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L’evergetismo

“Fenomeno collocabile tra il politico, l’economico e il sociale, l’evergetismo occupava un posto essenziale nella vita delle comunità. Il termine è un neologismo contemporaneo che indica l’atteggiamento munifico e i benefici (evergesie) degli individui verso la collettività. […] Questa dimensione civica è fondamentale e distingue l’evergetismo da altre forme di generosità, giustificate dalla pietà religiosa, dalla carità o dal mecenatismo, così come dai benefici legati alle relazioni personali”164.

L’evergetismo è un fenomeno che viene considerato, per l’età romana, uno dei principali aspetti della civilizzazione delle varie città e spesso ne abbiamo indicazioni attraverso la documentazione epigrafica, in quanto i promotori di iniziative benefiche considerarono sempre di primaria importanza siglare ogni atto evergetico con iscrizioni recanti il proprio nome. Tra gli ambiti maggiormente oggetto di fenomeni di evergetismo rientrano sicuramente le realizzazioni degli spazi ludici, ma soprattutto dei ludi che vi si tenevano. Queste costruzioni erano evidentemente considerate particolarmente adatte alla promozione politica: teatri, anfiteatri e circhi, edifici imponenti e situati spesso in una posizione di rilievo all’interno dell’orizzonte urbano, accoglievano un elevato numero di persone durante gli spettacoli, che avevano luogo, per lo più, in occasione delle feste previste dal calendario cittadino. La cavea ospitava nella parte inferiore i ceti più agiati e in quella superiore, progressivamente, quelli subalterni. La presenza di un pubblico così eterogeneo, quindi, permise agli evergeti di rapportarsi a spettatori appartenenti a tutte le classi sociali. Gli appartenenti alla classe dirigente e, ancor di più, coloro che ispiravano a farne parte, trovarono in questi edifici le condizioni ideali per esaltare il proprio nome, proporsi come personaggi di rilievo nella comunità e predisporre al successo se stessi e i propri discendenti165.

L’espressione panem et circenses fu coniata dal poeta satirico Giovenale verso la fine del I sec. d.C. e utilizzata per descrivere la politica degli imperatori romani nei confronti della popolazione. Questa formula, condivisa anche da altri autori contemporanei a Giovenale,

164 Jacques – Scheid 2001, p. 416. 165 Mingoia 2004, pp. 219-220.

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sintetizza alcuni elementi fondamentali della struttura della società romana in età imperiale: da un lato le distribuzioni di grano e denaro, dall’altra i giochi organizzati come distrazione per il popolo. Questa situazione, tuttavia, non emerse solamente in età imperiale o attraverso personalità di spicco quali Cesare ed Augusto. Già nel II sec. a.C., infatti, i magistrati e i privati cittadini avevano individuato nei munera e nelle elargizioni uno strumento per accrescere il favor populi, ossia la propria popolarità. Sin dall’età repubblicana, venivano celebrate ogni anno in onore di alcune divinità feste religiose tradizionalmente indicate come ludi pubblici. Si trattava generalmente di corse con i carri nei circhi e rappresentazioni teatrali. Queste manifestazioni erano presiedute e organizzate da magistrati annuali, edili e pretori, che ricevevano una somma fissa per realizzarle, ma spesso questa non bastava a coprire interamente i costi. Infatti, perché una festa risultasse grandiosa e venisse ricordata, edili e pretori si ritrovavano spesso ad elargire denaro proprio e sostenere parte della spesa. Una delle ragioni, e forse la più importante, alla base di tale atteggiamento da parte dei magistrati va ricercata nelle elezioni pubbliche. Infatti, il pubblico che prendeva parte agli spettacoli era costituito da potenziali elettori e per impressionarli i singoli edili e pretori cercavano di dimostrarsi più generosi di altri166. Nel

mondo romano veniva data grande importanza all’evergetismo ed essere considerati e ricordati come i primi ad aver offerto una determinata evergesia rappresentava un traguardo fondamentale. Molti furono i magistrati che finirono col sacrificare i propri patrimoni o che ricorsero ad altri espedienti, come estorcere denaro alle popolazioni assoggettate o alleate attraverso l’introduzione di nuove tasse167.

