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Il rapporto con le mura

Tutte le città della Transpadana oggetto di questo studio risultano dotate di cinta murarie, anche se ne furono munite probabilmente più per motivi simbolici che difensivi. Le mura divennero infatti un simbolo delle nuove città romane a pieno titolo e, pur avendo perso quasi totalmente la loro funzione militare, mantennero il ruolo di confine giuridico e religioso della città. In un contesto come quello transpadano, dove gli indigeni vivevano per pagos

vicosque, la costruzione di città murate era stata una tappa fondamentale nel processo di

romanizzazione.

L’unico caso differente sembrerebbe essere quello di Eporedia, la quale, essendo stata fondata in un momento in cui non era ancora stata raggiunta la piena pacificazione con le popolazioni indigene, fu verosimilmente dotata di mura proprio al fine di difenderla da incursioni esterne. Ma questo è anche uno dei casi transpadani in cui risulta difficile ipotizzarne quasi del tutto l’andamento, tantoché alcune teorie sostengono che la cinta muraria non fosse presente lungo il lato a ridosso del fiume che scorre a sud dell’abitato (fig. 67). Anche altre città transpadane, però, presentano difficoltà nell’individuazione del percorso delle mura.

A Vercellae, per esempio, non vi sono resti delle mura di età repubblicana e anche quelli riferibili all’età imperiale sono molto scarsi e riguardano quasi esclusivamente il lato settentrionale della città. Attraverso numerosi studi è stato però possibile ipotizzarne l’andamento, servendosi, oltre che degli esigui rinvenimenti, anche di documenti medievali131 e confronti con le mura di epoche successive. Fortunato Guala ha individuato

quello che viene identificato come il più probabile percorso delle mura, basandosi sull’ipotesi sviluppata precedentemente da Giulio Cesare Faccio132 (fig. 23), il quale, però,

proponeva un fronte orientale che avrebbe escluso dalla cerchia romana importanti

130 Nardelli 2003, pp. 958-959.

131 Tra questi vi è un documento di Berengario II del 26 gennaio 913, conservato nell’archivio capitolare del Duomo di

Vercelli, nel quale Berengario Re d’Italia dona ai Canonici di S. Eusebio e di S. Maria Maggiore, insieme ad altre proprietà, la “corte Regia”, ossia una zona di terreno racchiusa fra un “murus antiquus” e un “murus novus”. Il primo corrisponderebbe, secondo gli studiosi, al muro di epoca romana, il secondo doveva appartenere all’epoca longobarda.

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monumenti, come il teatro ed il probabile tempio di Giove Capitolino. Si tratta però in entrambi i casi di ipotesi che non godono del sostegno di rinvenimenti archeologici133.

Anche Comum presenta una situazione complessa nell’identificazione del circuito murario. Nel corso degli studi, infatti, sono state avanzate diverse ipotesi. Federico Frigerio134, ad

esempio, sulla base dei rinvenimenti, ha elaborato un perimetro delle mura di età repubblicana che racchiuderebbero un’area rettangolare di 560x445 m. Ma un’ipotesi successiva, opera di Gianfranco Caniggia135, sostiene che non si sarebbe trattato di un

rettangolo, quanto di un quadrato e secondo questa teoria un intero quartiere a ridosso del lago, dove andrebbero localizzati anche gli edifici ludici, risulterebbe extramoenia. Bisogna però sottolineare che nessun resto archeologico conferma definitivamente questa ipotesi. In epoca imperiale, poi, la cinta muraria avrebbe subito un ampliamento, documentato da vari rinvenimenti databili a questo periodo (fig. 64)136.

133 Guala 2009, pp. 47-58. 134 Frigerio 1935, pp. 108-110. 135 Caniggia 1963, p. 44. 136 Gianoncelli 1974, pp. 87-93.

Figura 23: L’andamento della cinta muraria di Vercellae. In rosso l’ipotesi di Faccio, in verde la variante proposta da

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Comunque, in tutte le città transpadane appare certa la presenza delle mura, le quali nella maggior parte dei casi risultano rintracciabili. È quindi possibile analizzare il rapporto che esse ebbero con gli spazi ludici.

Tabella 6

Città

Teatro Anfiteatro Circo

Urb Extraurb Urb Extraurb Urb Extraurb

Augusta Praetoria T A Augusta Taurinorum T a Bergomum a Comum t A Eporedia T A Laus Pompeia T A Mediolanum T A C Ticinum t Vercellae A

Legenda: T, A, C = resti accertati ; t, a, c = esistenza presunta .

Come si evince dalla tabella 6, tutti i teatri documentati vennero realizzati all’interno del circuito murario, compresi i due esempi non archeologicamente rinvenuti di Ticinum e

Comum. In quest’ultimo caso, come detto, la collocazione del teatro intramoenia sarebbe

contraddetta dall’ipotesi del Caniggia, che però non presenta molti elementi a suo sostegno. Risulterebbe comunque sicuramente inglobato dal successivo ampliamento delle mura.

