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L’«elezione de le parole»: Dionigi d’Alicarnasso

4. L’aldina dei Rhetores Graeci: Aristotele, Ermogene, Dionigi, Demetrio

4.2. L’«elezione de le parole»: Dionigi d’Alicarnasso

Le Prose della volgar lingua sono largamente debitrici verso il De compositione verborum di Dionigi d’Alicarnasso: Bembo modella il secondo libro del suo trattato sull’opera di Dionigi, senza mai dichiarare esplicitamente la fonte, anzi occultandola attraverso accorgimenti strategici3, non diversamente da quanto farà Trissino con Ermogene, come si vedrà. Sono molti i trattati di poetica e retorica del Cinquecento che attingono da Dionigi: basti pensare al topos, molto diffuso, della dimostrazione dell’importanza dell’ordo verborum nella costruzione ritmica del verso, attraverso lo stravolgimento di tale ordine in versi solitamente paradigmatici della tradizione lirica italiana, sul modello fornito dal quarto libro del De compositione verborum4. Grazie alla diffusione capillare dell’aldina dei Rhetores Graeci5, il retore di Alicarnasso diventa un vero e proprio punto di

1 Poetica, p. XIr. 2 DANIELE 1994, p. 129.

3 Cfr. DONADI 1990, in part. pp. 68 sg.: «lo scrittore veneziano non si limita, secondo la pratica del tempo, ad una

appropriazione più o meno esplicita, comunque identificabile; ma cerca addirittura di depistare il lettore, indirizzandolo genericamente verso i retori latini e senza mai nominare, nemmeno incidentalmente, al sua fonte segreta. Il Bembo approfittava, io credo, della scarsa familiarità dei suoi contemporanei con un retore concettualmente arduo nell’originale, privo di traduzioni e di commenti, e che per giunta aveva la mala sorte di esordire nella princeps accanto alla Poetica aristotelica». Cfr. anche Francesco Donadi in DIONIGI D’ALICARNASSO 2013, pp. 13 sg., 63-66. Sull’electio verborum in Bembo cfr. POZZI 1978, pp. 120 sg.

4 Oltre a Bembo (cfr. POZZI 1978, p. 127), si pensi ad esempio alla disquisizione varchiana sulla disposizione delle

parole, e dunque degli accenti, nel verso (cfr. VARCHI 1590, p. 639).

5 Oltre al De compositione verborum, l’aldina contiene, sotto la titolatura generica Dionysii Alicarnasei ars rhetorica

fornita nell’indice, l’Ars rhetorica, silloge eterogenea di testi retorici attribuiti a Dionigi da uno scoliasta dell’unico codice che tramanda il testo (Parisinus Graecus 1741) e a cui Trissino fa riferimento nella sesta divisione della Poetica (cfr.

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riferimento negli studi sull’elocuzione poetica, tanto da essere definito da Francesco Patrizi «gran maestro del ben dire»1.

Il rapporto fra Trissino e Dionigi è di fatto meno stretto di quanto sia stato rilevato2. La natura sostanzialmente lessicale dell’apporto trissiniano alla questione della lingua porta inevitabilmente il vicentino a privilegiare l’electio verborum piuttosto che la compositio: per quel che concerne la componente verbale della poesia Trissino si avvicina dunque ad Aristotele e alla scuola postaristotelica di Teofrasto, in polemica divergenza rispetto al pensiero di Dionigi. Contestualmente alla lunga rassegna sui sette stili del discorso Trissino scrive:

nωn sωlamente le sentεnzie ε le parole fannω le fωrme di dire, ma anchωra ci volenω i modi, le figure, i mεmbri, la cωmpωʃiziωne, la depωʃiziωne ε la rima […]. Ma iω, che intεndω sωlamente di trattare in questω luocω de la εleziωne de le parole, laʃciω quelle altre coʃe che cωnstituiscωnω le fωrme di dire da cantω, cωme nωn pertinεnti a la preʃεnte intenziωne; de le quali, se piacerà a Diω, in altrω luocω sarà diffuʃamente trattatω (Poetica, pp. VIIr sg.).

