Un confronto possibile?
4.4 La bonifica dell’ambiente a Seveso e a Brescia
Il termine bonifica ha trovato molto spazio nell’ambito nazionale e internazionale a seguito della grave situazione di degrado che ha coinvolto molte aree dei paesi industrializzati, rappresentando una delle tematiche, attualmente, più discussa e complessa470.
La Bonifica può essere definita in base allo spazio da bonificare e riguarda principalmente due aree ben definite. Nel primo caso la bonifica si occupa di migliorare una condizione data dal contesto naturale come per esempio le zone paludose. In questo caso l’azione implica un cambiamento integrale di un ecosistema naturale471. Nel secondo caso la bonifica riguarda quei siti soggetti a contaminazioni di natura antropogena e mira a tutelare la salute umana attraverso l’eliminazione dell’inquinamento e la riduzione delle concentrazioni delle sostanze inquinanti472.
468
Scagliotti Sandra, Mocci Nicola, Oltre il silenzio delle armi, AIPSA, Cagliari, 2009, pag. 36.
469
Asl di Brescia, Caso Caffaro: guida al cittadino, Studio Pi Tre, Cremona, 2015, pag. 13.
470
Marescotti D., Guida alle bonifiche ambientali, Narcissus self-publishing, 2014, pag. 9.
471
Ibidem.
In ambito legislativo, il concetto di “Bonifica” è stato introdotto nel nostro paese con la legge n. 349, dell’8 luglio 1986473, con cui s’istituiva il Ministero dell’ambiente e le norme in materia di danno ambientale. All’art 18, questa legge dispone il risarcimento dei danni nel caso in cui viene compromesso l’ambiente. Inoltre, prevede interventi di bonifica e ripristino ambientale nelle aree per cui ha avuto luogo il risarcimento. Tuttavia, la legge non disponeva i valori limite per stabilire il livello di contaminazione e fissare i casi che richiedevano interventi di bonifica. Si riferiva soltanto a quei casi in cui si poteva stabilire un risarcimento dei danni. Un vulnus giuridico colmato con l’introduzione del D. M. n. 471 del 25 ottobre 1999474, con cui sono state introdotte le procedure per definire le aree contaminate e i valori limite accettabili, oltre, all’istituzione dell’anagrafe dei siti da bonificare, i cosiddetti “SIN” (Sito d’interesse nazionale). Tuttavia, il D. M. introducendo una struttura molto dettagliata per definire le aree e le modalità d’intervento, ha comporto tempi medi di diversi anni per la chiusura dell’iter procedurale d’intervento. Un problema che il legislatore ha cercato di risolvere mediante l’introduzione del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale475”, in cui sono previste procedure semplificate per le operazioni di bonifica.
Per quanto riguarda i casi di Seveso e Brescia, ovviamente, ci troviamo di fronte alla necessità di attuare una bonifica dei siti inquinati. Infatti, in entrambi i casi, l’obiettivo è di tutelare, innanzitutto, la salute delle persone, limitando le aree contaminate e se è possibile arrivare a una decontaminazione completa delle zone interessate.
473
Legge dell’8 luglio 1986, n. 349, “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”.
474
D. M. 25 ottobre 1999, n. 471, “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.
475
Decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale” (Titolo V, Bonifica di siti contaminati, art. 242-bis).
In quest’ultimo paragrafo cercheremo di analizzare sinteticamente, trattandosi di un tema troppo complesso, soprattutto per il caso Caffaro che richiederebbe un lavoro a parte, com’è stato affrontato il tema della bonifica in entrambi i casi, per dimostrare, anche su questo tema, se vi sono punti in comune o differenze che hanno determinato comportamenti diversi a seconda dei casi.
Nel caso di Seveso ci limitiamo a ricostruire le tappe fondamentali del processo di bonifica, in quanto si tratta di un’opera ormai conclusa.
La bonifica nel disastro del 1976 fu suddivisa in base all’inquinamento presente in ogni zona, riservando per ognuna un trattamento diverso. Nella zona A, quella con la maggior presenza di diossina e nella quale si trovava lo stabilimento dell’Icmesa, i lavori interessarono un’area di circa 43 ha, grande quanto l’attuale Bosco delle Querce, per una profondità di circa 46 cm. In totale furono scarificati, cioè rimossi, circa 200.000 m3 di terreno. Invece, per quanto riguarda le zone B e R, quelle meno contaminate, si ritenne di adottare una soluzione meno radicale, basata, principalmente, sul risanamento con interventi agronomici. In sostanza, furono compiuti per diversi anni cicli colturali comprendenti aratura, erpicatura e semina, fino alla completa maturazione dei prodotti, i quali venivano poi trinciati e re-immessi nel suolo476. Tali cicli colturali mostravano che il territorio messo a coltura riduceva sensibilmente la concentrazione superficiale di diossina. Tuttavia, anche nella zona B furono completamente rimossi strati di terreno di spessore di circa 15/20 cm, in quanto mostravano contaminazioni simili a quelle della zona A. In totale, per le zone B e R, il volume di terra scarificata fu di circa 35.000 m3 e interessò una superficie di circa 12 ha477.
