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L E MIGRAZIONI QUALIFICATE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA

In risposta alle suddette trasformazioni globali del modello produttivo e del mercato del lavoro, le policy migratorie assurgono al ruolo di strumenti per la gestione dei volumi, delle origine, della direzione delle risorse umane che compongono i flussi migratori (UN, 2013). Come già visto in precedenza, gli schemi immigratori sono generalmente demand- driven, in modo tale che siano un'offerta di lavoro e un contratto a innescare l’ammissione di un migrante qualificato, o supply-driven, in altre parole che siano i migranti stessi ad avviare il processo d’immissione nel mercato del lavoro e siano inseritivi in base alla loro istruzione, alle abilità e alle loro potenzialità di integrarsi con successo. Spesso i paesi implementano una struttura ibrida che unisce gli approcci orientati sia alla domanda sia all’offerta nelle loro politiche migratorie.

L’obiettivo della valorizzazione dei talenti è intrinseco alla riflessione sulla circolazione che molti paesi hanno avviato per l’elaborazione di strategie in grado di promuovere la messa a frutto del capitale umano e sociale dei migranti qualificati che risiedono e lavorano all’estero. I regimi e le policy attivate in questo senso rispecchiano la tassonomia classica individuata da Lowell (2002):

1) politiche d’incoraggiamento al ritorno (Return): si tratta dell’implementazione di accorgimenti funzionali al rientro dei talenti all’estero. Assumendo che i migranti abbiano sviluppato competenze utili al Paese di origine, si prevedono alcuni incentivi che generalmente riguardano riduzioni fiscali, agevolazioni nell’ottenimento della cittadinanza per i familiari, o l’offerta di condizioni scolastiche privilegiate per i figli, a carico del personale in rientro.

complessivo del 75% per le persone di età compresa fra 20 e i 64 anni; investire il 3% del PIL totale dell'UE in R&S; la riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, ricavando il 20% del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili e aumentando del 20% l'efficienza energetica; ridurre il tasso di abbandono scolastico sotto il 10% e condurre almeno il 40% delle persone fra i 30 e 34 anni a ottenere una laurea; ridurre di 20 milioni il numero di persone a rischio povertà ed esclusione (Commissione Europea, 2010). Per quanto riguarda le iniziative a sostegno della mobilità qualificata sono stati individuati il piano di interventi Erasmus Plus, il programma di finanziamenti alla ricerca Horizon 2020 e il potenziamento di collaborazioni e iniziative per la condivisione di saperi scientifici e finanziamenti (e.g.: SER, ERC) La strategia è complessivamente legata all’aumento della competitività, alla creazione di nuovi posti di lavoro e alla possibilità di creare nuove opportunità commerciali in settori innovativi riducendo l’impatto negativo sull’ambiente.

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2) Politiche di restrizione (Restriction): coinvolgono misure di migration management che riguardano l’impiego di meccanismi di blocco adottati dai Paesi di destinazione per controllare l’ingresso degli immigrati. Si basano generalmente sul sistema delle quote annuali o su programmi di permanenza temporanea.

3) Politiche di reclutamento (Recruitment): l’insieme di policy volte ad attirare e selezionare competenze e saperi dall’estero per colmare carenze di forza-lavoro in determinati settori, mirando inoltre a compensare le fuoriuscite di personale qualificato.

4) Politiche di riparazione (Reparation): volte a compensare la perdita di capitale umano subita dai paesi di origine. Si tratta di politiche di carattere fiscale tese a introdurre una tassazione mirata al recupero di parte degli investimenti perduti con l’emigrazione, gravando o sul reddito del migrante stesso o sui paesi di destinazione.

5) Politiche di valorizzazione delle risorse degli espatriati (Resourcing): associate con la diaspora, sono tese a gestire il deflusso di capitale umano considerandolo come un insieme di opportunità che possono essere sfruttate.

