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Topografia degli spazi ludici in Transpadana

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Archeologia

TOPOGRAFIA DEGLI SPAZI LUDICI

IN TRANSPADANA

Relatore:

Prof. Fabio FABIANI

Correlatore:

Prof.ssa Fulvia DONATI

Elaborato finale di:

Ambra ROMAN

Matricola 510914

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INDICE

INTRODUZIONE ... 5 CAPITOLO PRIMO

Inquadramento storico ... 8

CAPITOLO SECONDO

La romanizzazione della Transpadana ... 18

2.1 La viabilità ... 24

2.2 L’urbanizzazione delle città ... 28

CAPITOLO TERZO

Topologie e confronti degli spazi ludici Transpadani ... 38

3.1 I teatri ... 40

3.2 Gli Anfiteatri ... 51

3.3 Il Circo ... 63

CAPITOLO QUARTO

Gli edifici da spettacolo e la città ... 69

4.1 Il rapporto con le mura ... 72

4.2 Il rapporto con la viabilità ... 76

4.3 I teatri e il foro ... 82

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CAPITOLO QUINTO

Gli spazi ludici come strumenti del consenso ... 88

5.1 L’evergetismo... 88

5.2 Gli atti di evergetismo attraverso i documenti epigrafici... 96

5.3 L’apparato decorativo degli edifici ludici transpadani ... 98

5.4 I rinvenimenti statuari ... 109

CAPITOLO SESTO

Le trasformazioni degli edifici ludici nella tarda antichità ... 111

CAPITOLO SETTIMO

Conclusioni ... 116

APPENDICE ... 121

Scheda n.1: Augusta Praetoria, Anfiteatro ... 122

Scheda n.2: Augusta Praetoria, Teatro ... 125

Scheda n.3: Augusta Taurinorum, Anfiteatro ... 129

Scheda n.4: Augusta Taurinorum, Teatro ... 131

Scheda n.5: Bergomum, Anfiteatro ... 135

Scheda n.6: Comum, Anfiteatro ... 136

Scheda n.7: Eporedia, Anfiteatro ... 139

Scheda n.8: Eporedia, Teatro ... 142

Scheda n.9: Laus Pompeia, Anfiteatro ... 145

Scheda n.10: Laus Pompeia, Teatro ... 147

Scheda n.11: Mediolanum, Anfiteatro ... 149

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Scheda n.13: Mediolanum, Teatro ... 158

Scheda n.14: Ticinum, Teatro ... 162

Scheda n.15: Vercellae, Anfiteatro ... 164

SIGLE E ABBREVIAZIONI ... 167

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Introduzione

Il presente lavoro si propone di analizzare gli edifici ludici attestati in Traspadana e il ruolo che essi ebbero all’interno delle singole città, sia dal punto di vista topografico che simbolico.

Si è scelto di prendere in considerazione il territorio della Regio XI Transpadana, che, pur avendo subito in epoca preromana vicende ed evoluzioni differenti, è stato poi unificato dai romani ed ha avuto uno sviluppo uniforme per quasi tre secoli, fino alle trasformazioni amministrative iniziate sotto Diocleziano. All’interno di questo territorio sono stati analizzati i centri dove la presenza di edifici ludici è confermata da dati diretti, come ad esempio resti archeologici visibili, o indiretti, come epigrafi o citazioni in testi anche successivi, ma di cui è stato possibile ipotizzare con una certa sicurezza la localizzazione. Per questo motivo non è stato preso in considerazione al fine dell’analisi il centro antico di Novaria, per il quale disponiamo esclusivamente di una testimonianza medievale che ricorderebbe l’esistenza di un anfiteatro1, altrimenti non noto, ma che non ci permette di avere abbastanza

indicazioni sul sito di erezione e sulla struttura di tale edificio. Anche il teatro di Comum è stato preso in considerazione solo marginalmente, in quanto presenta una situazione di incertezza simile, non supportata da alcun dato archeologico2. È stato invece inserito

nell’analisi il centro di Bergomum, benché il suo territorio sia stato poi compreso sotto Diocleziano all’interno della vicina Regio X Venetia et Histria, in quanto al momento dell’edificazione dell’anfiteatro risultava essere parte dell’area transpadana.

L’analisi di questi edifici ha presentato alcune difficoltà, dovute in gran parte alla situazione lacunosa della Transpadana sotto molti punti di vista. In parecchi casi, infatti, non sono stati rinvenuti resti dell’alzato degli edifici e ciò ne complica lo studio, soprattutto in relazione alla scena dei teatri che in nessun caso risulta ricostruibile o ipotizzabile. Questa mancanza di dati non è supportata neanche da rinvenimenti epigrafici o statuari importanti, per cui risulta difficile ipotizzare non solo le strutture, ma anche le circostanze che portarono alla loro realizzazione.

La prima parte del lavoro è stata dedicata a un inquadramento storico del territorio in esame: il primo capitolo, “Inquadramento storico”, costituisce infatti un’introduzione sulle vicende della Regio XI, dall’età preromana alla tarda antichità, mentre il secondo, “La

1 Si tratta di un documento medievale secondo cui il vescovo Ottone nel 1064 avrebbe trasformato in vigna un terreno

precedentemente noto col nome di arena. (Tosi 2003, p. 577).

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romanizzazione della Transpadana”, analizza i complessi processi di trasformazione al contatto con Roma, da un punto di vista culturale e urbanistico.

Il lavoro propedeutico all’analisi architettonica degli edifici ludici della regione e allo studio del loro ruolo nell’articolazione degli spazi urbani è consistito nella raccolta di tutti i dati editi. La formula migliore per gestire una considerevole mole di informazioni è stata quella di redigere per i diversi monumenti schede analitiche opportunamente strutturate. Queste sono state raccolte in un’appendice che correda l’elaborato. Per ciascun edificio sono state registrate informazioni sulle le dimensioni, la tecnica edilizia, la cronologia, la posizione all’interno della città antica, il contesto geomorfologico su cui l’edificio si è impostato, laddove questo presenti caratteristiche importanti al fine dell’analisi, e una breve descrizione del monumento. Sono poi state inserite immagini riferibili ai singoli edifici, la loro pianta, il contesto topografico antico e quello attuale e, dove possibile, la ricostruzione ipotetica.

La rielaborazione dei dati raccolti ha permesso di effettuare un confronto tra le singole tipologie architettoniche attestate nei vari centri nel terzo capitolo, “Tipologie e confronti degli spazi ludici transpadani”, consentendo di rilevare costanti e differenze.

Nel quarto capitolo, “Gli edifici da spettacolo e la città”, l’attenzione si è rivolta invece all’analisi del rapporto tra gli edifici per spettacolo e il contesto urbano, esaminando le relazioni con le mura, la viabilità e il foro.

Il quinto capitolo, “Gli spazi ludici come strumenti del consenso”, affronta il tema dell’evergesia pubblica e privata nelle realizzazioni di queste importanti opere in grado di catalizzare il consenso popolare verso i personaggi che se ne facevano promotori.

Nel sesto capitolo, “Le trasformazioni degli edifici ludici nella tarda antichità” è stata analizzata la vita più o meno prolungata di questi monumenti in rapporto alla continuità della pratica dei giochi e delle rappresentazioni, fino alla loro dismissione e alle nuove destinazioni d’uso nel contesto della città tardo antica e alto medievale.

Nell’ultimo capitolo, “Conclusioni”, si tratteggiano infine i caratteri peculiari di questa tipologia di edifici all’interno della Traspadana, evidenziando il ruolo che questi hanno svolto nella caratterizzazione dei centri urbani della regione.

Ai fini della ricerca svolta nel presente lavoro, sono stati fondamentali alcuni testi. Tra questi, risulta ancora di grande rilevanza il catalogo realizzato da Tosi (Tosi 2003), l’opera di Maggi sugli anfiteatri (Maggi 1987) e il recente studio di Viccei sui teatri e la loro valorizzazione, in particolare lombardi (Viccei 2014). A questi testi si aggiunge la grande

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importanza apportata dai nuovi dati emersi da studi e scavi recenti e documentati nel Notiziario della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e nei Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, soprattutto in riferimento alle nuove evidenze che riguardano i casi di Laus Pompeia, Eporedia e l’anfiteatro di Mediolanum, ancora oggetto di nuove scoperte.

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Capitolo primo

Inquadramento storico

Con il termine Transpadana si intende l’area geografica corrispondente agli attuali territori della Valle d’Aosta, del Piemonte settentrionale e della Lombardia, con l’esclusione dei territori di Brescia, della Val Camonica, di Mantova e Cremona.

