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Le politiche di flessibilità

DALL’INTERMEDIAZIONE VIETATA DI MANODOPERA ALLA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

2.4 Le politiche di flessibilità

Le politiche del lavoro dovrebbero, in generale, intervenire per agevolare il raggiungimento di maggiori tassi di occupazione e di migliori condizioni e tutele dell’occupazione. Secondo Marco Biagi una generalizzata liberalizzazione del mercato del lavoro avrebbe favorito la buona occupazione.47 Il complessivo disegno insito nella legge Biagi è fondato su un presupposto: «Si supponeva che il mondo occidentale fosse alle soglie di una nuova crescita. La terapia, per l’Italia, era quindi conseguente: si trattava di favorire l’aggancio a quella crescita, in particolare liberalizzando il mercato del lavoro, nella doppia linea di ridurre le protezioni per i lavoratori occupati e di allargare a dismisura le forme flessibili di lavoro, sub specie di contratti c.d. atipici. L’intervento legislativo si è quindi realizzato attraverso la seguente sequenza: generalizzata liberalizzazione del collocamento, moltiplicazione delle figure flessibili di contratto di lavoro subordinato, dal part-time elasticizzato al lavoro a chiamata, dalla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato al lavoro occasionale, quindi flessibilizzazione del rapporto tra le fonti mediante un insieme di rinvii legislativi a una contrattazione collettiva indeterminata sotto il profilo della dimensione degli stessi contratti, da stipularsi da parte di “sindacati comparativamente più rappresentativi”, essendo in genere considerati fungibili i diversi livelli, nazionali, territoriali e

46 P.I

CHINO, Il lavoro e il mercato, Mondadori, Milano, 1996, p. 52 ss., come richiamato da M.BELLINA, Appalto

di manodopera e somministrazione di lavoro dopo il D.Lgs. n. 276/2003: abolitio criminis o successione di leggi penali?, cit., p. 835.

47

M.BIAGI, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, in Rivista italiana

diritto lavoro, 2001, I, p. 257 ss.; ID., Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffré, Milano, 2001. Tesi, questa, che è stata ritenuta tale da «mettere radicalmente in discussione, in diversi punti oltre misura, i pilastri del corrente diritto del lavoro» (G. PERA, Noterelle. Diario di un ventennio, Giuffré, Milano, 2004).

aziendali di contrattazione».48

Al contrario, invece, l’economia mondiale, segnatamente quella dei Paesi occidentali, è entrata in una fase di depressione, spinta anche da “giochi” finanziari poco chiari e trasparenti portati avanti da buona parte del sistema bancario, che nulla avevano a che fare con l’economia reale e con i fondamentali delle imprese, disvelando i caratteri di quella che è stata definita una “economia della truffa”.49 La realtà delle cose ha, cioè, dimostrato che il suddetto disegno era fondato su un presupposto errato: «Non era vero infatti che all’inizio del nuovo millennio il mondo capitalistico- occidentale avesse di fronte a sé una nuova e lineare fase di crescita, nella prospettiva di una irenica e felice globalizzazione».50

Per quanto, poi, concerne specificamente il nostro Paese, l’iniezione di flessibilità, quantomeno secondo un corposo orientamento dottrinale, non ha funzionato non solo per la sua carente portata attuativa,51 ma anche per ragioni che esulano dalla struttura del mercato del lavoro, per affondare, invece, le proprie radici all’esterno dello stesso e che possono sintetizzarsi nella generale perdita di competitività del sistema, nel basso tasso di innovazione tecnologica correlato anche alle limitate risorse attribuite alla ricerca, nella riduzione dei consumi legata alla perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni, nel ridimensionamento degli investimenti privati dovuto alla mancanza di fiducia del mondo imprenditoriale e alle difficoltà di reperimento di capitali non propri, nella corposa riduzione degli investimenti pubblici conseguente al persistente disavanzo di bilancio ed al necessario rispetto dei vincoli e dei parametri imposti dall’Unione europea. Insomma, detto in altri termini, forse la terapia per la cura dell’occupazione e della crescita economica non andava

48 L. M

ARIUCCI, Dopo la flessibilità cosa? Riflessioni sulle politiche del lavoro, in Wp Csdle “Massimo

D’Antona”, n. 27/2005, p. 2 s.

