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L'equilibrio geopolitico internazionale sta cambiando?

Quest'ultimo scenario appena descritto sembra essere proprio il caso dell'OPEC e del recente abbassamento dei prezzi.

La mera difesa fisica delle risorse energetiche, oltre alle possibili minacce e ai rischi che possono scaturire sia dall'interno che dall'esterno, è sostanzialmente giustificabile dal fatto che il petrolio per molti Paesi rappresenta la principale fonte di sostentamento dello stato. Specie in questi ultimi anni i Paesi produttori hanno effettivamente goduto di prezzi esorbitanti per il petrolio, fino al raggiungimento nel 2008 del prezzo record di 145 dollari al barile28. Dall'ultima crisi energetica fino agli inizi del nuovo millennio i prezzi si

mantennero piuttosto bassi e stabili, ma a partire dal 2000 si registrarono forti aumenti e grandi oscillazioni che inizialmente presagirono la possibile vicinanza al tanto temuto “picco del petrolio”29.

Nonostante gli errori attribuibili a Hubbert e le possibili critiche alla sua teoria, anche le più recenti e rinomate previsioni delle compagnie petrolifere stima una fine prossima del petrolio. Il caso più noto è forse quello che riguarda la stima della BP (British Petroleum), che in un recente articolo annunciava che il petrolio finirà nel 2067, tra 52 anni30.

26 «La Cina sta allacciando forti relazioni in Medio Oriente con l'Iran e l'Arabia Saudita, in Africa con Nigeria e Sudan, e nell'Asia Centrale con il Khazakistan». ivi, p. 209.

27 ivi, p. 219.

28 G. E. Valori, op. cit., p. 9.

29 «In effetti, il costo del petrolio è rimasto sostanzialmente costante intorno ai 15-16 dollari al barile dai primi anni ottanta fino a circa il 2000, dandoci quell'illusione di «abbondanza» nella quale ci siamo cullati per tutto quel tempo. Dal 2000 in poi i prezzi hanno cominciato ad aumentare, sia pure con grandi oscillazioni. Vuol dire che siamo vicini, o che siamo arrivati, al temuto «picco»? Non si può dire ancora, ma è un ipotesi da considerare». U. Bardi, La fine del petrolio..., cit., p. 107.

30 E. Erre, La BP annuncia che il petrolio finirà tra 53.3 anni, dobbiamo crederci?, in “blastingnews”, 15 luglio 2014. http://it.blastingnews.com/economia/2014/07/la-bp-annuncia-che-il-petrolio-finira-tra-53-3- anni-dobbiamo-crederci-00111527.html ; C. Renda, Petrolio, riserve solo per 53 anni. Secondo uno

È innegabile però che dal 2000 ad oggi lo scenario geopolitico internazionale sia ovviamente molto cambiato. I continui conflitti internazionali (dall'attacco alle Torri Gemelle alla guerra d'Iraq, dalle continue tensioni tra Israele e Palestina alle primavere arabe, fino alla spinosa questione fra Russia e Ucraina), correlati parallelamente da un prezzo del petrolio in costante aumento, lasciavano ipotizzare una nuova probabile (mini) crisi energetica ma «la seconda parte del 2014 è stata segnata a livello internazionale dal crollo dei prezzi del petrolio. Un calo di oltre il 40% in pochi mesi, che ha costretto molti analisti a rivedere i propri scenari per il futuro»31.

Dal 2014 infatti si è effettivamente assistito ad un drastico calo del prezzo del petrolio, che si è ormai dimezzato rispetto gli standard degli ultimi anni stabilizzandosi in queste ultime fasi tra i 40 e i 50 dollari al barile. Secondo gli esperti questo abbassamento dei prezzi sembra essere la conseguenza di un esubero dell'offerta di idrocarburi: infatti nonostante si sia registrato un aumento della domanda mondiale di petrolio di un milione di barili al giorno, l'offerta nello stesso arco di tempo sarebbe aumentata di 1,6 (stima Energy Information Administration – Eia)32.

Questa situazione potrebbe portare a delle riconvergenze e/o a riallineamenti negli assetti geopolitici energetici mondiali. Ovviamente non è dato sapere per quanto tempo ancora possa perdurare questa repentina caduta dei prezzi, ma è chiaro come alcuni Paesi abbiano risentito maggiormente di questo calo dei profitti provenienti dal petrolio. Quindi chi è il bersaglio di questa strategia? Quali paesi risentono maggiormente della caduta dei prezzi? Innanzitutto bisogna riconoscere che «è sempre più difficile utilizzare il petrolio come un'arma in grado di colpire in modo selettivo alcuni stati consumatori. I paesi produttori possono ancora agire tentando di influenzare il prezzo del greggio, ma anche questo è sempre più difficile da controllare»33.