Dalla conquista romana fino al momento della sua annessione a tutti gli effetti nel territorio dell’Italia romana, quest’area era compresa nella provincia della Gallia Cisalpina, al suo interno divisibile tra la Gallia Transpadana, corrispondente ai territori a nord del Po, e la Gallia Cispadana, ossia i territori a sud del Po3. In età imperiale, dopo la riforma augustea

che, intorno al 7 d.C., divise l’Italia in undici regiones, fu costituita la regio XI Transpadana, i cui confini erano rappresentati a nord dalle Alpi, a sud dal Po e ad est dal fiume Oglio che divideva questa regio dalla regio X Venetia et Histria (fig. 1).

Figura 1: Divisione dell'Italia settentrionale in Regiones. (da Grassi 2009, p. 64, fig. 2.52).

Il confine orientale della provincia Transpadana, però, subì un cambiamento con la riorganizzazione territoriale voluta da Diocleziano, che vide l’estendersi della vicina regio

X fino al fiume Adda. In conseguenza di ciò, il centro romano di Bergomum entrò a far parte

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della regio X Venetia et Histria4 e la sua storia in età tarda si distaccò da quella della

Transpadana.

Le indagini archeologiche dimostrano che vari centri dell’Italia settentrionale raggiunsero, durante la prima età del Ferro, un assetto proto urbano che andò poi evolvendosi anche grazie all’apporto, a partire dalla fine del VI secolo a.C., dell’influenza etrusca. Questo processo risentì però delle invasioni celtiche degli inizi del IV secolo a.C., anche se in misura differente, ossia poco avvertibile nei territori veneti rimasti indipendenti e poco accentuata nei territori di influenza etrusca, mentre nelle zone divenute insubri e cenomani l’evoluzione degli insediamenti sembra aver subito un arresto.

La situazione che riscontrarono i Romani quando entrarono in contatto con l’area transpadana5 (fig.

2) ci è in parte nota grazie alle fonti più o meno contemporanee di Polibio e Catone. Polibio, però, fornisce dati incompleti e contraddittori, dal momento che durante la descrizione delle regioni padane,

contenuta nell’excursus del II libro delle Storie, non nomina alcun insediamento ligure, etrusco o veneto, cita i Galli solo in riferimento a Mediolanum, e il suo interesse sembra rivolto quasi solo ai Celti. Catone, invece, nelle Origines, per quanto si capisce dai passi del II libro citati da Plinio il Vecchio, dedicava un ampio frammento ad un territorio corrispondente agli attuali Piemonte orientale e Lombardia occidentale e centrale menzionando molti insediamenti, quali Vercellae, Novaria, Comum e Bergomum, dei quali altrimenti la tradizione letteraria tacerebbe quasi completamente6.

4 Questo cambiamento è provato dal rinvenimento del miliare di Verdello, posto nel territorio di Bergamo e in cui gli

abitanti stessi si definiscono della Venetia. Si veda a riguardo Fortunati Zuccala 1990, p. 160 e Cardillo 2014, pp. 38-39.

5 La prima volta in cui l’esercito romano si spinse oltre il Po avvenne nel corso della guerra Gallica, iniziata con la

battaglia di Talamone del 225 a.C. e conclusasi con la vittoria romana nella battaglia di Clastidium del 222 a.C.

6 Bandelli 1990, pp. 251-255; Bandelli 2007, p.16.

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Roma ottenne il controllo totale delle regioni padane attraverso un lungo processo, iniziato in seguito alla vittoria conseguita a Clastidium nel 222 a.C. dall’esercito romano guidato da Marco Claudio Marcello contro gli Insubri. In seguito a questo successo, i Romani decisero un intervento diretto sul territorio padano con la creazione di due prime colonie sul Po, ossia Cremona e Piacenza, fondate entrambe nel 218 a.C.

Con lo scoppio della seconda guerra punica e dell’insurrezione degli Insubri e dei Boi a favore di Annibale ci fu un arresto nella politica espansionistica di Roma, rallentata poi, una volta conclusasi la guerra, anche dalla generale rivolta dei Galli Cisalpini7, a cui aderirono

non soltanto Boi ed Insubri, tradizionali nemici, ma anche alleati di Roma come i Cenomani. La risoluzione dei vari conflitti portò conseguenze diverse alle molteplici comunità indigene. Alcune scomparvero, come quella dei Galli Senoni, annientati dai Romani, e dei Galli Boi, costretti ad emigrare per la maggior parte verso l’Europa centrale dopo la sconfitta del 191 a.C.8; altre rimasero nei loro territori, come i Cenomani e gli Insubri, sottomessi

rispettivamente nel 197 a.C. i primi, e fra il 197 e il 194 a.C. i secondi.

Ad ognuna delle popolazioni indigene fu imposto un foedus con la riduzione, in alcuni casi, ad ager publicus popoli romani di vaste zone del loro territorio, soprattutto in cispadana, creando così le condizioni per nuove fondazioni coloniarie.

Per quanto riguarda, invece, la zona transpadana, l’intervento romano fu meno radicale, con la creazione di un numero inferiore di colonie. In quest’area persino i Galli Insubri, colpevoli di una resistenza non meno tenace di Senoni e Boi, sopravvissero agli interventi romani senza subire grandi cambiamenti e mantenendo quasi integralmente i propri territori.

Sostanzialmente, per l’area transpadana possiamo distinguere tre momenti fondamentali: quelli del 218, del 181 e del 100 a.C., date di fondazione rispettivamente di Cremona e Aquileia, colonie latine9, e di Eporedia, colonia romana10. L’installazione di queste tre

colonie e la probabile crescita di immigrazione spontanea ebbe conseguenze sui centri indigeni. Benché si abbiano scarne informazioni di un riordino territoriale e nonostante si

7 Quando nel 202 a.C. ebbe fine la seconda guerra punica, le popolazioni della Gallia Cisalpina continuarono la rivolta

dando vita a una serie di battaglie che durarono fino circa al 191 a.C.

8 Nel 191 a.C. il console Publio Cornelio Scipione Nasica affrontò i Boi e li sconfisse definitivamente, celebrando il

trionfo di cui vi è traccia nei Fasti.

9 Le colonie di diritto latino erano colonie che godevano dei soli diritti civili, non di quelli politici, avevano una certa

autonomia amministrativa con magistrati locali, ma erano legate a Roma da alleanze che prevedevano soprattutto l’obbligo di fornire truppe in caso di necessità.

10 Le colonie di diritto romano erano costituite da coloni che mantenevano la piena cittadinanza romana, continuando a

godere anche dei diritti politici, erano considerate parte integrante dello stato romano e amministrate direttamente da Roma.

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possa osservare come gli insediamenti preesistenti di questa regione siano rimasti tagliati fuori dalla viabilità pubblica romana, si può affermare che centri come Mediolanum,

Vercellae, Novaria e Comum iniziarono a romanizzarsi11.

Nel corso del I sec. a.C. alcuni provvedimenti legislativi contrassegnarono il passaggio, per l’intera area della Cisalpina, dalla fase della romanizzazione alla piena romanità, facendo in modo che venisse gradualmente inserita nello stato romano.

Il primo di questi provvedimenti fu una lex Pompeia12 (dal nome del console Gneo Pompeo

Strabone, padre di Gneo Pompeo Magno) dell’89 a.C. che conferì alle comunità indigene lo ius latii, ossia il diritto latino, e pose le premesse per la trasformazione dei loro centri più importanti in colonie latine13. Questo cambiamento avvenne senza l’immissione di alcun

elemento esterno, motivo per cui vengono spesso definite “colonie fittizie”14. Riguardo a

questo fenomeno non conosciamo, però, esattamente quali insediamenti ottennero questa trasformazione.

Durante lo studio dei possibili cambiamenti apportati dalla lex Pompeia, si era erroneamente creduto che essa avesse significato un completo riassetto urbanistico, un adeguamento delle magistrature locali ad un sistema con al vertice un duovirato e l’assunzione del latino come lingua ufficiale. Tuttavia, per nessun centro, ad esclusione di Brescia e in parte Milano, si hanno indizi di una significativa ristrutturazione urbanistica in questo periodo; non si hanno documentazioni riguardo ad una possibile costituzione di tipo duovirale, ma anzi una rilettura di una parte del fragmentum Atestinum15 sembra attestare

che le magistrature locali continuarono a sussistere; tutte le fonti epigrafiche a nostra disposizione, quasi esclusivamente private, documentano tuttalpiù una situazione di bilinguismo.

