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L'espulsione ministeriale: sicurezza e prevenzione del

3.2 L'espulsione amministrativa

3.2.2 L'espulsione ministeriale: sicurezza e prevenzione del

L'espulsione ministeriale è prevista nel nostro ordinamento dall'art. 13, comma 1 del testo unico sull'immigrazione e dall'art. 3 del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2005, n. 155, e presenta una disciplina affatto peculiare, con notevolissime divergenze rispetto a quella prevista per le espulsioni affidate alla competenza del Prefetto.

La ratio della scelta di conferire a due soggetti pubblici, Prefetto e Ministro, la titolarità del potere di adottare provvedimenti di espulsione, va ricercata nella diversa intensità di tutela dell'ordine pubblico che gli stessi soggetti sono chiamati a salvaguardare45. Come

osservato dalla Corte Costituzionale, mentre l'espulsione disposta dal Ministro “ha il precipuo fine di tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato”, proteggendo le istituzioni e l'ordinamento costituzionale da minacce o attentati provenienti dall'esterno, quella disposta dal Prefetto è “preordinata ad assicurare una razionale gestione dei flussi di immigrazione nel nostro Paese”46. Anche la pronuncia del TAR

Lazio, sez. I ter, n.15336 del 10 dicembre 2004, ha riconosciuto che il provvedimento del Ministro risponde a una situazione di “reale rischio per la salvaguardia di quel bene primario che è costituito dalla conservazione del nostro sistema costituzionale”.

Inizialmente era il solo art. 13, comma 1 del testo unico a individuare la competenza del Ministro in materia di espulsione. La disposizione è tuttora vigente nella sua formulazione originaria, e stabilisce che “Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri”. La disposizione riprende una norma che era stata introdotta dalla abrogata legge Martelli, senza eliminarne, anzi aggravandone, i profili controversi che già al tempo avevano suscitato forti perplessità47. 45 Centonze. L'espulsione dello straniero, cit.

46 Corte costituzionale, ordinanza del 9 novembre 2000, n. 485, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2000, n. 4.

47 L'art. 7 del decreto 416/1989, convertito dalla legge 39, prevedeva: “Il Ministro dell'interno, con decreto motivato, può disporre per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato l'espulsione e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero di passaggio o residente nel territorio dello Stato, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria ove lo straniero risulti sottoposto a procedimento penale. Del decreto viene data preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri”. Nella disciplina attuale il decreto di espulsione può riguardare anche lo straniero non residente; inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 2 del decreto 144, anche per l'espulsione di cui all'art. 13,

In particolare, il potere espulsivo del Ministro trova la sua legittimazione in presupposti vaghi e poco chiari, quali i concetti di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, che dovrebbero invece rispondere al principio di tassatività e determinatezza vista l'inevitabile restrizione della libertà personale cui soggiace lo straniero destinatario di un provvedimento espulsivo48. La definizione normativa contenuta

nell'art. 159, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nello stabilire che le funzioni di salvaguardia dell'ordine pubblico spettano allo Stato e non possono essere demandate alle autonomie locali, definisce l'ordine pubblico come “il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale”.

La Corte Costituzionale, con sentenza del 12 luglio 2001, n. 290, ha provveduto a chiarire che “tale definizione nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte, nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento. E’ dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione 'interessi pubblici primari' utilizzata nell’art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione è necessaria ad impedire [...] una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico”.

La precisazione della Corte non è sufficiente a delimitare in modo adeguato i presupposti legittimanti l'espulsione ministeriale: nel perimetro dei motivi di ordine pubblico previsti all'art. 13, comma 1,

comma 1 del testo unico, non era richiesto il nulla osta del giudice nel caso in cui lo straniero fosse stato sottoposto a procedimento penale, e il provvedimento di espulsione sarebbe stato immediatamente esecutivo, in assenza di convalida giudiziaria.

48 È stato riconosciuto in dottrina “che un provvedimento amministrativo di espulsione fondato sul vago riferimento all’ordine pubblico è incostituzionale per violazione della riserva di legge prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.: al Ministro dell’interno è attribuita la facoltà di adottare il provvedimento in relazione a fatti o comportamenti che non sono neppure vagamente identificati dalla norma legislativa, ma dei quali soltanto il Ministro stesso è chiamato ad individuare il contenuto e dunque l’autorità amministrativa non si limita a qualificare un comportamento i cui elementi siano in qualche misura normativamente determinati, ma è anche autorizzata ad individuare il comportamento che consente ad essa stessa di provvedere”. Nascimbene, Bruno. Il “diritto degli stranieri”. Le norme nazionali nel quadro delle norme di diritto internazionale e comunitario, in Diritto degli stranieri, a cura di Bruno Nascimbene, Cedam, 2004.

