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Prospettive energetiche attuali e future

Come abbiamo visto, l'importanza della concentrazione strategica delle risorse gioca un ruolo fondamentale nello spostare gli equilibri geopolitici energetici internazionali.

Oltre alla buona riuscita dell'accordo sul nucleare iraniano, che ha messo almeno per il momento da parte i rancori e le tensioni tra Stati Uniti e Russia ma non si sa ancora a quali cambiamenti futuri potrà portare, le preoccupazioni energetiche attuali riguardano principalmente la «scelta saudita di non intervenire per frenare la caduta dei prezzi del greggio»53.

Da un lato c'è la maggiore indipendenza energetica da parte degli Stati Uniti, che grazie all'esorbitante sviluppo del non convenzionale ha permesso in realtà a tutto il Nord America di cambiare il suo status energetico. Dall'altro lato la Russia che, oltre alla vicinanza politica con il Venezuela (OPEC) e le sue vastissime riserve, riceverebbe un duro colpo sia per lo sfruttamento dei costosi giacimenti artici sia per lo sviluppo energetico in ottica futura delle enormi riserve di gas, a vantaggio quindi dei vecchi fornitori tradizionali.

A seconda delle fonti infatti, questa sorta di guerra economica a distanza, finalizzata a scopi geopolitici, può essere analizzata secondo due punti di vista principali: da un lato si potrebbe pensare a un complotto arabo-americano per destabilizzare la Russia, sullo sfondo delle tensioni in Ucraina, la controversa situazione in Siria, e le tuttora poco chiare intenzioni sul nucleare iraniano; al contrario potrebbe essere intesa come una manovra russo-saudita per mettere fuori gioco le altrettanto costose tecniche per l'estrazione del non convenzionale americano.

Il loro immobilismo in realtà sembra stare a significare che la situazione attuale non li stia danneggiando o preoccupando particolarmente, ed è effettivamente difficile anche solo immaginare, specie in tema di petrolio, che i sauditi e i Paesi dell'OPEC in generale modifichino le loro politiche per accondiscendere gli altri e non per un proprio tornaconto54.

53 M. Verda, op. cit., Prefazione. 54 ivi, pp. 5-8.

Nonostante ciò, considerati anche i primi malumori interni all'organizzazione stessa, è poco probabile che una tale strategia possa reggere a lungo55.

D'altronde bisogna ammettere che l'Arabia Saudita, grazie alle sue vastissime riserve, può estrarre enormi quantità di petrolio a costi molto inferiori rispetto agli altri grandi produttori e, molto probabilmente, è il Paese con le maggiori risorse finanziarie per affrontare un momentaneo calo della rendita petrolifera. La conferma di tutto ciò è arrivata anche dal potente ministro del petrolio saudita Ali Al Naimi, il quale ha dichiarato che per Riyadh «è irrilevante se il petrolio andrà a 20, 40, 50 o 60 dollari al barile perché qualunque sia il prezzo tagliare la produzione non è nell'interesse dei produttori OPEC»56.

In parole povere, l'Arabia Saudita continuerà sui suoi livelli di estrazione anche fino a 20 dollari al barile, «ma a quel punto ci sarebbe anche un effetto a catena devastante per una serie di altri Paesi. In primis per la Russia e il Venezuela, che già ora, con il greggio sui 50 dollari, sono sull'orlo del baratro»57.

Ovviamente è stata respinta e/o negata qualsiasi tesi di complotto, ma l'arresto con l'accusa di corruzione del presidente dell'OPEC peggiora la già cattiva immagine che da sempre ruota attorno all'organizzazione, e inoltre ciò avviene proprio in concomitanza della tanto criticata strategia OPEC. Per di più questa linea politica a trazione saudita, appoggiata dagli storici alleati (Emirati Arabi Uniti, Qatar e Kuwait), ha registrato anche malumori da parte di alcuni importanti paesi interni come l'Iran e il Venezuela. Proprio il presidente venezuelano Maduro si è mostrato fortemente contrario alla strada intrapresa dall'organizzazione, e «ha minacciato di rivolgersi ai Paesi non membri, come la Russia, per tracciare nuove alleanze energetiche»58.

55 «Anche perché la storia dell'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) sembra insegnare che il cartello funziona (paradossalmente?) solo quando la domanda è in esubero; e che invece quando è in eccesso l'offerta di ciascun produttore tende ad andarsene per conto proprio. La decisione dei sauditi di non tagliare la produzione, se confermata nel tempo, sta a indicare il loro rifiuto a farsi nuovamente carico del ruolo di swing producer, e anche quindi di garante dei livelli di produzione degli altri paesi Opec. Negli anni Novanta, swing dopo swing, l'Arabia Saudita si era ridotta a produrre meno di quattro milioni di barili/giorno, mentre gli altri producevano a tutta. Comprensibile che questa volta non voglia ripassarci». ivi, p. 6.

56 S. Bellomo, «Arabia Saudita pronta ad estrarre ancora più petrolio», in “Il Sole 24 ore”, 23 dicembre 2014. http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-12-22/arabia-saudita-pronta-ad-estrarre- ancora-piu-petrolio-213433.shtml?uuid=ABnLAZUC

57 E. Veronelli, Petrolio, la strategia saudita sui prezzi fa crollare la produzione degli USA, in “Il Fatto Quotidiano”, 22 febbraio 2015. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/22/petrolio-strategia-saudita-sui- prezzi-fa-crollare-produzione-degli-usa/1428345/

58 G. Moccia, L'arresto di Lady Opec dà una spallata al cartello del petrolio, in “Huffington Post”, 08 ottobre 2015. http://www.huffingtonpost.it/gabriele-moccia/larresto-di-lady-opec-da-una-spallata-al- cartello-del-petrolio_b_8262140.html

Anche la Russia però, che rischia il tracollo, avrebbe bisogno che il Brent non scendesse sotto gli 80-100 dollari59, ma l'attuale stabilizzazione dei prezzi intorno ai 50 dollari circa

non permette al Paese di risollevarsi attraverso i proventi del petrolio.

Oltre che una mera concorrenza energetica, l'attuale politica dei prezzi saudita mira forse a obiettivi geopolitici più specifici.

Un secondo fine possibile potrebbe essere costituito da una sorta di ritorsione nei confronti degli Stati Uniti per aver trattato con l'Iran sciita senza essersi prima confrontati con l'Arabia Saudita, o a un tentativo di danneggiare la Russia onde evitare che le sue relazioni con Iran e Siria possano favorire un ulteriore espansione sciita nella regione, e infine ad accrescere la sua autorità in modo da poter controllare maggiormente il cartello mettendo in difficoltà i paesi interni in opposizione60.

Comunque sia, come è stato osservato al principio di questo capitolo, prima o poi il petrolio e le sue riserve saranno destinati ad esaurirsi del tutto. Logicamente non è la prima volta che nel corso della storia si sia osservato o sia stato necessario un cambiamento della risorsa energetica primaria ma, nonostante la fine di tutti i combustibili fossili sia prevista in un arco temporale molto distante dal nostro, dovremmo comunque chiederci quale sarà la prossima fonte energetica primaria. Nello specifico si possono verificare essenzialmente due tipi di cambiamento.

Il principale cambiamento può essere definito di tipo tecnologico, cioè quando è necessario sostituire il tipo di risorsa in esaurimento con una nuova fonte energetica primaria, ad esempio come nel caso del passaggio dal legno al carbone o dal carbone al petrolio.

Il secondo tipo di cambiamento invece riguarda l'aspetto geografico, cioè quando il baricentro della fornitura energetica mondiale viene spostato in un'altra area geografica dove la nuova risorsa sia abbondante61. Un caso simile si verificò nel 1971, quando

l'esaurimento delle riserve petrolifere interne costrinse gli Stati Uniti, così come il resto del mondo, a spostare le loro attenzioni e le loro dipendenze energetiche verso il Medio Oriente.

59 S. Vergine, La Russia tra crollo del petrolio e sanzioni. Così lo zar Vladimir Putin ora rischio il default, in “L'Espresso”, 18 dicembre 2014. http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2014/12/18/news/e-l-ora- del-default-per-putin-1.192306

60 C. Pelanda, Petrolio, il gioco al ribasso per far fuori l'Isis, in “Libero”, 30 novembre 2014.

http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11727952/Petrolio--il-gioco-al-ribasso.html

61 Cfr. U. Bardi, Introduzione alla teoria di Hubbert, in “Aspo Italia”, 18 marzo 2005.

Ad oggi l'impressione è che il petrolio, in un futuro prossimo, possa cedere il passo al gas, cambiamento che pare stia già prendendo forma in favore appunto del combustibile fossile meno inquinante, e la Russia è indubbiamente il paese che ne possiede le più grandi quantità al mondo.

In questo contesto, proprio la Russia pare soddisfare pienamente entrambe le caratteristiche necessarie per il cambio. Che sia il nuovo centro energetico del futuro?

CAPITOLO 4

Scenari energetici futuri 4.1 Le alternative energetiche future

Come è stato già detto più volte il petrolio esistente sul pianeta Terra è destinato ad esaurirsi totalmente. Lo stesso discorso vale per tutta la famiglia degli idrocarburi fossili, della quale il petrolio fa parte, anche se la fine complessiva dei combustibili è prevista per un tempo molto distante dal nostro.

L'utilizzo e la fine dei combustibili fossili mette in risalto due temi fondamentali: l'inquinamento e le possibili fonti energetiche del futuro alternative agli idrocarburi.

Il petrolio e gli altri idrocarburi fossili sono sostanze che non fanno parte del naturale ciclo biologico della Terra. Difatti nonostante siano create e formate dal nostro pianeta, gli idrocarburi esistono quasi esclusivamente sottoterra e a grandi profondità, ma estrarre queste risorse e sparpagliarle nell'ambiente ha creato dei grossi problemi dato che l'ecosistema non è in grado di metabolizzarli e/o smaltirli allo stesso ritmo frenetico con il quale le consumiamo. Il petrolio estratto e i prodotti della sua combustione verranno a lungo termine metabolizzati dal sistema biologico terrestre, ma affinché ciò avvenga in forma naturale saranno necessari milioni di anni (più o meno lo stesso tempo necessario per la creazione e la formazione di nuovo petrolio).

Proprio quest'uso irrefrenabile ha causato e continua a causare dei grossi danni, sia per gli esseri umani e sia per l'ecosistema in generale. Per i primi, le conseguenze più gravi sono rappresentate dalle nocive sostanze rilasciate dalla combustione, come il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e di zolfo o il piombo1, per fortuna sparito dalle benzine di

oggi.

1 «La polemica fra benzina “verde” e “rossa” negli anni novanta è stato uno dei più squallidi e disinformati dibattiti della storia dell'umanità. Non ci dovrebbe essere bisogno di dire che, piombo o non piombo, il potere calorifico di tutte le benzine in commercio è sostanzialmente lo stesso. Questo vuol dire che se un motore è nato per viaggiare a benzina senza piombo (o «verde», anche questo un discreto ossimoro) alimentandolo con benzina rossa non si guadagna niente, si sprecano solo soldi per il solo gusto di sparpagliare in giro un veleno. Solo certi vecchi motori, progettati per la benzina al piombo, non vanno bene con la benzina verde. Tant'è, comunque, il fatto che con la benzina al piombo la macchina «va più forte» aveva assunto un valore quasi di fede religiosa negli anni novanta, e questo ha causato polemiche a non finire, specialmente in Italia». U. Bardi, La fine del petrolio..., cit. p., 48.

Per l'ecosistema invece la questione più problematica riguarda l'effetto serra e il surriscaldamento planetario. L'utilizzo sfrenato dei combustibili fossili, oltre a gravare sul già tanto discusso tema della scarsità delle risorse, potrebbe porci di fronte a seri problemi dovuti appunto al rilascio di sostanze nocive per l'uomo che causano un'eccessiva concentrazione di CO2 nell'atmosfera, provocando negli anni un aumento delle temperature

che creerebbe dei danni forse irrisolvibili per le generazioni future.

A tal proposito infatti, per cercare di porre quantomeno un freno onde evitare il verificarsi di catastrofi, nel 1997 venne adottato un accordo internazionale per contrastare il riscaldamento climatico con l'obiettivo di ridurre le emissioni nocive di gas, il protocollo di Kyoto. «Esso rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro il riscaldamento planetario perché contiene obiettivi vincolanti e quantificati di limitazione e riduzione dei gas ad effetto serra»2. I primi impegni intrapresi dai paesi industrializzati prevedevano

l'obiettivo di ridurre almeno del 5% le emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990. Successivamente il protocollo venne rinnovato ed esteso ad un periodo che va dal 2012 al 2020. L'Italia, purtroppo, non ha raggiunto gli obiettivi iniziali del Protocollo di Kyoto3, dove era previsto entro il 2012 una riduzione delle emissioni del 6,5% rispetto

all'anno base 1990. «Peggio dell'Italia, comunque, hanno fatto gli Stati Uniti che, con il governo Bush nel 2000, si sono ritirati unilateralmente dal protocollo»4.