Dei vari elementi costitutivi delle forme di dire si parlerà a proposito di Ermogene. Qui importa mettere in rilievo il fatto che l’elezione è considerata prioritaria rispetto alla composizione, tanto che Trissino non arriverà mai ad espletare la promessa di una futura trattazione della seconda. Ma ancora più interessante è il fatto che Trissino, con questa dichiarazione di intenti, si ponga dichiaratamente in antitesi speculare rispetto a Dionigi, il quale, rivolgendosi in apertura del suo trattato al dedicatario dell’opera, Rufo Metilio, così si esprime:

ἐὰν δ’ ἐγγένηταί μοι σχολή, καὶ περὶ τῆς ἐκλογῆς τῶν ὀνομάτων ἑτέραν ἐξοίσω σοι γραφήν, ἵνα τὸν λεκτικὸν τόπον τελείως ἐξειργασμένον ἔχῃς. ἐκείνην μὲν οὖν τὴν πραγματείαν εἰς νέωτα πάλιν ὥραις ταῖς αὐταῖς προσδέχου θεῶν ἡμᾶς φυλαττόντων ἀσινεῖς τε καὶ ἀνόσους, εἰ δή ποτε ἡμῖν ἄρα τούτου πέπρωται βεβαίως τυχεῖν· νυνὶ δὲ ἣν τὸ δαιμόνιον ἐπὶ νοῦν ἤγαγέ μοι πραγματείαν δέχου3. 1 PATRIZI 1969-71, II, p. 113.

2 Cfr. PROTO 1905, pp. 10-12, secondo il quale Trissino addirittura dovrebbe a Dionigi l’idea della composizione delle

prime due divisioni della Poetica.

3 Comp. I 10-11. «Se ne avrò il tempo, ti darò anche un secondo scritto, Sulla selezione delle parole: perché tu abbia

a disposizione una trattazione esaustiva sullo stile. Quel lavoro aspettalo per l’anno prossimo, nella stessa stagione, se agli dei piace conservarci senza affanni e senza mali e se il destino, per giunta, vuole fermamente che noi raggiungiamo il nostro scopo» (trad. Francesco Donadi). Ovviamente, anche in questo caso «lo scritto menzionato non ci è pervenuto, né si sa per certo se Dionigi abbia dato corso al suo progetto» (Antonia Marchiori in DIONIGI D’ALICARNASSO 2013, p. 140).

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La teoria del verso, interamente sviluppata attorno alle sedi dell’accento, esclude di fatto qualsiasi riferimento alle strategie espressive innescate dall’ordo verborum, mentre la rapida rassegna di figure retoriche spalmata nelle ultime due divisioni si limita perlopiù ai tropi, dunque agli slittamenti semantici del singolo lessema, relegando le conversioni della construzione1 ad un arido elenco quasi in chiusura dell’opera, suggellato da una considerazione quanto mai generica e sbrigativa: «quelli che saperanno scelgere di queste tali figure e tropi quelle che faranno al proposito loro, et a tempo e luoco le saperanno ben usare, orneranno i poemi loro di incomprensibile vaghezza»2.

L’apporto più massiccio di Dionigi alla Poetica è con ogni probabilità fornito dal capitolo XVI. Nella Poetica Trissino propone una visione analitica della struttura interna del verso che viene scandita in lettere, sillabe, accenti e piedi. Questa schematizzazione si deve alla grammatica e retorica classica: già Aristotele la introduce nella Metafisica, a proposito dell’esistenza delle Idee: «ἔστωσαν […] αἱ μὲν ἐν τῇ φωνῇ συλλαβαὶ οὐσίαι τὰ δὲ στοιχεῖα αὐτῶν στοιχεῖα τῶν οὐσιῶν»3.

Così, anche secondo Dionigi il λόγος è formato da un insieme di ὀνόματα a loro volta suddivisi in συλλαβαὶ, e queste in γράμματα. Nonostante lo schema dionisiano costituisca evidentemente il modello di tutte le analoghe elaborazioni seriori, Trissino, a differenza di Dionigi, seziona l’unità ritmica del verso piuttosto che il dominio verbale in sé, avvicinandosi in questo modo ai grammatici latini tardoantichi (cfr. infra).

Ancora meno affini sono le rispettive teorie della versificazione: se si esclude la canonica individuazione delle dodici tipologie di piede4, non c’è traccia nella Poetica di asserti di metrica

possibilmente attinti da Dionigi.

Vanno invece rilevati echi dal capitolo XVI nel paragrafetto De la particulare εleziωne de le parole, che introduce la digressione sui sette stili. Si confrontino i due luoghi:

Hora, circa la εleziωne particulare ch’iω facciω de le parole, prima ὲ da sapere che i pωεti dennω cωn ogni studiω sfωrzarsi di accωmωdare le parole a le sentεnzie, cioὲ fare che il suonω de le parole quaʃi il sentimentω di esse sentεnzie referisca; la qual coʃa fecenω mirabilmente apprεssω i Grεci Hωmerω ε Pindarω, εt apprεssω i Latini Virgiliω, Catullω εt Hωraziω (Poetica, p. Vv).

