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La fine del petrolio e la teoria di Hubbert

Il primo a interessarsi e a preoccuparsi della fine del petrolio e delle sue riserve fu il geologo statunitense M. King Hubbert. Partendo proprio dalla certezza che il petrolio, come una qualsiasi altra risorsa minerale o fonte fossile esauribile e/o fisicamente limitata, fosse una risorsa finita, Hubbert si dedicò ad elaborare quando sarebbe potuta arrivare l'ipotetica fine.

A causa del massiccio e incurante sfruttamento dei pozzi di petrolio statunitensi, Hubbert prevedeva e immaginava già un loro rapido esaurimento. Il rischio era veder prosciugare queste importantissime risorse energetiche interne in breve tempo, ma ciò sembrò non preoccupare i primi grandi produttori americani. Così negli anni Sessanta Hubbert teorizzò la sua prima, e oggi famosa, predizione secondo la quale i pozzi di petrolio statunitensi, a quei ritmi, avrebbero raggiunto il loro massimo potenziale entro circa un decennio per poi avviarsi verso un inesorabile declino3.

In principio nessuno credette a questa teoria, ma si dovettero tutti ricredere quando effettivamente i livelli di sfruttamento avevano raggiunto il loro massimo proprio nel 1970. Dunque la “teoria del picco di Hubbert” non individua la fine totale delle riserve petrolifere, bensì si focalizza nel punto in cui lo sfruttamento della risorsa raggiungerà il massimo delle sue capacità per poi iniziare un inevitabile declino.

3 «Negli anni sessanta fece la sua, oggi famosa, predizione secondo cui la produzione di petrolio negli Stati Uniti sarebbe passata per un massimo nel 1970 per poi cominciare un declino irreversibile. A quei tempi tutti gli dettero del pazzo, salvo poi ricredersi quando, in effetti, si vide che la produzione di petrolio in America aveva raggiunto il massimo nel 1970». ivi, p. 101.

Nella sua teoria infatti è possibile distinguere diverse fasi del ciclo di Hubbert, le quali andranno poi a formare la cosiddetta “curva a campana”:

 nella prima fase si assiste a un espansione rapida, dato che inizialmente la risorsa è abbondante e non sono necessari grossi investimenti per estrarla, dove la crescita della produzione è esponenziale;

 nella seconda fase invece vi è l'inizio dell'esaurimento delle riserve facili e quindi meno costose, dove sono necessari investimenti sempre più consistenti per far sì che la produzione continui a crescere, anche se non più esponenzialmente come nella prima fase;

 la terza fase prevede il raggiungimento del picco e l'inizio del declino, dove il graduale esaurimento rende gli investimenti talmente elevati che non sono più sostenibili, così la produzione raggiunge il suo massimo per poi cominciare a declinare;

 la quarta fase è quella del declino finale, dove solitamente non si fanno più investimenti significativi e si lascia continuare la produzione fino a che non diventa talmente ridotta da cessare del tutto4.

Hubbert, visto il successo della sua teoria poi concretizzatasi nella realtà, si spinse oltre e approfondendo i suoi studi, oltre all'analisi del sottosuolo statunitense, decise di analizzare anche l'andamento dei pozzi petroliferi dell'intero pianeta. Così negli anni Ottanta tentò di calcolare lo sfruttamento delle riserve petrolifere globali, giungendo alla conclusione che anche queste avrebbero raggiunto il loro massimo intorno al 2000 per poi cominciare ad esaurirsi del tutto, ma questa volta, considerata la disponibilità di petrolio esistente ancora oggi, la previsione di Hubbert si rivelò inesatta5.

Questa volta quindi i calcoli di Hubbert non gli avevano dato ragione, dato che nel 2000 non si è verificato nessun “picco della produzione del petrolio”.

