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La seconda crisi energetica

Quando la situazione sembrava cominciare a stabilizzarsi, in meno di un decennio si verificò una seconda crisi energetica. Sempre in Medio Oriente, più precisamente in Iran, nel 1979 era in corso una rivoluzione religiosa interna che aveva portato al rovesciamento del governo per l'instaurazione di una teocrazia sciita. Anche il vicino Iraq dell'allora presidente Saddam Hussein attraversava un'epoca instabile e di fragile equilibrio tra la minoranza sunnita della popolazione, da cui proveniva lo stesso Saddam, e la maggioranza sciita. Per paura della pericolosa rivoluzione e di veder rovesciato anche il suo regno, Saddam attaccò preventivamente l'Iran tentando di destabilizzare il nuovo regime, cercando così di rendere più sicuri i suoi confini con la speranza di trasformare l'Iraq nella potenza egemone (che egli tanto desiderava) del Medio Oriente.

Ma già nei primi mesi del 1979, a causa della rivolta, tutto il paese soffriva dei turbamenti, incluso il settore petrolifero:

dopo la caduta dello Scià, la produzione iraniana crollò da più di cinque milioni di barili al giorno nel 1978 a poco più di uno nel 1980, facendo sparire di botto il 6% della produzione mondiale. Le conseguenze del crollo iraniano furono tali che la produzione OPEC diminuì in valore assoluto, da oltre 31 milioni di barili al giorno a poco più di 27. Il costo del petrolio salì a oltre 30 dollari al barile dell'epoca, corrispondenti a circa 70 dollari al barile attuali. Questo causò il crollo dei consumi24.

22 ivi, pp. 12-15. 23 ivi, p. 15.

In base agli avvenimenti storici, in questa occasione l'OPEC non ha avuto niente a che vedere con questa seconda crisi energetica.

Mentre la prima crisi, nel 1973, viene spesso correlata all'embargo petrolifero come conseguenza della guerra dello Yom Kippur, in realtà abbiamo visto che non fu così. Potremmo dire che l'embargo contribuì alla prima crisi, ma questa si verificò in realtà in corrispondenza di un periodo di crescita nei consumi energetici, sia a livello globale ma più specificatamente negli Stati Uniti (che negli anni Settanta avevano già raggiunto il picco della produzione interna), andando ad incrementare la loro dipendenza dal petrolio mediorientale. Nonostante l'aumento della produzione, tuttavia la crescita mondiale dei consumi era talmente rapida che per i produttori non fu possibile colmare il gap. Quindi guerra o non guerra, embargo o no, la crisi era inevitabile. Ciò portò a un aumento dei prezzi che causò una drastica riduzione dei consumi, anche se la caduta nella produzione fu nel complesso limitata e di breve durata e dal 1975 il mondo sembrava riprendere i ritmi antecedenti alla crisi.

La seconda crisi del 1979 invece fu molto più pesante della prima. In questo caso non ci fu nessun embargo politico, ma anche qui si verificò «l'impossibilità da parte dei produttori di soddisfare l'eccesso di domanda»25, venutasi a creare però per l'improvvisa (e quasi totale)

assenza della produzione iraniana.

In base agli avvenimenti storici quindi, in questa seconda crisi energetica l'OPEC sembra non aver avuto nessuna colpa, anzi ne ha forse subito le conseguenze (dato che diminuì in valore assoluto la loro produzione). Ma, cos'è e come agisce realmente l'OPEC? «Poche organizzazioni sono state malignate e vilipese come l'OPEC ai nostri tempi. È stata considerata una specie di “mafia del petrolio” che sfrutta ignobilmente il potere di mercato dei produttori per strozzare i consumatori e costringerli a pagare prezzi esosi»26.

Per questo motivo l'OPEC non è stata praticamente mai accettata positivamente, ma anzi è stata spesso vista come politicamente orientata in senso ostile all'Occidente proprio a partire dal ruolo che ebbe nell'embargo petrolifero della prima crisi energetica del 1973, evento a partire dal quale gli è stata affibbiata per sempre una cattiva fama (e forse la si è data anche nei confronti degli arabi e a tutto ciò che riguarda i paesi arabi, da sempre considerati come riluttanti nei confronti dell'Occidente, degli usi e costumi e delle regole del “mondo” occidentale in generale).