1 Cfr. Poetica 1562, p. 41v. 2 Poetica 1562, p. 44v.

3 Arist. Metaph. 1086b 22-24. «Poniamo […] che le sillabe di una parola siano sostanze e che le lettere di quelle

sillabe siano elementi delle sostanze» (trad. Giovanni Reale). Cfr. anche 998a 23-24; 1013b 17-18; 1023a 36; 1034b 25- 28; 1035a 10-17; 1041b 11 sgg.; 1043b 5-6; Cat. 14b 1-2.

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Καὶ αὐτοὶ μὲν δὴ κατασκευάζουσιν οἱ ποιηταὶ καὶ λογογράφοι πρὸς χρῆμα ὁρῶντες οἰκεῖα καὶ δηλωτικὰ τῶν ὑποκειμένων τὰ ὀνόματα1.

Posto che Dionigi si riferisce qui all’ὀνοματοποιία, intesa in senso lato (l’arte di coniare parole) e stretto (l’onomatopea: cfr. XVI 2-3), piuttosto che alla scelta generica delle parole stesse, è chiaro che i concetti di οἰκεῖος (‘conveniente’, ‘appropriato’) e di δηλωτικὸς (‘icastico’) sviluppano qui un aspetto in qualche modo trasversale della creazione lessicale, che può essere esteso all’electio verborum nel suo complesso. Si tratta di un elemento che Trissino riprenderà più estesamente nella Poetica postuma e, soprattutto, nella prefazione all’Italia liberata da’ Gotthi, diventando uno dei pilastri programmatici su cui si fonderà la composizione del poema epico: mi riferisco all’ἐνάργεια, per la quale Trissino troverà un sostegno normativo più solido in Aristotele e, soprattutto, in Demetrio.

Il modello per eccellenza di ἐνάργεια era visto, nell’antichità come in età umanistica, in Omero, da cui Dionigi attinge tutti i quattro esempi di creatività lessicale ‘icastica’ qui riportati, fra cui il verbo κλάγγειν (Il. II 210, in cui è associato al verso di un’aquila ferita), poi ripreso da Pindaro (Pyth. IV 23): proprio quest’ultimo fa coppia con Omero nell’elenco dei poeti classici che per Trissino eccellerono nell’arte dell’«accωmωdare le parole a le sentεnzie».

È possibile rintracciare un ulteriore spunto dal capitolo XVI del De compositione verborum nella classificazione delle tipologie lessicali compresa sotto il titolo De la generale εleziωne de le parole: le due grandi categorie in cui Trissino suddivide in prima istanza l’intero dominio lessicale sono le parole formate di nuovo e quelle usate da altri. Proseguendo il discorso sulla coniazione di nuovi termini da parte dei poeti, Dionigi aggiunge:

πολλὰ δὲ καὶ παρὰ τῶν ἔμπροσθεν λαμβάνουσιν ὡς ἐκεῖνοι κατεσκεύασαν, ὅσα μιμητικὰ τῶν πραγμάτων ἐστίν2.

Nella sesta divisione della Poetica Trissino chiama esplicitamente in causa Dionigi a proposito del costume (ἦθος). Questa volta non si tratta del De compositione verborum, ma del capitolo conclusivo della silloge pseudo-dionisiana che va sotto il titolo di Ars rhetorica, anch’essa contenuta nell’aldina del 1508. Il capitolo in questione è intitolato Περὶ λόγων ἐξετάσεως (‘L’analisi dei discorsi’), e rappresenta la trascrizione di una lezione scolastica di retorica nella quale si cerca di elaborare criteri

1 D. H. Comp. XVI 1. «I poeti e i prosatori elaborano essi stessi le parole appropriate e in grado di far vedere l’oggetto

trattato in relazione al momento» (trad. Francesco Donadi).

