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Le istituzioni comunitarie, nell'intento di elaborare un'alternativa al sistema Schengen, giunsero all'approvazione del Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, istitutivo dell'Unione Europea. Sulla base del nuovo trattato, l'Unione venne pensata come una struttura fondata su tre pilastri, ossia tre ambiti decisionali in cui l'intervento delle istituzioni europee si differenziava notevolmente. Il “Primo Pilastro” era costituito dalla Comunità europea, dalla CECA e dall'Euratom e riguardava i settori in cui gli Stati membri esercitavano congiuntamente la propria sovranità attraverso le istituzioni comunitarie. Vi si applicava il c.d. “processo del metodo comunitario”, ossia proposta della Commissione europea, adozione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo e controllo del rispetto del diritto comunitario da parte della Corte di giustizia. Il “Secondo Pilastro” instaurava la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) prevista al titolo V del trattato sull'Unione europea. Esso sostituì le disposizioni contenute nell'Atto unico europeo e consentì agli Stati membri di avviare azioni comuni in materia di politica estera. Tale pilastro prevedeva un processo decisionale intergovernativo, che faceva ampiamente ricorso all'unanimità; la Commissione e il Parlamento svolgevano un ruolo modesto e non si rientrava nella giurisdizione della Corte di giustizia. Il “Terzo Pilastro” riguardava la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (JAI), prevista al titolo VI del trattato sull'Unione europea. L'Unione avrebbe dovuto svolgere un'azione congiunta per “agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei […] popoli”. Le materie immigrazione, diritto di asilo, cooperazione giudiziaria e di polizia furono inserite in questo terzo ambito, anch'esso legato alla logica intergovernativa, nella convinzione che i tempi per l'integrazione del capitolo giustizia e affari interni nel contesto comunitario non fossero ancora maturi.

Furono individuate all'art. K.1 alcune questioni di interesse comune allo scopo di delimitare l'ambito di estensione del Terzo Pilastro35, tutte 35 Tra queste figuravano: la politica di asilo; le norme disciplinanti l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone e l'espletamento dei relativi controlli; la politica d'immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi, in particolare le condizioni di entrata e circolazione dei cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri, le condizioni di soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi il ricongiungimento delle famiglie e l'accesso all'occupazione e la lotta contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri; la cooperazione giudiziaria in materia civile; la cooperazione giudiziaria in materia penale; la cooperazione doganale; la

materie che formavano già oggetto della Convenzione di Schengen, rispetto alla quale il Trattato di Maastricht cercò di differenziarsi prevedendo la possibilità di elaborare linee comuni di politica dell'immigrazione e di asilo da applicare nei confronti dei cittadini di Paesi terzi, ferma restando la competenza esclusiva degli Stati membri in materia. Infatti, i possibili interventi che l'art. K.3 riconosceva al Consiglio erano limitati all'adozione di posizioni e azioni comuni, alla promozione di ogni operazione utile al conseguimento degli obiettivi, e all'elaborazione di convenzioni di cui raccomandare l'adozione da parte degli Stati membri. Infine, nella speranza di raggiungere una sempre maggiore condivisione degli obiettivi e delle procedure, il Trattato permetteva al Consiglio di decidere, con voto unanime, di estendere la competenza comunitaria prevista in materia di politica dei visti dall'art. 100 C, anche ad alcune delle materie elencate all'art. K.136. Le speranze poste alla base della ideazione del Terzo Pilastro

non furono accompagnate da scelte coraggiose nella sua costruzione, e rimasero sostanzialmente deluse. Tra le cause vi fu anche la permanenza del Sistema Schengen, legittimato dallo stesso Trattato di Maastricht al suo art. K.7 laddove riconosceva che “le disposizioni del presente Titolo non ostano all'instaurazione o allo sviluppo di una cooperazione più stretta tra due o più Stati membri, sempre che tale cooperazione non sia in contrasto con quella prevista nel presente Titolo né la ostacoli”.

Ad ogni modo, se con il Trattato di Maastricht si compì il fondamentale passaggio dell'istituzionalizzazione della materia immigrazione, fu il Trattato di Amsterdam a rappresentare il punto di svolta nel cammino di comunitarizzazione delle politiche sulle migrazioni. Il Trattato, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1998, tra gli obiettivi che si proponeva di raggiungere enunciava quello di “conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controllo alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”. A tal fine prevedeva il

cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale, compresi, se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con l'organizzazione a livello dell'Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un Ufficio europeo di polizia. Quest'ultimo, chiamato Europol (European Police Office), è l'agenzia di contrasto al crimine dell'Unione Europea, istituita nel 1999 con sede a L'Aia.