11 Grassi 2009, pp. 59-60; Bandelli 1990, pp.255-260; Bandelli 2007, pp.18-22.

12 La legge viene comunemente chiamata Lex Pompeia de Transpadanis o anche Lex Pompeia de Gallia Citeriore. 13 Abbiamo notizie di questo avvenimento tramite un brano di Asconio: “Neque illud dici potest, sic eam coloniam esse deductam quemadmodum post plures aetates Cn. Pompeius Strabo, pater Cn. Pompei Magni, Transpadanas colonias deduxerit. Pompeiu senim non novis colonis eas constituit sed veteribus incolis manentibus ius dedit Latii, ut possent habere ius quod ceterae Latinae coloniae, id est ut petendi magistratus civitatem Romanam adipiscerentur.”

Asc. In Pis. 3 (Né si può sostenere che quella colonia sia stata dedotta nello stesso modo in cui molto tempo dopo Gneo Pompeo Strabone, padre di Gneo Pompeo Magno, dedusse le colonie Transpadane. Pompeo infatti non le fondò con nuovi coloni, ma concesse ai precedenti abitanti residenti il iusLatii, affinché potessero avere il diritto proprio delle altre colonie latine, vale a dire che i magistrati, regolarmente eletti, conseguissero la cittadinanza romana).

14 Prima di questa lex, la creazione di colonie latine avveniva con la realizzazione ex novo di un insediamento urbano

nel quale venivano portati dei coloni a cui venivano assegnate delle terre divise tramite i rituali gromatici.

La bibliografia che tratta delle cosiddette colonie “fittizie” o “nominali” è piuttosto ampia, a partire da Luraschi 1983, pp. 261-326.

15 Il Fragmentum Atestinum è una lastra in bronzo rinvenuta ad Este che restituisce due capita di una lex, non

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Per quanto riguarda l’evoluzione urbanistica e amministrativa dei centri indigeni, l’unico caso su cui si abbiano delle notizie, grazie alla testimonianza di Strabone e ad alcuni passi di Cicerone, Plutarco, Svetonio e Appiano, è quello di Comum. Questo oppidum doveva essere situato sulle alture a sud-ovest dell’attuale lago di Como. Devastato tra il 94 e l’88 a.C. dai Reti e successivamente ricostituito da Gneo Pompeo Strabone, fu inizialmente una delle colonie latine “fittizie”. Più avanti, nel 77 a.C., Lucio Cornelio Scipione Asiatico Emiliano, uno dei figli di Marco Emilio Lepido che operava come legatus del padre in Cisalpina, avrebbe insediato qui un contingente di 3000 coloni, spostando l’insediamento sulle rive del lago. Infine, sotto Cesare, nel periodo compreso tra il 58 e il 57 a.C., sarebbe avvenuta la deduzione della nuova colonia latina di Novum Comum.

La lex Pompeia del 89 a.C. fu un passo fondamentale per la Transpadana, benché il contenuto della legge sia ancora dibattuto dagli studiosi. Quello che sembra certo, basandosi su un brano di Asconio, è che comprendesse lo ius adipiscendae civitatis per

magistratum16, ossia la concessione alla popolazione locale della possibilità,

amministrando una magistratura nella propria città, di acquisire la civitas romana. In questo modo Roma avvicinava a sé le élites municipali delle realtà maggiormente urbanizzate, rendendo contemporaneamente la Transpadana dotata di un peso politico non indifferente. L’elargizione della cittadinanza romana divenne uno strumento fondamentale utilizzato da Roma nei rapporti con le popolazioni italiche soprattutto dopo la fine della guerra sociale. Sembra, però, che questa legge abbia interessato maggiormente la Transpadana, mentre la parte Cispadana avrebbe già ottenuto l’anno precedente, nel 90 a.C., con la lex Iulia17

la piena cittadinanza. Gli abitanti della Cisalpina si ritrovarono così ad avere uno status differente a nord e a sud del Po. La ragione di questi avvenimenti è stata ricercata nella probabile minor romanizzazione dei territori a nord del Po, che non avrebbe giustificato la concessione del plenum ius alle popolazioni qui presenti18.

In Traspadana, però, l’attribuzione alle sole élites politiche pose le premesse per la cosiddetta Causa Transpadanorum, che si protrasse per oltre quarant’anni.

16 Si fa riferimento al brano citato alla nota n. 13.

17 La lex Iulia de Civitate fu emanata dal console Lucio Giulio Cesare e conferì la cittadinanza a tutte le colonie latine

della penisola italica e a tutti i popoli alleati che avessero deposto le armi. Per un quadro sulle principali problematiche relative alla lex Iulia si veda Capogrossi Colognesi 2000, pp. 148 ss.

18 Bandelli 1990, pp. 260-266; Bandelli 2007, pp. 21-23; Lamberti 2010, pp. 227-228; Cairo 2012, pp. 34-38; Barbati

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La data in cui la Cisalpina divenne di fatto provincia romana è una questione che è stata a lungo dibattuta, i cui estremi possono essere individuati tra il 100 e il 59 a.C. Tuttavia, la data più probabile si colloca intorno all’81 a.C. per opera di Lucio Cornelio Silla19. La

creazione di questa provincia diede vita ad una situazione del tutto anomala: vi era una parte della popolazione che aveva già ottenuto la cittadinanza, mentre un’altra parte si trovava equiparata secondo la legge a quella latina, ma con una aristocrazia politica che aveva accesso alla piena romanità attraverso le magistrature. Questa situazione poco chiara favorì l’interessamento alla Causa Transpadanorum di numerose personalità politiche, che videro attraverso la concessione della cittadinanza la possibilità di ottenere il favore della popolazione locale. Il caso più eclatante è quello di Cesare, che è noto si servisse delle classi municipali che premevano per la cittadinanza. Ma si hanno esempi anche precedenti. Giorgio Luraschi20 ricorda la notevole presenza di Pompeo in Cisalpina,

che proseguì la riorganizzazione avviata dal padre e che nel 73 a.C. sedò la violenta rivolta di alcune città, tra cui Milano. Sulla stessa linea andrebbe posto l’interesse politico, che sembra scaturire da una citazione di Cicerone21, da parte di C. Scribonio Curione, che parla

di utilitas della causa dei Transpadani. Egli avrebbe visto il vantaggio nel portare dalla propria parte le clientele cisalpine dando loro ciò che desideravano: la cittadinanza romana.

Ma il sostenitore maggiore di questa causa fu, sin dagli inizi della sua carriera politica, Cesare. Una delle prime attestazioni circa l’interesse di Gaio Giulio Cesare nei confronti della Transpadana ci deriva da un passo di Sallustio che racconta come, nel 68 a.C., tornando dalla Spagna Ulteriore dove aveva svolto l’incarico di questore, si sarebbe fermato nelle colonie latine della Transpadana, che erano in agitazione e reclamavano la cittadinanza22. Cesare cercò di guadagnare la fiducia dei Transpadani, tentando da un lato

19 Viene attualmente accettata l’ipotesi della creazione della provincia ad opera di Silla nell’81 a.C. (Buchi 1999,

p.306; Cairo 2012, pp. 40-43). Chilver attribuisce la creazione della provincia a Pompeo Strabone, anticipandola cronologicamente (Chilver 1975); secondo Cassola, invece, la data sarebbe da individuarsi tra il 143 a.C. e il 95 a.C. (Cassola 1991, pp. 30-40).

20 Luraschi 1979, pp. 189-214.

21 “Male etiam Curio, cum causam Transpadanorum aequam esse dicebat, sempre autem addebat: “vincat utilitas”. Potius doceret autem non esse aequam, quia non esset utilis rei publicae, quam cum utilem non esse diceret, esse aequam fateretur”. Cic. De off. 3,22,88 (Si comportava male anche Curione, quando diceva che la causa dei

Transpadani era una causa giusta, quando poi aggiungeva: “Che vinca l’utile”. Faceva meglio a dire che non era giusta, visto che alla res publica non era affatto utile, poiché se avesse detto che utile non era, allora avrebbe fatto intendere che era giusta).

Il brano citato di Cicerone è anche la prima fonte scritta in cui ritroviamo il termine Causa Transpadanorum.