6) Politiche di ritenzione (Retention): sono un insieme di misure volte a potenziare determinati settori con l’obiettivo di contrastare le perdite o incrementare la produttività in un contesto attraverso la promozione degli investimenti sistemici (nell’istruzione e in R&S), l’aumento dei salari o il miglioramento delle infrastrutture.

Coniando l’espressione «corsa per il talento», la Shachar (2006) evidenzia come i Paesi, le knowledge economy, s’impegnano sistematicamente nel reclutamento dei migranti altamente qualificati, elaborando schemi immigratori selettivi per ottenere un vantaggio competitivo a livello globale e regionale, stimolando l’innovazione, incrementando lo stock di ricchezza del capitale umano disponibile e contribuendo alla diffusione internazionale delle competenze, della conoscenza e delle informazioni. Si evidenzia, in particolare, il crescente sforzo dei paesi dell’Unione Europea nel reclutare studenti e lavoratori altamente qualificati dall’estero. Le trasformazioni in termini socio-demografici e a livello tecnologico24 hanno incrementato la domanda di tale forza lavoro, riconfigurandone le traiettorie e facendo emergere la selettività strategica della crescente competizione o battle for brains (Boeri et al., 2012) per attrarre talento.

Tale competizione ha creato, e continua a generare, paesi winners e losers (Gaillard and Gaillard, 1997), in relazione alla rispettiva capacità di intercettare e beneficiare in misura ottimale della circolazione della potenzialità produttiva, e creatrice di ricchezza, dei lavoratori mobili della conoscenza, al netto della conoscenza in uscita.

I principali beneficiari dei flussi altamente qualificati, e dei conseguenti trasferimenti della conoscenza, risultano essere i poli centrali dell’economia, ovvero le città globali (Sassen, 2010) e le regioni hi-tech (Saxenian, 2007) dei paesi avanzati. Il dinamismo

24 Gli imperativi dell’economia della conoscenza impongono che i paesi si affidino ai lavoratori altamente

qualificati che, in quanto drivers dell’innovazione e dello sviluppo, consentono un posizionamento di successo ai paesi di destinazione nel contesto del sistema economico globale. Alla luce dell’invecchiamento della popolazione e della carenza di lavoratori della conoscenza che caratterizzano la gran parte delle economie avanzate del continente, l’Unione Europea sta promuovendo l’introduzione di misure dirette a reclutare i migranti economici, nello specifico quelli altamente qualificati.

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economico di tali aree contribuisce, però, a incrementare lo sviluppo disuguale fra differenti paesi e all’interno delle stesse realtà nazionali. Accanto a questi elementi, alcuni studi hanno discusso la possibilità di calmierare, senza pretesa di equilibrio, gli effetti negativi della competizione attraverso le esternalità positive generate dalle pratiche dei lavoratori della conoscenza (Docquier e Lodigiani, 2010; Docquier e Rapoport, 2012).

In un tale scenario occorre precisare che la distinzione fra paesi attrattivi e paesi “esportatori” di manodopera qualificata è resa obsoleta dalla crescente competizione fra i Paesi industrializzati per l’attrazione dei migranti altamente qualificati. Tale concorrenzialità è caratterizzata dall’implementazione di policy nazionali e regionali volte quasi esclusivamente a misurare la potenzialità dei migranti nella contribuzione alla ricchezza nazionale, selezionando quelli altamente qualificati, assicurandosene le skills e le competenze.

Fino al 2007 quasi tutti i Paesi Europei hanno elaborato schemi migratori selettivi per attrarre the best and brightest e per rispondere alla domanda del mercati del lavoro nazionali. Si è quindi assistito allo sviluppo di forti barriere all’ingresso per determinate occupazioni, in linea prima con l’approccio politico della “Fortezza Europa”, cui si aggiungeva la richiesta di un livello salariale minimo. Si è poi verificata una transazione di alcuni paesi (Regno Unito primo, Germania e altri in seguito) verso l’implementazione degli schemi a punti, finché a seguito della recessione economica post-2007, le policy migratorie non hanno adottato meccanismi ancor più restrittivi, favorendo i lavoratori nativi, facilitando al contempo l’accesso degli studenti stranieri all’istruzione superiore offrendo loro accesso al mercato del lavoro nazionale durante il periodo di soggiorno per studio.