36 Art. K.9: “Il Consiglio, deliberando all'unanimità su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro, può decidere di rendere applicabile l'articolo 100 C del trattato che istituisce la Comunità europea ad azioni pertinenti a settori contemplati dall'articolo K.1, punti da 1) a 6), decidendo nel contempo le relative condizioni di voto. Esso raccomanda agli Stati membri di adottare tale decisione conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.”

trasferimento delle materie immigrazione e asilo dal Terzo al Primo Pilastro, operazione che significava il superamento della cooperazione intergovernativa e l'adozione del metodo comunitario. La competenza riconosciuta all'Unione era molto estesa; gli articoli 73 I e 73 K individuarono in capo al Consiglio il compito di adottare entro cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato, una serie di misure in materia di libera circolazione delle persone, asilo, politica dell'immigrazione e cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale volte ad assicurare alle persone un elevato livello di sicurezza mediante la prevenzione e la lotta contro la criminalità all'interno dell'Unione, in conformità alle disposizioni del trattato sull'Unione europea. Il periodo di cinque anni, pensato come periodo transitorio per permettere il delicato passaggio delle materie individuate al Primo Pilastro, vide l'applicazione di regole procedurali particolari37.

Non tutti gli Stati membri si mostrarono entusiasti di fronte all'assorbimento nell'ambito dell'azione comunitaria delle materie prima riservate alla competenza esclusiva degli Stati; all'interno del Trattato di Amsterdam fu disciplinato l'istituto degli opting out, cioè della “scelta di rimanere fuori”, che è stata esercitata da Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. Proprio a causa della differenziazione tra regimi applicabili in materia di immigrazione, fu introdotto il meccanismo istituzionale della cooperazione rafforzata, che permetteva alla maggioranza degli Stati membri come minimo, di avviare una iniziativa comune anche quando vi fosse una minoranza di Paesi non interessata a parteciparvi. Questo, per superare eventuali situazioni di paralisi che si sarebbero potute generare a causa dell'opposizione di alcuni Stati alle proposte di altri, intenzionati a instaurare una cooperazione più stretta in determinate aree comprese tra i settori dell'Unione.

La seconda novità principale introdotta ad Amsterdam fu l'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione Europea, avvenuta attraverso il protocollo n. 2 allegato al trattato. Le disposizioni relative alla cooperazione di polizia furono inserite nel Terzo Pilastro, mentre le disposizioni sulla libera circolazione delle persone e sulla soppressione dei controlli alle frontiere interne furono ricomprese nel Primo Pilastro. Fu previsto anche in questo caso un periodo transitorio di cinque anni, in cui furono applicate regole procedurali eccezionali.

Dopo più di dieci anni dall'entrata in vigore dell'Atto Unico europeo e

37 Gli Stati membri disponevano del diritto di iniziativa e le decisioni erano prese all'unanimità, quindi soggette al diritto di veto dei singoli Stati. Una volta trascorsa questa prima fase, la Commissione guadagnò un maggior ruolo propositivo, il Parlamento e il Consiglio cominciarono a esercitare un potere decisionale, le decisioni erano caratterizzate dalla maggioranza qualificata e dalla vincolatività, infine la Corte di giustizia estese il controllo sulla loro applicazione.

dalla conclusione degli Accordi di Schengen, si giunse, grazie alle deroghe al diritto comunitario sopra illustrate, alla comunitarizzazione della politica in materia di immigrazione.

Anche in materia di asilo si registrarono significativi passi avanti: dopo sette anni dalla sua firma, nel 1997 entrò in vigore la Convenzione di Dublino, attraverso la quale si introdusse un meccanismo di determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea, e si dette risposta, mediante la previsione di criteri di competenza determinati, a due problematiche di difficile soluzione: la prima relativa alle “domande multiple” e cioè le richieste presentate dalla stessa persona a più Stati, la seconda relativa alla possibilità che i richiedenti asilo fossero rimandati da uno Stato all'altro per controversa competenza38.

Alla fine degli anni novanta iniziò a delinearsi l'indirizzo della politica comune in materia di immigrazione, grazie ai sempre più frequenti e approfonditi interventi da parte delle istituzioni europee sul tema. Tra i tanti, la proposta presentata al Consiglio Europeo di Vienna del 4 dicembre 199839, le conclusioni raggiunte all'esito del Consiglio

europeo straordinario tenutosi a Tampere nell'ottobre del 199940 per il 38 Il fenomeno è stato riassunto significativamente nella formula “rifugiati in orbita”. La Convenzione prevede, agli artt. 4, 5, 6, 7, 8 una serie articolata di criteri in base ai quali è determinata la competenza degli Stati membri a esaminare le richieste di asilo. La Convenzione fu sostituita nel 2003 dal Regolamento di Dublino II, 2003/343/CE, e nel 2013 dal regolamento di Dublino III, 2013/604/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Quest'ultimo prevede una disciplina basata sullo stesso principio dei precedenti: il primo Stato membro in cui vengono memorizzate le impronte digitali o viene registrata una richiesta di asilo è responsabile della richiesta d'asilo di un rifugiato.