Attraverso gli spettacoli, poi, il singolo magistrato poteva capire e conoscere l’orientamento politico del pubblico. Egli, infatti, era tenuto a parteciparvi in prima persona e nella realizzazione dei vari eventi tendeva a far convergere l’attenzione su di sé, in modo da ottenere il più ampio consenso possibile. Questo si misurava in base agli applausi e al fervore con cui il pubblico accoglieva gli spettacoli. Successivamente alla morte di Cesare, i ludi pubblici acquisirono ben presto il valore di vere e proprie manifestazioni politiche: Bruto, infatti, cercò di renderli eventi in favore della repubblica, mentre Ottaviano li trasformò in manifestazioni in ricordo di Cesare. Tuttavia, è necessario sottolineare che i

166 Esemplificative e molto celebri, a tale proposito, furono le edilità di Scauro e Lucullo, sulle quali ci informa

Cicerone (Cic. De off., 2, XVI, 57).

167 Cicerone ricorda, a tal proposito, che Milone perse tre eredità nel tentativo di ingraziarsi la popolazione: “eam, quo

tutior esset vestra vita, se fecisse commemorat ut non modo virtute flecteret, sed etiam tribus suis patrimoniis deleniret; nec timet ne, cum plebem muneribus placarit, vos non conciliarit meritis in rem publicam singularibus”. (Cic. Pro Mil., XXXV, 95).

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vari magistrati di epoca repubblicana non offrirono spettacoli alla plebe con il solo fine di proseguire nel proprio cursus honorum. Accanto all’aspirazione al potere vi era, infatti, un altro elemento altrettanto importante, ovvero il prestigio. Senza di esso, il potere avrebbe perso valore e si sarebbe annullato il significato stesso di evergetismo168.

Sul finire del I sec. a.C. si registra un importante cambiamento nella società romana, con l’avvento di quella che è stata definita “l’era dei magnati e del trionfo del potere personale”169. In questo periodo, infatti, emersero delle grandi personalità che segnarono

poi le vicende della tarda repubblica: Pompeo, Cesare ed Ottaviano, i quali finirono col gestire direttamente lo Stato romano. E la più importante manifestazione del controllo diffuso che assunse con questi personaggi lo Stato è rappresentata dalle tradizionali elargizioni al popolo. L’evergetismo di Cesare e Ottaviano, infatti, appare completamente diverso rispetto a quello di un magistrato del II sec. a.C. Uno degli elementi differenti è rappresentato dall’aspetto economico: il denaro di cui disponeva un magistrato di questo periodo era nettamente inferiore rispetto ad un evergeta del I sec. a.C. Il primo, infatti, era limitato dal controllo serrato del Senato romano170, mentre il secondo, grazie alla situazione

di crisi in cui versava la Repubblica, aveva molte occasioni e possibilità per raggiungere il potere ed arricchirsi.

Uno dei principali personaggi che sfruttò i munera per favorire la propria carriera politica fu sicuramente Cesare. Egli, nel 65 a.C., poco dopo aver ottenuto la carica di edile, organizzò i suoi primi giochi, i quali, sebbene lontani dalla munificenza immaginata da Cesare stesso171, videro la partecipazione nell’arena di 320 coppie di gladiatori. Ciò gli procurò la

fama di generoso uomo politico e amico del popolo. Anche Cicerone riporta come Cesare incarnasse il modello di magnate ideale, ma anche come l’evergetismo rappresentasse il modo più semplice e diffuso per incrementare il proprio potere personale172. E sempre in

168 Veyne 1984, pp. 327-343; Weber 1986, pp. 7-8. 169 Così la definisce Veyne in Veyne 1984, pp. 411-412.

170 Abbiamo una testimonianza di ciò nelle Storie di Polibio, il quale riporta che “Il Senato ha prima di tutto il potere

amministrativo e controlla tutte le entrate e tutte le uscite” (Polyb. VI, 13.1).