A dispetto della recessione economica, è incrementato anche l’impegno dei Paesi Europei nell’attrazione d’imprenditori e investitori, garantendo loro procedure d’ingresso rapide e permessi di soggiorno a lungo termine. «La maggior parte dei governi Europei tende a considerare il reclutamento del personale “ad alto potenziale”, a prescindere se di specialisti, studenti, investitori o imprenditori, un elemento di stimolo per la programmazione economica» (Cerna e Czaika, 2016: 29, trad. personale). La persistenza di un elevato livello di disoccupazione non genera un’inversione delle policy poiché le carenze di lavoro sussistono indifferentemente, il problema è l’impatto differenziale che la recessione ha prodotto su alcune fasce della popolazione lavorativa, che conseguentemente vengono escluse dal mercato (e.g.; donne, migranti e giovani) (Ricucci, 2017).

La crescita dell’emigrazione qualificata dall’Europa meridionale e in particolare dall’Italia, cui fa eco l’assenza di una circolazione virtuosa delle conoscenze e dei talenti (Beltrame, 2007), testimonia, la lentezza e l’inadeguatezza del progetto politico che dovrebbe traghettare la regione verso la realizzazione di una società della conoscenza. Una tale visione strategica è stata adottata da diversi paesi sviluppati, i quali hanno elaborato e implementato policy volte ad attrarre personale qualificato, facendo leva sulla competitività in termini di competenze e risorse associate al capitale umano. È il caso dei visti di lavoro a breve termine, che indirizzano la migrazione temporanea verso quei paesi carenti di lavoro altamente qualificato, si configurano come dispositivi per la gestione del lavoro transnazionale (Xiang,

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2007) ed operano accompagnandosi all’intensificazione e all’estensione della produzione e delle trasmissioni digitali (big data, sistemi biometrici e comunicazioni). La flessibilità raggiunta dalla struttura reticolare del mercato incanala i lavoratori in percorsi di transnazionalizzazione, in cui le condizioni di lavoro e la produzione materiale disarticolano la relazione lavoratore-cittadino, generando contraddizioni che si moltiplicano in quanto cifre della complessità che caratterizza la forza lavoro della conoscenza (Mezzadra e Neilson, 2014).

La mancanza di una programmazione politica lungimirante e responsabile in Italia ha dato vita ad un panorama in forte deficit di figure tecniche e professionali specializzate, compromettendo le possibilità di sviluppo e crescita e producendo una perdita di competitività. Secondo la pubblicazione Noi Italia 2017 (ISTAT, 2017), nel 2016, è la quota di giovani che ha lasciato prematuramente il percorso formativo scolastico è scesa al 13,8% ma, nello stesso anno, solo il 26,2% delle persone fra i 30 e i 34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario. Inoltre, secondo gli ultimi dati, il tasso di occupazione del nostro Paese è pari al 59,1% (CNEL, 2018). Rispetto, invece, al numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale la quota è aumentata del 3%, passando da 15 a 17,4 milioni di persone; mentre, per quanto riguardo il tasso d’investimenti pubblici in R&S, esso si attesta al 1,28% del PIL. Questi dati segnalano la difficoltà del sistema Italia di conseguire dei risultati soddisfacenti in termini di spesa in R&S e in istruzione ed educazione per il raggiungimento dei macro-obiettivi previsti dalla Strategia “Europa 2020”.

La sistematica tendenza al ribasso di tali investimenti pubblici evidenzia empiricamente un insufficiente sostegno strategico allo sviluppo d’imprese innovative e all’occupazione nei settori ad alto tasso di conoscenza, contribuendo a far crescere ulteriormente la disuguaglianza nella distribuzione di opportunità (Cenci, 2015). I lavoratori qualificati italiani, espulsi dal mercato del lavoro interno, si trovano così nella condizione di dover guardare all’espatrio come strategia per applicare le proprie competenze all’estero e realizzare le aspirazioni legate al proprio percorso formativo e professionale, riducendo i rischi e garantendo la propria occupabilità.

