 104 106 108 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

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media, il finanziamento dell’educazione terziaria è maggiormente affidato al settore privato» ( OECD, 2018a: 304, trad. personale).

Uno degli effetti più marcati dell’intrecciarsi di queste tendenze è il tasso di disoccupazione, il cui livello, nonostante i recenti cali, si attesta intorno all’11%. Inoltre, anche disaggregando il dato per età, secondo le stime ISTAT (2018b), la crescita congiunturale dell’occupazione non arriva all’1% per la fascia d’età 25-34 anni e, addirittura, fa registrare un calo di 246mila unità per la coorte 35-4947.

FIG. 5: SPESA ANNUALE IN R&S IN ITALIA, COMPARATA CON QUELLA MEDIA MONDIALE E MEDIA EU (2000- 2016) (IN % PIL)48

47 I dati ISTAT disponibili relativi al livello della disoccupazione per titolo di studio sono fermi all’anno 2013 e

segnano un picco del 16% per 25-34enni laureati che aumenta al 24% circa sotto i 29 anni. Dati reperibili al sito http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXDISOCCU1, consultati in data 4 febbraio 2019.

48 Fonte: elaborazione grafica personale dei dati del report UNESCO, consultati al sito

https://data.worldbank.org/indicator/GB.XPD.RSDV.GD.ZS, in data 1 febbraio 2019.

1,01 1,05 1,21 1,28 1,72 1,74 1,97 2,03 2,06 1,99 2,03 2,31 0,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 Italia Media EU Media mondiale

66 FIG. 6: SPESA PUBBLICA IN ISTRUZIONE E EDUCAZIONE IN ITALIA (IN % PIL) (2008-2015)49

Questi trend macro-economici e le dinamiche del mercato del lavoro evidenziate operano come meccanismi push della migrazione e guidano gli emigrati qualificati italiani a fare domanda per i visti di lavoro nei paesi centrali dell’economia della conoscenza, risultando in un enorme flusso in uscita di personale qualificato che lascia il paese per fare tesoro delle opportunità offerte dalle aree più “attrattive”. A questo proposito, i dati ISTAT (2018a) riportano un aumento dei laureati italiani, trasferitisi all’estero, di circa ventotto mila nel 2017, segnando un +4% rispetto 2016. Dal 2013 le persone espatriate con più di venticinque anni sono state oltre 244 mila, di cui il 41,8% con titolo di studio pari ai livelli ISCED 5-8.

Connettere le dinamiche migratorie alle recenti trasformazioni del modello produttivo Europeo, enfatizzando il ruolo che la migrazione qualificata svolge per l’allocazione ottimale del personale altamente qualificato tra i poli della conoscenza, consente di esplorarne gli effetti sulle dinamiche di sviluppo delle aree coinvolte.

Problematizzando la tensione fra confini politici e frontiere del capitale, Mezzadra e Neilson (2014) rileggono elasticamente la stratificazione fra centro, periferia e semi-periferia, cercando di far emergere una sovrapposizione di tali categorie spaziali all’interno delle aree dell’economia della conoscenza. Utilizzando criticamente il loro concetto di «moltiplicazione

49 Fonte: elaborazione grafica personale dei dati OECD (2018a). 3,1 2,8 2,7 2,4 2,5 2,6 2,7 2,8 2,9 3,0 3,1 3,2 3,3 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

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del lavoro» (Mezzadra e Neilson, 2014) è possibile ripensare eterogeneamente la segmentazione dei mercati del lavoro, legata alla redistribuzione spaziale dei lavoratori secondo le tensioni generate dal processo di accumulazione globale, ridiscutendo, senza negarla, la polarizzazione del mercato (Piore, 1979). Emerge, infatti, una presenza simultanea di stratificazioni sovrapposte all’interno dei vari settori.