39 La proposta seguì l'invito, formalizzato nel documento conclusivo del Consiglio Europeo tenutosi a Cardiff nel giugno 1998, indirizzato a Commissione e Consiglio, per l'elaborazione di un piano d'azione che indicasse “il miglior modo per attuare le disposizioni del trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. All'interno del documento furono definite le priorità comuni e furono previsti provvedimenti da adottare a breve e a più lungo termine. Tra questi ultimi veniva prevista la necessità di migliorare le possibilità di allontanamento delle persone alle quali non fosse stato concesso il diritto di soggiorno, mediante un più adeguato coordinamento nell'attuazione delle clausole di riammissione e lo sviluppo di relazioni ufficiali europee sulla situazione nei Paesi d'origine.

40 Il Consiglio individuò quattro punti lungo i quali si sarebbe dovuta sviluppare la politica europea in materia di asilo e immigrazione: partenariato con i Paesi di origine, regime europeo comune in materia di asilo, equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi e gestione dei flussi migratori. Fondamentale fu la nuova prospettiva adottata nell'elaborazione delle linee guida: il Consiglio dimostrò di

periodo 1999/2004, il Programma dell'Aia, adottato dal Consiglio nel novembre del 2004 e valido per i cinque anni successivi, diretto a rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, cui fu data maggiore concretezza grazie al Piano d'azione predisposto dal Consiglio e dalla Commissione, che si occupò di definire i tempi per l'esecuzione delle misure in esso previste. Nel dicembre 2005, all'esito del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles, fu decisa l'adozione del c.d. “approccio globale” in materia di migrazione: preso atto della crescente importanza delle questioni migratorie per l'UE e i suoi Stati membri e del fatto che i recenti sviluppi avevano accresciuto la preoccupazione dell'opinione pubblica sul tema, sottolineava “la necessità di un approccio equilibrato, globale e coerente”, che considerasse tutti gli aspetti del fenomeno migratorio, comprese le politiche di lotta all'immigrazione clandestina e quelle di regolamentazione della migrazione regolare, nell'ambito delle quali un ruolo decisivo veniva riconosciuto alla cooperazione con i Paesi terzi. Nel 2008 il Consiglio europeo approvò il Patto europeo sull'immigrazione e sull'asilo. Muovendo dalla considerazione per cui le migrazioni internazionali sono una realtà stabile e non priva di effetti positivi sull'economia dell'Unione europea, sulla ricchezza culturale degli Stati e sullo sviluppo dei Paesi di provenienza, il documento riconosceva come “nel contempo non realistica e pericolosa” l'ipotesi di un'immigrazione zero. Da qui l'esigenza di giungere all'applicazione di una politica comune in materia di immigrazione e di asilo che, nonostante i reali progressi compiuti fino a quel momento, necessitava di ulteriori passi avanti41.

aver compreso come il fenomeno migratorio dovesse essere disciplinato attraverso norme necessariamente connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei Paesi e delle regioni di origine e di transito. Venne sottolineata la necessità di migliorare le politiche di integrazione sociale degli stranieri, di rafforzare la legislazione con disposizioni a favore della non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale, e di introdurre misure contro il razzismo e la xenofobia. Tra le conclusioni anche l'auspicio di pervenire entro breve termine all'istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, allo scopo di garantire maggiore uniformità, certezza ed equità nel riconoscimento dello status di rifugiato, nel rispetto rigoroso della Convenzione di Ginevra. Il controllo e la repressione rimasero centrali nella lotta all'immigrazione clandestina, ma si potenziarono anche altri strumenti come quello dell'informazione e diffusione dei canali legali di immigrazione e della collaborazione con i Paesi di provenienza, attraverso l'istituto degli accordi di riammissione. Nessun richiamo venne fatto ai centri di permanenza temporanea, anch'essi concepiti come strumento utile di facilitazione delle espulsioni, né si dettero indicazioni in merito a politiche comuni in tema di espulsione. Un primo importante intervento in tal senso si ebbe con la Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi.