25 Ibidem 26 ivi, p. 141.

«In realtà l'OPEC non è un monopolio e nemmeno una mafia. Non è neanche un'associazione politica e non ha niente a che vedere con l'integralismo islamico, il pan- arabismo e altri concetti abusati e mal definiti. Potrebbe, semmai, essere definita un “cartello”, ovvero un'associazione di produttori che ha lo scopo di influenzare il mercato»27. Questa potrebbe rappresentare un'altra delle ragioni per le quali l'OPEC non sia

per niente ben vista agli occhi degli occidentali, e cioè proprio il suo modo di agire simile a un “cartello”, entrando in contrasto con le regole e i principi del liberismo economico e del libero mercato (tanto caro agli Stati Uniti). Nonostante sembri operare secondo le proprie regole, in realtà è un'organizzazione che potrebbe svolgere un servizio utile per tutti, e in particolar modo per i paesi occidentali.

La dimostrazione arriva dal fatto che l'OPEC non è stata ideata da nessun complotto internazionale, né contro il capitalismo e/o l'Occidente, bensì è nata sul modello di un'organizzazione che era già esistita negli Stai Uniti e che operava in maniera simile a livello nazionale. Quindi nonostante gli Stati Uniti siano stati da sempre un paese favorevole al libero mercato riconoscevano la necessità di essere governati o condotti da un ente o una figura super partes, cioè un'organizzazione che operasse per moderare eventuali squilibri. La “Texas Railroad Authority” era l'organizzazione americana equivalente dell'OPEC e aveva lo stesso scopo di controllare e moderare la produzione, con la differenza però che il suo raggio d'azione si limitava al solo territorio nazionale.

Una volta raggiunto il massimo e iniziato il declino della produzione dei pozzi statunitensi la Texas Railroad Authority perse il suo scopo, così come allo stesso modo quando comincerà il declino dei pozzi mondiali, o quando terminerà il petrolio sul pianeta, anche l'OPEC perderà la sua importanza e potrebbe anch'essa scomparire del tutto.

Lo scopo principale dell'OPEC quindi è quello di controllare e regolamentare la produzione di petrolio ed evitare sia un rapido esaurimento delle risorse, sia pericolose oscillazioni del prezzo che potrebbe danneggiare produttori e consumatori.

C'è quasi il bisogno che un'organizzazione svolga questo ruolo di regolatore dato che la produzione mondiale di petrolio non è esclusivamente nelle mani, ovviamente (e per fortuna), dei paesi appartenenti all'OPEC.

Bisogna ricordare infatti che, oltre agli Stati Uniti, nel mondo esistono altri paesi possessori e produttori di petrolio che non fanno parte dell'OPEC, cioè i cosiddetti paesi non-OPEC (Messico, Canada, Stati Uniti, Norvegia, Russia, Oman, Kazakistan e Asia)28.

L'andamento dell'ultimo ventennio ha messo in mostra una situazione in cui i paesi non- OPEC hanno sfruttato al massimo le loro capacità estrattive, come ad esempio Norvegia e Stati Uniti, mentre i Paesi appartenenti all'OPEC hanno mantenuto generalmente la loro produzione al di sotto delle loro massime possibilità, variando la produzione in dipendenza del mercato (e per questa ragione vengono definiti produttori altalena).

Proviamo a immaginare che l'OPEC non esista. In una situazione del genere, puro libero mercato, l'interesse dei produttori sarebbe di guadagnare quote di mercato le più alte possibile per massimizzare i profitti. Come abbiamo detto, il costo di estrazione di un barile di petrolio varia molto a seconda delle caratteristiche dei pozzi, dell'abbondanza delle riserve, della dimensione stessa dei pozzi, […]. Senza l'OPEC, quei produttori che possono produrre a costi più bassi tenderebbero a espandersi. Paesi come l'Arabia Saudita, che hanno immense capacità di produzione, potrebbero vendere il petrolio a prezzi molto bassi mandando in fallimento gli altri, per esempio i produttori americani. Questo sarebbe un danno a breve termine per i produttori americani ma un danno ben maggiore a lungo termine per l'Arabia Saudita, che si troverebbe ad aver venduto le proprie riserve a basso prezzo per poi rimanere in mano, letteralmente, solo un pugno di sabbia. Inoltre, in un mondo inondato di petrolio a basso costo sparirebbe ogni incentivo al risparmio e allo sviluppo di fonti alternative29.