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Probabilmente, alla base di questa scelta, vi è il fatto che questa tipologia di edificio ludico venne realizzata o nei primi anni della colonia, come nel caso di Augusta Praetoria e

Comum, quando vi era disponibilità di spazio, oppure in un’area già prevista all’interno del

piano urbanistico. Infatti, in nessuno di questi casi sembra che il teatro sia sorto in seguito a demolizioni di edifici precedenti.

Una situazione ben diversa appare quella degli anfiteatri. In questo caso, infatti, la maggior parte degli edifici risulta edificata al di fuori della cinta muraria e anche nei casi in cui questi sorsero all’interno dell’impianto urbano, furono realizzati in una posizione decentrata, in un quartiere dedicato agli edifici ludici. Sia ad Augusta Praetoria, sia a Comum, sia a Laus

Pompeia, furono edificati, infatti, nelle vicinanze e in correlazione con il teatro della città.

È per questo motivo che secondo alcune ipotesi anche l’anfiteatro di Bergomum sarebbe sorto in un quartiere “da spettacolo”, benché manchino evidenze di un vicino teatro. Questo edificio, infatti, doveva trovarsi all’interno del circuito murario, il quale, secondo la teoria maggiormente accettata, inglobava anche il colle su cui è stato localizzato l’edificio ludico (fig. 63). Bisogna però sottolineare che in questa città non sono presenti resti evidenti delle mura e che il loro percorso risulta puramente ipotetico, supposto sulla base di indicazioni epigrafiche e rari resti archeologici.

In tutte le città della Transpadana, quindi, risultano avere sempre una posizione marginale. Le cause sono da riconoscersi nella diffusione relativamente tarda della tipologia edilizia e nella conseguente difficoltà di inserimento all’interno del tessuto urbano. Spesso, quindi, l’anfiteatro venne realizzato al di fuori delle mura, come nei casi di Augusta Taurinorum,

Eporedia, Mediolanum e Vercellae, in un sobborgo periferico dove risultava più facile

gestire l’afflusso delle masse di spettatori, il deflusso e anche la risoluzione di eventuali disordini. Inoltre, la scelta della collocazione potrebbe rispondere anche a canoni estetici. Sembra essere questo il caso di Eporedia, dove l’anfiteatro venne realizzato in una posizione scenografica, all’esterno della cinta muraria, lungo un pendio, con una strada realizzata a monte e il fiume a valle. Secondo Guido Achille Mansuelli137, la collocazione

extraurbana dell’anfiteatro ne faceva risaltare l’estensione e la mole, senza costringere gli edifici urbani ad un confronto diretto architettonico e dimensionale, da cui avrebbero potuto uscirne ridimensionati a causa del paragone con l’imponente massa di quell’edificio. Una situazione di compromesso sembra essere stato il caso di Augusta Praetoria. L’anfiteatro di questa città rientra, infatti, nel tipo cosiddetto “provinciale”, che era caratterizzato da una

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“emergenza poco emergente”138. Infatti, benché caratterizzato esternamente da una serie

di arcate, risultava in parte scavato nel terreno, innalzandosi per un’altezza non imponente. In questo modo, quindi, il confronto con gli edifici circostanti appariva in parte smorzato. Ma vi è un altro valore che avrebbero potuto assumere gli anfiteatri extramoenia, ossia, essendo rappresentativi dell’urbs romana e della sua cultura, è possibile che abbiano svolto anche un ruolo “prolettico” della città stessa139. A sfavore del posizionamento al di

fuori della cinta muraria vi è il fatto che una costruzione così imponente fuori le mura poteva rappresentare un pericolo in caso di assedio. Va detto, però, che nessuno di questi anfiteatri fu eretto in un’epoca di disordini o in cui fossero prevedibili pericoli esterni140.

Per quanto riguarda, invece, il circo, il suo rapporto con le mura è del tutto particolare. Appena venne edificato, alla fine del III sec. d.C., era situato all’esterno della cinta muraria di epoca repubblicana, benché vi sorgesse nelle immediate vicinanze, quasi a ridosso. Queste vennero poi ampliate in modo da comprendere anche il circo all’interno della cinta difensiva e vennero dotate di torri circolari. In questo caso, quindi, l’andamento stesso delle mura venne modificato a favore dell’edificio ludico. È probabile che l’intenzione fosse già dall’inizio quella di realizzarlo in posizione urbana e in stretta correlazione con il palazzo imperiale, ma la mancanza di spazi edificabili portò verosimilmente a questa soluzione, per la quale fu anche necessario spostare il corso del Seveso e demolire edifici preesistenti141.