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Un confronto possibile?

4.2 La natura del disastro.

Il confronto tra l’incidente di Seveso e il caso Caffaro ha riguardato, nella maggior parte dei casi, il problema tossicologico, cioè la quantità d’inquinanti presenti in ognuno dei due casi e la loro comparazione. Tuttavia, un altro elemento utile per determinare quale fra i due casi presenti maggiori problematiche dal punto di vista ambientale è analizzare la natura del disastro che ha colpito il comune di Meda e quello di Brescia, attraverso l’esame delle sostanze imputate e del come esse si siano propagate nell’ambiente.

Il primo punto ovvero l’analisi delle sostanze impiegate nei processi di produzione, l’abbiamo già descritto nei capitoli precedenti. Qui, basti ricordare che nel caso di Seveso la popolazione ha avuto a che fare con la Diossina, mentre nel caso Caffaro, principalmente, con i PCB ma anche con altre sostanze come il mercurio e la Diossina.

Sul secondo punto, invece, la questione che va esaminata è come sia avvenuto l’inquinamento da queste sostanze, elemento che ci permette di capire quali responsabilità vi siano all’origine dei due disastri e quale fra i due casi presentasse o presenti ancora delle complicazioni. Per fare ciò, è utile iniziare la nostra analisi facendo riferimento al concetto di “reato di disastro ambientale442”, contenuto nella normativa approvata recentemente per punire i casi di alterazione dell’ambiente.

Il reato di disastro ambientale è una fattispecie recente nella giurisprudenza italiana, introdotto con la legge del 22 maggio 2015, n. 68, art. 452

quater c. p. Prima dell’introduzione di questa legge, gli eventi che causavano

442

Legge del 22 maggio 2015, n. 68, “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”. In www.gazzettaufficiale.it

un’alterazione dell’ambiente erano ricondotti dalla giurisprudenza allo schema normativo di “altro disastro” o “disastro innominato443”, secondo quanto disposto dagli art. 434 e 449 c.p444. Con l’introduzione dell’art. 452 quater c.p., il legislatore ha inteso superare le difficoltà di configurazione connesse con l’art. 434 c.p., relativo al disastro innominato colposo, estendendo il concetto di disastro ambientale, non soltanto a eventi confinati all’interno di coordinate spazio/temporali definite445, come ad esempio un incendio, una valanga o un disastro ferroviario, ma, anche, a eventi prolungati nel tempo, come, appunto, forme d’inquinamento, provocate dalle seguenti condotte446:

• L’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

• L’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

• L’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

L’introduzione nel codice penale di una definizione univoca di disastro ambientale è stata resa necessaria per dare una risposta esaustiva alla Direttiva europea 2008/99/CE, sulla protezione penale dell’ambiente447, che ha l’obiettivo di dotare gli Stati Comunitari di una legislazione capace di perseguire penalmente chi compie un danno ambientale e tutelare l’ambiente in modo più efficace, in quanto, i sistemi sanzionatori vigenti prima dell’entrata in vigore di questo reato, secondo la Comunità Europea, non erano sufficienti per garantire la piena osservanza della normativa in materia di tutela dell’ambiente.

443 In http://www.lexambiente.com/materie/ambiente-in-genere/ 444 Ibidem. 445

Di Pirro M., I nuovi delitti contro l’ambiente, G. E. Simone, Napoli, 2015, pag. 27.

446

Legge del 22 maggio 2015, n. 68, “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”. In www.gazzettaufficiale.it

447

Direttiva 2008/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente. In http://eur-lex.europa.eu/

Alla luce della nuova normativa sui reati ambientali è possibile, adesso, cercare di definire più rigorosamente la natura dei disastri che hanno coinvolto il comune di Seveso e quello di Brescia.

4.2.1 Seveso.

Per quanto riguarda l’incidente di Seveso, Laura Centemeri nel suo libro, ci offre un’analisi sulla natura dell’evento che ha colpito Seveso e sulle questioni che ha sollevato sia a livello locale, sia a livello globale, raccolte intorno al problema della Diossina e dei suoi effetti. Come abbiamo ricordato, al momento del disastro non vi erano conoscenze scientifiche sui danni che il contatto con la Diossina poteva avere sull’uomo. Le uniche conoscenze riguardavano studi di laboratorio su cavie animali, i cui risultati erano difficilmente trasferibili all’uomo. Ciò portò a diverse posizioni sui possibili effetti, sul breve e lungo termine, della Diossina, discordanti fra loro. Da una parte, c’era chi, come Laura Conti, riteneva necessario “comportarsi come se il rischio fosse certezza448”.

Dall’altra, c’era chi sosteneva invece che “bisognava attendere le evidenze

scientifiche prima di agire449”.