In sostanza, i lavori complessivi di bonifica interessarono 55 ha di superficie e 235.000 m3 di terreno. Tuttavia, a quest’ultima cifra bisogna aggiungere i materiali contaminati provenienti dalla bonifica: pavimentazioni stradali rimosse, macerie provenienti dalla demolizione degli edifici civili e dello stabilimento Icmesa, detriti vari, legname e vegetali, fanghi contaminati. Per un totale, compreso i terreni, di 280.000 m3 di materiale da smaltire478.
476
Di Fidio M., il Bosco delle querce di Seveso e Meda, Regione Lombardia, Milano, 2000, pag. 31.
477
Ibidem, pagg. 31 – 34.
Per rimuovere completamente i materiali, inizialmente nel 1976, la proposta della Regione Lombardia fu di distruggerli in un inceneritore creato per questo scopo, che doveva sorgere proprio laddove era avvenuto il maggior inquinamento, cioè nella zona A. Fu una proposta che sollevò molte critiche, in quanto non vi era sicurezza sulla capacità dell’inceneritore di distruggere definitivamente la diossina, con il rischio paradossale che in caso di temperature non troppo elevate il processo avrebbe creato maggiore diossina di quella che avrebbe dovuto distruggere. Inoltre, la popolazione era contraria alla costruzione di un’opera che sarebbe stata pericolosa per la salute umana e che successivamente avrebbe potuto essere convertita in un semplice inceneritore di rifiuti479.
Per risolvere queste problematiche, la Regione Lombardia decise di abbandonare il progetto e di realizzarne uno nuovo nel 1979480. Il nuovo progetto prevedeva la trasformazione della zona A in un’area verde, all’interno della quale sarebbero state costruite nel sottosuolo due discariche in cui sarebbero confluiti i materiali contaminati, la terra inquinata e le carcasse degli animali morti a seguito dell’incidente (all’incirca 80.000 capi di bestiame).
I lavori per realizzare tale progetto furono avviati nel 1983 e si conclusero nel 1986, con la realizzazione di due vasche in cui confluirono tutti i materiali contaminati e la realizzazione del “Bosco delle Querce”, nell’area più inquinata; un parco pubblico che fu inaugurato ufficialmente nel 1996. La conclusione dei lavori permise, finalmente, di mettere la parola fine ad una tragedia che aveva accompagnato le popolazioni colpite per dieci anni. Fu la fine di un incubo di cui, tuttavia, rimangono ancora presenti tracce sotto forma di patologie imputabili alla Diossina481.
Per quanto riguarda la Caffaro, la questione della bonifica è molto più complessa, perché non possiamo parlare di una vera e propria bonifica del sito inquinato ma, soltanto, di alcuni interventi attuati nelle aree considerate più
479 Ibidem, pagg. 34-37. 480 Ibidem. 481
AA. VV., Mortality in a Population exposed to dioxin after the Seveso, Italy, Accident in 1976: 25 Years of Follow – Up, Studio condotto per conto del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità. In
critiche482. Per questo, la nostra ricostruzione si è limitata ad evidenziare gli interventi normativi tesi a tutelare la salute delle persone e ad avviare un processo di bonifica integrale.