22 “Decedens ergo ante tempus colonias latinas de petenda civitate agitantes adiit, et ad audentem aliquid concitasset, nisi consules in Ciliciam leziones paulisper ob id ipsum retinuissent.” Svet. div. Iul. 8 (Perciò, partito di là prima che il

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di ottenere per loro una parità di status, dall’altro di risolvere i loro problemi sul territorio. Infatti, tra il 59 e il 49 a.C. fu in Cisalpina la massima autorità, tanto da gestire più volte dei tribunali23. Egli sarebbe stato anche l’ispiratore del progetto del censore Marco Licinio

Crasso di concedere la cittadinanza ai Transpadani già intorno al 65 a.C., fallito a causa dell’opposizione del suo collega24. Con la lex Vatinia del 59 a.C. Cesare ottenne per cinque

anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, a cui il Senato aggiunse poi anche la Gallia Narbonense25, che rinnovò poi per altri cinque anni in seguito all’accordo di Lucca.

In questo modo egli mantenne la sua influenza nella Transpadana e la rese anche base di reclutamento per le sue legioni. Sappiamo, però, che l’interesse dimostrato da Cesare nei confronti di questa regione non era spesso condiviso neanche dai suoi stessi soldati. Abbiamo, infatti, informazioni riguardo ai malumori delle truppe stanziate in queste zone, che dimostrano come la romanizzazione di questi territori, benché fosse probabilmente ormai un dato di fatto, non fosse ancora generalmente accettata. Un esempio è un discorso riferito da Cassio Dione e databile intorno al 49 a.C., tenuto da Cesare in occasione dell’ammutinamento del suo esercito, accampato presso Piacenza, in seguito al divieto del comandante di infierire sul territorio, durante il quale egli si trova a dover ricordare ai suoi soldati come la Transpadana sia “la loro terra”26.

cittadinanza; le avrebbe anche spinte alla sommossa se i consoli, accorgendosi del pericolo, non avessero mantenuto lì le legioni che avevano arruolato per la Cilicia.)

23 A riguardo ci informa lo stesso Cesare nel De bello gallico: “Ipse conventibus Gallaiae citerioris peractis in Illyricum proficiscitur [...]" Caes. Gall. 5,1 (Egli, tenute le sessioni giudiziarie nella Gallia Citeriore, parte per l'Illirico

[...]).

24 Su questa situazione scrive Cassio Dione: “Questo è ciò che accadde in quell’anno. I censori vennero anche

coinvolti in una disputa circa le genti che abitavano al di là del Po, poiché uno riteneva più saggio inserirli nella cittadinanza, l’altro no; così essi non riuscirono a portare a termine i loro doveri e si dimisero dalla carica. Per lo stesso motivo i loro successori, anche loro, non fecero niente l’anno seguente, perché i tribuni li ostacolavano a proposito della lista dei senatori, per la paura di essere espulsi essi stessi da quell’ordine.” [Cass. Dio. 37, 9, 3-4]. Si veda anche Buchi 1999, p. 306.

25 Fonte di queste attribuzioni è Plutarco, che scrive nella sua Vita di Cesare: “Pompeo, subito dopo il matrimonio,

riempì il foro di armati, fece approvare dal popolo le leggi e fece assegnare a Cesare la Gallia Cisalpina, tutta la Gallia Transalpina e in più l'Illirico, con quattro legioni, per cinque anni” [Plut. Caes. 14, 10].

26 “Chi potrebbe non indignarsi, sentendo che, mentre abbiamo il nome di Romani, noi ci comportiamo come se

fossimo Germani? Chi non si lamenterebbe, se vedesse che l’Italia viene saccheggiata come se fosse la Britannia? Non è oltraggioso che noi non ci diamo fretta di occupare le proprietà dei Galli, che pure abbiamo sottomesso, e ci

mettiamo, invece, a devastare le terre a sud delle Alpi, manco fossimo orde di Epiroti, Cartaginesi, Cimbri? Non è una disgrazia per noi vantarci che siamo stati i primi Romani ad attraversare il Reno, a navigare sull’oceano e poi siamo stati pure i primi a saccheggiare la nostra terra, che ora è salva dalle mani dei nemici, e da questi ricevere biasimo, non onore, perdita, non guadagno, pene, non premi?” [Dio. Cass. 41, 30, 2-3].

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Nonostante le varie opposizioni, Cesare continuò ad avere uno stretto rapporto con questa parte della penisola, soprattutto per fini politici, finché, divenuto dittatore, concesse ai Transpadani la cittadinanza romana, con un provvedimento del 49 a.C.27.

Dopo questo avvenimento la Cisalpina si ritrovò in una condizione particolare, essendo una provincia formata da cittadini che godevano della piena romanità. Inoltre, le comunità transpadane divennero municipia civium Romanorum, cambiamento al quale si dovette accompagnare un adeguamento del loro ordinamento, di cui però siamo scarsamente informati dal momento che le nostre testimonianze principali sono iscrizioni spesso frammentarie28.

L’epilogo definitivo della Causa Transpadanorum si ebbe nel 41 a.C., quando Ottaviano portò a compimento il progetto di Cesare, sopprimendo la provincia della Gallia Cisalpina e annettendola al resto della penisola29.

La storia successiva della Transpadana si unifica a quella dell’intera penisola. Infatti, sotto Ottaviano Augusto, nel 16 a.C., fu compresa anch’essa nella ripartizione dell’Italia in undici

regiones. Questa fu una novità introdotta dal primo imperatore, che perdurò anche sotto i

successivi. L’unica fonte, però, che ci informi a riguardo risulta essere un passo famoso, ma altrettanto complicato, di Plinio, nel quale egli sostiene che nella descrizione analitica dell’Italia seguirà come fonte il Divo Augusto e la sua ripartizione in undici regiones e che nell’elencare le città si atterrà per ogni regione all’ordine alfabetico già utilizzato da Augusto30.

Durante l’età imperiale, la Transpadana aumentò la propria rilevanza, anche grazie al suo ruolo di collegamento con le province transalpine. L’importanza militare della regione si rivelò già nel 69 d.C., durante il cosiddetto anno dei quattro imperatori. Infatti, l’Italia settentrionale divenne il teatro principale dello scontro, dal momento che sulla linea del Po si concentrò dapprima la difesa di Otone, l’imperatore acclamato a Roma, nei confronti di

27 La concessione della cittadinanza avvenne tramite la lex Roscia, presentata nel 49 a.C. dal pretore Lucio Roscio

Fabato per conto di Cesare. Cassio Dione riporta l’avvenimento: “[...] (Cesare) concesse il diritto di cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina al di là del Po, per il fatto che erano stati governati da lui”. [Dio. Cass. 41, 36, 3].

28 Cairo 2012, pp. 43-44.

29 Gabba 1986, pp. 23-35; Foraboschi 1992, pp. 127-130; Laffi 1992, pp. 5-23; Buchi 1999, pp. 306-310; Canfora

2006, pp. 99-144; Grassi 2009, pp. 63-64; Polverini 2010, pp. 115-121.

30 “Nunc ambitum eius urbesque enumerabimus, qua in re praefari necessarium est auctorem nos Divum Augustum secuturos discriptionemque ab eo factam Italiae totius in regiones XI, sed ordine eo, qui litorum tractu fiet; urbium quidem vicinitates oratione utique praepropera servari non posse, itaque inferiore parte digestionem in litteras eiusdem nos secuturos, coloniarum mentione signata, quas ille in eo prodidit numero. Nec situs originesque persequi facile est, Ingaunis Liguribus - ut ceteri omittantur - agro tricies dato” Plin. Hist. Nat. III, 46.

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Vitellio, imperatore acclamato dalle legioni germaniche, e successivamente lo scontro tra lo stesso Vitellio e le legioni danubiane sotto il comando di Antonio Primo, che sostenevano Vespasiano.

Sotto i Flavi e i Severi tutta l’Italia settentrionale attraversò un lungo periodo di prosperità, che subì un arresto alla morte di Alessandro Severo nel 235 d.C. Da questo momento iniziò un periodo caratterizzato da continue lotte interne e da una situazione sempre più precaria lungo le frontiere. È la cosiddetta crisi del III secolo, una lunga crisi economico-politico-militare che alla fine spinse l’imperatore Diocleziano ad attuare una drastica riforma: l’impero venne diviso in due parti (pars orientis e pars occidentis) governate da due Augusti, ognuno dei quali aveva alle sue dipendenze un Cesare destinato a succedergli. Questo governo prese il nome di Tetrarchia e l’Italia, appartenente alla zona meridionale della pars occidentis, venne affidata a Massimiano, il quale pose la residenza imperiale a Milano. Quest’ultima assunse nel 285 d.C. il ruolo di capitale dell’Impero romano d’Occidente, al posto di Roma. In seguito a questo avvenimento Milano sottrasse ad Aquileia il ruolo di polo più importante dell’Italia settentrionale e subì una serie di interventi anche a livello urbanistico: le mura vennero ampliate fino ad inglobare le terme ed il circo e venne istituita una lunga via porticata che conduceva a Laus Pompeia e di qui in direzione di Roma.