171 Il progetto di Cesare fu ostacolato dal Senato, che, preoccupato dalla veloce ascesa di Cesare, promulgò una legge

che stabiliva il numero massimo di combattenti che ciascun organizzatore poteva presentare in uno spettacolo. Ci dà informazioni a riguardo un passo di Svetonio: “Adiecit insuper Caesar etiam gladiatorium munus, sed aliquanto

paucioribus quam destinaverat paribus; nam cum multiplici undique familia conparata inimicos exterruisset, cautum est de numero gladiatorum, quo ne maiorem cuiquam habere Romae liceret” (Svet. Iul., 10, 2).

172 “Quodsi non metuis viros fortis egregiosque civis, quod a corpore tuo prohibentur armis, tui te, mihi crede, diutius non ferent. Quae est autem vita dies et noctes timere a suis? Nisi vero aut maioribus habes beneficiis obligatos, quam ille quosdam habuit ex iis, a quibus est interfectus, aut tu es ulla re cum eo comparandus. Fuit in illo ingenium, ratio, memoria, litterae, cura, cogitatio, diligentia; res bello gesserat, quamvis rei publicae calamitosas, at tamen magnas; multos annos regnare meditatus, magno labore, magnis periculis, quod cogitarat effecerat; muneribus, monumentis, congiariis, epulis multitudinem imperitam delenierat; suos praemiis, adversarios clementiae specie devinxerat; quid

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Cicerone troviamo conferma dell’interesse di Cesare per i munera gladiatoria, in un passo delle Epistulae ad Atticum in cui si fa riferimento alla scuola per gladiatori che Cesare possedeva a Capua e nella quale venivano addestrati non meno di mille uomini173. Un altro

passo di Svetonio racconta come, il giorno precedente il passaggio del Rubicone, Cesare avesse partecipato ad uno spettacolo pubblico e si fosse occupato dei progetti per una scuola di gladiatori che aveva intenzione di costruire174. Entrambe queste testimonianze

dimostrano come i giochi gladiatori costituissero una vera passione per Cesare, il quale li sfruttò come strumenti per ottenere e garantirsi il favore del popolo. Un esempio eclatante di questa consuetudine assunta da Cesare è costituito dai cinque trionfi che egli celebrò nel 46 a.C.175 e che lasciarono una grande impronta nella memoria dei suoi contemporanei,

garantendogli un enorme appoggio da parte del popolo romano. Dalle testimonianze coeve spiccano l’enorme sfarzo di queste cerimonie176 e la pratica di offrire al popolo, in occasione

di trionfi, dei doni tra i quali i più amati erano i munera gladiatoria. Si può, quindi, affermare che Cesare godette di un grande appoggio e favore presso il popolo romano non solo grazie ai successi militari, ma anche alle cospicue elargizioni, soprattutto per quanto riguarda gli spettacoli ludici.

Che l’evergetismo in ambito ludico avesse un ruolo fondamentale per assicurarsi il consenso del popolo appare chiaramente dal fatto che il Senato cercò in tutti i modi di limitarne l’uso, al fine di ostacolare l’emergere di queste personalità. Oltre al provvedimento che stabiliva il numero massimo di gladiatori, un’iniziativa più autorevole fu opera di Cicerone: egli, durante il suo consolato del 63 a.C., fece approvare una legge, la lex Tullia

de ambitu, secondo la quale era proibito, per chiunque volesse concorrere a delle elezioni,

indire e organizzare spettacoli gladiatori nei due anni precedenti la candidatura. Tuttavia, anche questo provvedimento, come i precedenti, non fu applicato rigorosamente e gli

multa? Attulerat iam liberae civitati partim metu, partim patientia consuetudinem serviendi.” (Cic. Phil., II, XLV,

116).