Nonostante dunque l'OPEC agisca non secondo le regole del libero mercato, teoricamente interviene a beneficio di tutti, anche se è difficilmente credibile che sia spinta da motivi altruistici. Il primo scopo dell'OPEC dovrebbe essere quello di evitare che i prezzi si abbassino troppo, per tutelare così i propri membri, ma favorendo allo stesso tempo anche i concorrenti. Bisogna ricordare infatti come l'OPEC si sia già trovata in difficoltà nel gestire i prezzi durante e dopo le crisi degli anni Settanta e Ottanta, quindi in realtà è probabile che abbia molto meno influenza sui prezzi di quanto si creda (ciò non toglie al fatto che se esiste da più di cinquant'anni avrà pure un ruolo, uno scopo, e un certo peso).

L'OPEC però non si preoccupa solo di mantenere i prezzi non troppo bassi, ma di mantenerli anche stabili: se da un lato vi sono le preoccupazioni dei governi occidentali per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, dall'altro cresce di pari passo la necessità per i paesi esportatori di trattare con economie stabili e sicure.

28 G. E. Valori, op. cit., p. 12. 29 U. Bardi, op. cit., pp. 143-144.

Infatti in caso di crisi i paesi consumatori si ritroverebbero costretti a ridurre le richieste di forniture, sbilanciando così l'offerta che potrebbe causare una ricaduta dei prezzi. Anche in questo caso l'OPEC sembrerebbe volgere un piccolo favore all'Occidente dato che i prezzi generalmente si mantengo stabili entro certi limiti, e anche per questo quando ciò non si realizza si verificano degli sbalzi e delle instabilità relazionate appunto con le crisi.

In maniera un po' meno altruistica, l'OPEC mantiene appositamente i prezzi abbastanza bassi anche per non rendere conveniente la ricerca, la produzione e lo sviluppo di fonti energetiche alternative, solitamente più costose.

In realtà, comunque, ci sono dei grossi limiti riguardo a quello che l'OPEC può fare. Ovvero, l'OPEC è probabilmente in grado di gestire e assorbire piccole oscillazioni nella domanda o nell'offerta di petrolio, ma si trova (e si è trovata) in difficoltà riguardo a quelle oscillazioni robuste che hanno causato le crisi del petrolio della decade del 1970 e che potrebbero causare nuove crisi nel futuro. Ci sono due casi per i quali l'OPEC potrebbe trovarsi in difficoltà nell'evitare un abbassamento eccessivo dei prezzi: il disaccordo dei produttori OPEC sulle quote di produzione oppure un accordo dei produttori non-OPEC per inondare il mercato con petrolio a basso prezzo30.

Mentre la prima delle delle due ipotesi si è verificata solo occasionalmente dalla nascita dell'OPEC, la seconda ipotesi non si è mai veramente realizzata, e in effetti una situazione del genere sembra che difficilmente si possa verificare data la diversità, le incongruenze e le tensioni esistenti fra i principali paesi produttori non-OPEC, fra tutti Stati Uniti e Russia. Inoltre bisogna ricordare che gli USA in particolare fanno riferimento a dei pozzi che sono ormai in via di esaurimento e il cui sfruttamento è costoso, nonostante le loro ultime dichiarazioni di autosufficienza energetica di qui a breve31.

La storia però ci racconta che in realtà c'è stato qualche tentativo di battaglia commerciale sui prezzi del petrolio. Come già accennato in precedenza, ciò si verificò ad esempio negli anni Venti quando la Russia inondò il mercato con il suo petrolio a basso costo, provocando una caduta verso il basso del prezzo, anche se a quel tempo non esisteva ancora l'OPEC. Un altro caso, potremmo definirlo, si verificò nel 2002 quando sempre la Russia tentò di guadagnare quote di mercato abbassando i prezzi del loro petrolio.

30 ivi, p. 146.

«I russi si sono resi conto a loro spese che l'OPEC poteva produrre a prezzi molto più bassi dei loro e mandarli in fallimento se avessero insistito»32.

Questo scenario sembra si stia ripetendo in quest'ultimo anno a cavallo tra il 2014-2015, dove la troppa vicinanza di vedute tra Russia e Venezuela, uno dei paesi fondatori dell'OPEC, ha spinto i paesi arabi ad un vertiginoso ribasso del prezzo, mettendo così in seria difficoltà le economie dei due paesi. In questo paradigma rientrano anche gli Stati Uniti e le loro ultime dichiarazioni circa l'indipendenza energetica, raggiungibile grazie alle nuove tecniche di estrazione per il petrolio non convenzionale.