Nonostante ciò, i paesi OPEC guidati dall'Arabia Saudita sembra stiano riuscendo in questo tentativo di influenzare i prezzi per danneggiare gli altri paesi produttori concorrenti.

studio BP, a consumi costanti nel 2067 le scorte saranno finite, in “Huffington Post”, 14 luglio 2014.

http://www.huffingtonpost.it/2014/07/14/petrolio-riserve-solo-per-53-anni_n_5584100.html

31 M. Verda, Energia e geopolitica. Gli attori e le tendenze del prossimo decennio, Milano, ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2014, Prefazione.

32 ivi, p. 1.

È doveroso sottolineare però che anche se esiste un cartello o un numero ristretto di paesi che controllano la produzione, è solo attraverso la coesione e la condivisione strategica degli obiettivi ciò che favorirebbe la messa in pratica di politiche comuni efficaci, che sia nei confronti dei consumatori o degli altri paesi produttori.

Al contrario, se non si concretizzasse questa condivisione, l'alleanza potrebbe risultare fragile e di difficile gestione in un contesto in cui prevarrebbero gli interessi interni dei singoli Paesi.

Questo scenario sembra essere quello attualmente vigente all'interno dell'OPEC, dove gli interessi dei singoli Paesi sembra stiano appositamente mettendo in difficoltà sia alcuni attori interni all'organizzazione (Iran, Venezuela), sia gli altri produttori esterni (Usa, Russia).

3.3.1 USA

In questi ultimi anni, nel caso degli Stati Uniti e del Nord America in generale, la svolta epocale è arrivata grazie all'enorme espansione e allo sfruttamento del cosiddetto petrolio non convenzionale.

Il successo ottenuto è stato possibile grazie all'utilizzo delle nuove tecniche di estrazione come la fratturazione idraulica e la perforazione orizzontale, le quali hanno permesso agli Stati Uniti un enorme aumento della produzione sostenuto quasi esclusivamente dalle riserve di petrolio non convenzionale34.

In effetti «dal 2005 in poi la copertura della domanda è stata assicurata con l'incremento di combustibili liquidi diversi dal petrolio convenzionale: ad esempio il Light Tight Oil estratto con il fracking negli USA, i biocombustibili e il sincrude derivante dal trattamento delle sabbie bituminose»35.

Bisogna precisare però che l'estrazione del greggio attraverso queste nuove tecniche è ben più costosa rispetto al petrolio convenzionale, ma nonostante lo sfruttamento massiccio del petrolio non convenzionale rimanga una peculiarità esclusiva del Nord America, proprio lo sviluppo del Tight Oil e delle altre varianti appena descritte hanno consentito un invidiabile miglioramento dello status energetico interno e hanno condotto a una considerevole riduzione della dipendenza petrolifera esterna.

34 M. Verda, op. cit., p. 23.

È stato osservato infatti che «in un decennio gli Stati Uniti sono passati dal dipendere per oltre il 63% dall'import a un'odierna “dipendenza” al di sotto del 40%. Su un consumo totale di meno di 19 milioni di barili/giorno, a fine 2014 ne produrranno a casa propria oltre 11 milioni, e degli altri 8 ne importeranno oltre 2,5 dal Canada»36. Si prevede inoltre

che tra il 2018 e il 2020 gli USA potrebbero produrre per qualche anno complessivamente la stessa quantità di petrolio che producevano nel 197037.

Gli effetti positivi dello sfruttamento del non convenzionale hanno già diminuito fortemente la dipendenza statunitense dagli approvvigionamenti internazionali, auspicando addirittura il raggiungimento dell'autosufficienza con l'inizio del prossimo decennio, ma se questi livelli raggiunti venissero davvero confermati nel tempo renderebbero gli Stati Uniti non solo energeticamente indipendenti ma anche dei potenziali esportatori. Nonostante l'effettivo raggiungimento di un tale status sia difficilmente probabile, questo scenario potrebbe destabilizzare gli equilibri energetici internazionali in funzione antirussa, magari riducendo la dipendenza dell'Europa, sovvertendo quindi profondamente anche i piani strategici dell'OPEC ma principalmente dell'Arabia Saudita, fino ad oggi partner privilegiato degli Stati Uniti. Oltre alla mera questione energetica, il vero problema degli Usa sembra essere la confusione strategica in politica estera e la conseguente perdita di strapotere da paese-leader a livello egemonico. A partire dalla fine della Guerra Fredda, l'aspetto forse più evidente fino ad oggi è stata la mancanza di una chiara definizione delle relazioni con l'altro grande egemone globale, cioè la Russia. Le tensioni scoppiate in Ucraina, e la cattiva gestione della situazione a livello internazionale, sono forse solo l'ultimo esempio di una serie di improvvise aperture e successive chiusure tra Stati Uniti e Russia.

Anche il progetto del Grande Medio Oriente a guida statunitense, tanto auspicato dall'ultimo governo Bush, ad oggi registra tristemente la caduta dell'intera regione in un caos di conflitti interni ed internazionali sempre più legati fra loro e sempre più difficili da gestire dall'esterno. Tensioni che hanno fra l'altro inasprito il confronto tra i due grandi antagonisti della regione, cioè Iran e Arabia Saudita, spingendo gli Stati Uniti a una brusca sterzata politico-militare38.

36 M. Verda, op. cit., p. 2.

37 http://www.aspoitalia.it/intro/intro.php?ndiap=19

38 A. Colombo, P. Magri (eds.), In mezzo al guado. Scenari globali e l'Italia, ISPI Rapporto 2015, Novi Ligure, Edizioni Epoké, gennaio 2015, pp. 9-12.

Questo improvviso cambiamento strategico sembra riguardare principalmente la sicurezza energetica, sia della regione che quella futura interna, confermata dal raggiungimento di uno storico accordo sul programma nucleare iraniano che in prospettiva futura potrebbe anche significare un incremento della propria influenza nel vicino Iraq, nel tentativo di assicurarsi diverse opzioni di geopolitica energetica. L'importanza delle riserve accertate e probabili di petrolio, ma soprattutto di gas del secondo produttore di greggio dell'OPEC39,

garantirebbe eventuali necessità future di idrocarburi e, nonostante «l'opposizione dei principali alleati degli Stati Uniti nell'area – Israele e Arabia Saudita soprattutto»40, il

blocco anche temporaneo del programma nucleare iraniano potrebbe rappresentare la base per relazioni future più stabili.

3.3.2 Iran

Anche per quanto riguarda l'Iran la questione energetica detiene una notevole importanza e in particolare la rilevanza sempre maggiore del gas, specie come possibile provvigione energetica futura per l'Europa occidentale, potrebbe influenzare notevolmente gli attuali equilibri di potenza regionali e internazionali.

Come ben sappiamo l'Iran rappresenta uno degli attori chiave dell'area mediorientale, basando il suo potere di influenza sulla presenza sciita nell'intera regione. L'influenza sciita ha sempre tentato di espandere e di incrementare il proprio potere in tutte quelle aree e in quei contesti regionali dove fossero presenti delle radici politiche o sociali: dal vicino Iraq, esercitando spesso pressioni decisive nella formazione dei governi guidati a maggioranza sciita, all'opposto confine in Afghanistan sino ad inserirsi in alcuni Paesi del Golfo Persico come Kuwait e Bahrein, i quali contano un'importante presenza sciita nel contesto sociale interno. Merita una menzione a parte il caso dello Yemen dove la presenza sciita «ha esercitato, e continua a esercitare, un importante influenza, contrapponendosi alle fazioni filo-sunnite che sono sostenute in parte dall'Arabia Saudita e in parte dalla Turchia»41.

39 R. Colella, L'Iraq, il petrolio e il movente dell'Isis, in “Il Fatto Quotidiano”, 03 ottobre 2014.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/03/liraq-il-petrolio-e-il-movente-dellisis/1142771/

40 R. Festa, Nucleare Iran, Obama apre allo zar Putin:”Russia determinante per l'accordo”, in “Il Fatto Quotidiano”, 15 luglio 2015. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/15/nucleare-iran-obama-apre-a- putin-russia-determinante-per-laccordo/1877822/

41 P. Abdolmohammadi, Gas e geopolitica: Iran, un ritorno in grande stile?, in “ISPI”, Analysis no. 282, gennaio 2015, p. 3.

Fonte immagine: P. Abdolmohammadi, Gas e geopolitica: Iran, un ritorno in grande

stile?, in “ISPI”, Analysis no. 282, gennaio 2015, p. 3.

Fino ad oggi la Repubblica Islamica è sempre stata schierata, insieme alla Russia, contro il fronte occidentale, specie per quanto riguarda le sempre crescenti pressioni dell'Occidente sulla spinosa questione nucleare. La Russia infatti ha sempre visto l'Iran come un fondamentale partner strategico sia in chiave anti-occidentale sia in funzione energetica, essendo entrambi i paesi i maggiori detentori delle più grandi riserve di gas naturale al mondo.

L'Iran avrebbe in realtà tutte le potenzialità per diventare un'importante alternativa per le forniture di gas dei paesi europei ma, dato che questo eventuale scenario danneggerebbe seriamente la Russia riducendone il potere e l'influenza politica verso l'Occidente, tra i due Paesi vige un tacito accordo di garanzia di non ostacolarsi negli approvvigionamenti diretti verso l'Europa42.

Il positivo risultato raggiunto con l'accordo sul nucleare potrebbe dar vita però ad un nuovo equilibrio, che si potrebbe realizzare nel caso in cui l'Iran decidesse di virare le sue strategie di politica estera favorevolmente verso il fronte occidentale.

Un'eventuale distensione dei rapporti fra Stati Uniti e Iran, al momento immaginabile anche se solo lontanamente, potrebbe favorire e quindi accrescere il ruolo di attore politico di quest'ultimo all'interno dello scacchiere regionale e internazionale, ruolo fino ad oggi sminuito proprio per l'importante presenza degli alleati tipici degli Stati Uniti come Arabia Saudita, Turchia e Pakistan. Le conseguenze di questo scenario però potrebbero portare a un inasprimento delle già difficili relazioni proprio con queste potenze regionali vicine, oltre al rischio di suscitare delle non favorevoli reazioni da parte del gigante russo, mettendo a repentaglio anche i rapporti tra gli Stati Uniti e gli alleati del fronte occidentale presenti in tutta l'area43.

Questo ipotetico e improvviso cambiamento di rotta sembra poco realizzabile, almeno nel breve periodo, ma per il momento l'Iran può godere di questa situazione intermedia fra l'orbita di Mosca e la riapertura verso l'Occidente, anche se presto o tardi dovrà probabilmente scegliere da che parte stare. L'ago della bilancia potrebbe essere ancora una volta rappresentato dalla sempre più importante variabile della questione energetica, fattore che nei prossimi anni potrebbe influenzare, sia in politica interna che in politica estera, gli equilibri geopolitici dell'Iran.

3.3.3 Russia

La Russia da sempre ha rappresentato «un elemento di particolare dinamismo per quanto riguarda la geopolitica degli approvvigionamenti»44.

Come è facile immaginare, anche la Russia rientra fra quei paesi produttori che maggiormente affidano sulla rendita energetica una significativa parte delle entrate del proprio budget statale. Bisogna tenere presente infatti che «la Russia ha quasi il 17% delle riserve mondiali “proved” di gas naturale. Produce grosso modo 600 miliardi di metri cubi/anno, e nel 2013 ne ha esportati in Europa oltre 160 miliardi. Di fatto, l'Europa è stata sino a oggi l'unico cliente del gas russo»45.

43 ivi, pp. 9-13.

44 M. Verda, op. cit., Prefazione. 45 ivi, p. 4.

Da questi dati emergono le difficoltà di come la Russia, nonostante più della metà dei ricavi dipenda dalle entrate per l'esportazione dei combustibili fossili, non riesca a sfruttare a pienamente i suoi enormi possedimenti di idrocarburi, caso fra l'altro simile nell'alleato Venezuela. Ostacoli di ripresa aggravati fra l'altro da due cause principali.

La prima riguarda la spinosa questione Crimea e, «in particolare, la collocazione dell'Ucraina tra le sfere d'influenza euro-americana e di quella russa»46, situazione che ha

poi portato alle decisioni proprio di Stati Uniti e Unione Europea di imporre delle sanzioni economiche bloccando anche «parecchi progetti per lo sfruttamento di gas e petrolio»47. La

seconda causa riguarda proprio il petrolio e il drastico calo dei prezzi che ha messo in seria difficoltà economica il paese. Malgrado il ritardo tecnologico, la Federazione russa tenta di sopperire a un tale calo delle rendite attraverso l'incontenibile gas, del quale ne è fra i più grandi produttori al mondo, ma alla già controversa situazione vi si aggiunge il caso Iran, per certi versi simile alla questione Ucraina e anch'esso sospeso fra la tradizionale area di influenza russa o un'eventuale nuova apertura occidentale.

Nonostante il raggiungimento di uno storico accordo sul nucleare iraniano sembrava avesse potuto disciogliere le tensioni latenti tra i due grandi leader mondiali, proprio le questioni legate all'Ucraina e all'Iran, e alle quali si può aggiungere la delicata situazione attuale in Siria, sembrano essere i teatri di uno scontro48 egemonico Usa-Russia in realtà

mai sopito.

3.3.4 Venezuela

Come già accennato precedentemente, i giacimenti di petrolio accertati del Venezuela sono tra i più estesi e ricchi del mondo, tanto da superare in quantità perfino l'Arabia Saudita. Il problema però è che si tratta di «una riserva gigantesca fino ad oggi poco sfruttata, considerato che da essa deriva solo il 3,2% della produzione mondiale di greggio contro il 13,2 dell'Arabia.

46 A. Colombo, P. Magri (eds.), op. cit., p. 19.

47 S. Vergine, La Russia tra crollo del petrolio e sanzioni. Così lo zar Vladimir Putin ora rischio il default, in “L'Espresso”, 18 dicembre 2014. http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2014/12/18/news/e-l-ora- del-default-per-putin-1.192306

48 G. Rosini, Siria, “Guerra Fredda” tra Putin e Obama all'Onu. Sullo sfondo la crisi Ucraina, in “Il Fatto Quotidiano”, 28 settembre 2015. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/28/siria-la-guerra-fredda-tra- putin-e-obama-allonu-e-sullo-sfondo-la-crisi-ucraina/2077211/

Il dato è quasi incomprensibile se si considera che il Venezuela ha un economia dipendente dal petrolio per circa il 95%»49.

I piani faraonici sull'estrazione e la lavorazione del greggio erano stati avviati dall'ormai defunto presidente Chavéz attraverso il programma “Magna Reserva”, volto a constatare la presenza di tutte le riserve all'interno del territorio, ma nonostante il Venezuela scoprì presto di “galleggiare” su di un mare di petrolio le politiche energetiche di quest'ultimo decennio si sono spesso mostrate restie nei confronti delle compagnie petrolifere straniere interessate. Un ulteriore conferma delle difficoltà del paese nello sfruttamento delle sue enormi ricchezze arriva dalla constatazione degli scarsi investimenti legati alle tecnologie di estrazione petrolifera, così «il Venezuela, maggior serbatoio mondiale di oro nero, alleato dell'Iran (rivale dei sauditi), ha visto tutti i nodi venire al pettine in seguito in conseguenza della politica dei prezzi al ribasso avviata dall'Arabia Saudita in sede OPEC per combattere la sovrapproduzione di oro nero»50.

L'industria petrolifera avrebbe dovuto rappresentare un'ottima base su cui poter poggiare lo sviluppo della nazione, ma quest'insieme di fattori la proiettano in una ancor più profonda crisi. Il paradosso poi, difficilmente risolvibile, riguardo i cattivi livelli di produzione è rappresentato dal fatto che il petrolio venezuelano sia fra quelli considerati “pesanti”, che necessitano quindi di un greggio più “leggero” con cui miscelarlo, greggio che il Venezuela non possiede e che è costretto ad importare dalla Russia51.

Con la situazione attuale sicuramente per nulla positiva per il Venezuela, sempre più a rischio di collasso, il presidente Maduro ha lanciato l'accusa d'ipotesi di un complotto nei confronti della Russia e nel quale mirino parrebbe esserci anche il Venezuela52, ma mentre

la prima potrebbe in qualche modo fronteggiare le difficoltà a far quadrare i conti, la seconda si ritroverebbe in guai molto più seri.

49 A. Salati, Petrolio, Chavéz e le multinazionali nel Venezuela, in “Dailystorm”, 11 marzo 2013.

http://dailystorm.it/2013/03/11/petrolkio-chavez-le-multinazionali-in-venezuela/

50 L. Troiano, Venezuela: la 'rivoluzione' è finita, in “lindro.it”, 25 agosto 2015.

http://www.lindro.it/venezuela-la-rivoluzione-e-finita/

51 Cfr. L. Troiano, Venezuela sull'orlo del baratro, in “Geopoliticamente.wordpress.com”, 06 luglio 2015.

https://geopoliticamente.wordpress.com/2015/07/06/venezuela-sullorlo-del-baratro/

52 G. Dyer, La guerra del petrolio, in “Internazionale”, 03 gennaio 2015.