L’aumentata importanza di Milano in età tardo-romana influì anche sul territorio circostante. Infatti, dalla Notitia dignitatum31 riguardante la pars occidenti sappiamo che agli inizi del V

secolo d.C. esisteva a Como un praefectus classis cum curis civitatis, a capo della flotta. Questo significa che una delle quattro flotte militari dell’Italia era posta a Como32, la quale

assunse lo stesso ruolo di un importante porto di mare e dalla quale si imbarcavano soldati e provviste in direzione dei passi alpini.

In questo periodo l’Italia subì una riorganizzazione amministrativa ad opera di Diocleziano, che nel 297-298 d.C. divise l’impero in dodici diocesi e l’intera Italia venne trasformata in

diocensis Italiciana assoggettata al regime fiscale in vigore nel resto dell’Impero. Il territorio

fu organizzato in dodici province, governate da correctores, tra le quali rimase la provincia della Transpadana, secondo la divisione già augustea. Questa in seguito andò a confluire nell’Italia Annonaria, che comprendeva buona parte dell’Italia centro-settentrionale e delle

31 La Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam militarium è uno scritto, diviso in due sezioni

corrispondenti alle due parti dell’Impero, databile intorno al 395 d.C., che enumera i titoli, le competenze e i nomi dei singoli funzionari e le dislocazioni dei vari corpi militari. È dunque importante per lo studio dell’ordinamento dell’Impero nel periodo tardo.

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Rezie, distretto entro la quale si pagava l’annona, ossia una tassa necessaria al mantenimento della corte imperiale e degli eserciti stanziati in loco, e che era amministrato da un vicarius Italiae, che risiedeva a Milano, a dimostrazione dell’importanza ormai assunta da questa città.

Successivamente la situazione dell’Italia settentrionale in generale rimase pressoché immutata dal punto di vista amministrativo, fino alla morte di Teodosio nel 395 d.C., quando l’Impero passò ai figli Onorio, che ottenne la parte occidentale, e Arcadio, che conseguì quella orientale. Nel 402 d.C. Onorio decise di trasferire da Mediolanum a Ravenna la capitale dell’Impero occidentale. Questo atto doveva costituire, nelle intenzioni dell’imperatore, solamente una transizione temporanea, dovuta al timore delle pressioni sul limes nord-orientale. Ma una volta stanziatisi, Ravenna si configurò come sede stabile del governo grazie alla sua miglior posizione strategica, essendo più vicina all’oriente, e alla maggior difendibilità, data la sua condizione di città marittima. Da quel momento la storia delle due sezioni dell’Impero subì un andamento differente. L’Impero d’Oriente sopravvisse per un millennio a quello occidentale e fu ribattezzato, in età moderna, Impero Bizantino. L’Occidente, invece, in seguito allo sfondamento del limes del Reno a partire dal 406 d.C. da parte di popolazioni germaniche, si trovò in buona parte in mano ai barbari. Da questo momento in poi si susseguirono altre invasioni, alternatesi ad una serie di imperatori, fino a quando Odoacre, nel 476 d.C., affermò di voler regnare in Italia come re dei barbari. Sostituendo un regnum all’imperium sanciva giuridicamente la fine dell’Impero romano d’Occidente33.

33 Luraschi 1978, pp. 97-120; Lazzarini 1993, pp. 333-340; Mainardi 1998, pp. 8-10; Lazzati 2006, pp. 10-12; Grassi

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Capitolo secondo

La romanizzazione della Transpadana

Fra la fine del III secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. tutta la Gallia Cisalpina subì una graduale romanizzazione, non solo politica, ma anche culturale. Questo è un percorso storico non facilmente paragonabile ad altri, perché produsse la completa trasformazione di un territorio, del suo popolamento, ma anche della sua identità culturale. Diventare romani, e ancor prima vivere alla romana, furono aspirazioni delle élites locali fin dai primi contatti col mondo romano-italico. Dal punto di vista culturale, si può perciò parlare di lenta ma costante assimilazione, più che di un vero e proprio assoggettamento. Il termine “romanizzazione” rimane quindi quello più chiaro per esprimere il lungo adeguamento del mondo cisalpino alla cultura romana, non solo attraverso le conquiste militari, le fondazioni di colonie e i trattati di alleanza con le popolazioni locali. Grande importanza dovettero avere i ripetuti contatti mercantili che avevano già portato in Cisalpina non solo manufatti, ma anche idee e consuetudini del mondo romano. In questa regione, già all’inizio del II secolo a.C., si formarono ampie clientele della nobilitas romana, vennero realizzate grandi vie consolari e ci furono frequenti leve militari locali. Tutto ciò permise il diffondersi in maniera rapida dei romani mores anche fra le popolazioni indigene34.

Questo fenomeno, però, toccò un territorio come quello della Transpadana secondo canoni e modalità del tutto peculiari rispetto al resto dell’area cisalpina. Le motivazioni alla base di questa situazione possono essere ricercate in un processo di integrazione che venne raggiunto attraverso modi e forme differenziate, adeguate ai diversi contesti ambientali e alle diverse entità etniche. Inoltre, bisogna considerare lo stato attuale delle ricerche e dei rinvenimenti archeologici riferibili a questo periodo, purtroppo ancora molto frammentari e scarni, che complicano gli studi sulla fase della romanizzazione.

Oltre alla totale mancanza di importanti monumenti architettonici riferibili a questo periodo35, si devono considerare anche le difficoltà relative allo studio degli abitati

preromani. Infatti, la documentazione archeologica preromana si riferisce soprattutto a

34 Sena Chiesa 2015, pp. 30-31.

35 A differenza ad esempio che nella vicina Brixia, in area Cenomane, dove attraverso lo studio delle varie fasi del

santuario tardo-repubblicano si può comprendere il fenomeno di omologazione architettonica e artistica perseguito in una delle principali comunità indigene in Italia settentrionale. A riguardo si rimanda a titolo esemplificativo alla scheda e alla relativa bibliografia in Roma e le genti del Po 2015, pp. 223-225, n. 7.17 (B. Bianchi, F. Rossi, F.Sacchi).

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reperti di carattere funerario, mentre ben poco si conosce degli abitati, ad eccezioni di alcuni riferimenti letterari. Polibio, ad esempio, annotava che le popolazioni galliche abitavano in villaggi sparsi non fortificati e probabilmente questo rappresenta un’ulteriore difficoltà nella scoperta dei centri preromani.

Per quanto riguarda, ad esempio, Augusta Taurinorum, non conosciamo praticamente nulla che riguardi il suo sviluppo e la sua situazione in epoca preromana. Per Ivrea si crede che il centro precedente la colonia romana che viene citato da Plinio36 come oppidum

celto-ligure fosse collocato su un’imponente rupe che ancora oggi sovrasta la città; a Vercelli, invece, sono venuti alla luce, lungo una via urbana, resti di corredi funerari riferibili al precedente periodo Golasecca II B37, mentre la scoperta di un’epigrafe bilingue

latino-gallica, di cui si parlerà più avanti, viene attribuita “alla seconda metà del I sec. a.C., cioè probabilmente ad un periodo in cui Vercelli era già municipio romano (dopo il 49 a.C.)”38.

A Novara, dopo una serie di ripetuti esami della stratigrafia geologica, sembra sia stato appurato che la morfologia del terreno fosse nell’antichità diversa da quella attuale: infatti vi sarebbe stato un progressivo abbassamento di un’altura, che, per quanto modesta, corrispondeva all’area centrale della città e che forse avrebbe rappresentato il nucleo abitativo preromano. Non si esclude, però, che Novara sia in realtà sorta dal sinecismo di più abitati dell’età del Ferro, alcuni dei quali individuati non lontani dalla città attuale. In tutti questi casi è evidente la mancanza di testimonianze archeologiche, che complicano lo studio del periodo di transizione alla piena romanità39.