Un'altra situazione per certi versi simile venne auspicata nel caso in cui il governo iracheno, che sarebbe dovuto sorgere dopo l'invasione del 2003, avesse interrotto i legami con l'OPEC e avesse iniziato a produrre al massimo delle sue capacità, cosa che avrebbe potuto effettivamente danneggiare l'OPEC ma che non si verificò.

In passato invece l'OPEC ha dimostrato di trovarsi in difficoltà, a volte per impossibilità e chissà a volte per volontarietà, nel saper gestire meglio o nell'evitare un rialzo dei prezzi. È abbastanza facile immaginare che i grandi produttori, che normalmente non operano al 100% delle loro capacità produttive, non abbiano alcun problema nel ridurre i livelli di estrazione nel caso in cui ne avessero bisogno, mentre non è per nulla detto che aumentarli sia altrettanto facile, sempre nel caso in cui ne avessero bisogno per soddisfare eventuali maggiori richieste di fabbisogno energetico, dato che estrarre petrolio è sempre un'impresa costosa e che necessita tempo.

Questo aspetto infatti aiuta a comprendere meglio le due prime crisi del petrolio: la prima crisi, e quindi il primo grande aumento dei prezzi, venne più o meno controllato dall'OPEC attraverso l'embargo che seguì la guerra del Kippur, anche se abbiamo visto come in realtà la crisi si verificò a causa del quasi totale esaurimento delle riserve petrolifere statunitensi che mise in difficoltà anche i paesi produttori mediorientali, i quali nonostante incrementarono le estrazioni non riuscirono ad arrestare o a colmare l'enorme aumento delle necessità energetiche globali, nemmeno con l'aumento dei prezzi.

La seconda crisi invece non venne per niente gestita, fu incontrollata e colpì tutti indiscriminatamente. L'improvvisa sparizione dell'intera produzione iraniana dopo la caduta dello Scià mise in ginocchio l'intera economia, occidentale e non.

Nel 1979 si era raggiunto un punto di massimo della produzione mondiale di petrolio a circa 24 gigabarili all'anno (dati ASPO). Nel 1981 la produzione era scesa a circa 18. Ci sarebbero voluti oltre dieci anni per ritornare ai valori di produzione di prima della crisi (oggi siamo a oltre 25 gigabarili all'anno). Gli effetti sull'economia mondiale furono molto pesanti: recessione, disoccupazione, inflazione33.

Neanche in questo caso quindi i paesi produttori riuscirono a sopperire a un vertiginoso aumento della domanda. La grande crisi iniziata nel Settantanove durò circa cinque anni e, nonostante l'ulteriore aumento dell'estrazione mediorientale, solo con l'ingresso e la messa in produzione dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord nel 1985 si ritornò a un livello di garanzia energetica di nuovo in grado di soddisfare le richieste e le necessità globali. Dal 1985 al 2000 invece i prezzi si sono mantenuti (o sono stati mantenuti) più o meno stabili dove neanche la Prima guerra del Golfo del 1991, che aveva in quel tempo rimosso momentaneamente l'Iraq dalla cerchia dei produttori a causa delle sanzioni ONU, causò danni paragonabili alle crisi precedenti. Tuttavia, a partire dal 2000, le cose cambiarono. I prezzi del petrolio iniziarono ad aumentare fino a quasi raddoppiare in un decennio, potendo definire questo «rialzo brusco come una terza crisi del petrolio»34.

In un primo momento, nonostante il brusco aumento dei prezzi, non si verificò quell'impatto devastante come nel caso delle precedenti crisi: innanzitutto perché i prezzi non salirono ai livelli vertiginosi comparabili a quelli delle crisi; inoltre i governi dei paesi occidentali, date le passate esperienze, dovrebbero essere oggi meno vulnerabili a una carenza di petrolio di quanto non lo fossero negli anni Settanta. Infine, un aumento anche drastico dei prezzi del petrolio oggi non causerebbe gli stessi danni visti in quel decennio di crisi, «anche se avrebbe lo stesso conseguenze pesanti, probabilmente devastanti per quei paesi che ancora utilizzano principalmente petrolio per produrre energia elettrica. Fra questi c'è anche, ahimè, l'Italia, paese che sta soffrendo più di altri gli aumenti dei costi del petrolio»35.

Come per le precedenti crisi anche in questo caso è giusto chiedersi cosa ha provocato questa terza (mini) crisi iniziata nel 2000, e il motivo sembra essere lo stesso delle prime due crisi, cioè la difficoltà di soddisfare una maggiore richiesta di forniture energetiche.