rientrerebbe infatti qualunque fatto reale o supposto che, indipendentemente dalla condotta dolosa o colposa dello straniero, attenti alla ordinata attività delle istituzioni ovvero sia tale da esporre altre persone al rischio di subire un danno alla loro integrità fisica e psichica o al loro patrimonio. Tuttavia, la costruzione dello strumento espulsivo di competenza del Ministro alla stregua di una misura sanzionatoria, come emerge dalla previsione del divieto di reingresso decennale ex art. 13, comma 14, induce a ritenere che lo stesso non possa essere sottratto al principio generale di legalità in materia di sanzioni, pur in mancanza di una apposita disposizione in tal senso nel testo unico49. Pertanto, perché possa essere disposta l'espulsione ai

sensi dell'art. 13, comma 1, è necessario che si verifichi concretamente una situazione di pericolo, che la stessa sia ascrivibile a una condotta dello straniero, il quale deve aver previsto e voluto la situazione di pericolo verificatasi, come conseguenza di una propria azione50.

Inoltre si ritiene che il decreto di espulsione non possa limitarsi a fare generico riferimento ai motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, dovendo invece indicare, con adeguata documentazione, i comportamenti dello straniero su cui il pericolo si fonda. A conferma di ciò, nella citata sentenza del TAR Lazio, n. 15336, il giudice amministrativo ha annullato un provvedimento espulsivo del Ministro dell'interno per non aver compreso “su quali validi presupposti di fatto” il provvedimento impugnato fosse stato adottato, affermando l'onere del Ministero di indicare le condotte dello straniero da ritenersi pericolose per gli interessi primari dello Stato.

La disposizione in esame, pur con le dovute precisazioni, rimane criticabile per la sua genericità e la conseguente ampia discrezionalità lasciata al Ministro. D'altronde, come riconosce il giudice amministrativo, “la necessità di tutelare il bene fondamentale rappresentato dalla conservazione delle basi del sistema che garantisce l’ordinato svolgersi dell’intera vita sociale (ché di questo, in buona sostanza, si tratta) può legittimamente comportare la compressione di (altri) valori di rango costituzionale51”. Inoltre, è la stessa Convenzione 49 Centonze. L'espulsione dello straniero, cit.

50 Tali condizioni esprimono il rispetto dei principi di offensività, materialità e soggettività, e permettono di qualificare la situazione di pericolo come rimproverabile allo straniero espellendo.

51 TAR Lazio, sez. I ter, n.15336 del 10 dicembre 2004. Il possibile sacrificio di tali valori, tuttavia, ha spinto il giudice a svolgere una stringente valutazione sui motivi che hanno indotto l’amministrazione ad emettere il provvedimento espulsivo, che può ritenersi giustificato solo se fondato su validi presupposti di fatto. Gli elementi che per il Ministero degli Interni hanno costituito validi indizi di pericolo per la sicurezza della Repubblica, il TAR Lazio, al contrario, li ha ricondotti a semplici manifestazioni di pensiero, facoltà dunque tutelate direttamente dalla Costituzione e comprimibili da parte dell'amministrazione soltanto ove il loro esercizio si riveli idoneo a porre concretamente in pericolo l’ordine costituito: fatto, questo, ha affermato il TAR, non dimostrato

europea dei diritti dell'uomo a consentire espressamente l'espulsione di uno straniero in assenza delle garanzie procedurali elencate all'art. 1, comma 1, “qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale52”.

Al decreto di espulsione ministeriale si è in ogni caso riconosciuto natura “residuale rispetto a tutti gli altri tipi di provvedimento di espulsione e perciò pare configurato in modo da essere riservato a casi eccezionali in cui la presenza stessa dello straniero sul territorio dello Stato e/o il suo comportamento costituiscano pericolo concreto per la vita stessa della Repubblica53”. La natura eccezionale e residuale dell’espulsione ministeriale di cui all'art. 13, comma 1, del testo unico, è desumibile dalla previsione della sua esecuzione coercitiva e immediata, dalla sua applicabilità anche ai titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ex carta di soggiorno, e dalla sua applicabilità nei confronti dei soggetti inespellibili ai sensi dell’art. 19, comma 2, del testo unico. Inoltre, l’espressa previsione della previa comunicazione dell’adozione del provvedimento alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministro degli esteri indica che si tratta di un atto appartenente alle decisioni aventi rilievo politico nazionale54. Poiché si tratta di atto altamente discrezionale, avente ad oggetto la tutela della sicurezza dello Stato, esigenze di sicurezza possono indurre il Ministro dell’interno a emettere provvedimenti corredati da motivazione scarna, non particolarmente circostanziata, motivata per relationem rispetto ad atti d’indagine coperti da segreto o