Una situazione in parte differente appare quella dell’oppidum insubre di Mediolanum. Va detto che anche in questo caso, nonostante le informazioni che si possono dedurre dalle fonti letterarie40, le nostre conoscenze sull’abitato preromano restano abbastanza scarse,

in parte migliorate dagli scavi avvenuti a partire dal 1986 che hanno permesso l’identificazione di un insediamento di circa 12 ettari41.

A Milano, però, nel 1901, durante i lavori per la costruzione del nuovo palazzo delle Poste, furono rinvenuti quattro grandi capitelli corinzio-italici fra loro omogenei per dimensioni e

36 Plin. Hist. Nat. III, 17, 123.

37 Il periodo Golasecca II B va dal 550 al 500 a.C. 38 Baldacci 1977, p. 337.

39 Mercando 1990, pp. 448-450.

40 L’esistenza di un insediamento preromano sul sito di Mediolanum appariva già plausibile sulla base dei testi letterari

di Polibio e Livio. Polibio lo cita nel resoconto delle vicende belliche del 222 a.C., dove viene indicato come la più importante città del territorio insubre (Pol II, 34), mentre un secolo più tardi, all’interno della digressione liviana sull’arrivo dei Celti in Italia, viene inserito il mito della fondazione della città da parte di Belloveso (Liv. V, 33-34).

41 Per approfondire la conoscenza sulla Milano di epoca insubre e le relative scoperte archeologiche si rimanda a Tori

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forma (fig. 3). Probabilmente a causa del periodo storico e della politica urbanistica, c’è tuttavia una totale assenza di notizie riguardo al rinvenimento. Infatti, quello fu il periodo durante il quale Milano fu segnata da una serie di sventramenti operati nel cuore della città per conferirle un volto moderno, più consono a quello che sarebbe stato il suo ruolo all’interno dell’Italia e dell’Europa negli anni successivi. Sembra che questo contesto, a differenza di quasi tutti gli altri casi milanesi in cui gli elementi architettonici sono stati recuperati in condizioni di reimpiego, avesse le caratteristiche di un giacimento primario. La quantità dei pezzi e la loro coerenza fa pensare che siano state intercettate ma non registrate anche le strutture dell’edificio di appartenenza. Le ipotesi sulla

tipologia e la destinazione di questa struttura si collegano al problema della datazione dei capitelli, che probabilmente non oltrepassa i primi decenni del I sec. a.C. e non risulterebbe anteriore alla fine del II sec. a.C. La loro appartenenza ad un edificio pubblico a destinazione civile appare inverosimile, mentre sembrerebbe probabile si trattasse di un edificio di culto, che si doveva trovare nel centro dell’insediamento insubre. Questo rinvenimento si è dimostrato particolarmente significativo perché dimostrerebbe che, durante il periodo della romanizzazione, negli abitati indigeni più importanti, qual è appunto

Mediolanum, iniziarono ad essere presenti segni tangibili di una cultura differente,

rappresentati da edifici monumentali con elementi strutturali e decorativi in pietra rivestita da stucco. Il problema, a livello archeologico, è che di essi si è conservato molto poco ed inoltre sorgono all’interno di un tessuto urbano caratterizzato da tecniche edilizie che sfruttano materiali deperibili (argilla, legno, paglia) e che hanno pertanto lasciato tracce quasi nulle42.

Causa del diverso percorso di romanizzazione che subì la Transpadana può essere considerato anche il ricorso, nella fase precedente al controllo vero e proprio, al foedus: i

42 Rossignani 2007, pp.30-31.

Figura 3: Uno dei quattro capitelli corinzi-italici rinvenuti in via Bocchetto a Milano. (da

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rapporti tra Roma e le popolazioni del territorio vennero cioè regolati da trattati e questo ha fatto sì che il dominio romano sia stato almeno inizialmente indiretto43. Inoltre,

sembrerebbe che anche Pompeo Strabone44, attraverso la fase “intermedia” delle colonie

latine, abbia cercato di attuare il passaggio alle strutture municipali conservando per quanto possibile le articolazioni sociali e le strutture insediative e giuridiche precedenti. Una dimostrazione di ciò è il fatto che i vici insubri conservarono i loro nomi, poiché non furono sostituiti da alcuna forma giuridica romana, e il fatto che risultano quasi assenti, o comunque molto rari, i pagi. L’istituto del pagus, tipicamente romano, risulta essere una circoscrizione territoriale all’interno del quale non si conservava una struttura preromana tribale o etnica: essi costituivano, al contrario, un elemento dell’organizzazione territoriale romana. I loro nomi erano tutti latini e non esclusivi dei territori cui essi appartenevano (questo voleva dire che pagi con nomi uguali si ritrovavano anche in altri municipi romani in Italia e nelle province). Erano appellativi formati da nomi di divinità, nomi gentilizi, nomi augurali, etnico-geografici e da caratteristiche della vocazione agricola della zona. L’assenza di questo istituto indica, quindi, che i romani non intervennero se non in minima parte nella ristrutturazione di questo territorio e anzi sembra che anche quando iniziarono a tracciare la centuriazione, dopo l’89 a.C., recepirono comunque le circoscrizioni territoriali e amministrative precedenti, dovendosi adattare a una struttura indigena già consolidata. L’intervento romano in Transpadana, dunque, riguardò fondamentalmente la trasformazione delle realtà locali in forme giuridiche romane e una riorganizzazione del territorio di pianura attraverso la divisione in centuriae (che, caso raro in ambito romano, non si accompagnava ad una distribuzione di lotti di terreno, ma serviva solo ad un più razionale sfruttamento e misurazione della terra). Parallelamente a questo avvenne un’altra importante iniziativa: la registrazione delle proprietà e dei loro confini e la loro trascrizione nelle mappe catastali romane45.

A questa fase di passaggio tra le istituzioni preromane a quelle pienamente romane, si ascrive anche un generale processo di acculturazione delle aree celtiche e insubri, di cui è una testimonianza fondamentale il ceppo bilingue di Vercelli (fig. 4). Questo documento archeologico è stato rinvenuto nel 1960 nel letto del fiume Sesia ed è attualmente conservato nel museo cittadino. Si tratta di un cippo confinario inscritto che delimitava un

43 Migliario 2010, p.64.

44 Autore della lex Pompeia, riguardo alla quale si rimanda al capitolo 1. 45 Baldacci 1983, pp. 139-145.

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campus donato da un personaggio locale, Acisius Argantocomaterecus, alla comunità di

Vercelli. Questo cippo viene comunemente connesso alla fase della romanizzazione e alla concessione dello Ius Latii nell’89 a.C. La particolarità risiede nella sua iscrizione bilingue46

che dimostra la compresenza sul territorio vercellese delle due etnie (romana e celtica) in un momento storico in cui la piena romanità non è ancora stata assimilata, ma in cui si avverte lo sforzo della componente indigena, ed in particolare dei suoi personaggi di spicco, di accelerare l’integrazione della comunità locale nella nuova realtà culturale. Infatti, in questo testo, il protagonista, forse investito di una carica magistraturale preromana (argantocomaterecus) ma ancora privo della civitas romana, comunica il suo atto di donazione alla comunità di Vercelli inizialmente in latino e mostrando di adeguarsi agli usi romani quando definisce il campo, oggetto di donazione, indicandone i confini. Queste indicazioni topografiche, estranee agli usi celtici, mancano nel successivo e più breve testo leponzio che si limita a menzionare il nome del donante e

la natura del terreno donato. Il campo di cui si fa riferimento doveva essere uno spazio suburbano di ampie dimensioni destinato a giochi pubblici, esercitazioni militari ed altre manifestazioni ufficiali. Infatti, nel testo viene definito “campus communis deis et hominibus”, medesima espressione usata nelle fonti latine in riferimento a spazi pubblici adibiti a manifestazioni ludiche, incontri politici e riunioni comiziali. La stessa espressione, inoltre, si trova anche riferita al Campo Marzio di Roma, il che dimostrerebbe, come attesta Vitruvio, che le comunità locali usavano riproporre in piccolo la stessa struttura del Campo Marzio, adibendola a funzioni di pubblica aggregazione. Probabilmente questo era l’intento di Acisius nel donare questo terreno e del resto riproporre il modello urbanistico di Roma significava anche accelerare l’integrazione della comunità locale nel nuovo sistema, politico e culturale, del nuovo

gruppo dominante. In questo senso si inserisce il cippo bilingue di Vercelli, che conferma

46 L’iscrizione bilingue recita nella parte in latino “Finis campo quem dedit acisius argantocomaterecus comunem deis et hominibus ita uti lapides IIII statuti sunt”, in quella leponzia “Akisios arkatoko materekos tosokote atom tenoxtom koneu”.