41 Nello specifico, vennero individuati cinque impegni fondamentali, la cui concretizzazione sarebbe stata proseguita nell'ambito del successivo programma di Stoccolma del 2010: organizzare l'immigrazione legale tenendo conto delle

Nell'opera di costruzione del quadro giuridico europeo oggi vigente rispetto all'immigrazione, fondamentali sono state le novità introdotte dal Trattato di Lisbona. Come noto, il trattato ebbe origine alla fine del 2001 come progetto costituzionale, ma il tentativo di adottare una Costituzione per l'Europa che sostituisse i trattati istitutivi fallì a causa dell'insuccesso del processo di ratifica42. Il progetto di modifica dei

trattati fu ripreso nel 2007: nel giugno di quell'anno il Consiglio europeo adottò un mandato dettagliato per una successiva Conferenza intergovernativa, la quale, convocata a Lisbona, concluse i lavori in ottobre e presentò un testo che, firmato il 13 dicembre 2007, fu ratificato non senza alcune difficoltà da tutti gli Stati membri ed entrò in vigore il primo dicembre 2009.

Il trattato che istituisce la Comunità europea prese il nome di “Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea” (TFUE), mentre il termine “Unione” sostituì la parola “Comunità”, diventandone il successore sul piano giuridico. Il trattato di Lisbona organizzò e chiarì le competenze dell'Unione, suddividendole in tre categorie distinte: la competenza esclusiva, in base a cui solo l'Unione può emanare leggi dell'UE, mentre gli Stati membri si limitano alla messa in atto; la competenza concorrente, in base a cui gli Stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria competenza; e la competenza di sostegno, in base a cui l'UE adotta misure volte a sostenere o a completare le politiche degli Stati membri. L'abbandono della precedente struttura a pilastri ha avuto il merito di superare la frammentazione dell'azione normativa tra pilastro comunitario e cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, determinando una generalizzata estensione alle materie dell'immigrazione e dell'asilo della procedura legislativa ordinaria.

In base agli articoli 79 e 80 del TFUE “l'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la

priorità, delle esigenze e delle capacità di accoglienza stabilite da ciascuno Stato membro e favorire l'integrazione; combattere l'immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro Paese di origine o in un Paese di transito, degli stranieri in posizione irregolare; rafforzare l'efficacia dei controlli alle frontiere; costruire un'Europa dell'asilo; creare un partenariato globale con i Paesi di origine e di transito che favorisca le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo. Gli stessi principi furono confermati nel Programma di Stoccolma “Un'Europa aperta e sicura a servizio e a tutela dei cittadini”, comparso sulla Gazzetta Ufficiale C 115 del 4 maggio 2010, contenente le priorità dell'Unione fino al 2014.

42 In particolare, la fase di ratifica trovò un ostacolo insuperabile nell'esito negativo di due referendum sul trattato costituzionale tenutisi nel maggio e nel giugno 2005, rispettivamente in Francia e nei Paesi Bassi, a seguito dei quali il Consiglio europeo optò per un “periodo di riflessione” di due anni.

prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani”. Le politiche d'immigrazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. In particolare, per quanto riguarda la migrazione legale, spetta all'Unione la competenza di definire le condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi che entrano e soggiornano legalmente in uno degli Stati membri, anche a fini di ricongiungimento familiare; gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire i tassi di ammissione di persone straniere in cerca di lavoro. Relativamente al tema dell'integrazione, si stabilisce che l'Unione può fornire incentivi e sostegno a favore di misure adottate dagli Stati membri al fine di promuovere l'integrazione di cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente nel Paese; tuttavia, non è prevista alcuna armonizzazione degli ordinamenti e delle regolamentazioni degli Stati membri. Nell'ambito della lotta all'immigrazione clandestina, l'Unione si fa carico del compito di prevenire e ridurre l'immigrazione irregolare, in particolare attraverso un'efficace politica di rimpatrio, nel rispetto assoluto dei diritti fondamentali. Infine, si riconosce all'Unione la competenza di stipulare accordi con Paesi terzi ai fini della riammissione nel Paese di origine o di transito di cittadini di Paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri.

Grazie al Trattato di Lisbona, attualmente la procedura legislativa ordinaria si applica sia alle politiche di immigrazione clandestina che a quelle di immigrazione legale, il che rende il Parlamento colegislatore su un piano di parità con il Consiglio43. Infine, la Corte di giustizia ha

ora piena competenza in materia di immigrazione e di asilo.

Come ricordato dalle stesse norme del TFUE, l'azione delle istituzioni europee in materia di immigrazione e asilo, e del resto in ogni altro settore, deve assicurare il rispetto dei diritti umani fondamentali, quali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Inoltre, in virtù del nuovo art. 6 par. 1 del trattato sull'Unione europea, così come modificato dal Trattato di Lisbona, “l'Unione