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La «precipua virtù del poeta»: l’ἐνάργεια di Aristotele, Dionigi e Demetrio

4. L’aldina dei Rhetores Graeci: Aristotele, Ermogene, Dionigi, Demetrio

4.4. La «precipua virtù del poeta»: l’ἐνάργεια di Aristotele, Dionigi e Demetrio

Strettamente correlato al tema della metafora è quello dell’ἐνάργεια o evidentia, ovvero l’abilità poetica che consiste nel fare in modo che il lettore ‘veda’ le immagini codificate dalla parola, sentendosi emotivamente coinvolto nell’azione rappresentata. I tropi giocano un ruolo fondamentale in questo processo, come sostiene, fra gli altri, Jacobson in un suo saggio giovanile sul realismo artistico3: ogni deroga dall’uso proprio, convenzionale della semantica del linguaggio comporta un

1 Cfr. RICOEUR 1977, p. 12: «The duality of rhetoric and poetics reflects a duality in the use of speech as well as in

the situations of speaking […]. Poetry and oratory mark out two distinct universes of discourse. Metaphor, however, has a foot in each domain. With respect to structure, it can really consist in just one unique operation, the transfer of the meaning of words; but with respect to function, it follows the divergent destinies of oratory and tragedy. Metaphor will therefore have a unique structure but two functions: a rhetorical function and a poetic function».

2 Luciana Borsetto parla di «progressivo slittamento della retorica nella poetica» (BORSETTO 1982, p. 113). 3 Cfr. JAKOBSON 1987, in part. p. 21; MORPURGO-TAGLIABUE 1967, p. 358.

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incremento dello sforzo di decodifica da parte del fruitore del messaggio e, di conseguenza, un aumento della vividezza dei φαντάσματα, le immagini che la parola suscita nella mente del fruitore stesso.

La trattatistica retorica classica dedica ampio spazio all’ἐνάργεια1: in quanto peculiarità

dell’elocuzione eminentemente retorica, essa doveva incrementare l’efficacia della persuasione trasformando l’uditorio in un vero e proprio testimone oculare2. L’ἐνάργεια viene spesso ricondotta

al principio oraziano dell’ut pictura poesis, sebbene questo si riferisca piuttosto alla μίμεσις in generale, dunque alla capacità della parola di produrre un’imitazione della natura altrettanto efficace di quella espressa dalla pittura: ἐνάργεια non significa che la poesia è come immagine, ma che la poesia può produrre essa stessa immagine. L’espressione che meglio illustra il preciso senso dell’ἐνάργεια è πρὸ ὀμμάτων τιθέναι (o ποιεῖν), porre davanti agli occhi, ed è di matrice aristotelica:

Δεῖ δὲ τοὺς μύθους συνιστάναι καὶ τῇ λέξει συναπεργάζεσθαι ὅτι μάλιστα πρὸ ὀμμάτων τιθέμενον· οὕτω γὰρ ἂν ἐναργέστατα [ὁ] ὁρῶν ὥσπερ παρ’ αὐτοῖς γιγνόμενος τοῖς πραττομένοις εὑρίσκοι τὸ πρέπον καὶ ἥκιστα ἂν λανθάνοι [τὸ] τὰ ὑπεναντία3. Ὅτι μὲν οὖν τὰ ἀστεῖα ἐκ μεταφορᾶς τε τῆς ἀνάλογον λέγεται καὶ τῷ πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν, εἴρηται· λεκτέον δὲ τί λέγομεν πρὸ ὀμμάτων, καὶ τί ποιοῦσι γίγνεται τοῦτο. Λέγω δὴ πρὸ ὀμμάτων ταῦτα ποιεῖν ὅσα ἐνεργοῦντα σημαίνει4.