adeguatamente dall’amministrazione. Al contrario, il Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 16 gennaio 2006 n. 88, è partito dal presupposto che la fattispecie espulsiva disciplinata dall’art. 13 del d.lgs. n. 286/1998, nell’attribuire tale competenza al Ministro dell’interno, è espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa, cui deve corrispondere una limitata sindacabilità dello stesso in sede di giurisdizione di legittimità. Tale mutamento di prospettiva conferisce una luce diversa alla valutazione dei fatti posti alla base del provvedimento impugnato, che secondo il Consiglio di Stato sono sufficienti per rendere legittima la decisione del Ministro, e per escludere che il suo apprezzamento sia stato inficiato da eccesso di potere. Quelle che, secondo il TAR, sono dichiarazioni rientranti nella libertà di pensiero e in quanto tali non comprimibili, per il Consiglio di Stato sono viceversa esternazioni che vanno a collidere col limite inderogabile del mantenimento dell’ordine pubblico, bene costituzionalmente tutelato e pertanto in grado di limitare proprio quelle manifestazioni di pensiero.

52 Relativamente alle garanzie procedurali, l'art. 1, comma 1 della Convenzione prevede che “Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter: a) far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione; b) far esaminare il suo caso; c) farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o a una o più persone designate da tale autorità”.

53 Nascimbene. Diritto degli stranieri, cit.

a segnalazioni generiche, magari provenienti dai servizi di informazione per la sicurezza dello Stato o anche da servizi di sicurezza di altri Stati alleati. Ciò può porre il problema dell’idoneità e della sufficienza della motivazione di questo tipo di atti politici che comunque ledono la libertà personale e altri diritti fondamentali, e della conseguente effettività della tutela giurisdizionale contro il provvedimento ministeriale, su cui, ex art. 13, comma 11, è competente il giudice amministrativo secondo le norme del codice del processo amministrativo che, all’art. 135, lett. i), per le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di espulsione di cittadini extracomunitari per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, prevede la competenza funzionale inderogabile del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio55. La scarna giurisprudenza esistente, ha avuto

cura di precisare che “trattandosi di atto che è rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno e che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l’organo di vertice dell’amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri, non v’è dubbio che esso sia espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Alla latitudine di siffatto apprezzamento discrezionale fa riscontro la limitata sindacabilità dello stesso in sede di giurisdizione di legittimità, sindacabilità che deve ritenersi ristretta al vaglio estrinseco in ordine alla mancanza di una motivazione adeguata o alla sussistenza di eventuali profili di travisamento, illogicità o arbitrarietà56”. Il sindacato giurisdizionale sui

provvedimenti espulsivi per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato è dunque, secondo la giurisprudenza amministrativa, ridotto ad un vaglio estrinseco volto solo a verificare l’adeguatezza formale della motivazione, senza sovrapporsi o modificare la valutazione di merito espressa dall’autorità governativa57. Tale impostazione lede

55 Il codice del processo amministrativo è contenuto nel decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, “Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo”.

56 Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 16 gennaio 2006, n. 88.

57 Così anche il TAR del Lazio, sez. I, nella sentenza n. 5070 del 2006, laddove emerge che la latissima discrezionalità di cui gode il Ministro dell’interno implica che il sindacato del giudice si possa svolgere solo in termini estremamente ristretti “in relazione a eventuali profili di irragionevolezza e alla correttezza dell’iter logico seguito dall’amministrazione”. Tale self restraint del giudice amministrativo, presuppone un bilanciamento dei valori costituzionali in gioco che ben può comportare il sacrificio di libertà costituzionali pur riconosciute ai cittadini stranieri: “nel contemperamento di interessi diversi risultano prevalenti le esigenze di salvaguardia della sicurezza nazionale e di assicurare l’espulsione di soggetti pericolosi”. La giurisprudenza amministrativa in materia non ha cambiato orientamento, come emerge dalla recente sentenza del TAR Lazio, Sez. I-ter, del 14 dicembre 2015, n. 13911 nel precisare che l’ambito di sindacato esercitato dal giudice amministrativo in simili controversie è alquanto circoscritto, come “si evince anche dal carattere estremamente generico dei requisiti prescritti dal citato art. 13 del D.lgs. n. 286/1998: tale disposizione,

l’effettività del diritto di difesa dello straniero destinatario del provvedimento ministeriale e indebolisce il controllo giurisdizionale sugli atti amministrativi previsto dall’art. 113 della Costituzione e la “fede privilegiata” di cui gode l’atto politico di alta discrezionalità amministrativa è solo parzialmente giustificata dalla delicatezza della materia in questione, perché nei vaghi presupposti dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato potrebbero essere incluse anche condotte non direttamente lesive degli interessi protetti, quali manifestazioni del pensiero o pratiche politiche ritenute non conformi all’ideologia ed alla prassi politica dominante58.