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II–

Q

UADRO TEORICO

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METODOLOGICO E DISEGNO DELLA RICERCA

Nella prima parte del lavoro, sono stati definiti i concetti cruciali relativi al fenomeno delle migrazioni qualificate, fornendone le principali evidenze e tendenze a livello internazionale e nazionale che costituiscono lo sfondo della presente ricerca. In seguito è stato ricostruito il percorso del dibattito in merito al nesso fra migrazioni e allo sviluppo e sono state inquadrate le caratteristiche principali del contesto della società della conoscenza. Attraverso questi passaggi è stato messo in luce il grado in cui le migrazioni qualificate si prestano come chiavi di lettura delle dinamiche di sviluppo nella società della conoscenza, parallelamente all’analisi dei determinanti politico-istituzionali e dei fattori politico sociali che ne determinano il contesto.

L’orientamento suggerito dalle teorie dei Migration Systems interpreta il complesso delle relazioni fra le diverse dimensioni delineando uno schema di retroazioni in grado di generare input trasformativi ai diversi livelli impiegando:

1) la riflessione sulle macro-dinamiche economiche, politiche e sociali (già introdotta con la globalizzazione, trasformazione sociale, economia della conoscenza/capitalismo cognitivo, mobilità);

2) l’esplorazione delle dimensioni meso (delle reti e culture migratorie, degli accordi istituzionali, dei dispostivi di selezione)

3) la valorizzazione dei micro-percorsi biografici individuali.

La mobilità qualificata risulta dall’interazione sistemica di forze che influenzano, secondo vari livelli, le scelte dei potenziali emigranti veicolate, a livello generale, dai sistemi di vincoli e opportunità politico-istituzionali ed economico-sociali dei paesi coinvolti nei flussi. Tali dinamiche sono intermediate dalle infrastrutture inter-istituzionali che forniscono il reticolo della mobilità e influenzano le decisioni di espatrio e di permanenza con cui i potenziali emigranti negoziano sulla base delle proprie relazioni sociali e della biografia personale. L’approccio sistemico necessita, quindi, di essere superato, riducendone il carattere meccanicistico e valutando la magnitudo delle singole dimensioni.

A questo proposito, Bakewell (2010) suggerisce un approfondimento adeguato delle interdipendenze fra struttura e agency negli studi migratori, poiché ritiene siano gli agenti a plasmarne i contorni, le possibili risposte e gli esiti, dedicando più attenzione al peso dei soggetti e dei contesti considerati (Tomei, 2017). L’interazione tra le diverse dimensioni indicate si sviluppa temporalmente e questo implica una lettura analitica di lungo periodo delle dinamiche che si generano fra i diversi livelli esplorando le relazioni biografiche, le reti sociali, le istituzioni e le tendenze strutturali. Inoltre, è necessario attribuire maggiore rilevanza alle relazioni di potere (O’Reilly, 2012) in grado di attivare o meno il potenziale dinamico e trasformativo delle pratiche dei soggetti che, sebbene etero-influenzati e abilitati o meno alla migrazione, conservano in sé, in qualche misura, un potere di resistenza e di potenziale retroazione trasformativa alle determinanti macro e meso.

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In questa seconda parte, la tesi s’indirizza a illustrare i riferimenti e teorici e metodologici alla base del lavoro svolto e il disegno di ricerca seguito. L’obiettivo è continuare il proposito indicato precedentemente esplorando analiticamente i rapporti fra le dimensioni già anticipate e descrivere il percorso seguito.