173 “Gladiatores Caesaris qui Capuae sunt, de quibus ante ad te falsum ex Torquati litteris scripseram, sane commode Pompeius distribuit binos singulis patribus familiarum” (Cic. Att., VII, 14, 2).

174 “[…] et spectaculo publico per dissimulationem interfuit et formam, qua ludum gladiatorium erat aedificaturus, consideravit” (Svet. Iul., 31, 1).

175 I trionfi si riferiscono alle vittorie conseguite da Cesare in Gallia, Egitto, Ponto e Africa e il successo ottenuto nel

45 a.C. a Muda nei confronti dei Pompeiani.

176 Velleio Patroclo ci offre una descrizione dettagliata di queste celebrazioni nelle sue Historiae Romanae, riportando

che Cesare “magnificentissimisque gladiatorii muneris, naumachiae et equitum peditumque, simul elephantorum

certaminis spectaculis epulique per multos dies dati celebratione replevit eam.” Vell. II, 56, 1. (Rallegrò Roma con i

magnifici spettacoli di un combattimento tra gladiatori, di una naumachia e di una battaglia tra cavalieri e fanti, e insieme tra elefanti, e con la solennità di un pubblico banchetto offerto per parecchi giorni).

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spettacoli divennero in breve tempo l’occasione ideale per attuare manovre politiche, nonché sede di accesi contrasti tra Optimates e Populares.

In ogni caso, oltre a Cesare vi erano anche altri uomini politici interessati ad elargire doni al popolo sotto forma di spettacoli ludici: in occasione dei giochi funebri in onore del padre, per esempio, Gaio Scribonio Curione fece costruire due grandi teatri al fine di stupire il pubblico177, e lo stesso Pompeo fece uccidere oltre 500 leoni178 in soli cinque giorni di

spettacoli179.

Con l’avvento dell’età imperiale anche l’evergetismo subì una inevitabile trasformazione. In poco tempo, il princeps e la famiglia imperiale divennero gli unici evergeti di Roma: solo a loro era concesso offrire giochi e far costruire monumenti pubblici. La grande libertà dei magistrati, che aveva segnato la fase finale dell’età repubblicana, venne rapidamente ridimensionata. Nella capitale, quindi, il princeps si presentava come l’unico evergeta in grado di offrire spettacoli, dal momento che limitava le spese dei senatori e lo splendore dei ludi da loro offerti180. Queste evergesie erano motivo di vanto per la famiglia imperiale,

che dimostrava in questo modo ai concittadini tutto il suo potere181.

177 “Theatra iuxta duo fecit amplissima ligno, cardinum singulorum versatili suspensa libramento, in quibus utrisque antemeridiano ludorum spectaculo edito inter sese aversis, ne invicem obstreperent scaenae, repente circumactis ut constat, post primos dies etiam sedentibus aliquis, cornibus in se coeuntibus faciebat ampitheatrum gladiatorumque proelia edebat” (Plin. Nat. Hist. XXXVI, 117).

178 Ne abbiamo una citazione in Cassio Dione (Dio Cass., XXXIX, 38).

179 Syme 1974, pp. 314-331; Veyne 1984, pp. 411-420; Meier 1995, pp. 43-46; Fraschetti 2005, pp. 30-32, 66-79;

Jehne 2008, pp. 93-138.

180 A tale proposito, Cassio Dione riferisce dell’introduzione di un provvedimento nel 22 a.C. finalizzato a limitare le

esibizioni gladiatorie, per le quali non solo sarebbe stato necessario disporre dell’autorizzazione del Senato, ma che allo stesso tempo non si sarebbero potute ripetere più di due volte all’anno per mano della stessa persona. (Dio Cass. LIV, 2, 3-4).