I presupposti dei provvedimenti amministrativi di espulsione per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato consistono dunque nella commissione di condotte, non definite normativamente, idonee concretamente a porre in pericolo la sicurezza dello Stato o l’ordine pubblico. La condizione affinché l’espulsione in esame sia legittima consiste nella motivazione del decreto circa l’idoneità concreta delle condotte a porre in pericolo il bene giuridico protetto, pur tenendo presente che il sindacato giurisdizionale è circoscritto ad una verifica estrinseca di adeguatezza formale della motivazione stessa, senza che il giudice amministrativo possa modificare la valutazione di merito espressa dal Ministro. Il provvedimento amministrativo di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato è sempre eseguito dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, ai sensi dell'art. 13, comma 4, lett. a); comporta la segnalazione al S.I.S. ai fini della non ammissione negli Stati dell’area Schengen; è sempre corredato da un divieto di rientro, la cui durata può essere determinata, ex art. 13, comma 14, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso, per un periodo superiore a cinque anni.

Alla originaria competenza del Ministro dell'interno in materia di espulsione, si è aggiunta una norma che ha affidato allo stesso il potere di espellere lo straniero anche per motivi di terrorismo. La fattispecie espulsiva in esame è frutto di una legislazione di emergenza nata subito dopo gli attentati terroristici di matrice islamica avvenuti a Londra e a Sharm el Sheikh nel luglio 2005, e finalizzata a rispondere a una situazione di estremo allarme venutasi a creare anche nel nostro Paese. Quando l'onda dell'emotività accompagna una effettiva esigenza di intervento, il compito del legislatore diventa ancora più difficile, soprattutto in un settore in cui la posta in gioco è altissima, sia sul piano della sicurezza della collettività, che su quello delle garanzie

infatti, rimette a tale organo ogni più ampia valutazione in ordine alla sussistenza di esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale”.

58 Savio, Guido. Espulsioni e respingimenti: i profili sostanziali. Scheda pratica aggiornata a giugno 2016, 15 settembre 2016, disponibile all'indirizzo: http://www.asgi.it.

individuali59.

In realtà, nella prima formulazione, precedente la sua conversione, dell'art. 3 del decreto 144/2005, il potere espulsivo per motivi di terrorismo era attribuito in via esclusiva al Prefetto. Al momento di convertire il decreto in legge tuttavia, il legislatore ha preferito accentrare la competenza in capo al Ministro dell'interno, per varie ragioni, di carattere politico e funzionale. Sotto il primo profilo, si è voluto sottolineare la funzione di tutela dello Stato dello strumento espulsivo in esame, che, comportando sempre delle valutazioni di carattere squisitamente politico, si è affidato all'autorità nazionale di pubblica sicurezza di vertice in Italia; in secondo luogo, la scelta legislativa è stata determinata dall'opportunità di concentrare il potere espulsivo nelle mani di un solo soggetto, al fine di scongiurare il formarsi di possibili indirizzi contrastanti nella valutazione dei presupposti applicativi da parte delle singole prefetture, così assicurando una sostanziale uniformità di indirizzo60.

L'art. 3 del decreto 144, come modificato dalla legge 155, stabilisce che “Oltre a quanto previsto dagli articoli 9, comma 5, e 13, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il Ministro dell'interno o, su sua delega, il Prefetto può disporre l'espulsione dello straniero appartenente ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 15261, o nei cui confronti vi sono fondati motivi di 59 Marzaduri, Enrico. La disciplina di contrasto del terrorismo internazionale: tra esigenze di tutela delle libertà e bisogno di sicurezza della persona, in D.l. 27.7.2005 n. 144, conv., con modif., in l. 31.7.2005 – Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, disponibile all'indirizzo: http://www.csm.it/circolari/050727_T.pdf

60 Al contrario, in tutti i casi in cui venga in rilievo una irregolarità dell'ingresso o del soggiorno dello straniero, ovvero una situazione di pericolosità sociale dello stesso, il potere espulsivo è attribuito a ciascun Prefetto investito della vicenda. In queste ipotesi esiste una legittimazione diffusa e non un potere esclusivo e personale, anche in ragione del fatto che i presupposti per l'espulsione sono strettamente individuati dalla legge e danno luogo a un automatismo espulsivo, mentre nel caso in esame, la valutazione presenta ampi margini di discrezionalità. 61 L'art. 18 della legge 152 è stato abrogato dall’art. 120 del codice delle leggi

antimafia e delle misure di prevenzione emanato con d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Tuttavia, le fattispecie che erano previste nella disposizione abrogata sono pressoché integralmente riprodotte nelle lett. d), e), f), g), h), i) dell’art. 4 d. lgs. n. 159/2011: d) coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un'organizzazione che persegue le finalita' terroristiche di cui all'articolo 270-sexies del codice penale; e) coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; f) coloro che