Figura 4: Il cippo bilingue di Vercelli (da http://vercellae.altervista.org/joomla/storie

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la tendenza delle colonie cosiddette fittizie ad adeguarsi anche sotto il profilo urbanistico al modello romano47.

Maggiori dati sul progressivo estendersi dell’influenza culturale romana e sulle resistenze indigene si hanno dai corredi funerari. Le panoplie e le lunghe spade rinvenute in tombe, non solo maschili, sono una dimostrazione sia della caratterizzazione guerriera degli Insubri, ma anche della loro presenza nelle file militari romane già a partire dai trattati di alleanza all’inizio del II sec. a.C. Tra II e I sec. a.C. i corredi mostrano un progressivo adeguamento del rito funerario agli usi romani: dal corredo dei guerrieri con spada e lancia si passa a corredi arricchiti da oggetti tipicamente romani, come strigili e servizi per la mensa. Parallelamente si assiste al cambiamento nelle pratiche per la sepoltura, passando dall’inumazione alla cremazione. Nello stesso lasso di tempo, anche la produzione artigianale e le tracce della circolazione di prodotti come le ceramiche offrono informazioni sia sul coesistere di produzioni locali e merci importate, ma anche sulla diffusione di prodotti indigeni imitanti quelli provenienti dalle officine italiche. In questo quadro dovettero essere molto importanti anche le vie commerciali verso i passi alpini. Dimostrazione di ciò, ad esempio, è il caso del cosiddetto “tesoro di Arcisate”48 (fig. 5),

composto da oggetti di libagione in argento di provenienza campana rinvenuti in territorio insubre, o i corredi funerari misti rinvenuti nelle necropoli di Ornavasso49.

Entrambi dimostrano quanto la presenza di frequentati itinerari mercantili abbiano influito sulle popolazioni locali.

La ceramica, che resterà una delle attività produttive più significative di tutta la Cisalpina, ci permette di seguire il progressivo adeguamento delle comunità locali agli usi romani e restano un punto fondamentale nella scarsità di testimonianze sulla lenta penetrazione

47 Maganzani 2009, pp.187-200.

48 Si tratta di un piccolo ma completo servizio da vino, in ottimo stato di conservazione, datato intorno al 75 a.C., le

cui circostanze di rinvenimento sono ignote. Sarebbe appartenuto a Tito Utio e a sua figlia, come si evince dalle iscrizioni sugli oggetti stessi. Il collegamento con un lingotto di piombo rinvenuto in un relitto presso Hjéres (Francia), datato tra il 73 e il 50 a.C. e con il nome C. Uitius C. F., fa pensare che si trattasse di una famiglia di commercianti latini di successo, stanziati in questi territori per interessi commerciali. Attualmente è conservato presso il British Museum di Londra. Si veda l’approfondito studio Piana Agostinetti - Priuli 1988, pp. 182-237.

49 Dove, anche in questo caso, sono state rinvenute ceramiche campane accanto a materiale tipicamente celtico. A

riguardo si rimanda a Piana 1969, pp. 122-142.

Figura 5: Il tesoro di Arcisate, attualmente esposto al British Museum (da Piana Agostinetti – Priuli 1988, p. 186).

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romana tra II e I sec. a.C. in tutti i territori di tradizione celtica. Un esempio in questo senso è il diffondersi alla fine del II sec. a.C. dell’elegante vaso a trottola che appare come un’imitazione locale della brocca tipicamente mediterranea. Questi cambiamenti furono probabilmente spinti dalla necessità di fare concorrenza ai prodotti medio-italici che stavano conquistando i mercati cisalpini, a partire dalle aree di più antica romanizzazione come l’Emilia e il Veneto, ma poi diffusosi anche nei centri indigeni più sviluppati, quale ad esempio la Mediolanum insubre. Poco dopo iniziò anche la produzione locale di ceramica a vernice nera che alla metà del I sec. a.C. conobbe una diffusione straordinaria in tutto il territorio cisalpino50. Non sappiamo, però, se questa attività artigianale locale, destinata ad

avere enorme successo, fosse dovuta al trasferimento di maestranze dall’Italia centrale, oppure se gli artigiani indigeni fossero riusciti ad adattare alle nuove richieste le loro tecniche produttive.

2.1 La viabilità

Nello studio del periodo della romanizzazione un altro fattore importante è costituito dallo studio della viabilità, poiché la costruzione e sistemazione di strade ad opera dei Romani era uno dei momenti fondamentali nell’acquisizione di un nuovo territorio. Anche da questo punto di vista, la situazione transpadana si dimostra particolare. Infatti, la costruzione di nuovi impianti viari in tutta la Cisalpina costeggia, ma non coinvolge direttamente il territorio transpadano. Le nuove realizzazioni consistettero nella via Emilia nel 187 a.C., ad opera del console Marco Emilio Lepido che collegava Rimini e Piacenza, e nella via Postumia nel 147 a.C., ad opera del console Postumio Albino per collegare Aquileia e Genova. Solo nel periodo imperiale la prima di queste vie consolari venne dotata di un ulteriore tratto che giungeva fino ad Aosta, toccando Milano, Novara, Vercelli ed Ivrea, e che Strabone riporta sempre sotto il nome di via Emilia.

Durante i primi studi sull’argomento, l’itinerario stradale transpadano è stato più volte ipotizzato, ma la mancanza di fonti letterarie ed epigrafiche e l’iniziale scarsità di dati archeologici aveva portato a credere che Roma non avesse avuto alcun interesse a finanziare la realizzazione di tali opere pubbliche in questa zona.

50 Per un’analisi dei rinvenimenti di ceramica a vernice nera e il loro studio per la fase della romanizzazione in contesti

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Nel 1985 venne però alla luce, nel territorio di Somma Lombardo, un tratto di strada romana in corrispondenza del percorso che si ipotizzava conducesse da Milano al lago Maggiore. Gli studi sono quindi proseguiti ed è stato così possibile mettere in relazione una grande quantità di dati archeologici, epigrafici, topografici e toponomastici, che hanno permesso di ricostruire una rete stradale complessa. La strada carrabile principale che attraversava il territorio era la cosiddetta Mediolanus-Verbannus, che seguiva un percorso da sud-est verso nord-ovest, ricalcato secoli dopo dal tracciato della via del Sempione. Da essa si diramavano alcuni percorsi minori necessari a mettere in contatto anche i centri più piccoli e le ville rustiche del territorio. Questa strada non doveva quindi essere un percorso isolato, ma sicuramente si integrava con altre vie carrabili minori di cui è possibile individuare alcune tracce sul territorio51. Un percorso della prima età imperiale conduceva da Milano

al lago di Lugano; nel territorio tra Angera e i laghi di Monate, Comabbio e Varese una fitta rete di rinvenimenti archeologici suggeriscono ulteriori itinerari minori; tra i percorsi che mettevano in relazione Milano con il Verbano e la Svizzera, bisogna considerare anche la strada romana dell’Ossola, il cui itinerario incanalava diverse direttrici meridionali, una da Novara, una da Pavia e una da Milano. Per quanto riguarda quest’ultimo percorso era però necessario superare il Ticino, ma le ipotesi relative all’esistenza di un ponte in età romana non sono supportate da elementi e sembrano sostenute solo da testimonianze di fine Ottocento, quando, in occasione di una secca eccezionale, sarebbero stati avvistati sul fondo del fiume alcuni resti di dubbia interpretazione. Tra l’altro è probabile che la forza della corrente di questo fiume scoraggiasse la costruzione di strutture fisse: doveva essere più conveniente l’utilizzo di strutture mobili come, ad esempio, ponti di barche, sicuramente utilizzati in età romana. L’assenza di ponti su un fiume importante non è peraltro un elemento inconsueto: sappiamo infatti che la stessa scelta di affidarsi solo a strutture mobili, venne fatta lungo la Claudia Augusta, nei punti in cui la via incontrava l’Adige e il Piave.

L’individuazione della Mediolanum-Verbannus ci indica il percorso su strada per le persone, per gli animali, per le merci di pregio, ma il legname varesino, la pietra di Angera, calce, sabbia e mattoni e alcuni generi alimentari venivano preferibilmente trasportati per

51 Se si vogliono approfondire gli studi a riguardo si rimanda a Mariotti 2009, pp. 51-65 per l’analisi del territorio

varesino, a Dolci 2003 per la viabilità dell’area Alpina e a Di Maio 1998, pp. 238-249 per le strade connesse al corso dell’Olona.

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via acquatica. I laghi dell’Italia settentrionale, che Plinio descrive come immensi52, erano in

tal senso una risorsa fondamentale. Tutta la zona insubre venne ampiamente coinvolta nei trasporti tra Milano e le Alpi e attorno ad essa erano numerosi i bacini navigabili: il lago d’Orta, il Ceresio, il lago di Varese e i laghi di Monate e di Comabbio. La zona compresa tra il territorio che oggi viene chiamato dei Sette Laghi e Milano è notoriamente ricchissima di corsi d’acqua e buona parte di essi era sicuramente utilizzata già in antico per il trasporto, anche se non è possibile definire con esattezza quali fossero navigabili. Inoltre, non ne conosciamo l’esatta portata per l’epoca antica, ma sicuramente doveva essere maggiore. Ad esempio, è stato calcolato che il livello del lago Maggiore in età romana era più alto di circa due metri e questa più grande quantità d’acqua, oltre a ripercuotersi nel Ticino, suggerisce una migliore navigabilità anche per i fiumi minori. La percorribilità del Ticino dai piedi delle Alpi al Po, per quanto in alcuni tratti problematica, lo rese fondamentale per lo sviluppo economico e culturale del territorio, fornendo uno scambio continuo tra i territori alpini e gli insediamenti della zona. Il ruolo commerciale del Ticino assume ulteriore importanza se messo in relazione con il Po e con l’efficacia dei trasporti fluviali in epoca romana. Che il Po, con i suoi numerosi affluenti, fosse in grado di portare ogni prodotto marittimo anche nella regio XI Transpadana è noto già a Plinio53.

Tra gli altri fiumi della zona, la Dora Baltea era navigabile fino ad Ivrea, dove è stata rinvenuta una banchina per imbarcazioni realizzata su palificazioni lignee, era navigabile il Sesia fino a Vercelli e anche l’Olona e il Lambro. Collegia Nautae o Navicularii ossia associazioni di esperti del trasporto acquatico, sono inoltre attestate a Pavia e Como. Si potevano poi trasportare merci lungo torrenti come il Lura, il Nirone, il Bozzente, il Seveso, la Rigosella, la Vettabbia e il Lambro e, probabilmente, anche lungo corsi d’acqua minori o stagionali, il cui percorso è oggi nascosto dalla densità insediativa del territorio. Nessuno dei fiumi e torrenti citati lambiva però spontaneamente Milano. Ma una città importante come Mediolanum non poteva essere estranea alla rete dei trasporti acquatici transpadani. È probabile quindi che alcuni corsi d’acqua siano stati modificati già in età antica. La progettazione e la realizzazione della canalizzazione dell’Olona fu probabilmente tra le più impegnative, ma anche tra le più urgenti. La bassa pianura a Nord di Milano ne favoriva infatti l’uscita dagli argini e il fiume doveva avere una tendenza all’impaludamento. La spesa per la risistemazione dovette essere ingente, ma giustificata dal notevole risultato. Il percorso artificiale facilitava infatti il trasporto in città di materiali da costruzione quali la

52 Plin. Hist. Nat. III, 118. 53 Plin. Hist. Nat. III, 123.

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pietra d’Angera, il marmo di Candoglia, legnami, sabbie o ciottoli. Il canale, che in futuro prese il nome di Vetra, forse da Vetus-Veteris, fu fatto deviare dal suo alveo naturale e dirottato verso Milano e sembra intercettasse anche la via per Novara e Vercelli. La realizzazione del canale va messa con molta probabilità in relazione alla costruzione della

Mediolanum-Verbannus, che gli scavi di Somma Lombardo riferiscono alla primissima età

imperiale, e con la sistemazione delle vie d’acqua cittadine, che avvenne a partire dal I secolo a.C.54.

Figura 6: La viabilità integrata, terrestre e acquatica, della zona Insubre della Transpadana (da Miedico 2015, p. 15, fig. 1).

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2.2 L’urbanizzazione delle città

Il processo di romanizzazione si accompagnò all’affermazione del concetto di urbanitas, ovvero l’aspirazione a vivere in centri dotati di tutte le strutture che, nel mondo romano, caratterizzavano la città. Questo processo riguardò non solo le colonie di nuova fondazione, ma anche gli antichi centri indigeni che si adeguarono al modello urbanistico romano-italico. Anche se ogni centro presenta una sua unicità, dovuta alla diversità dei vari territori, è comunque implicito nel fenomeno di inurbamento una razionalizzazione degli spazi cittadini che risponde ad esigenze comuni e, soprattutto, fa capo direttamente ad un’unica fonte di ispirazione, ossia Roma e il suo governo centrale. Non sembrano esserci, infatti, delle motivazioni che abbiano impedito a Roma di applicare nella conquista della penisola italica un’urbanistica di tipo coloniale, fondata su un’occupazione secondo un modello prestabilito e regolare che una volta ideato venne applicato nelle diverse fasi della conquista, seppure con le variazioni dovute alla topografia dei luoghi e alle eventuali situazioni preesistenti. E questa è la situazione che si riscontra anche in Transpadana, dove assistiamo sia all’urbanizzazione di centri di nuova fondazione sia di quelli preesistenti55.

Tra i centri indigeni, il più importante risulta essere Mediolanum, che tuttavia presenta pochissime tracce riferibili al periodo preromano, in quanto gli interventi urbanistici del periodo della romanizzazione hanno inciso profondamente ed hanno cancellato le strutture preesistenti. Sembra, tuttavia, che l’area in cui sorgerà il Foro della città romana abbia avuto un ruolo di centralità anche nel precedente abitato celtico. Di questa area si sono riconosciute, per quanto riguarda il periodo compreso tra la fine del II e il I sec. a.C., alcune strutture edificate con materiali poveri, quali il legno e l’argilla, recuperate solo grazie ad accurati scavi. Ciò che è interessante osservare è che queste strutture presentano un orientamento che sarà poi rispettato anche in epoca romana. Il Foro romano, quindi, venne realizzato al di sopra del più antico nucleo dell’insediamento milanese, nel punto dove convergevano importanti assi viari. Qui, infatti, confluivano a ventaglio antiche vie di comunicazione che mettevano in collegamento Mediolanum con il nord, verso Comum, con il nord-est, verso Bergomum e Brixia, e con l’ovest, verso Vercellae e Novaria. E probabilmente fu proprio la presenza di queste strade a condizionare i due piani regolatori con diverso orientamento che sono stati individuati, uno nella zona centrale con assi

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est / sud-ovest, il cosiddetto piano del Foro, e il secondo, tutto intorno, con assi orientati nord/sud. La presenza di un doppio piano regolatore è una anomalia all’interno dell’urbanistica romana, se si considera poi che entrambi possono essere datati entro la prima metà del I sec. a.C. Senza dubbio la particolare situazione urbanistica romana di

Mediolanum è dovuta a condizionamenti preesistenti, quali le strade di cui si è detto, ma

probabilmente anche alla natura del sottosuolo e all’idrografia. Con il provvedimento dell’89 a.C.56 attraverso cui la città diventa colonia “fittizia” romana, assistiamo ad ulteriori

adeguamenti dell’abitato insubre ai modelli urbanistici romani. Oltre a testimonianze della realizzazione e risistemazione della rete viaria e fognaria, possiamo ipotizzare anche la realizzazione di edifici pubblici monumentali, nei quali rientra il teatro. Un adeguamento ai modelli centro-italici si nota anche in ambito privato, come sembra documentato da alcuni frammenti di pareti affrescate di notevole livello qualitativo emersi in scavi recenti. All’età tardo-repubblicana si data la

prima cerchia muraria cittadina e il tracciato di due importanti strade verso sud, una che collegava con Laus Pompeia e di qui a Roma, l’attuale corso di Porta Romana, e una che conduceva a Ticinum, l’attuale corso di Porta Ticinese. L’apertura di questi due assi stradali verso sud dovette favorire i traffici commerciali e i contatti con il mondo romano. E proprio nel settore meridionale si trovava anche il porto romano, collocato lungo il fiume Seveso e documentato dal rinvenimento di una banchina lunga oltre 250 m.

56 Si tratta della Lex Pompeia, per la quale si rimanda al Capitolo 1.

Figura 7: Planimetria di Mediolanum. In verde l’area centrale con l’indicazione del foro (freccia) e dei principali assi viari. Si noti l’irregolarità delle insulae. In viola l’andamento della prima cerchia muraria. In arancione l’ampliamento databile

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