Il primo a prendere provvedimenti a tutela della salute della popolazione fu il sindaco di Brescia, nel febbraio 2002, con l’emissione dell’ordinanza “finalizzata all’imposizione di alcuni limiti all’utilizzo del territorio comunale
nella zona sud-ovest della città483”. L’ordinanza prevedeva il divieto d’attuare
attività ricreative e lavorative negli spazi verdi in cui i livelli di inquinamento superavano i limiti posti dal D. Lgs. 152 del 2006. Un atto che, pressappoco in modo uguale484, è stato reiterato ogni sei mesi, fino ad oggi, perché nelle aree interessate dall’ordinanza non sono stati ancora realizzati interventi di bonifica, tali, da consentirne la revoca. In realtà, come mostra il reportage di Presa Diretta485, furono avviati alcuni lavori di bonifica, come il taglio dell’erba, la copertura del terreno e la rimozioni di alcune sue parti, tuttavia, come mostravano le immagini, si trattò di lavori parziali e non più ripresi, lasciando la zona, sostanzialmente, nelle stesse condizioni in cui si trovava prima di tali interventi. Tuttavia, l’ordinanza non definiva nessun intervento di bonifica ma si limitava ad impedire il contatto tra la popolazione e le aree maggiormente inquinate
Sempre nel 2002, il Parlamento Italiano, con l’approvazione della legge del 31 luglio 2002, n. 179, recante “Disposizioni in materia ambientale”, introduceva, come abbiamo visto nel capitolo “la scoperta di un disastro ecologico”, nell’anagrafe dei Siti di Interesse Nazionale, il SIN “Brescia – Caffaro”. Successivamente, nel 2003, fu definita, dal Ministero dell’Ambiente, la perimetrazione del Sito, suddivisa in tre parti a seconda degli elementi interessati del territorio: matrice suolo, acque sotterranee e il sistema delle rogge.
Furono necessari sei anni, tuttavia, prima che fosse raggiunto un accordo per definire gli interventi da attuare. Nel 2009, Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare, la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Brescia e i Comuni di Castegnato e Passirano, interessati anche loro
482
In http://bresciacaffaro.it/
483
Ordinanza del Sindaco di Brescia del 23 febbraio 2002, protocollo n. 7374/02.
484
L’ultima ordinanza è stata disposta il 23 dicembre 2016, per il periodo Gennaio – Giugno 2017.
dall’inquinamento provocato dalla Caffaro, raggiunsero un accordo di programma “per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel
Sito di interesse Nazionale di Brescia – Caffaro486”. Nell’accordo era previsto che
la Regione Lombardia si sarebbe occupata dell’attuazione dei primi interventi il cui costo ammontava complessivamente a circa 6.700.000 €, coperti integralmente dal Ministero dell’Ambiente. Tuttavia, i provvedimenti presi furono limitati alla messa in sicurezza di alcune situazioni critiche e, non alla realizzazione di una vera e propria bonifica, che in base all’accordo risultava ancora da progettare. I provvedimenti più importanti realizzati furono la totale impermeabilizzazione superficiale del sito aziendale e l’obbligo imposto alla Caffaro di emungere circa 10 milioni di m3 di acqua dalla falda sottostante per mantenerla bassa e in depressione al fine di evitare che la stessa intercettasse la enorme quantità di inquinanti del sottosuolo della fabbrica con conseguente contaminazione di tutta la falda cittadina487.
Nonostante l’accordo di programma, gli interventi di bonifica risultarono, secondo il Ministero dell’Ambiente, parziali e insufficienti e per queste ragioni, oltre al fatto che la zona contaminata interessava anche una parte di territorio urbanizzato, il Ministero dell’Ambiente decise, nell’agosto del 2015, di nominare un Commissario straordinario delegato per coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica488. Il commissario nominato fu il dott. Roberto Moreni, ex dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Brescia; egli restò in carica all’incirca fino a Dicembre del 2016, quando si dimise dall’incarico perché, secondo lui, non erano stati dati al Commissario poteri decisionali d’intervento relativamente alle aree interessate e mancavano le coperture finanziarie per sostenere i costi di bonifica489.
Oggi, anno 2017, possiamo constatare, che, nonostante il sito sia stato inserito tra quelli di interesse nazionale, nonostante l’Accordo di programma delle parti interessate alla messa in sicurezza e alla bonifica e, nonostante, la nomina di
486
Accordo di programma del 29 settembre 2009.
487
In http://www.industriaeambiente.it/schede/caffaro_brescia/
488
In http://bresciacaffaro.it/home/progetto-bonifica-brescia-caffaro.html
489
Tedeschi M., Brescia: dimissioni choc per Roberto Moreni, commissario Caffaro, In Corriere della Sera/Brescia del 30 giugno 2016.
un Commissario straordinario, nessun intervento reale di bonifica complessiva del sito inquinato è stato, ancora, attuato.
Se a Seveso le opere di bonifica sono state realizzate su una superficie di 55 ha ed hanno interessato materiali per un volume di 280.000 m3, a Brescia, la superficie che necessita di bonifica è circa 700 ha, pari a 7 km2, mentre il volume da bonificare è valutabile in circa 3.200.000 m3 490. In altre parole una superficie 12 volte più grande rispetto a quella di Seveso e un volume 11 volte maggiore. I costi della bonifica del sito Brescia - Caffaro ammonterebbero, come detto precedentemente, secondo l’Ispra, a 1,5 miliardi di Euro.