4 U. Bardi, Introduzione alla teoria di Hubbert, in “Aspo Italia”, 18 marzo 2005,

http://www.aspoitalia.it/index.php/introduzione-alla-teoria-di-hubbert-mainmenu-32

5 «Sulla base dei dati che aveva, negli anni ottanta Hubbert fece anche una predizione dell'andamento globale della produzione petrolifera. Il risultato fu che la produzione doveva passare per un massimo verso il 2000. In questo caso la predizione di Hubbert si è rivelata inesatta. Il 2000 è passato e la produzione di petrolio continua ad aumentare, sia pure in modo debole e incerto». U. Bardi, La fine del

Una volta accertata ormai l'inesattezza dell'analisi di Hubbert per quanto riguarda la predizione del picco globale, «diversi altri geologi petroliferi di spicco hanno usato versioni personali del suo metodo per ottenere previsioni aggiornate sul picco della produzione petrolifera mondiale. I loro risultati divergono soltanto di poco gli uni dagli altri»6. Tra questi lavori sono da menzionare nello specifico le ricerche di due studiosi:

Jean Laherrère e Colin Campbell, fra l'altro ideatore anche dell'associazione ASPO (Association for the Study of Peak Oil).

«Nel 1998, Campbell e il suo collega Laherrere uscivano con un articolo sulla prestigiosa rivista “Scientific American”, intitolato La fine del petrolio a buon mercato». Rispetto alla previsione di Hubbert, «l'articolo di Campbell e Laherrere era un passo avanti dato che era basato su dati aggiornati e prevedeva il famigerato “picco del petrolio” per il 2005, circa»7.

Riguardo lo sfruttamento dei campi petroliferi mondiali, e in accordo con Hubbert, secondo l'analisi dei due autori presto il petrolio convenzionale non sarà più in grado di soddisfare il fabbisogno energetico globale, andando quindi a contrastare con gli ottimistici dati dell'industria petrolifera la quale prevede ancora abbondanti quantità di petrolio per circa 40 anni.

Sempre secondo gli autori però questa stima contiene principalmente tre errori importanti: in primo luogo essa si basa, del resto come tutte le predizioni, su dati distorti riguardo la quantità delle riserve esistenti e/o da scoprire; in secondo luogo le stime solitamente si basano sui calcoli della produzione del momento, quando in realtà questa non rimane mai costante nel tempo; in terzo luogo non viene preso in considerazione il fatto che sarà sempre più difficile estrarre gli ultimi barili di petrolio rispetto alla facilità con la quale vengono estratti oggi.

Dopo le dovute considerazioni, i due geologi giunsero alla conclusione che l'inizio del declino dei pozzi petroliferi sarebbe dovuto arrivare intorno al 20108.

6 R. Heinberg, La festa è finita. La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell'energia, Roma, Fazi editore, 2004, p. 94.

7 U. Bardi, Breve storia dell'ASPO, l'associazione che studia il picco del petrolio, 2005,

http://www.aspoitalia.it/documenti/bardi/aspostory.html

8 «Entro il prossimo decennio l’offerta di petrolio convenzionale non sarà in grado di stare al passo con il crescere della domanda. Questa conclusione va a contraddire il quadro ricavabile dai rapporti ufficiali dell’industria petrolifera, che all’inizio del 1998 parlavano con trionfalismo di 1020 miliardi di barili di greggio disponibili in riserve accertate. Dividendo quel numero per l’attuale tasso di produzione di circa 23,6 Gbo (gigabarili di petrolio) si potrebbe pensare in prima approssimazione che il greggio possa rimanere abbondante e a buon mercato ancora per 43 anni, e forse anche di più, dal momento che le pubblicazioni ufficiali parlano di riserve in aumento. Sfortunatamente questa stima contiene tre errori di importanza critica. In primo luogo essa si fonda su valutazioni distorte delle riserve esistenti. Un secondo errore consiste nel dare per scontato che la produzione possa rimanere costante negli anni. Il terzo e più

Da quello che si può constatare oggi, neanche le aggiornate e più recenti versioni dei due geologi sembrano essersi avvicinate alla realtà, dato che dal 2005 ad oggi non si è verificata nessuna catastrofe o crisi petrolifera. Analizzando nello specifico queste ultime previsioni, ad esempio secondo l'interpretazione del francese Laherrere, il picco per il petrolio convenzionale era atteso approssimativamente verso il 2005, mentre quello per il petrolio non convenzionale dovrebbe arrivare molto più tardi, verso il 2070. La somma delle due risorse arriva al picco verso il 2010.