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4. IL QUADRO TEORICO-METODOLOGICO DI RIFERIMENTO

L’introduzione e lo sviluppo del dibattito agency/struttura negli studi migratori ha permesso di leggere le pratiche dei migranti in relazione alle influenze prodotte dalle strutture socio-economiche e dagli schemi simbolico-culturali che ne incoraggiano i comportamenti e le credenze. Ciò offre un quadro interpretativo adeguato alla comprensione di come l’interazione fra le forze strutturali e l’agency dei migranti contribuisce a generare le trasformazioni sociali globali. In questo modo diviene possibile seguirne le traiettorie, rappresentandone i protagonisti con le loro caratteristiche, considerando la temporalità degli spostamenti.

Il proseguimento del dibattito agency/struttura25 nelle scienze sociali ha consentito una maggiore comprensione delle interazioni fra vincoli strutturali e l’agency soggettiva, sia approfondendo il carattere riflessivo delle pratiche sociali, che mostrando particolare attenzione alle reti e alle comunità, osservando come l’agire relazionale e la riproduzione delle pratiche in tali gruppi contribuiscono a riprodurre e plasmare costantemente le strutture sociali. Sono le teorie della pratica, etichetta con cui sono sintetizzati i lavori complessivi di Bourdieu e Giddens (Emirbayer e Mische, 1998), a concentrarsi più propriamente sulle modalità in cui la realtà sociale emerge dall’interrelazione continua fra le strutture sociali e i processi di rappresentazione e di attivazione di queste.

Una teoria della pratica tenta il superamento della distinzione fra struttura e agency, percependo la vita sociale come il risultato dell’interazione fra strutture (abilitanti e vincolanti) e azioni (d’individui o gruppi che incorporano, plasmano e danno forma alle strutture) nella pratica della vita quotidiana. Studiando le connessioni fra dinamiche strutturali, agency soggettiva, rapporti di potere e potenzialità trasformative dei soggetti si delinea un framework teorico-metodologico26 in grado di permettere la comprensione di

25 Il dibattito agency/struttura è centrale nella teoria sociologica e è possibile registrarne da più parti una

tendenza a separare l’agency, l’agire degli individui in quanto attori umani, dalle strutture sociali. L’enfatizzazione del ruolo delle strutture permea gli autori della sociologia classica: per Durkheim (2008), ad esempio, i fatti sociali (fra cui religione, educazione e norme) esercitano un potere coercitivo sulle società, indipendentemente dagli individui e dalle loro azioni. Marx (2004), invece, fonda il suo lavoro sull’analisi realista dei rapporti storico-materiali e della loro capacità di dividere la società capitalistica. Tale approccio oggettivista è stato più volte ingaggiato dalla scuola soggettivista, che include diversi approcci influenzati dall’interpretativismo. Con l’introduzione del concetto di Verstehen (comprensione interpretativa) Weber (2003) cerca di comprendere il significato dell’azione individuale, adottando il punto di vista dell’attore che, non solo in quanto prodotto di forze esterne, contribuisce a creare il mondo attribuendogli un significato. In seguito alla proliferazione di diversi approcci, fra cui l’interazionismo simbolico, l’etnometodologia, la sociologia fenomenologica, il costruttivismo e la sociologia ermeneutica – che enfatizzano gli aspetti più dinamici, creativi e riflessivi della vita sociale –, l’attenzione si è spostata alle reti e alle comunità entro le quali gli attori esercitano la propria azione e ai pattern che si vengono a creare e riprodurre in tali gruppi sottoforma di strutture sociali. Ricomprendere tale varietà è necessario per esplorare l’interazione continua di struttura e agency nel paradigma della teoria della pratica.

26 Il tentativo, seguendo il suggerimento di Castles (2016), è quello di elaborare una teoria a medio-raggio, dal

taglio prettamente sociologico, che permette di comprendere la generazione, la riproduzione e le conseguenze prodotte dai pattern ricorsivi delle relazioni sociali che sottostanno alle teorie sostantive delle migrazioni internazionali (O’Reily, 2012).

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fenomeni complessi evitando di fornire spiegazioni mono-dimensionali e statiche (Stones, 2005).