L’espansione degli ambienti di lavoro precario e/o informale50, caratterizzati da contrattualistica a tempo determinato, legata a rapporti di lavoro interinale, part-time o a orario variabile, o assente, senza adeguate garanzie salariali e giuridiche né assicurative, è causata da fattori economici strutturali che invitano alla prudenza le imprese favorendo la conclusione di contratti di lavoro a breve termine. Nel 2015, l’ILO ha registrato la transizione, in Europa e nei paesi OCSE, da lavoro dipendente a lavoro precario, infatti solo circa il 26% dei lavoratori risulta impiegato con un contratto a tempo indeterminato, mentre più del 60% lavora a tempo determinato o senza contratto. (ILO, 2015). Per quanto riguarda il caso italiano, il XX rapporto su mercato e contrattazione collettiva (CNEL, 2018) mostra la crescita dei contratti part-time e dei lavori a tempo determinato: +35% dal 2014 al secondo trimestre del 2018, pari a oltre 800.000 occupati; mentre i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di circa la metà, registrando al contempo una diminuzione dei lavoratori autonomi di 117.000 unità. Inoltre, la precarietà dell’occupazione è da ricondursi al minor numero di ore lavorate, alla preferenza per l’impiego di manodopera poco qualificata, specie nelle piccole imprese di settori a scarso valore aggiunto, e alle scelte di aziende, dotate di ampio potere di mercato, che decidono di scaricare il taglio dei costi sui salari dei lavoratori, con conseguente minore produttività e livelli retributivi mediamente più bassi.

I nativi skilled si vedono così costretti ad accettare lavori dequalificati, e scarsamente desiderabili, per sostenersi. Questi impieghi sono connotati sempre di più come negativi poiché le condizioni contrattuali sono ulteriormente peggiorate. Questa percezione è discorsivamente associata all’integrazione subalterna (Ambrosini, 2011) degli stranieri nel mercato del lavoro: gli immigrati low-skilled appaiono mediamente più disposti ad accettare lavori a bassa desiderabilità sociale, con turni di lavoro più intensi e salari ridotti.51 Come è stato evidenziato dall’inchiesta di Constant (2014), i lavoratori immigrati completano le competenze dei nativi, occupando posti di lavoro in settori a scarsità di offerta che, in molti casi, i lavoratori nativi considerano poco attraenti. Ciò riduce le carenze di manodopera nei settori a bassa qualificazione e consente anche ai lavoratori nativi altamente qualificati di specializzarsi ulteriormente nel loro lavoro. Si assembla così una zona grigia che opera come “camera di compensazione” biopolitica, in linea con le condizioni poste dai regimi migratori

51 La manodopera immigrata nei Paesi dell’Unione Europea è impiegata in gran parte nell’edilizia, nel settore

alberghiero e della ristorazione e nei servizi socio-sanitari e poiché la domanda in questi settori riguarda lavori low-skill intensive, con qualifiche e retribuzioni più basse (gli impieghi delle “5 P”: precari, pesanti, pericolosi, poco pagati e penalizzati socialmente) che i nativi non sono né interessati né disposti a svolgere. Inoltre molti lavoratori subiscono processi di deskilling risultando overeducated rispetto alle occupazioni svolte (Zanfrini, 2016). Il Dossier Statistico Immigrazione (Di Sciullo e Paravati, 2018) evidenzia come il 35,5% degli stranieri occupati nel mercato del lavoro italiano risulti sovra istruito.

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neo-liberali, ed espelle i lavoratori qualificati dal mercato del lavoro formale, indirizzandoli all’estero per poter realizzare le proprie aspirazioni personali e professionali, uno sviluppo di carriera e di miglioramento della qualità della vita. Al contempo, tale dispositivo attrae i migranti dequalificati stimolandoli a trattenersi (overstaying) e a fornire forza lavoro a basso costo52 spesso anche in condizioni d’illegalità, riproducendo così il comburente che perpetua i meccanismi espulsivi (Kubal, 2013). Un processo dinamico di sostituzione complementare della forza lavoro nelle regioni dell’Europa meridionale53, connesso agli effetti della recessione economica e parte integrante della trasformazione sociale globale (Tomei, 2016). Questa logica è intrecciata al processo di semi-periferizzazione che opera attraverso la mercificazione del capitale umano e la sua distribuzione e scambio fra i poli centrali dello sviluppo economico e le periferie sottosviluppate (Wallerstein, 2006).

L’interconnessione di tali processi seleziona e instrada la mobilità della forza lavoro necessaria alle mutevoli dinamiche dell’economia, rafforzando la stratificazione composita del mercato globale ed espandendone la logica duale: uno scambio ineguale che distorce e distanzia le aree geografiche, modificando le appartenenze identitarie e temporali, inficiando così le rappresentazioni sociali individuali (Sassen, 2008).