Fonte: Aspoitalia.it, http://www.aspoitalia.it/index.php/introduzione-alla-teoria-di-hubbert- mainmenu-32

importante errore risiede in quell’assunto del senso comune secondo cui l’ultimo secchio di petrolio potrà essere pompato fuori dai giacimenti con la stessa facilità dei barili che sprizzano dal suolo attualmente. […] Utilizzando molte tecniche diverse per stimare le attuali riserve di petrolio convenzionale e l’entità dei giacimenti che ancora devono essere scoperti, siamo giunti alla conclusione che il declino inizierà prima del 2010». C. J. Campbell, J. H. Laherrère (eds.), La fine del petrolio a buon mercato, in “Scientific American”, tradotto in italiano da “Le Scienze”, marzo 1998. https://www.google.es/url? sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CCMQFjAA&url=http%3A%2F %2Fwww.pascal.re.it%2FDocuments%2FSpazioStudenti%2FmaterialeDidattico%2Fscientifico %2520moderno%2FFiorani%2C%2520Masia-4%255ESM-La%2520fine%2520del%2520petrolio %2520a%2520buon %2520mercato.doc&ei=ap5dVZ6SO8HoUIWigeAN&usg=AFQjCNFDrHiUMrxZ6OhpxXyBkMy8UlW khg&bvm=bv.93756505,d.ZGU&cad=rja

Anche secondo la stima più completa e aggiornata del britannico Colin Campbell, il picco per il petrolio convenzionale sarebbe dovuto arrivare nel 2005, mentre quello per tutti i liquidi verso il 2010 circa.

Fonte immagine: http://planetforlife.com/oilcrisis/oilpeak.html

Da queste incongruenze nei risultati si deduce che stimare le riserve petrolifere a livello globale sia in effetti un lavoro complesso, ma «il problema non è tanto la fatica di sommare migliaia e migliaia di dati, il problema è l'affidabilità dei dati»9.

Comunque sia, quasi tutte le predizioni sul picco o sulla fine del petrolio e dei combustibili fossili sono basate sul modello di Hubbert o su modelli simili.

Oltre agli autori fin qui trattati, vi sono infatti molte altre interpretazioni basate sulla teoria di Hubbert. La maggior parte di essi stima la presunta data del picco entro il primo decennio del ventunesimo secolo, ma esistono anche interpretazioni differenti che basandosi su dati geologici più ottimisti stimano l'ipotetico picco intorno al 203010.

9 U. Bardi, La fine del petrolio..., cit., p. 116.

10 U. Bardi, Introduzione alla teoria di Hubbert, in “Aspo Italia”, 18 marzo 2005.

Fonte: U. Bardi, La fine del petrolio. Combustibili fossili e prospettive energetiche nel

Nella tabella viene riportato un sommario dei risultati principali, ovvero la data prevista per il picco degli idrocarburi liquidi, cioè del greggio, escludendo quindi il gas e i cosiddetti idrocarburi non convenzionali. Inoltre è necessario precisare che i risultati esposti nella tabella sono la media di un intervallo di date entro le quali i vari autori ritengono probabile il picco.

La discordanza tra la realtà e le previsioni sulla fine delle riserve petrolifere può essere stata causata da svariati fattori che hanno probabilmente influenzato i risultati ottenuti (dagli autori).

Innanzitutto, specie per quanto riguarda la previsione globale di Hubbert, bisogna dire che sono stati principalmente due i fattori di base che che hanno dato origine all'errore: in primo luogo l'incertezza e il margine di errore sono ovviamente maggiori nelle previsioni a lungo termine rispetto a quelle a breve termine, e lo stesso discorso vale per le previsioni su una singola nazione rispetto a quelle sull'intero globo; in secondo luogo Hubbert non aveva calcolato, non aveva previsto e non poteva prevedere, le crisi energetiche verificatesi in occasione della guerra del Kippur e la guerra Iran-Iraq, che hanno causato una discontinuità e una momentanea riduzione nella produzione e nella disponibilità di petrolio (le guerre e le crisi geopolitiche sono ovviamente dei fenomeni imprevedibili).

Errori di calcolo che probabilmente sono scaturiti anche «a causa sia dell'espansione dell'economia mondiale sia dell'aumento della popolazione»11. Effettivamente è innegabile

l'enorme crescita della popolazione mondiale in questo ultimo mezzo secolo, passata da circa 2 miliardi e mezzo nel 195012 a gli oltre 7 miliardi di oggi13 (con una previsione di 9

miliardi di persone nel 2050), e con essa conseguentemente e ovviamente sono aumentati tutti quei bisogni e quelle necessità di mantenimento stesso della popolazione, quindi maggiori esigenze e consumi alimentari ed energetici (che col tempo avranno sicuramente influenzato le previsioni energetiche mondiali).