Alla luce del nuovo reato ambientale possiamo notare come la giurisprudenza cerchi di valutare il danno ambientale nel tempo e non soltanto nei suoi effetti immediati450. Da questo punto di vista, l’incidente di Seveso rientra a pieno titolo nella nuova normativa, perché ha provocato un’alterazione dell’ecosistema che ha comportato provvedimenti onerosi per cercare di affrontarla e risolverla. Rimane, tuttavia, il problema di quantificare il danno arrecato al territorio e all’ambiente. Una questione che i vari processi a carico dei proprietari dello stabilimento cercarono di risolvere con una risposta, comunque, parziale perché la giurisprudenza non aveva ancora messo appunto una definizione univoca di reato ambientale. Infatti, al momento di stabilire quali danni aveva provocato l’incidente, il diritto non considerò il danno da Diossina

448

Conti L., Visto da Seveso, Feltrinelli, Milano, 1997, pag. 21.

449

Cementeri L., Ritorno a Seveso, Mondadori/Paravia, Milano, 2006, pag. 89.

450

come un elemento che aveva colpito la collettività territoriale ma si limitò a giudicare soltanto i casi in cui era facilmente riconoscibile un danno manifesto, come accadde per le persone affette da cloracne. In sostanza, invece di considerare l’incidente nel suo insieme, lo si considerò, semplicemente, una questione che riguardava i privati, in questo caso l’azienda e le persone colpite451. La conseguenza fu una politica di risarcimenti, che la multinazionale La Roche, proprietaria unica dello stabilimento, intraprese nei confronti dei privati che avevano subito un danno manifesto a causa dell’incidente, cioè le persone che avevano perso la casa a seguito della bonifica o che erano state colpite da cloracne452.

In sostanza, la natura del disastro, ovvero di un evento che aveva colpito il territorio nella sua globalità, coinvolgendo tutte le sue parti costitutive, l’acqua, l’aria, il terreno e gli esseri viventi presenti al momento del disastro, non fu compresa ma essa venne limitata ai caratteri esteriori che si erano manifestati, immediatamente, al momento del disastro. Di fatto, non vi fu alcuna analisi, anche per determinare i risarcimenti, di cosa l’inquinamento da Diossina avrebbe potuto comportare nel tempo per le persone che sarebbero ritornate in quei territori.

In definitiva, l’incidente di Seveso fu inteso come un evento acuto che si era consumato nel giro di pochi minuti, cioè dall’esplosione fino al depositarsi della Diossina sul terreno e non come evento che si sarebbe prolungato nel tempo manifestando criticità che ancora a oggi coinvolgono i sevesini, in quanto, le ricerche scientifiche hanno dimostrato che vi è un collegamento diretto tra l’incidenza di alcune patologie e la Diossina453.

4.2.2 Brescia.

Per comprendere la natura del caso Caffaro di Brescia, è necessario, innanzitutto, ripercorrere le tappe fondamentali che hanno portato all’attuale

451

Cementeri L., Ritorno a Seveso, Mondadori/Paravia, Milano, 2006, pag. 139.

452

Ibidem, pag. 141.

453

AA. VV., Mortality in a Population exposed to dioxin after the Seveso, Italy, Accident in 1976: 25 Years of Follow – Up, Studio condotto per conto del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità. In

situazione ambientale, contrassegnata, fondamentalmente, dalla presenza nel terreno e nelle acque di sostanze molto pericolose, tra cui il PCB, il mercurio e la Diossina.

La produzione di PCB all’interno degli impianti dello stabilimento della Caffaro fu avviata, come abbiamo detto, nel 1938. Essa continuò fino al 1984, quando la fabbrica fu costretta a sospenderne, fino alla chiusura completa degli impianti, la produzione. Nel 2001, con l’uscita dell’articolo di Repubblica, come noto, scoppia il caso Caffaro. Da queste tre date, fondamentali per il destino della Caffaro, possiamo ricavare una serie di elementi utili per comprendere la natura di questa vicenda.

In primo luogo, la Caffaro ha prodotto composti chimici contenenti PCB per quasi mezzo secolo. Considerando che l’azienda fu costituita nel 1906, ed è tuttora attiva, possiamo notare che metà della vita produttiva della Caffaro è stata incentrata nella produzione di PCB. Da questo semplice dato si capisce l’importanza che simili composti costituivano per l’azienda e cosa abbia potuto comportare la chiusura di questi impianti. In effetti, la crisi ecologica provocata dall’incidente di Seveso, la formazione di una nuova sensibilità ambientale e le prime norme internazionali che mettevano al bando questi composti, costituirono per la Caffaro un duro colpo da cui la fabbrica cercò di rialzarsi fondendosi con altre aziende del settore454.