49

Cfr. J.K.GALBRAITH, L’economia della truffa, Rizzoli, Milano, 2004, trad. it. Stefano Galli.

50 L.M

ARIUCCI, Dopo la flessibilità cosa? Riflessioni sulle politiche del lavoro, cit., p. 3.

51 Sul punto v. M. T

IRABOSCHI, La riforma Biagi. Commentario allo schema di decreto attuativo della legge

ricercata nelle politiche di flessibilizzazione.

All’errore della diagnosi è, dunque, legata l’inefficacia della terapia concretizzatasi nel dotare il sistema di maggiori livelli di flessibilità. Il problema del nostro sistema economico e del mondo del lavoro non è quello di smantellare le garanzie del lavoro di tipo dipendente attraverso politiche di flessibilizzazione o quello di perseguire una riduzione (di fatto) dei costi del lavoro attraverso i minori vincoli e le attenuate “rigidità” del relativo rapporto lavorativo.52

Forse anche per la maturazione di tale consapevolezza il legislatore degli ultimi anni sembra muoversi «disordinatamente, tra esigenze di flessibilità, tentativi di ulteriori liberalizzazioni e voglia di fare un passo indietro, di un ritorno al passato o, quantomeno, di una stretta in termini di maggiore rigidità».53

Quasi tutti i commentatori degli ultimi interventi legislativi in materia di mercato del lavoro osservano come non sia ancora stata intrapresa una strada precisa in ordine al processo di estensione delle tipologie negoziali flessibili. «Vero è che molta attenzione, anche qui più mediatica che sulle possibili risposte del mercato del lavoro reale, è stata concessa ad alcune fondamentali, o presunte tali, modifiche della precedente l. n. 92/2012, che, a nostro avviso, non aveva coerentemente svolto il noto compito di irrigidire gli strumenti di accesso al lavoro in chiave antifraudolenta per il “classico” contratto di lavoro a tempo indeterminato, proclamato “idolo” della normativa italiana recente, almeno fin dal d.lgs. n. 368/2001».54

La tendenza legislativa verso la flessibilità è basata anche sulla considerazione che, «a fronte del nuovo scenario della produzione e dell’economia, come l’impresa tende a destrutturarsi, anche il

52 Sul tema v. L.G

ALLINO, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Bari, 2000; J.E.STIGLIZ, La globalizzazione

e i suoi oppositori, Einaudi, Torino, 2002; J.RIFKIN, Il sogno europeo, Mondadori, Milano, 2004.

53

G.ZILIO GRANDI,M. SFERRAZZA, “Pacchetto lavoro” e assenza di contenuti previdenziali, in Lavoro nella

giurisprudenza, 2013, speciale Riforme, p. 28.

54 G.Z

ILIO GRANDI, Dal d.l. n. 76 alla l n. 99 del 2013: Back to the future o Timeline?, in M.TIRABOSCHI (a cura

diritto del lavoro deve diventare meno rigido, in modo da mantenere all’interno della legalità tipologie di lavoro non standard, scongiurando un incremento del lavoro nero».55 Ma occorre anche considerare, come osservato in dottrina, che il vero nodo della nostra economia non è tanto costituito dalla strutturazione del mercato del lavoro, perché «se l’Italia non è terra di investimenti, non lo è per ben altro».56 La crescita del tasso di disoccupazione sembra affondare le sue radici nell’andamento delle variabili macroeconomiche e, segnatamente, nella riduzione della domanda, tanto di consumi, quanto di investimenti, appunto, segnalata nelle rilevazioni statistiche degli ultimi anni. «D’altra parte, in una fase di contrazione della produttività e di pressioni al ribasso sulla dinamica salariale, la crescita dei salari reali si è portata negli ultimi anni su valori negativi. La caduta dei salari reali, la riduzione dell’occupazione e l’aumento della pressione fiscale sono i fattori che hanno guidato al ribasso l’andamento del potere d’acquisto delle famiglie, e provocato una drastica riduzione dei consumi».57