A questi scenari solitamente imprevedibili, come le guerre, le crisi geopolitiche, o l'incalcolabile aumento della popolazione mondiale, potremmo aggiungere altri due fattori fondamentali e altrettanto decisivi nell'influenza dei risultati sulle previsioni energetiche. Questi fattori, entrambi interconnessi, sono la ricerca e la tecnologia.

11 U. Bardi, La fine del petrolio..., cit., p. 94.

12 http://www.saluteinternazionale.info/2011/01/la-popolazione-mondiale-nel-2050/

In primo luogo bisogna sempre considerare il fatto che si potrebbero ancora scoprire nuovi giacimenti petroliferi e, nonostante questa prospettiva fosse poco plausibile fino a qualche tempo fa, visto che a livello globale mancano da esplorare solo le acque più profonde e le regioni polari, in realtà l'ultima scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo trovata nelle vicinanze dell'Egitto nell'Agosto 201514 conferma che non si può mai

sottovalutare questo aspetto.

Il miglioramento nelle fasi di ricerca è legato al secondo fattore, ovvero la tecnologia, che grazie alle sempre nuove tecniche potrebbe incrementare la quantità di petrolio recuperabile dai pozzi in modo da prolungare ed estendere la vita e la durata delle riserve globali per alcuni anni. Bisogna sempre ricordare però che anche considerando il miglioramento tecnologico i campi petroliferi continueranno ugualmente ad invecchiare e a prosciugarsi.

Oltre agli errori risultati da situazioni imprevedibili, le altre cause di discordanza tra le previsioni riguardano i differenti approcci e considerazioni sulle riserve. Ad esempio una fonte di errore sistematico riguarda spesso la definizione stessa di riserve, le quali possono essere distinte in “riserve”, appunto, e “risorse”, dove le prime rappresentano il petrolio dei pozzi già in esercizio, mentre le seconde riguardano la quantità estraibile dai pozzi non ancora sfruttati. Queste ultime, le risorse, si suddividono a loro volta in “accertate”, delle quali si conosce già l'esistenza, e “stimate”, le quali si presume che esistano15.

Oltre a una mancanza di uniformità nelle definizioni, le difficoltà nello stimare effettivamente una quantità concreta ancora sfruttabile si riscontrano anche nelle controtendenze e nelle continue discordie tra i vari studiosi ed esperti riguardo il tipo di petrolio che si vuole calcolare.

14 F. Q., Eni, 'scoperto al largo dell'Egitto il giacimento di gas più grande del Mediterraneo', in “Il Fatto Quotidiano”, 30 agosto 2015. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/30/eni-scoperto-al-largo-dellegitto- il-giacimento-di-gas-piu-grande-del-mediterraneo/1994867/

15 «Le compagnie petrolifere distinguono fra “riserve” e “risorse”, queste ultime sono ulteriormente divise in “accertate” e “stimate”. Le prime (riserve) sono la somma di tutto il petrolio estraibile dai pozzi in

esercizio. Le seconde (risorse) sono formate dal petrolio estraibile da pozzi non ancora sfruttati, ovvero da

pozzi che si sa che esistono (accertate) o che si presume esistano (stimate). Via via che i vecchi pozzi si esauriscono se ne mettono in esercizio di nuovi. Questo vuol dire che pozzi prima classificati fra le “risorse” vengono passati a contare come “riserve”. Questo può dare l'impressione che le riserve non diminuiscono, anzi che aumentano, un ovvio effetto del progressivo aumento della produzione così come è stato negli ultimi decenni. Ma questo aumento delle riserve col tempo è un puro effetto contabile: non significa affatto che siano stati scoperti dei nuovi pozzi di petrolio». U. Bardi, La fine del petrolio..., cit., p. 115.

Infatti, già considerando il solo petrolio è possibile distinguerlo fra il cosiddetto “convenzionale”, cioè la sua forma liquida più comunemente conosciuta, e il “non convenzionale”, ovvero il petrolio ricavabile dalle sabbie bituminose e dagli scisti, e ai quali potremmo aggiungere anche quello ottenibile dalla lavorazione del gas naturale o del carbone16.