In secondo luogo, notiamo che per comprendere la reale situazione ambientale di Brescia ci sono voluti 17 anni, dal 1984 al 2001. Un intervallo nel quale comparvero alcuni segnali455 che potevano far supporre che il territorio di Brescia fosse inquinato ma essi non furono presi in seria considerazione.

Solo agli inizi degli anni ’90, con il progetto dell’inceneritore e le analisi effettuate sul terreno, come abbiamo già ricordato, ci fu una presa di coscienza di un problema reale che interessava un’area molto vasta del territorio comunale; la consapevolezza, tuttavia, riguardò pochi cittadini, e tra questi, ad esempio, lo studioso Ruzzenenti, che da quelle analisi del terreno compresero che il territorio analizzato presentava un forte inquinamento dovuto, in gran parte, dai PCB. La

454

Ruzzenenti M., Un secolo di cloro e PCB, Jaca book, Milano, 2001, pag. 492.

455

certezza arrivò, soltanto, nel 2001, quando anche le autorità locali certificarono l’inquinamento ambientale.

Se adesso ipotizziamo che gli sversamenti dei PCB da parte della Caffaro siano iniziati all’avvio di tale produzione456, constatiamo che, dal 1938 a oggi, il PCB si è propagato nell’ambiente, attraverso il terreno, le acque e risalendo la catena alimentare per circa ottant’anni. Nello specifico, tuttavia, non è tanto interessante capire per quanti anni effettivi la Caffaro ha inquinato Brescia; interessa, invece, notare come la gravita della situazione bresciana, caratterizzata da un inquinamento diffuso, si sia protratta per molti anni sul territorio, senza che sia stato mai attuato nessun intervento per limitare i danni. Un elemento che contraddistingue, fortemente, la situazione bresciana rispetto a quella di Seveso.

Infine, un ulteriore elemento che si ricava dall’analisi delle date che hanno contraddistinto la storia della Caffaro e utile a comprenderne la natura è la questione delle responsabilità. Si tratta di un tema che esporremo, sinteticamente, senza la pretesa di garantire una risposta esauriente.

Si tratta infatti di un problema di difficile soluzione perché in un periodo così lungo è impossibile definire i soggetti coinvolti e determinare le loro responsabilità. Sicuramente i primi responsabili furono coloro che avviarono la produzione di PCB senza misure atte a prevenirne fuoriuscite nell’ambiente circostante. Tuttavia, si possono ipotizzare responsabilità anche a carico delle autorità locali e nazionali, che non controllarono a sufficienza la fabbrica, consentendo, di fatto, la possibilità all’azienda di contaminare il territorio circostante.

Alla luce di questi semplici elementi e ricollegandoci alla definizione giuridica di reato ambientale che abbiamo messo in evidenza precedentemente, è possibile comprendere la natura del caso Caffaro.

A differenza del disastro di Seveso in cui l’inquinamento è stato determinato da un evento acuto, nel caso Caffaro l’emissione nell’ambiente, da parte della fabbrica, di sostanze chimiche pericolose ha avuto luogo durante tutto il periodo in cui lo stabilimento ha prodotto PCB457. Un rilascio graduale e

456

Ad oggi si hanno parziali conoscenze sulle modalità d’inquinamento. Vedi Ruzzenti M., “Caso Caffaro di Brescia”: l’inquinamento dai terreni alla falda idrica, pag. 6.

costante nell’ambiente che ha interessato, e continua a farlo, il comune di Brescia da più di sessant’anni e che ha coinvolto intere generazioni, nate e vissute in presenza di queste sostanze.

Dunque, anche nel caso di Brescia vi sono tutti gli elementi per parlare di un reato di disastro ambientale. Innanzitutto, l’alterazione irreversibile dell’ecosistema, in cui l’irreversibilità è stabilita dalle caratteristiche dell’inquinante; infatti, la non biodegradabilità dei composti chimici sotto accusa impone ai bresciani una obbligata convivenza con queste sostanze veicolate da il ciclo delle acque e dalla stessa catene alimentare. In secondo luogo, il comune di Brescia si trova nella situazione di dover affrontare una bonifica del territorio che richiede interventi eccezionali e particolarmente onerosi; si parla di un costo di bonifica che ammonta a 1,5 miliardi di euro458. Una cifra insostenibile per un singolo comune e che richiede, infatti, la partecipazione di altri enti, in primis, lo Stato. Infine, ci troviamo di fronte ad un disastro ambientale che ha esposto la popolazione a un serio pericolo per la salute e che ha determinato, soprattutto, nelle aree più colpite dall’inquinante, un cambiamento degli stili di vita, con l’impossibilità, per esempio, di accedere alle aree verdi pubbliche e private, di utilizzare l’acqua comunale, di praticare la coltivazione e l’allevamento459.