Altri due casi particolari sono quelli di Cina e India i quali, essendo paesi emergenti, difficilmente riescono a conciliare riduzione delle emissioni e crescita.

Tralasciando la reale efficacia e applicazione del protocollo da parte dei Paesi industrializzati, il solo fatto che sia stato possibile arrivare a un accordo internazionale su una questione tanto complessa dà un'idea di quanto il problema del riscaldamento globale sia preso seriamente.

Nonostante la mancata adesione di alcuni stati al protocollo di Kyoto, gli scarsi risultati ottenuti da alcuni paesi firmatari e nonostante il fatto che i paesi in via di sviluppo non siano forzati a ridurre le emissioni, tuttavia un certo ottimismo riguardo al riscaldamento planetario è lecito. In primo luogo, sia per motivi economici che per motivi legislativi, il sistema industriale e dei trasporti occidentale si sta «decarburizzando» a buon ritmo. La sostituzione del petrolio con gas naturale sta procedendo speditamente.

2 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:l28060

3 http://www.greenews.info/politiche/protocollo-di-kyoto-litalia-manca-di-poco-lobiettivo-2008-12- 20140417/

Se il processo continua al ritmo attuale, il risultato finale sarà quell'«economia all'idrogeno» che molti hanno preconizzato come lo stato finale del nostro sistema energetico. La combustione dell'idrogeno a bassa temperatura nelle pile a combustibile, come è noto, non produce gas serra, per cui il problema a quel punto potrà dirsi completamente risolto. In ogni caso, prima che si arrivi a un'economia completamente basata sull'idrogeno dovranno passare diversi decenni5.

Se non si vorrà assistere ad un'altra “Tragedy of the Commons”, che in sostanza rappresenta «il contrasto fra il guadagno economico individuale e danno all'ambiente»6,

dovremmo preoccuparci di quali risorse energetiche potrebbero sostituire in futuro gli idrocarburi come fonte primaria.

Comunque vada, l'era dei combustibili fossili è destinata ad esaurirsi in tempi brevissimi in confronto alla durata della civiltà umana. Potremo rimpiazzare - in parte - il petrolio con altri combustibili fossili. Ma il picco del gas naturale si verificherà solo pochi anni dopo quello del petrolio. Il picco del carbone potrebbe essere più lontano, alcuni decenni, ma il carbone è anche il combustibile che genera più gas serra di tutti e il suo uso generalizzato potrebbe causare gravi danni al pianeta. Per cui, si pone la necessità di trovare sorgenti di energia che non siano soggette a esaurimento7.

Senza addentrarci in conclusioni catastrofiche, né al contempo qualunquiste, bisogna ammettere che il petrolio ha svolto una parte importante negli approvvigionamenti mondiali. Il petrolio oggi rappresenta circa il 33% dell'energia primaria generata e il 90% dell'energia utilizzata per i trasporti, nel quale il 65% viene usato per i carburanti, mentre «del restante si fa energia elettrica, riscaldamento degli edifici, asfalti, materie plastiche, fertilizzanti, prodotti chimici, medicinali, gomma, lubrificanti, vernici, solventi, cosmetici»8, «dai tessuti artificiali ai vasetti dello yogurt, la plastica che utilizziamo tutti i

giorni ha avuto origine, sostanzialmente, da un pozzo di petrolio9.

5 ivi, p. 77.

6 «I pascoli inglesi dell'Ottocento, tradizionalmente, erano terreno comune dove ogni pastore aveva diritto di portare le sue pecore. Ovviamente, ogni pecora portava un certo guadagno economico e ogni pastore tendeva a portare al pascolo quante più pecore possibile. Il guadagno economico di una pecora in più per ogni individuo, però, produceva un danno ai pascoli dove, oltre certi limiti, non riusciva a ricrescere l'erba brucata. Questo danno era un tipico costo esterno che si riversava su tutti i pastori. Nella pratica, il meccanismo perverso dei commons portava ogni individuo a massimizzare i propri profitti facendo il massimo danno possibile all'ambiente. A lungo andare i pascoli si sono desertificati, portando appunto alla “tragedia dei commons”». ivi, p. 79.

7 http://www.aspoitalia.it/intro/intro.php?ndiap=22

8 http://www.aspoitalia.it/intro/intro.php?ndiap=2

Quindi senza petrolio avremmo delle enormi difficoltà a continuare a vivere sul pianeta nel modo e ai ritmi a cui siamo abituati a vederlo funzionare, e urge quindi la necessità di trovare e capire quali risorse potrebbero sostituire al 100% i combustibili fossili nel panorama energetico mondiale. Le alternative più valide e promettenti sembrano essere l'energia nucleare e l'energia solare.