33 ivi, p. 148. 34 ivi, pp. 148-149. 35 ivi, pp. 149-150.

Nonostante in un primo momento, esattamente come accadde nelle prime due crisi, si ipotizzava il tanto temuto esaurimento delle riserve petrolifere, cosa anche oggi smentita dato l'abbassamento del prezzo del gasolio avvenuto in quest'ultimo anno, anche per questa terza crisi sembrerebbe più probabile che sia stata causata da diversi fattori contingenti. Due su tutti furono la crisi politica del Venezuela, «che ha bloccato le esportazioni di petrolio venezuelano, accoppiata al declino della produzione dai pozzi del mare del Nord». In un primo momento, «questi due fattori non sono stati compensati, evidentemente, dall'aumento di produzione di petrolio russo»36.

Usando come base il valore del dollaro, i prezzi del greggio sono aumentati del 525 per cento dalla fine del 2001 al 31 luglio del 2008. Una parziale speculazione, poiché dal 200 al 2007 la domanda globale di petrolio è aumentata di nove milioni di barili/giorno. Ma l'OPEC non ha voluto (o non ha potuto) sostenere la domanda. Mentre, sia per motivi politici, sia per azioni di carattere strategico e militare, i paesi produttori non-OPEC hanno aumentato l'estrazione di greggio di soli 4 milioni di barili/giorno37.

A questo punto dovrebbe essere ancora più chiaro il potere d'influenza che esiste nella relazione tra geopolitica e petrolio, sia in Medio Oriente, dato che il ruolo primario dei Paesi produttori di quest'area non potrà essere scalfito ancora per parecchi anni, sia nelle altre aree sensibili del pianeta. Per quanto riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti energetici bisogna innanzitutto ricordare che il declino di alcuni vecchi pozzi (e Paesi) estrattori, in primis i pozzi del Mare del Nord, la Nigeria con le sue frequenti fasi di instabilità, il Venezuela (dove la produzione non riesce a sostenere i ritmi sempre crescenti del fabbisogno energetico, nonostante le enormi riserve provate), è stato coperto dal petrolio di alcuni “nuovi” Paesi produttori come il Brasile, il Canada, l'Angola e il Sudan, e ai quali potremmo aggiungere anche la Libia e l'Iraq, andandone a sostituire la quota di estrazione nel mercato globale. Nella pratica però si nota che questi nuovi Paesi produttori sono in realtà molto più lontani dai fruitori finali rispetto ai Paesi estrattivi del Medio Oriente, e specialmente Sudan e Angola, limitrofi alla Nigeria, rappresentano delle aree politicamente molto più instabili rispetto ai vecchi estrattori che hanno rimpiazzato, come ad esempio il Mare del Nord e il Venezuela, che nonostante le varie crisi politiche e sociali interne non sono certo paragonabili alle guerre civili e di confine che tuttavia vivono oggigiorno la stragrande maggioranza dei Paesi africani.

36 ivi, p. 151.

Il «Terzo oil shock», come è stato chiamato l'aumento del prezzo al barile del 2008-2009, ha sostanzialmente favorito la Federazione Russa, che ha goduto di prezzi elevati senza averne le condizioni geologiche, politiche e finanziarie, e il Venezuela, anch'esso privo delle caratteristiche economiche e strategiche che muovevano i Paesi maggiori dell'OPEC. In questo contesto il ruolo dell'Arabia Saudita diviene quindi centrale. Riyadh ha aumentato la produzione nelle more della guerra in Iraq. Mentre ha fortemente abbassato le quote nel 2006 e nel 2007, quando i prezzi unitari del greggio sono ritornati a salire tra il 19 e il 10 per cento. Un ruolo centrale quello di Riyadh, come quello della Libia, che può aumentare significativamente la sua produzione38.

Questo potrebbe essere un altro elemento a conferma del fatto che l'attuale abbassamento dei prezzi sia pilotato e indirizzato principalmente a discapito proprio di Russia, Venezuela e Stati Uniti, che nonostante proclami già l'indipendenza dalle forniture di energia in realtà potrebbe permetterselo solo attraverso elevati prezzi del greggio, dati gli alti costi delle nuove tecniche di estrazione necessarie per raggiungere la tanto auspicata autosufficienza energetica.

Per la geopolitica USA, infatti, il gioco è semplice: andare a prendere in Asia Centrale (la cui “chiave” è