Coerentemente con la specificità dell’argomento del trattato, nella Poetica si parla di ‘porre davanti agli occhi’ in riferimento al momento compositivo, piuttosto che all’effetto del prodotto finito. Il poeta deve potersi figurare la scena da rappresentare in modo da rendersi meglio conto delle possibili incongruenze di cui il racconto può essere affetto. Nella Retorica, in cui gli effetti generati

1 Sull’argomento si vedano MORPURGO-TAGLIABUE 1967, pp. 256-286; ZANKER 1981; PLETT 2012; BERARDI 2012. 2 Si vedano le osservazioni di Dionigi d’Alicarnasso sullo stile di Lisia, nell’operetta dedicata a questo oratore: «Ἔχει

δὲ καὶ τὴν ἐνάργειαν πολλὴν ἡ Λυσίου λέξις. Αὕτη δ’ ἐστὶ δύναμίς τις ὑπὸ τὰς αἰσθήσεις ἄγουσα τὰ λεγόμενα, γίγνεται δ’ ἐκ τῆς τῶν παρακολουθούντων λήψεως. Ὁ δὴ προσέχων τὴν διάνοιαν τοῖς Λυσίου λόγοις οὐχ οὕτως ἔσται σκαιὸς ἢ δυσάρεστος ἢ βραδὺς τὸν νοῦν, ὃς οὐχ ὑπολήψεται γινόμενα τὰ δηλούμενα ὁρᾶν καὶ ὥσπερ παροῦσιν οἷς ἂν ὁ ῥήτωρ εἰσάγῃ προσώποις ὁμιλεῖν» (D. H. Lys. VII 1-8. «Lo stile di Lisia ha anche una notevole evidenza rappresentativa: si tratta di una particolare capacità di rendere percettibile ai sensi ciò che viene detto, e questo avviene quando si è in grado di cogliere nel dettaglio e indicare le circostanze che si accompagnano ai fatti. Chi presti attenzione ai discorsi di Lisia non può essere così rozzo, maldisposto o lento d’intelletto da non rendersi conto che gli eventi narrati sfilano sotto i suoi occhi e che i personaggi che di volta in volta l’oratore mette in scena lo intrattengono come se si trovasse in loro presenza». Trad. Francesca Focaroli). Cfr. ZANKER 1981, p. 297; PLETT 2012, pp. 19 sg.

3 Arist. Poet. 1455a 22-26. «Bisogna comporre i racconti e rifinirli con il linguaggio quanto più avendoli davanti agli

occhi. Potendo così vedere nel modo più chiaro come se si fosse in mezzo agli stessi fatti, si potrà trovare quel che è conveniente e sfuggiranno meno le incongruità» (trad. Diego Lanza).

4 Arist. Rhet. 1411b 22-25. «Si è detto pertanto che le espressioni eleganti si traggono dalla metafora per analogia e

con il mettere le cose davanti agli occhi. Bisogna ora dire che cosa intendiamo con ‘mettere le cose davanti agli occhi’ e che cosa si fa per ottenere questo effetto. Dico che mettono le cose davanti agli occhi quelle espressioni che indicano cose in atto» (trad. Silvia Gastaldi).

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nel destinatario rappresentano lo scopo ultimo della disciplina, il πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν è considerato nelle strutture retoriche della λέξις, ed è quasi sempre affiancato alla metafora, quasi fosse una figura pienamente istituzionalizzata alla pari di essa1. Del resto nel quarto libro della Rhetorica ad Herennium vengono illustrate sessantaquattro figure retoriche (exornationes), l’ultima delle quali, denominata demonstratio, consiste proprio nell’azione di cui parla Aristotele: «Demonstratio est, cum ita verbis res exprimitur, ut geri negotium et res ante oculos esse videatur»2.

Fra coloro che, nel Cinquecento, associano la massima oraziana al πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν troviamo Iacopo Mazzoni:

Per questa particularizatione esatta propria de’ Poeti (credo io) scrisse Philostrato nel primo delle imagini, che la Poesia era simile alla pittura. Ut pictura Poesis erit, disse Horatio. E Plutarcho nel libretto dov’egli insegna il modo, col quale si devono ascoltare li Poeti, scrive chiaramente, che la Poesia è una pittura parlante […]. Per tutte queste autorità si può per mio giudicio arditamente confessare, ch’anchora nel racconto la Poesia fusse rassomigliata alla pittura parlante, e però tutti li buoni Poeti si sono sforzati nelle sue narrationi di raccontare le cose con tanta evidenza, ch’elle sieno quasi vedute co gli occhi della fronte3.

