L’Icmesa di Meda e il disastro del
2.2 L’Icmesa di Meda.
La storia dell’ICMESA “Industrie Chimiche Meda, Società Azionaria”, responsabile dell’incidente, ha inizio lontano dal comune di Meda. Per la precisione a Napoli, dal 1921, anno della costituzione della fabbrica con il nome di “Industrie Chimiche meridionali K. Berger e C.211”.
La fabbrica restò in attività a Napoli senza particolari problemi fino alla seconda guerra mondiale, quando una serie di bombardamenti ne distrusse la struttura e costrinsero i soci dell’azienda a ricostruirla in una zona più favorevole212, che permettesse di avere una posizione migliore dal punto di vista economico ma, soprattutto, che offrisse un’ampia rete di trasporti stradali e ferroviari213.
La scelta cadde sul comune di Meda, in provincia di Milano, proprio per la presenza di queste caratteristiche. In primo luogo, la vicinanza con Milano, la capitale economica del paese, che offriva la possibilità di stringere vantaggiose alleanze economiche214. In secondo luogo, appunto, la presenza di tre importanti
209
Cementeri L., Ritorno a Seveso, Mondadori/Paravia, Milano, 2006, pag. 32.
210
Conti L., Visto da Seveso, Feltrinelli, Milano, 1977, pag. 14.
211
“Commissione parlamentare d’inchiesta”, pag. 58.
212
Ibidem.
213
Cementeri L., Ritorno a Seveso, Mondadori/Paravia, Milano, 2006, pag. 15.
vie di comunicazione che collegavano Meda con l’Italia settentrionale e la Svizzera. In terzo luogo, per la presenza nel territorio di numerosi fiumi e torrenti, tra cui, principalmente, i fiumi Seveso e Certesa. Infine, soprattutto, perché il luogo scelto per ubicare il nuovo stabilimento era proprietà dei soci dell’Icmesa215.
Tra i soci dell’Icmesa il più importante era Ugo Rezzonico, imprenditore di origine svizzera, definito da Laura Centemeri, saggista italiana, il “classico
capitano d’industria, dal libro d’oro del capitalismo216”. Rezzonico deteneva il 49
% delle azioni dello stabilimento medese, il restante era proprietà della Givaudan, storica azienda Svizzera, fondata nel 1895, tuttora attiva, che a oggi produce, principalmente, profumi e prodotti cosmetici217. E a Rezzonico era affidata la gestione esclusiva dell’azienda. Nel 1963, la Givaudan fu assorbita
completamente dalla multinazionale Hoffmann – La Roche 218 , colosso
farmaceutico con sede in Svizzera, che prese così possesso e controllo anche del pacchetto azionario dell’Icmesa, di proprietà, appunto, della Givaudan. Nel 1969, in seguito alla morte di Rezzonico, la Hoffmann – La Roche, acquisì anche le sue azioni divenendo la proprietaria assoluta dell’azienda medese219.
L’Icmesa, come precisarono i proprietari dello stabilimento al momento della sua costituzione, era una fabbrica in cui si producevano, principalmente, prodotti farmaceutici220. Tuttavia, fino all’incidente, non si conoscevano la reale natura di simili prodotti e il loro utilizzo. Le uniche certezze erano date dalla produzione della vanillina 221 , una sostanza aromatica sintetica, utilizzata dall’industria alimentare per dare ai prodotti il tipico odore di vaniglia e dalla produzione del “2,4,5, Triclorofenolo”.
Nel 1969, insieme con il cambio dei vertici ebbe luogo anche una conversione di alcuni reparti della fabbrica al fine di produrre nuove sostanze
215 Ibidem, pag. 15. 216 Ibidem, pag. 14. 217 In https://www.givaudan.com/our-company 218 Ibidem, pag. 16. 219
“Commissione parlamentare d’inchiesta”, pag. 59.
220
Per un elenco dettagliato delle produzioni, vedi “Commissione parlamentare d’inchiesta”, pag. 63.
chimiche. Il “reparto B222” della fabbrica, costruito negli anni ’50 per la produzione della vanillina, fu convertito per la produzione del “2, 4, 5, Triclorofenolo”, “un prodotto intermedio impiegato principalmente per la
produzione di un acido i cui derivati erano poi usati come erbicidi [...] e per la preparazione di una sostanza antibatterica, l’esaclorofene, utilizzata come disinfettante223”. La produzione di triclorofenolo fu portata a pieno ritmo negli
anni 1974/1975 e proseguì fino al 1976224, anno in cui l’incidente al reattore provocò, prima, il blocco di tutte le produzioni, poi, la chiusura dello stabilimento. Nell’arco di circa sei anni, l’Icmesa produsse, all’incirca, 400 tonnellate di triclorofenolo destinate interamente agli stabilimenti della Givaudan225 negli Stati Uniti e in Svizzera226.
Fino al 1976, data del disastro, tuttavia, nessuna autorità locale era a conoscenza di cosa fosse realmente prodotto all’interno della fabbrica. La produzione di triclorofenolo, infatti, era entrata in funzioni nonostante l’assenza delle necessarie comunicazioni alle autorità competenti 227 e, quindi, con l’impossibilità da parte di quest’ultime di verificare se la sostanza prodotta fosse pericolosa e se le norme di sicurezza dell’impianto rispondessero ai criteri di protezione dell’ambiente di lavoro e del territorio circostante in caso di fuoriuscite di vapori derivanti dall’attività di produzione228.
La mancanza delle comunicazioni alle autorità competenti fu dovuta alla volontà della Givaudan di eludere le norme di sicurezza previste dalla legge per la produzione del triclorofenolo229, produzione di cui già si conoscevano i rischi per la salute dei lavoratori e per l’ambiente230, come fu accertato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta231istituita all’indomani del disastro di Seveso.
La commissione parlamentare d’inchiesta, ad esempio, rilevò l’inesistenza del sistema di raccoglimento e abbattimento delle sostanze in caso di fuoriuscita
222
“Commissione parlamentare d’inchiesta”, pag. 61.
223 Ibidem, pag. 64. 224 Ibidem. 225 Ibidem. 226
Ziglioli B., La mina vagante, Franco Angeli, Milano, 2010, posizione 1669 (E-book).
227
Cementeri L., Ritorno a Seveso, Mondadori/Paravia, Milano, 2006, pagg. 16-17.
228
“Commissione parlamentare d’inchiesta”, pag. 87.
229
Ibidem, pagg. 68-70.
230
Ibidem, pagg. 114-120.
che avrebbe consentito di evitare o, perlomeno, di ridurre la fuoriuscita della sostanza responsabile del disastro232.
La Stessa commissione riuscì a dimostrare che la Givaudan e i vertici dell’Icmesa erano a conoscenza dei rischi legati alla produzione di triclorofenolo, ma non ne avevano avvisato i lavorati impiegati in tale produzione e gli addetti alla manutenzione degli impianti233. Carlo Galante e altri operai della fabbrica, tra cui Gabriele Gaviraghi che si occupava delle analisi sulla purezza del triclorofenolo, infatti, nelle deposizioni rese alla commissione parlamentare dichiararono che nessuno tra i responsabili dello stabilimento Icmesa, né la Givaudan, aveva informato i dipendenti dei rischi derivanti dalla produzione industriale di tale sostanza234, così da permettere agli operai la necessaria preparazione in ambito di sicurezza nella produzione del triclorofenolo e come rispondere in caso di emergenza, considerando che alcuni problemi si erano già verificati nell’ambito di tale produzione all’interno dello stabilimento235.
Le proposte di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’incidente dell’Icmesa furono presentata alla Camera dei Deputati e al Senato nelle settimane successive al disastro, dal movimento sociale italiano (Msi), dal Partito Comunista e dai socialisti e radicali236. L’obiettivo era la costituzione di una commissione bicamerale per accertare le cause e le responsabilità dell’incidente e garantire una risposta normativa per prevenire simili eventi in futuro.
La Commissione fu istituita con la legge n. 357 del 16 giugno 1977 al fine “d’indagare e riferire al Parlamento sulle cause e responsabilità della fuga di
sostanze inquinanti verificatesi il 10 luglio 1976 da un reattore installato nello stabilimento della società Icmesa237”. Nello specifico, la Commissione avrebbe
dovuto accertare238:
232
“Commissione parlamentare d’inchiesta”, pagg. 70-72.
233 Ibidem. 234 Ibidem. 235 Ibidem, pag. 117 236
Ziglioli Bruno, La mina vagante, Franco Angeli, Milano, 2010, posizione 1114 (E-Book).
237
“Commissione parlamentare d’inchiesta sulla fuga di sostanze tossiche avvenuta il 10 luglio 1976, nello stabilimento Icmesa e sui rischi potenziali per la salute e per l’ambiente derivanti da attività industriali”, istituita con la Legge del 16 luglio 1977, n. 357 e presentata il 25 luglio 1978.
238
• Perché vi era uno stabilimento di sostanze pericolose vicino ai centri abitati e in conformità a quale licenza operava;
• Che cosa era prodotto all’interno dell’azienda e per quali scopi; • Le responsabilità, a ogni livello, centrale o locale, relative all’insediamento, alla sicurezza e alla nocività della produzione;
• Le conseguenze dell’incidente sulla salute delle persone e sullo stato dell’ambiente, del territorio e dell’economia;
• I provvedimenti adottati per risarcire dei danni i cittadini colpiti; • Raccogliere elementi utili alla formulazione di un efficace tutela legislativa dei cittadini e dell’ambiente239.
La relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta fu depositata di fronte al Presidente della Camera Pietro Ingrao e al Presidente del Senato Amintore Fanfani, il 25 luglio 1978.