Sin dagli anni Cinquanta il mondo cominciò a sentir parlare dell'inizio dell'”era nucleare”. L'entusiasmo per il nucleare era giustificato dalla possibilità di poter produrre energia abbondante, economica e più “pulita”, dato che non emette CO2 nell'atmosfera, ma già a

partire dagli anni Ottanta si verificò un arresto nello sviluppo dell'energia nucleare a causa di una serie di problemi logistici, tecnologici e politici. Oltre ai possibili danni causati dalla radioattività, dallo smaltimento delle scorie e dal rischio di proliferazione, il primo grande ostacolo è presentato dalla quantità effettiva di materia prima ottenibile dato che anche l'uranio, come nel caso di combustibili fossili, non è una una risorsa rinnovabile ed è destinata anch'essa quindi ad esaurirsi. Per produrre la stessa quantità di energia che utilizziamo oggi a livello globale è stato calcolato approssimativamente che sarebbe necessario costruire qualcosa come 9.000 reattori nucleari nuovi10, e «attualmente le risorse

accertate di uranio ammontano a circa 5,5 milioni di tonnellate. Quanto basta a soddisfare per circa 100 anni i consumi delle 436 centrali elettronucleari attualmente in servizio nel mondo»11, ma nell'ipotesi dei 9.000 reattori necessari per alimentare l'intero globo

ovviamente la durata delle riserve si ridurrebbe drasticamente.

Una soluzione parrebbe essere quella che porta alla sostituzione dell'uranio-235, quello che viene attualmente utilizzato come combustibile e che rappresenta meno dell'1% dell'uranio naturale, con l'uranio-238, che rappresenta circa il 99% dell'uranio naturale e che sarà utilizzabile dai futuri cosiddetti reattori di IV generazione12 (anche se ci vorrà almeno un

ventennio). L'altra grande problematica relativa al nucleare riguarda invece la sicurezza energetica, sia sul piano della difesa delle centrali da possibili attacchi militari e/o terroristici, sia sulla tutela per garantire il funzionamento senza incidenti degli impianti. Infatti bisogna considerare che «se con 500 impianti abbiamo avuto due soli incidenti gravi in trent'anni (Chernobil e Three Mile Island) è impensabile che con 10.000 impianti si possano accettare 40 incidenti in trent'anni, più di uno all'anno»13.

10 ivi, pp. 191-206.

11 http://www.nuclearnews.it/article.php?id=19

12 Ibidem

Sembra evidente dunque come vi sia un gran numero di problemi irrisolti per quanto riguarda lo sviluppo dell'energia nucleare nel caso di un'eventuale completa sostituzione con i combustibili fossili a livello planetario.

L'alternativa energetica è rappresentata dalle fonti rinnovabili, cioè non soggette ad esaurimento, e in particolare dall'energia solare. Nonostante l'energia eolica, quella idroelettrica, e incluso la biomassa, non sarebbero in grado di generare energia a sufficienza, l'energia solare sembra invece poter sostituire da sola quella generata dagli idrocarburi. Infatti, nonostante vi sia una grossa differenza fra l'energia del sole che arriva sulla Terra e quella che arriva sulla superficie, comunque sia «basterebbe sfruttare una minima parte di questa immensa quantità di energia (oltre 10.000 volte più grande di quella generata attualmente dai combustibili fossili) per soddisfare largamente le necessità umane per i secoli a venire»14. Con la tecnologia attuale, attraverso gli impianti solari è già

possibile sfruttare una buona dose di energia solare in modo abbastanza efficiente utilizzando solo una minima parte della superficie terrestre.

Nell'ipotesi che stiamo considerando, la frazione di area necessaria per impianti solari sarebbe di solo circa lo 0,2% dell'area delle terre emerse. Il solo deserto del Sahara copre una superficie di 9,6 x 1016 kmq (circa 10

milioni di chilometri quadrati) e ne basterebbe circa il 3% per fornire l'area di cui stiamo parlando, ovvero fornire energia per tutto il mondo15.

Il risultato quindi sarebbe che l'energia solare potrebbe rimpiazzare completamente i combustibili fossili sfruttando meno dell'1% dell'area planetaria (o comunque una piccola percentuale del solo deserto del Sahara). L'idea di sfruttare gli impianti solari nei deserti