Addirittura, nel Rinascimento si arriva a identificare l’ἐνάργεια con l’imitazione stessa, come fanno Lodovico Castelvetro e Francesco Patrizi4, sulla base di una lezione di un passo della Retorica di Aristotele, «ἡ δ’ ἐνάργεια μίμησις» (1412a 10), oggi emendata in «ἡ δ’ ἐνέργεια κίνησις».

La natura eminentemente sensoriale dell’ἐνάργεια affiora, in ambito greco, anche dalle pagine dell’Ars rhetorica dello Pseudo-Dionigi d’Alicarnasso, opera contenuta nell’edizione aldina dei Rhetores Graeci e una parte della quale è tradotta e riportata da Trissino nella sesta divisione. In questo scritto composito, sebbene non si parli direttamente di ἐνάργεια5, vi sono alcune occorrenze

1 Cfr. Arist. Rhet. 1411a 34-b 4: «εἰ μὲν γὰρ εἶπεν ὅτι ἄξιον δακρῦσαι συγκαταθαπτομένης τῆς ἀρετῆς, μεταφορὰ καὶ

πρὸ ὀμμάτων […]. Καὶ ὡς Ἰφικράτης εἶπεν “ἡ γὰρ ὁδός μοι τῶν λόγων διὰ μέσων τῶν Χάρητι πεπραγμένων ἐστίν” μεταφορὰ κατ’ ἀναλογίαν, καὶ τὸ διὰ μέσου πρὸ ὀμμάτων ποιεῖ». («Se l’oratore avesse detto che era giusto piangere essendo stato seppellito con loro il valore, sarebbe stata una metafora e un mettere le cose davanti agli occhi […]. E come disse Ificrate: “La strada dei miei discorsi passa in mezzo alle azioni di Carete” è una metafora per analogia e “in mezzo” mette le cose davanti agli occhi». Trad. Silvia Gastaldi).

2 Rhet. ad Her. IV 68. ‘La demonstratio si ha, quando una cosa viene espressa con le parole in modo tale che l’azione

sembra svolgersi in quel preciso momento e pare che la scena stia davanti ai nostri occhi’.

3 MAZZONI 2017, p. 77. Cfr. PLETT 2012, pp. 95-97. Sulle variazioni del principio oraziano nel tardo Cinquecento si

veda BOLZONI 1987, in part. pp. 109-114.

4 Cfr. CASTELVETRO 1978-79, II, p. 239: «[…] siamo costrettti a dire che in questo luogo egli [scil. Aristotele] non

oscuramente voglia che la dirittura dell’arte poetica consista nel sapere ben rassomigliare, cioè presentare chiaramente agli occhi della mente con parole armonizzate quello che ci è lontano o per distanza di luogo o per distanza di tempo, e farcelo vedere non altramente che se ci fosse dinanzi agli occhi della fronte» (il luogo a cui fa riferimento Castelvetro è il passo della Poetica sull’ἁμαρτία, 1460b 15-16); PATRIZI 1969-71, II, pp. 62-66, in part. p. 62. Patrizi, tuttavia, finisce per negare che l’imitazione sia tutta caratterizzata da ἐνάργεια. Cfr. PLETT 2012, pp. 100 sg.

5 Tuttavia, Francesco Berardi propone di emendare in ἐνάργειαν la lezione ἐνέργειαν tràdita dal manoscritto principale

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dell’aggettivo ἐναργὴς, quasi sempre in stretta relazione con i sensi in generale (αἰσθήσεις) e la vista in particolare (ὄψις)1. Nella stessa edizione ampiamente sfruttata da Trissino un altro spunto dello

stesso tipo è offerto dai Προγυμνάσματα del retore tardoantico Aftonio, opera che apre la silloge aldina. All’inizio del capitolo dedicato all’ἔκφρασις, la descrizione, si legge: «Ἔκφρασίς ἐστι λόγος περιηγηματικὸς ὑπ’ ὄψιν ἄγων ἐναργῶς τὸ δηλούμενον»2.

Cicerone, non diversamente da Aristotele, sottolinea l’efficacia delle metafore che coinvolgono la vista, dovuta al fatto che esse più di ogni altra sono in grado di far vedere agli occhi della mente ciò che non è visibile agli occhi reali:

Omnis translatio quae quidem sumpta ratione est, ad sensus ipsos admovetur, maxime oculorum, qui est sensus acerrimus. Nam et ‘odor’ urbanitatis et ‘mollitudo’ humanitatis et ‘murmur’ maris et ‘dulcitudo’ orationis sunt ducta a ceteris sensibus; illa vero oculorum multo acriora, quae paene ponunt in conspectu animi, quae cernere et videre non possumus3.