In sintesi, una parte della dottrina evidenzia l’erroneità dell’equazione ulteriori dosi di flessibilità - crescita dell’occupazione. «Se le imprese non assumono è perché manca la domanda; se non investono e non fanno ricerca è perché, in questa fase congiunturale, prevale la sfiducia e, comunque, manca il capitale di rischio; se dall’estero non arrivano gli investimenti necessari è perché non sono mai stati affrontati, in modo strutturale, nodi quali, il sistema giustizia (che non è in grado, in tempi rapidi o quantomeno “ragionevoli”, di accertare diritti e offrire tutele); l’eccessiva burocrazia ed ai suoi elevati “costi”; la corruzione (essendo l’Italia priva di una legge capace di svolgere efficacemente la sua funzione deterrente); l’eccessivo rischio d’impresa, superiore alla

55

G.ZILIO GRANDI,M.SFERRAZZA, “Pacchetto lavoro” e assenza di contenuti previdenziali, cit., p. 29.

56 F.C

ARINCI, Complimenti, dott. Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato

del lavoro, in Lavoro nella giurisprudenza, 2012, p. 529 s.

media, che ancora si registra in vaste zone del territorio italiano».58

Insomma, secondo alcuni Autori il legislatore non riesce a comprendere come, «senza incidere sulla questione della competitività delle imprese italiane, operando quindi su fattori ben più ampi e complessi di quelli esaminati, si finisce per fornire da un lato alibi al sistema imprenditoriale e dall’altro pannicelli caldi all’occupazione, a sua volta sempre più frammentata e priva di futuro».59

In definitiva, è possibile affermare che è ormai tramontata l’idea della ricerca nella flessibilità della soluzione ai mali del lavoro e dell’occupazione? Forse è ancora presto per dirlo. Certo, però, che «l’epoca della ideologia della flessibilità, intesa come valore in sé, come criterio discretivo dirimente, quasi fosse una dimensione necessaria del pensiero è in via di esaurimento. Va elaborato un nuovo orientamento il quale non può essere di segno nostalgico all’insegna di una sia pure involontaria laudatio temporis acti. A questo fine non basta una impostazione di tipo semplicemente correttivo, come quella pure meritoriamente proposta da chi ha suggerito la formula di una flessibilità “mite” ovvero “temperata”. Occorre qualcosa di più».60

Le politiche del lavoro, di tutela del lavoro e di regolazione del mercato del lavoro dovrebbero «avere come necessario riferimento l’insieme dei diritti sociali universalmente riconosciuti e un sistema di diritti fondamentali che integri la cittadinanza dell’Unione europea», e «l’uguaglianza nei suoi differenti livelli, forme ed applicazioni, dovrebbe occupare un posto importante, così come il riconoscimento ampio e profondo del diritto di associazione, di attività sindacale e del diritto di contrattazione collettiva, intesi come elementi irrinunciabili del modello sociale proiettato su scala universale attraverso atti e dichiarazioni fondamentali, come quella tripartita dell’ILO del 1998, o

58 Questo, ad esempio, il pensiero di G.Z

ILIO GRANDI,M.SFERRAZZA, “Pacchetto lavoro” e assenza di contenuti

previdenziali, cit., p. 30.

59

G.ZILIO GRANDI, Dal d.l. n. 76 alla l n. 99 del 2013: Back to the future o Timeline?, cit., p. 40.

60 L.M

ARIUCCI, Dopo la flessibilità cosa? Riflessioni sulle politiche del lavoro, cit., p. 7, che fa riferimento, per la

tesi della flessibilità “mite”, a B.CARUSO, Alla ricerca della “flessibilità mite”: il terzo pilastro delle politiche del

dell’ONU del 2000, che concepiscono la dimensione collettiva del diritto del lavoro come un piano di regolazione e di azione indispensabile. Se di vera "modernizzazione" del Diritto del lavoro si tratta, allora essa dovrebbe muovere da un sistema organico di diritti fondamentali, in particolare quelli di non discriminazione, non orientato solo (o esclusivamente) alle questioni del mercato del lavoro e dell’occupazione, ma capace di strutturare il lavoro su un sistema di diritti e garanzie, individuali e collettive, affinché in questa costruzione, basata sulla ricordata integrazione di principi, diritti e regole tra lavoro, mercato e impresa, non si vengano a creare aree di immunità dell’impresa rispetto all’azione dei pubblici poteri o alla contrattazione collettiva».61