181 Che fossero importanti nella politica del primo imperatore è dimostrato dal fatto che Augusto dedichi ben due

capitoli agli spettacoli da lui offerti nelle sue Res Gestae: “Ter munus gladiatorium dedi meo nomine et quinquiens

filiorum meorum aut nepotum nomine, quibus muneribus depugnaverunt hominum circiter decem millia. Bis

athletarum undique accitorum spectaculum populo praebui meo nomine et tertium nepotis mei nomine. Ludos feci meo nomine quater, aliorum autem magistratuum vicem ter et viciens. Pro conlegio XV virorum magister conlegii collega M. Agrippa ludos saeclares C. Furnio C. Silano cos. feci. Consul XIII ludos Martiales primus feci quos post id tempus deinceps insequentibus annis s.c. et lege fecerunt consules. Venationes bestiarum Africanarum meo nomine aut filiorum meorum et nepotum in circo aut in foro aut in amphitheatris populo dedi sexiens et viciens, quibus confecta sunt bestiarum circiter tria millia et quingentae. Navalis proeli spectaculum populo dedi trans Tiberim in quo loco nunc nemus est Caesarum, cavato solo in longitudinem mille et octingentos pedes, in latitudinem mille et ducenti, in quo triginta rostratae naves triremes aut biremes, plures autem minores inter se conflixerunt; quibus in classibus pugnaverunt praeter remiges millia hominum tria circiter.” Aug. RGDA 22-23. (Ho dato spettacoli di gladiatori, per

tre volte a mio nome e cinque volte a nome dei miei figli e nipoti, nei quali combatterono circa diecimila uomini. Due volte ho offerto al popolo a mio nome ed una volta a nome di mio nipote, spettacoli di atleti accorsi da ogni parte. Ho fatto giochi a mio nome per quattro volte, e ventitré volte a nome di altri magistrati. Come maestro del collegio dei Quindecemviri insieme al collega Agrippa ho fatto celebrare a nome del collegio i Ludi Saeculares, sotto il consolato di C. Furnio e C. Silano. Essendo console per la tredicesima volta, ho organizzato per primo i Ludi di Marte, che negli anni seguenti, per senatoconsulto i consoli organizzarono insieme a me. Ventisei volte ho dato al popolo, a mio nome o in quello dei miei figli e nipoti, cacce di bestie Africane, o nel circo, o nel foro o negli anfiteatri, nelle quali furono uccise circa tremilacinquecento fiere. Ho dato al popolo lo spettacolo di una guerra navale al di là del Tevere, dove ora è il bosco sacro dei Cesari, avendo fatto uno scavo di milleottocento piedi di lunghezza, per una larghezza di

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Per tutta la prima metà del I sec. d.C. non si hanno notizie di spettacoli gladiatori offerti da magistrati con risorse proprie. Solo a partire dal principato di Claudio i questori tornarono ad organizzare annualmente i munera, dividendo tra loro le spese. I combattimenti gladiatori, quindi, ebbero una storia ben distinta dai ludi scaenici e circenses, la cui realizzazione era già a partire da Augusto affidata ai pretori182. Inoltre, per la realizzazione

e l’organizzazione di queste manifestazioni, durante il I sec. d.C. vennero istituiti incarichi del tutto nuovi, affidati in parte a schiavi e liberti dell’imperatore, in parte a membri dell’ordine equestre183.

Questa situazione, però, riguardava principalmente la capitale. Nel resto delle città italiche e nelle altre province vi era uno scenario differente: spettacoli e costruzioni rimanevano, infatti, liberi. L’organizzazione dei munera spettava ai magistrati locali, i quali erano obbligati a spendere somme proprie più o meno consistenti. Già a partire da Augusto questi funzionari cominciarono ad essere indicati col titolo di munerarii. Ma come a Roma, anche nel resto dell’impero l’evergetismo dei privati in materia di spettacoli venne fin dall’inizio osteggiato con l’introduzione di vere e proprie leggi. Ad esempio, sotto Tiberio, venne emanato un provvedimento che vietava l’istituzione di giochi a coloro che avevano un patrimonio inferiore a 400.000 sesterzi184. In ogni caso, il cambiamento principale nel resto