Da parte sua, Quintiliano osserva come lo scopo dei traslati sia proprio sub oculos subicere, che equivale al ciceroniano in conspectu animi ponere: «Tralatio permovendis animis plerumque et signandis rebus ac sub oculos subiciendis reperta est»4.

Nella Crestomazia della prosa di Leopardi, il primo brano della sezione Filologia, un estratto dal trattato Della maniera d’ammaestrare la gioventù nelle umane lettere di Girolamo Tagliazucchi, contiene alcune considerazioni sulle qualità della bella scrittura, che può essere considerata tale qualora «metta come sotto gli occhi con efficacia le cose medesime, e più altamente e ordinatamente impressa resti nella mente degli ascoltatori o leggitori, coll’eccitare in essi […] le immagini e le idee

1 Cfr. D. H. Rh. V II 13-14; VII II 9-10.

2 Aphth. Prog. X 36 22-23. ‘L’ἔκφρασις è un discorso descrittivo che porta vividamente sotto gli occhi l’oggetto di

cui si tratta’. Nella retorica di età imperiale l’ἐνάργεια è spesso associata strettamente all’ἔκφρασις (cfr. Francesca Focaroli in DIONIGI D’ALICARNASSO 2010, p. 156). Ma si pensi già alla profonda affinità fra le figure a cui viene dato il nome di descriptio (che dovrebbe coincidere con ἔκφρασις) e demonstratio (corrispondente a ἐνάργεια) nella Rhetorica

ad Herennium (IV 51, IV 68). Cfr. ZANKER 1981, pp. 301 sg. Per una bibliografia sull’ἔκφρασις nella trattatistica retorica antica cfr. BERARDI 2012, pp. 341 sg. n. 4.

3 Cic. De orat. III 160-161. «Ogni metafora, purché usata in modo appropriato, fa appello direttamente ai sensi, e

soprattutto alla vista, che fra i sensi è il più acuto. Le espressioni ‘il profumo’ della gentilezza, ‘la delicatezza’ delle buone maniere, ‘il mormorio’ del mare e ‘la dolcezza’ del parlare sono prese dagli altri sensi; invece le metafore che si riferiscono alla vista sono molto più efficaci, perché quasi pongono davanti agli occhi della mente cose che non possiamo vedere e distinguere» (trad. Mario Martina et al.). Cfr. anche Cic. Part. 20: «Illustris autem oratio est si et verba gravitate delecta ponuntur et translata et superlata et ad nomen adiuncta et duplicata et idem significantia atque ab ipsa actione atque imitatione rerum non abhorrentia. Est enim haec pars orationis quae rem constituat paene ante oculos, is enim maxime sensus attingitur».

4 Quint. Inst. VIII VI 19. «Il traslato è stato inventato con la finalità prevalente di commuovere gli animi, di attirare

l’attenzione sulle cose e di metterle sotto gli occhi» (trad. Stefano Corsi e Cesare Marco Calcante). Cfr. anche VIII III 62, in cui si parla di oculis mentis ostendere a proposito dell’ἐνάργεια, e VIII III 79, 81, in cui lo stesso è detto in relazione alle similitudini.

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delle medesime cose»1. Analoghe considerazioni sull’ἐνάργεια sono sviluppate da Leopardi nello

Zibaldone, in cui peraltro l’evidenza, come è definita, è connessa alla presenza della metafora2. La

parte centrale della stessa sezione della Crestomazia è dedicata perlopiù al problema della composizione del poema epico: tutto sommato, anche considerando la netta preminenza estetica che Leopardi accordava al Cinquecento, secolo aureo della letteratura italiana (nella Crestomazia, 130 brani di 35 autori su circa 300 di 87 autori risalgono al XVI secolo)3, fa specie l’assenza di Trissino dalla raccolta (tanto più che il primo tomo dell’Italia liberata da’ Gotthi figura fra i titoli della biblioteca di casa Leopardi). Il vicentino torna a più riprese sul problema dell’ἐνάργεια, in circostanze diverse e attraverso prospettive molteplici, ma ribadendone sempre la centralità nei processi della composizione letteraria4.