2 D. H. Comp. XVI 1. «Molte parole le prendono anche dai loro predecessori, quando questi le hanno create utilizzando

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oggettivi per la valutazione estetica di opere in prosa che vadano oltre la mera reputazione degli autori, spesso fuorviante. Rispetto a quanto aveva fatto nelle prime quattro divisioni, nella Poetica del 1562 Trissino è più prodigo nel dichiarare le sue fonti, anche dove la semplice citazione occasionale si espande fino a diventare un vero e proprio volgarizzamento di ampio respiro, come in questo caso in cui il capitolo pseudo-dionisiano è riportato pressoché per intero. La versione di Trissino occupa uno spazio considerevole, all’incirca un terzo della sesta divisione (pp. 33r-40r), e in effetti il vicentino adotta per Dionigi lo stesso trattamento riservato alla Poetica di Aristotele nel corso dell’opera: il testo della fonte è spesso frammentato dal ricorso ad altre autorità e aggiornato tramite riferimenti alla lingua e letteratura latina e volgare.

Di seguito si riportano le prime righe della citazione volgarizzata e il passo originale, al quale Trissino rimane piuttosto fedele, come si può vedere:

I costumi, adunque, della comedia e delli altri poemi, oltra quello che avemo detto nella tragedia secondo la opinione di Aristotele, ancora si considereranno secondo la divisione di Dionisio Alicarnaseo in questa forma: il costume è dupplice, cioè uno è comune e filosofico, e l’altro è particolare e retorico. Et il comune e filosofico è quello che invita gli uomini alla virtù e li rimove dai vizii, il che dee essere la intenzione di tutti i buoni poeti. Il particolare poi, o vero retorico, è quello che fa dire parole e far cose convenienti alla natura e disposizione di ciascuno di quelli che se introducono nei poemi (Poetica 1562, p. 33r).

τὸ ἦθος φημὶ διπλοῦν εἶναι, κοινόν τε καὶ ἴδιον. πῇ διορίζω τὸ κοινὸν καὶ τὸ ἴδιον ἀπ’ ἀλλήλων, φράσω. κοινὸν λέγω τὸ φιλοσοφίας ἐχόμενον. ἔστι δὲ τοῦτο τί; τὸ εἰς ἀρετὴν προτρέπον καὶ κακίας ἀπαλλάττον. ἴδιον δὲ λέγω τὸ ῥητορικόν. ἔστι δὲ τοῦτο τί; τὸ πρέποντας καὶ προσήκοντας τοὺς λόγους ποιεῖσθαι περὶ τῶν ὑποκειμένων πραγμάτων τῷ λέγοντι αὐτῷ καὶ τῷ ἀκούοντι καὶ περὶ ὧν ὁ λόγος καὶ πρὸς οὓς ὁ λόγος1.

La digressione, volta a colmare il silenzio di Aristotele intorno alla commedia, prosegue, di pari passo con il testo dello Pseudo-Dionigi, con l’analisi delle sette parti (τόποι) del costume particolare (ἴδιον ἦθος), ovvero nazioni (κοινὸν ἔθνος), paesi (ἴδιον ἔθνος), genere (γένος), età (ἡλικία), fortuna (τύχη), disposizioni (προαιρέσεις) e essercizii (ἐπιτηδεύσεις), seguita da una serie di considerazioni sul ridiculo (γελοῖον) per le quali viene fatto ampio ricorso a Aristotele, Cicerone e Quintiliano2, e

1 D. H. Rh. XI II. ‘Dico che il costume è duplice, comune e particolare. Ora dirò in che modo distinguo fra di loro il

comune e il particolare: comune chiamo quello che riguarda la filosofia. Di cosa si tratta? È quello che indirizza alla virtù e allontana dal vizio. Particolare chiamo quello retorico. Di cosa si tratta? È comporre discorsi convenienti e opportuni relativamente all’oggetto a cui ci si riferisce, sia per chi parla sia per chi ascolta, sia per coloro di cui si parla nel discorso, sia per coloro ai quali è rivolto il discorso’.

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sulle parole (ὀνόματα) che si convengono al genere comico. A questo punto, esaurita l’operetta retorica a cui si è appoggiato fino a qui, Trissino prosegue la sua ricostruzione delle partizioni descrittive della commedia riprendendo e ampliando un argomento su cui si era già soffermato nella quinta divisione, a proposito della tragedia:

Oltre di questo noi percorreremo più ampiamente le conversioni e le figure del parlare di quello che nella tragedia avemo fatto, la qual cosa apporterà molta utilità et ornamento a tutti i poemi che avemo detti e che diremo (Poetica 1562, p. 40r).

Si tratta dei tropi, dispositivi retorici a cui Trissino dedica ampio spazio in quanto elementi costitutivi di molti fra i sette stili ermogenici del discorso nonché responsabili, fra l’altro, dell’ἐνάργεια, uno dei maggiori pregi dell’elocuzione poetica secondo il letterato vicentino1.