dell’impero riguardò il fine stesso degli spettacoli. Questi, infatti, non vennero più utilizzati come strumenti del consenso a sostegno di un dato magistrato, per favorirne il cursus

honorum o il prestigio, ma divennero lo strumento del princeps per attuare la propria

propaganda su tutto il territorio romano. Le occasioni durante le quali venivano offerti dei giochi dai magistrati finirono con l’essere sempre in qualche modo ricollegabili alla famiglia imperiale: un augurio per la salute del princeps, il festeggiamento di ricorrenze all’interno della famiglia imperiale o di una vittoria. Si diffuse anche la prassi di lasciare per testamento alla propria città cospicue somme di denaro per l’organizzazione di spettacoli.

milleduecento, nel quale si affrontarono trenta navi rostrate, triremi o biremi, e parecchie minori. In queste flotte combatterono circa tremila uomini, oltre i rematori).

182 Per la legislazione augustea riguardo agli spettacoli si veda Svet. Aug., 44-45.

183 L’organizzazione amministrativa e tecnica degli spettacoli imperiali fu affidata al personale della ratio a

muneribus; vi erano dei funzionari a veste gladiatoria e venatoria competenti sui costumi di gladiatori e cacciatori ed

inoltre una ratio summi choragi per i macchinari e la coreografia. L’ufficio più importante divenne quello del Ludus

Magnus, la grande caserma gladiatoria di Roma, a capo del quale venne posto un magistrato equestre. Infine, i procuratores familiarum gladiatorum controllavano le numerose caserme sparse per tutto il territorio dell’impero.

(Gregori 2001, p. 18).

184 Abbiamo testimonianza di ciò in un passo di Tacito: “cautumque in posterum senatus consulto ne quis gladiatorium munus ederet cui minor quadringentorum milium res neve amphitheatrum imponeretur nisi solo firmitatis spectatae” (Tac. Ann., IV, 63).

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Con l’avvento del principato si assistette ad un incremento non solo dei munera gladiatoria, ma soprattutto dei ludi circenses. L’organizzazione di molti spettacoli che tradizionalmente si svolgevano nel circo risultò finalizzata alla celebrazione di eventi legati alla figura dell’imperatore e della sua famiglia. Tra questi i principali erano il dies natalis del princeps, i matrimoni, la nascita di eredi, le adozioni, gli anniversari della nomina ad imperatore, le vittorie, gli onori post mortem decretati al princeps e ai membri della famiglia imperiale, la commemorazione di eventi particolari185. Si trattava, in tutti questi casi, di feste dotate di

un preciso significato politico ed ideologico, in quanto connesse a concetti quali la Victoria imperiale e il rinnovamento perpetuo del tempo e dell’impero, la sua Aeternitas.

A causa dell’incrementarsi dei giorni riservati ai ludi circenses nel corso dell’età imperiale, assunse un ruolo di particolare rilievo, tra tutti gli spazi ludici, proprio il Circo. Esso venne, in questo periodo, spesso realizzato in luoghi frequentati più o meno assiduamente dall’imperatore. È rara, infatti, la sua edificazione in posti lontani dalla diretta presenza del

princeps. Al suo interno il circo prevedeva, al pari degli altri edifici da spettacolo, una

suddivisione dei posti basata sul rango degli spettatori. Inoltre, era sempre presente uno spazio espressamente dedicato all’imperatore, variamente indicato con i termini di pulvinar,

cenacula o cubiculum186. Tra questi sostantivi, assume una valenza particolare quello di

pulvinaria, il quale in origine indicava i cuscini su cui venivano deposte le immagini degli

dei nei templi. È probabile che Augusto e i suoi successori si siano serviti progressivamente