La Poetica di Trissino contiene più di un riferimento a questa accezione di ἐνάργεια: come si è già visto, il capitoletto De la particulare εleziωne de le parole si rifà molto probabilmente a un paragrafo del De compositione verborum di Dionigi5 in cui vengono valorizzate le proprietà icastiche, ostensive (δηλωτικὰ ὀνόματα) delle parole. Tuttavia, Trissino sembra cogliere qui solo il senso generale dell’asserto dionisiano, senza sviluppare il tema della vividezza del linguaggio: i poeti, scrive, devono «accωmωdare le parole a le sentεnzie»6, ovvero scegliere le parole adatte a rappresentare un determinato pensiero7. Siamo qui sul piano dell’efficacia della μίμησις, dell’ut pictura poesis,

piuttosto che su quello dell’ἐνάργεια.

Una formulazione più puntuale del principio del πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν si trova nella quinta divisione, dove Trissino traduce la Poetica di Aristotele. Il passo che si è riportato più sopra è reso da Trissino come segue:

Laonde [scil. il poeta] dee trattare la favola con parole belle et accommodate, e nel constituirla si de’ ponere ogni cosa avanti gli occhi e fare come se egli stesso fosse intervenuto in quelle azioni. Ché così facendo vederà manifestamente tutti e’ costumi, e troverà agevolmente ciò che ad

1 Cfr. LAURO 2012, p. 261. I brani successivi della sezione Filologia, per inciso, entrano nel merito della questione

della lingua (in particolare quelli tratti da Speroni e Caro) e sviluppano l’idea di origine di una lingua sotto il segno della mescolanza, dell’attingere da lingue già formate, idea da ricollegare alla polemica contro il purismo cruscante, al giudizio impietoso su Bembo di Zibaldone 4249 e alla concezione leopardiana di purismo, forestierismo, barbarismo (cfr. LAURO

2012, pp. 263-266). Partendo da presupposti diversi, il pensiero linguistico di Leopardi veniva così ad allinearsi, almeno in parte, a quello trissiniano.

2 Cfr. Leopardi, Zibaldone 111: «Perché la forza e l’evidenza consiste nel destar l’immagine dell’oggetto […]. Le

metafore d’ogni sorta sono adattissime per questa cagione alla bellezza naturale e al colorito del discorso».

3 Cfr. LAURO 2012, p. 257.

4 Una sintetica esposizione del problema dell’ἐνάργεια in Trissino si trova in MUSACCHIO 2003, pp. 338 sg.; 342 sg. 5 D. H. Comp. XVI 1: «Καὶ αὐτοὶ μὲν δὴ κατασκευάζουσιν οἱ ποιηταὶ καὶ λογογράφοι πρὸς χρῆμα ὁρῶντες οἰκεῖα καὶ

δηλωτικὰ τῶν ὑποκειμένων τὰ ὀνόματα» («I poeti e i prosatori elaborano essi stessi le parole appropriate e in grado di far vedere l’oggetto trattato in relazione al momento». Trad. Francesco Donadi).

6 Poetica, p. Vv.

7 Sentenzie equivale a ciò che in Aristotele va sotto il nome di διάνοια (Arist. Poet. 1450a 10). Cfr. MUSACCHIO 2003,

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ognuno si convenga, e non li saranno le cose contrarie e repugnanti nascoste. E ponendosi quanto li sarà possibile avanti gli occhi i gesti e le figure che fanno quelli che sono nelle passioni, si ponerà quasi in esse (Poetica 1562, p. 17r).

Trissino interpreta il πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν come immedesimazione: il poeta deve «fare come se egli stesso fosse intervenuto in quelle azioni», rappresentarsi visivamente i personaggi coinvolti nell’azione, nei loro gesti, nelle loro posizioni, e in questo modo «si ponerà quasi in esse». Queste proposizioni traducono perifrasticamente il verbo συναπεργάζεσθαι, a cui gli interpreti moderni conferiscono generalmente un’accezione diversa, ovvero ‘rifinire’, ‘elaborare’, piuttosto che ‘immedesimarsi’1. Il figurarsi l’azione tanto da generare l’illusione di essere fisicamente presenti in

essa trova un riscontro anche nella definizione quintilianea di ἐνάργεια:

Insequetur ἐνάργεια, quae a Cicerone inlustratio et evidentia nominatur, quae non tam dicere videtur quam ostendere, et adfectus non aliter quam si rebus ipsis intersimus sequentur2.