Esistono quindi vari tipi di risorse fossili dalle quali si può ottenere petrolio, ma proprio questa disomogeneità nella forma e l'iniqua possibilità di sfruttarli crea discordanze fra i risultati.

Un altro approccio per calcolare approssimativamente quanto petrolio è ancora possibile sfruttare potrebbe essere quello di fare ricorso a una stima R/P, ossia la stima del rapporto tra risorse e produzione. Infatti «le riserve di greggio si classificano secondo tre criteri: 1P/Proven, quando si hanno il 90-95 per cento di probabilità di estrarre petrolio; 2P/Probable, quando la probabilità scende al 50 per cento, e 3P/Possible, quando la probabilità si riduce al 5-10 per cento»17. In questo tipo di stime però non viene preso in

considerazione il petrolio non convenzionale, fattore che distorce quindi la valutazione sulla reale quantità delle riserve e che di conseguenza, anche per fini strategici e politici, influisce sulla formazione del prezzo del barile.

Tralasciando solo per il momento l'influenza del prezzo del petrolio a livello internazionale, si può notare l'estrema difficoltà e complessità nel calcolare o anche solo nello stimare più dettagliatamente possibile la quantità di petrolio che sarà ancora possibile sfruttare.

16 «Quando prendiamo in considerazione la produzione di petrolio dobbiamo per prima cosa chiarire esattamente di cosa si parla. Non sempre gli esperti hanno in mente la stessa cosa ed esistono diversi tipi di risorse fossili dalle quali si possono estrarre combustibili liquidi. In primo luogo esiste il petrolio cosiddetto “convenzionale”, ovvero quello che si estrae in forma di liquido poco viscoso dai pozzi. In aggiunta, abbiamo il petrolio cosiddetto “non convenzionale” che include diversi tipi come il greggio da “acque profonde” e “l'olio pesante”. Un ulteriore aggiunta è quella dei gas condensabili. Alcuni includono anche il petrolio che si può estrarre dalle sabbie bituminose. Se poi consideriamo qualsiasi tipo di combustibile liquido, dovremmo prendere in considerazione anche la possibilità di ottenerlo dal gas naturale o dal carbone mediante vari tipi di trattamenti». U. Bardi, Introduzione alla teoria di Hubbert, in “Aspo Italia”, 18 marzo 2005. http://www.aspoitalia.it/index.php/introduzione-alla-teoria-di-hubbert- mainmenu-32

17 «Naturalmente, questa classificazione non ingloba i fluidi estratti dai minerali solidi, dal gas naturale, dalle sabbie o dagli scisti bituminosi, o dal carbone. E, dato che la valutazione delle riserve petrolifere entra a far parte della composizione del prezzo unitario del barile, la valutazione delle stesse, ossia le riserve, da parte di ogni Paese produttore e dell'OPEC, tende a essere “elaborata” per fini politici e strategici. Infine, la composizione del prezzo “al barile” è definita dal costo unitario di produzione, che nel Medio Oriente è circa 4,77 dollari, mentre è di 49,54 dollari per l'offshore USA». G. E. Valori, op. cit., p. 10.

Oltre ai dati di partenza poco affidabili, proprio per fini strategico-politici da parte dei Paesi produttori, esiste un enorme quantità di variabili che condurrebbero e produrrebbero ugualmente determinati errori. Errori di valutazione ai quali non si è potuto sottrarre nemmeno lo stesso Hubbert, rendendo quindi il suo modello inadatto, o forse sarebbe meglio dire impreciso, a descrivere il caso globale.

La sua prima predizione gli aveva dato ragione perché essendosi focalizzato su un'area circoscritta e su un caso locale gli permise di ottenere dei dati maggiormente certi riguardo l'eccessivo sfruttamento dei pozzi petroliferi che causarono l'aumento dei prezzi. Di fronte a questa difficoltà gli Stati Uniti decisero di rivolgere le loro attenzioni energetiche verso le abbondanti riserve del Medio Oriente, ma «che cosa sarebbe successo se i pozzi medio- orientali non fossero esistiti e gli americani avessero dovuto concentrare tutte le loro risorse sull'estrazione del petrolio locale?»18.