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L’attuale configurazione del mercato del lavoro

DALL’INTERMEDIAZIONE VIETATA DI MANODOPERA ALLA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

2.5 L’attuale configurazione del mercato del lavoro

«È noto che il diritto del lavoro, nella logica della protezione del contraente più debole, è stato ed è tutt’ora permeato da una serie di norme rigide, sottratte alla disponibilità del lavoratore […] la cosa singolare però è che, proprio quando la disciplina della materia ha raggiunto il massimo della rigidità, si è assistito ad una evoluzione del sistema produttivo e, soprattutto, ad una crisi della situazione economica, tant’è che si è cominciato a parlare di “diritto del lavoro dell’emergenza”».62 Come sopra visto l’attuale configurazione del mercato del lavoro si caratterizza, rispetto al passato, per una attenuazione degli elementi della continuità e della esclusività del rapporto di lavoro. Ma non è questo il problema, rimanendo utile, se non necessaria, una certa quota di flessibilità. Si tratta, dunque, semmai di determinare la “dose” ottimale di flessibilità e verificare come i nuovi strumenti negoziali in tale prospettiva introdotti dal legislatore siano stati interpretati

61

G.ARRIGO, Tutti i limiti della modernizzazione in un libro, in Bollettino Adapt, speciale, 20 marzo 2007, n. 9, p.

31.

62 G.I

ANNIRUBERTO, La flessibilità nello svolgimento del rapporto di lavoro, in Massimario giurisprudenza

lavoro, 2009, p. 412. L’A. evidenzia, ancora, che seppur con alterne vicende, detta crisi «non è stata mai superata e che

e recepiti. Si tratta «di esaminare di volta in volta quando e come il legislatore ha ampliato la possibilità di scelta di tipi legislativamente preesistenti ma non liberamente o facilmente accessibili […] o ha consentito una libera regolamentazione dei contenuti contrattuali in deroga a quella prescritta per i contratti già tipizzati».63

Insomma, il problema non è flessibilità si o flessibilità no, ma quale livello di flessibilità serve a rendere più fluido il mercato, ad agevolare l’organizzazione del lavoro delle imprese, a migliorarne la produttività e l’efficienza, non essendo più certamente possibile pensare alla struttura del mercato del lavoro di qualche decennio fa. A tal proposito, peraltro, autorevole dottrina ha messo in risalto l’importanza attribuita oggi alle esigenze del mercato del lavoro, rispetto agli anni ’70, anni in cui si riteneva che il modello di sviluppo del Paese, dovesse sovrapporsi ai meccanismi dell’economia.64 Nello stesso tempo, tuttavia, non è possibile accettare l’idea che l’unica strada sia quella del lavoro precario a vita.

Secondo una data impostazione, tanto dottrinale, quanto politica, «in un contesto di maggiore sicurezza diventa legittimo completare il percorso della flessibilità arrivando a quello Statuto dei lavori che dovrebbe, nelle intenzioni di Marco Biagi e, più recentemente, degli stessi economisti “ulivisti” de Lavoce.info, affrontare una diversa modulazione del noto articolo 18, in modo che la tutela reale intervenga dopo un più lungo periodo di prova e a seguito del maturare di una adeguata

63 S. H

ERNANDEZ, Una rilettura dell’inderogabilità nella crisi dei principi del diritto del lavoro, in Diritto lavoro,

2003, 1, I, p. 6, secondo cui appare straordinariamente urgente «soprattutto il profilo della maggiore produttività del lavoro che si collega strettamente alla migliore remunerazione della prestazione. Tanto oggi la contrattazione collettiva centralizzata e l’esasperata progressività del prelievo fiscale lasciano insoddisfatte le attese sia dell’impresa che del lavoratore, quanto un diverso regime contrattuale e fiscale può indurre un circolo virtuoso destinato ad alimentare insieme i salari e la competitività.

64 Cfr. G.S

ANTORO PASSARELLI, Rigidità e flessibilità nella disciplina del rapporto di lavoro, in Massimario

anzianità del rapporto di lavoro».65

Una certa dose di flessibilità, dunque, serve a dare ossigeno al mercato, anche se sono state criticate le stesse modalità di attuazione della flessibilizzazione, realizzata fondamentalmente attraverso la enucleazione di sottotipi del lavoro subordinato, ciascuno dei quali viene “svuotato” di alcune caratteristiche e garanzie proprie del modello generale.66 Sotto tale profilo, poi, come si diceva, le nuove tipologie lavorative, edite sotto il segno della flessibilità, si espongono ad ulteriori critiche nel momento in cui sembrano risolversi in una eccessiva precarietà e parcellizzazione del lavoro.67

Si aggiunga che, secondo un corposo orientamento dottrinale, non può condividersi una certa tendenza riscontrabile in una parte del ceto politico e della dottrina all’esaltazione della flessibilità, anche laddove si rifletta sugli influssi negativi sul piano degli investimenti aziendali aventi ad oggetto le risorse umane e, segnatamente, la formazione delle stesse, in un contesto economico ove,

65 M.S

ACCONI, Ripartire dallo Statuto dei lavori per allinearsi all’Europa, in Bollettino Adapt, speciale, 21 marzo

2007, n. 10, p. 2.

66 Cfr. A.V

ALLEBONA, Tecniche normative e contenzioso lavoristico, in Argomenti diritto lavoro, 2005, 1, p. 257

ss., che, peraltro, osserva: «Questa linea di politica del diritto, seguita con significativa continuità anche dalla riforma del 2003, presenta notevoli inconvenienti: lascia immutate tutte le irrazionalità della ordinaria disciplina del lavoro subordinato; aggrava l’incertezza del diritto, per gli inevitabili problemi di qualificazione di ciascun modello di rapporto; continua ad imporre una astratta disciplina legale o collettiva uniforme per classi di rapporti inderogabile dall’autonomia individuale, alla quale impedisce una regolamentazione adeguata e certa del caso concreto, che, invece, potrebbe essere utilmente pattuita dalle parti con l’assistenza necessaria di un soggetto imparziale per la valutazione della effettiva equità e convenienza dei consentiti scostamenti dalla normativa inderogabile». Da registrare, sul punto, il contrario avviso di altra altrettanto autorevole dottrina, secondo cui «per la sostanziale inferiorità del prestatore nei confronti del datore di lavoro l’autoregolamentazione contrattuale degli interessi dei soggetti del rapporto, che si riferiscono principalmente alle condizioni economiche e normative di trattamento dei lavoratori, deve cedere il passo alle fonti eteronome, la legge e la contrattazione collettiva, che provvedono alla disciplina del rapporto di lavoro, in considerazione degli interessi individuali e collettivi dei lavoratori, ma anche, la legge, nell’interesse generale del Paese» (R.SCOGNAMIGLIO, Considerazioni introduttive al convegno sul nuovo volto del diritto del lavoro, in Argomenti

diritto lavoro, 2005, 1, p. 463).

67 Cfr. R.S

COGNAMIGLIO, Considerazioni introduttive al convegno sul nuovo volto del diritto del lavoro, cit., p.

invece, specie nei settori in cui l’offerta di lavoro è scarsa, assume importanza sempre crescente per l’impresa puntare sulla professionalità e sulla specializzazione del prestatore di lavoro. Il nostro legislatore, invece, sembra aver fermato la propria attenzione «sulle manifestazioni terminali e più visibili della flessibilità, quella cd. esterna e più precisamente quella in entrata».68 I nuovi strumenti di flessibilità introdotti nel nostro ordinamento appaiono, inoltre, diretti a governare il presente e risultano privi di progettazione su un orizzonte di medio-lungo periodo.69