Trissino assegna esplicitamente l’etichetta di enargia a questo strumento retorico soltanto nella sesta divisione, contestualmente alla sua rassegna delle figure o conversioni della construzione. Oltre a enargia, egli usa anche il termine diatyposis:

Ècci ancora la diatyposis, la quale è il trattare le cose tanto particolarmente che quasi si pongono avanti gli occhi, come è quello di Dante che fa narrando la furia di un vento:

I rami schianta, abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo,

1 Cfr. Diego Lanza in ARISTOTELE 2011, p. 176 n. 1: «Valgimigli e Rostagni intesero synapergazesthai come

‘immedesimarsi’, dando quindi al brano un senso abbastanza diverso, più conforme al riecheggiamento oraziano; ma l’immedesimazione, seppure c’è, appartiene al periodo successivo». Il periodo a cui si riferisce Lanza è il seguente: «πιθανώτατοι γὰρ ἀπὸ τῆς αὐτῆς φύσεως οἱ ἐν τοῖς πάθεσίν εἰσιν, καὶ χειμαίνει ὁ χειμαζόμενος καὶ χαλεπαίνει ὁ ὀργιζόμενος ἀληθινώτατα» (1455a 30-32. «Sono più credibili infatti coloro che per la loro stessa natura si trovano in uno stato emotivo; più realmente agita chi è agitato e muove all’ira chi è adirato». Trad. Diego Lanza). Di immedesimazione parla Quintiliano a proposito dell’oratore: «Summa enim, quanto ego quidem sentio, circa movendos adfectus in hoc posita est, ut moveamur ipsi […]. In iis quae esse veri similia volemus, simus ipsi similes eorum qui vere patiuntur adfectibus» (Quint. Inst. VI II 26-27. «Quanto alla mozione dei sentimenti, l’essenziale, almeno secondo me, sta nel commuoverci noi […]. Quando vorremo assumere atteggiamenti verosimili, dovremo noi stessi nelle emozioni somigliare a quelli che le provano davvero»). Anche qui, l’essenziale per innescare efficacemente l’immedesimazione consiste nel porsi le cose davanti agli occhi: «Quas φαντασίας Graeci vocant (nos sane visiones appellemus), per quas imagines rerum absentium ita repraesentatur animo ut eas cernere oculis ac praesentes habere videamur, has quisquis bene ceperit is erit in adfectibus potentissimus» (VI II 29-30. «Grazie a quelle che i Greci chiamano phantasíai (e noi traduciamo pure con ‘visioni’), ci rappresentiamo nella mente immagini di scene cui non stiamo assistendo, in maniera tale che ci pare di vederle con gli occhi e di averle davanti a noi: ebbene, chiunque ne saprà concepire di plausibili, sarà efficacissimo nel suscitare sentimenti». Trad. Stefano Corsi e Cesare Marco Calcante).

2 Quint. Inst. VI II 32: «Seguirà l’enárgeia (‘chiarezza’), definita da Cicerone viva rappresentazione o evidenza: essa

più che dire sembra mostrare, e le emozioni terranno dietro non diversamente che se fossimo presenti al verificarsi dei fatti stessi» (trad. Stefano Corsi e Cesare Marco Calcante). Cfr. anche VIII III 61-62.

90 E fa fuggir le fiere e li pastori.

Et ancora usa la diatyposis […] in molti altri luochi; perciò che quel poeta fu molto studioso della enargia, che non è altro che lo esplicare particolarmente le cose e quasi ponerle avanti gli occhi; che è la precipua virtù del poeta (Poetica 1562, p. 44r).