Con quest’ultimi dati abbiamo cercato di dare una visione il più possibile esaustiva del caso Caffaro, analizzando gli elementi più significativi per la definizione di un confronto con il caso Seveso. Adesso, non rimane che concludere questo lavoro.
490
ARPA Lombardia, Caffaro e Brescia – I nuovi dati: le nuove aree agricole indagate, 20 ottobre 2015. In http://ita.arpalombardia.it/
Conclusioni
Con questa tesi ci siamo posti l’obiettivo di analizzare prima di tutto due casi complessi di grave inquinamento ambientale, quelli prodotti rispettivamente dalla Icmesa di Meda (Seveso) e dalla Caffaro di Brescia, cercando di metterne in luce le caratteristiche, la pericolosità e le conseguenze anche per la salute dei cittadini. In secondo luogo, e in relazione al secondo caso analizzato, abbiamo preso in considerazione la controversia insorta tra l’Asl di Brescia da una parte e i giornalisti di “Repubblica” e Marino Ruzzenenti dall’altra, in seguito all’uscita sul medesimo giornale dell’articolo che rilevava una grave situazione di inquinamento ambientale nel comune di Brescia.
Tale contrasto, infatti, si basava sul fatto che, da una parte, l’Asl negava l’impossibilità di un confronto tra il caso Caffaro di Brescia e l’incidente di Seveso del 1976; dall'altra parte, invece, i giornalisti di Repubblica, autori dell’articolo sul caso di Brescia, avevano utilizzato come parametro di confronto proprio il precedente disastro ambientale di Seveso.
Dagli elementi ricavati dalla ricostruzione dei due casi, ad oggi, sembra giusto affermare che è possibile operare un confronto ma che esso può essere limitato solo a quelli che sono gli aspetti storici delle due vicende; mentre non è possibile operare un raffronto tra gli altri aspetti, come, ad esempio, le sostanze coinvolte nell'inquinamento, le modalità della loro diffusione e l’estensione delle aree inquinate.
È attestato che tra le due fabbriche vi siano molti elementi in comune, in quanto entrambe sono situate nella stessa Regione, la Lombardia; entrambe producevano sostanze chimiche che nel tempo si sono rivelate pericolose per l’uomo e l’ambiente ed entrambe hanno provocato un grave disastro dal punto di vista ambientale; nonostante questo, però, gli effetti di questi disastri sui Comuni interessati hanno avuto conseguenze diverse.
Nel caso di Brescia, infatti, ci troviamo di fronte ad una contaminazione ambientale causata dalla produzione chimica che si realizzava nella fabbrica in modo continuativo;, al contrario, nel caso di Seveso l’inquinamento è stato determinato da un incidente avvenuto durante il processo di produzione. Tuttavia,
in entrambi i casi, i due disastri ambientali sono, principalmente, il frutto della mancata adozione di tutte le misure di sicurezza necessarie; nel caso di Seveso, al fine di prevenire l’incidente; nel caso di Brescia, al fine di evitare la dispersione di inquinanti nell’ambiente.
Al di là delle modalità, all’origine della diffusione degli agenti contaminanti, ci fu, pertanto, il mancato rispetto delle normative di sicurezza. A Seveso, infatti, furono disattese le regole riguardanti, soprattutto, il metodo di raffreddamento del reattore. A Brescia, invece, l'omissione ebbe ad oggetto, sostanzialmente, le regole sulle metodologie produttive e sullo smaltimento dei residui di lavorazione: proprio dalla produzione derivava infatti una parte del PCB e della diossina disperse nell’ambiente.
Le sostanze coinvolte e l’estensione dell’area interessata dalla contaminazione sono altri due aspetti che rendono difficile un confronto tra i due casi. A Seveso le Autorità competenti dovettero intervenire per rimuovere una singola sostanza, la diossina; a Brescia, invece, oltre alla diossina erano e ancora sono presenti molte altre sostanza pericolose per l'uomo e per l'ambiente, come i PCB e il mercurio. Inoltre, le quantità di inquinanti presenti nel territorio Bresciano sono di un ordine di grandezza centinaia di volte superiore rispetto a quelle presenti a Seveso e l’area coinvolta è, come abbiamo visto, all'incirca, dieci di volte più grande.
Tutto questo dimostra la maggiore complessità del “caso bresciano”, rispetto alle condizioni ambientali di Seveso. Per questa ragione, nella tesi, per comprendere la reale dimensione del caso di Brescia si è provato a estendere il confronto con quanto è successo, a causa della diossina, in Vietnam e a causa dei PCB, ad Anniston.