Il ‘porre le cose davanti agli occhi’, come si vede, è considerato un effetto del ‘trattare le cose particolarmente’1. Per rintracciare l’origine di questa declinazione dell’ἐνάργεια occorre analizzare

la definizione che di essa fornisce Demetrio nel capitolo ad essa dedicato del Περὶ ἑρμηνείας:

γίνεται δ’ ἡ ἐνάργεια πρῶτα μὲν ἐξ ἀκριβολογίας καὶ τοῦ παραλείπειν μηδὲν μηδ’ ἐκτέμνειν […]· τὸ γὰρ ἐναργὲς ἔχει ἐκ τοῦ πάντα εἰρῆσθαι τὰ συμβαίνοντα, καὶ μὴ παραλελεῖφθαι μηδέν […]. Γίνεται δὲ καὶ ἐκ τοῦ τὰ παρεπόμενα τοῖς πράγμασι λέγειν ἐνάργεια2.

In questo capitolo, «Demetrio non insiste tanto sull’elemento della resa visiva, cioè sulla capacità dell’oratore o dell’autore di mettere sotto gli occhi un fatto, quanto piuttosto sull’esaustività della descrizione e sulla capacità di fissare dei particolari vividi, icastici appunto»3. Lo stesso Trissino

mostra di essere più interessato all’ἀκριβολογία che al πρὸ ὀμμάτων ποιεῖν, come emerge in particolare dal seguente passo della prefazione all’Italia liberata da’ Gotthi, in cui peraltro la fonte è dichiarata apertamente:

E se ben non mi sono potuto approssimare a la eccellenza di così divino poeta [scil. Omero], pur ho tentato di seguitarlo da la lunga […], cercando, a mio potere, esser come lui, copioso e largo; et introducendo quasi in ogni loco persone che parlino, e descrivendo assai particularità di vestimenti, di armature, di palazzi, di castramentazioni e di altre cose; perciò che, come dice Demetrio Falereo, la enargia, che è la efficace rappresentazione, si fa col dire diligentemente ogni particularità de le azioni, e non vi lasciar nulla; e non troncare né diminuire i periodi che si dicono […]. Ancora, per far questa enargia, ho usato e comparazioni, e similitudini, et immagini; le quali cose tutte Omero seppe così divinamente fare, che ad ognuno che lo legge par essere quasi presente a quelle azioni ch’egli descrive4.

1 Cfr. LIEBER 2000, p. 136.

2 Demetr. Eloc. 209 1-5; 217 1-2. «L’icasticità nasce innanzitutto dal dir le cose con precisione e dal non tralasciare

né tagliare alcunché […]. L’icasticità deriva dal fatto che viene riportato tutto quel che accade senza tralasciare nulla […]. L’icasticità nasce anche dal riportare tutto quel che si accompagna a un fatto» (trad. Nicoletta Marini).

3 Nicoletta Marini in DEMETRIO 2007, p. 260. Cfr. anche MORPURGO-TAGLIABUE 1980, p. 101: «Aristotele e i suoi

contemporanei puntavano sulla immediatezza, sulla presenza evidente della rappresentazione; Demetrio, secondo un nuovo gusto, sul dettaglio, sulla minuzia descrittiva».

4 TRISSINO 1729, I, c. a3r. Cfr. QUONDAM 1980, p. 90: «Non soltanto un riassunto delle posizioni espresse nella

Poetica, ma soprattutto un minuzioso inventario di tutti gli ingredienti che costituiscono il discorso dell’Italia, ove in

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La presenza di lunghi elenchi di oggetti è in effetti una peculiarità particolarmente spiccata del poema trissiniano, e di fatto uno dei principali motivi di insuccesso dell’opera: l’accuratezza descrittiva che caratterizza i poemi omerici è di fatto convertita in sterile accumulo, attraverso un’intepretazione distorta del παραλείπειν μηδὲν1. Oltre a Demetrio, anche Quintiliano dedica ampio

spazio alla produzione di ἐνάργεια attraverso l’inserimento di dettagli che stimolino l’immaginazione2.

Dall’estratto appena riportato si vede come per Trissino l’ἐνάργεια sia generata, oltre che dall’ἀκριβολογία, anche dall’uso di figure basate su rapporti di analogia, in particolare comparazioni, similitudini e immagini3, secondo una concezione condivisa che si ritrova già, come si è visto, nella retorica classica e in particolare in Cicerone e Quintiliano.