Infine, un ulteriore elemento di confronto tra il caso di Brescia e quello di Seveso è l'azione di bonifica eseguita dopo la scoperta dei disastri ambientali; essa ci permette di valutare come lo Stato italiano e i vari enti regionali e locali abbiano reagito di fronte a tale situazione. Di fronte al disastro di Seveso l’Italia, nonostante le conoscenze sulla diossina e sulle modalità di bonifica dei territori colpiti da tale sostanza fossero inadeguate, ha dimostrato che è possibile, comunque, intervenire con strumenti e norme in grado di garantire, anche in tempi
ragionevoli, il ripristino integrale del territorio. Diversamente, di fronte al caso di Brescia, nonostante le conoscenze tecniche e scientifiche sulle sostanze inquinanti e sulle opere di bonifica siano, sicuramente, maggiori, i lavori di bonifica risultano, incomprensibilmente, inadeguati.
Alla luce del lavoro svolto, è possibile affermare che il problema, maggiore, è stato quello di stabilire gli effetti reali delle sostanze inquinanti sulla salute umana. Ovviamente, tale aspetto esula dagli obiettivi di questa tesi; tuttavia, in alcuni punti sono stati fatti dei riferimenti al tema della salute nell’auspicio che essi possano essere utili allo sviluppo di successivi lavori.
In conclusione, si può sostenere che l’Asl di Brescia sbaglia quando nega la possibilità di un confronto tra il caso di Brescia e il caso di Seveso, poiché tale confronto è indispensabile per stabilire la reale gravità delle conseguenze sull’ambiente e sugli esseri viventi di quanto accaduto a Brescia tra la fine degli anni’30 e l’inizio degli anni ’80. Inoltre, sarebbe opportuno, estendere il confronto anche ad altre situazioni di inquinamento ambientale per avere una reale visione della dimensione dell’inquinamento e delle sue conseguenze, che, nei casi che abbiamo provato ad esaminare, si è dimostrato comunque consistente e pericoloso. Ci auguriamo che questo lavoro, certamente assai parziale e limitato anche per la scarsa disponibilità di fonti archivistiche e bibliografiche, possa servire ad ampliare la riflessione su temi così importanti.
Bibliografia
- APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici)
Diossine, furani e PCB, I.G.E.R., Roma, 2006.
- Ascoli Ugo, Movimenti migratori in Italia, Il Mulino, Bologna, 1979.
- Asl di Brescia, Caso Caffaro: guida al cittadino, Studio Pi Tre, Cremona, 2015.
- Asl di Brescia, Relazione finale del Comitato tecnico scientifico per la
valutazione del rischio per la salute umana, correlato alla presenza nel terreno di sostanze tossiche, PCB e mercurio, nell’area Caffaro del Comune di Brescia, Keisdata, Legnano, 2003.
- Asl di Brescia, Il caso Caffaro: un’analisi oggettiva, Castellanza (VA), 2002. - Battaglia Alessandro, Roberto Scazzola, Dal D. M. 471/99 alla revisione del
D. lgs. 152/2006: analisi tecnica di una riforma, a cura di ENSR Italia.
- Bevilacqua Piero, La terra è finita: breve storia dell’ambiente, Laterza, Bari, 2009.
- Bevilacqua Piero, Miseria dello sviluppo, Laterza, Roma, 2009. - Carson Rachel, Primavera Silenziosa, Feltrinelli, Milano, 1976.
- Centemeri Laura, Ritorno a Seveso: il danno ambientale, il suo
riconoscimento, la sua riparazione, Mondadori, Milano, 2006.
- Colarizi Simona, Storia del Novecento italiano: cent’anni di entusiasmo, di
paure, di speranza, Rcs Libri, Milano, 2000.
- Commoner Barry, Il cerchio da chiudere, Garzanti, Milano, 1986.
- Commoner Barry, Le fabbriche del veleno, Edizioni Dedalo, in “Sapere”, aprile – maggio 1975
- Conti Laura, Visto da Seveso: l’evento straordinario e l’ordinaria
amministrazione, Feltrinelli, Milano, 1997.
- Corona Gabriella, Malanima Paolo, Economia e Ambiente in Italia dall’Unità
a oggi, Mondadori, Milano, 2012.
- Corsini Paolo, Zane Marcello, Storia di Brescia: Politica, economia, società 1861-1992, Laterza, Roma, 2014 (E-Book).
- Crainz Bruno, l’Italia Repubblicana, in Storia Contemporanea, Donzelli, Roma, 1997.
- Crainz Bruno, Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni