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L’impatto della crisi del ’29 sull’Italia

CAPITOLO 2 – CRISI DEL 2008 E GRANDE DEPRESSIONE: DUE CRISI A

2.3 L’impatto della crisi del ’29 sull’Italia

Una crisi di tali dimensioni non poteva certo risparmiare l’Italia dai suoi devastanti effetti.

Un rallentamento della vita economica in realtà si era già avuto dal 1926 per via della politica deflazionistica inaugurata da Mussolini e definita “quota 90”39

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Lo sviluppo di una forte politica liberistica dal 1922 al 1925, aveva favorito la ripresa economica nel dopoguerra ma alcuni fattori come ad esempio il volume delle importazioni delle materie prime, altamente eccedente le esportazioni, avevano provocato un forte aumento dei prezzi, innescando un preoccupante processo inflazionistico.

Nel 1925 addirittura si arrivò ad un cambio di 150 lire per una sterlina e fu per questo che Mussolini, sia per contenere l’inflazione che per rafforzare solidità ed autorevolezza del regime all’interno e all’esterno della nazione, annunciò una manovra deflazionistica fissando il cambio con la sterlina a 90 lire, da qui il nome di quota 90.

Tale politica divenne realizzabile grazie alla concessione all’Italia di un prestito di 100 milioni di dollari da parte della banca statunitense Morgan.

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Quota 90 è la definizione coniata da Mussolini per indicare il progetto di rivalutazione della valuta italiana al fine di raggiungere il cambio di 90 lire per una sterlina inglese. Il risultato fu raggiunto e la lira tornò all’interno del Gold Exchange Standard ma il prezzo da pagare fu una grave ripercussione nell’edilizia e nelle piccole imprese produttrici di beni di consumo, mentre la grande industria continuò ad espandersi. La rivalutazione della moneta portò ad una conseguente riduzione di prezzi e salari dovuta alla scarsa circolazione del denaro e correlativamente ad una temporanea stagnazione della produzione.

Prima della guerra si parlava ben poco di cambio in quanto le monete degli stati avevano la parità aurea che si inizia già a perdere nel periodo bellico per poi scomparire del tutto successivamente.

Fino al 1914 il commercio si basava solo sul credito privato, il pagamento avveniva con assegni bancari e si può dire che il denaro si conosceva ben poco.

Successivamente alla guerra invece lo scenario assume connotati nuovi nel quale si affacciano stati flagellati dal conflitto che si ritrovano ad emettere carta moneta in modo sregolato portando così l’inflazione alle stelle.

Ecco quindi spiegata la necessità dell’adozione della politica denominata “quota 90”. Con il raggiungimento della quota 90 le banche internazionali avevano incrementato la loro fiducia nei confronti della lira che venne quindi inclusa fra le monete stabili e fra l’altro poiché l’Italia era un grosso acquirente di prodotti americani, accrebbe il movimento di capitali statunitensi a favore del mercato italiano40.

La stabilizzazione monetaria inoltre aiutò le imprese che operavano in regime di concentrazione industriale, fra l’altro favorita dal regime.

Anche grazie alla mediazione delle grandi banche di credito ordinario, vennero realizzate importanti operazioni di fusione e assestamento nel comparto elettrico, meccanico e chimico41.

Le piccole e medie imprese invece vennero strozzate dalla contrazione del credito tanto da arrivare a fallire o ad essere assorbite dalle grandi.

Si ebbero effetti anche dal punto di vista sociale principalmente sui ceti meno abbienti che furono quelli più intaccati dalla drastica diminuzione dei salari la quale si aggirò fra il 10% e il 20% e non fu compensata dalla riduzione del costo della vita, pari solo all’1,3%.

I risparmi dei ceti medi furono invece tutelati tant’è che questi continuarono a sostenere il regime.

La crisi del ’29 comportò una contrazione nell’industria italiana che si aggirò attorno al 15%-25% con punte superiori al 30% nel settore tessile, metallurgico e meccanico. Tutto ciò portò ad un aumento della disoccupazione, ad una riduzione degli stipendi di

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Proprio per questo molte aziende italiane quali Edison, Pirelli, Fiat, Montecatini, Snia Viscosa, Terni, Marelli, Breda negoziarono importanti operazioni di mutuo che si aggiravano attorno ai 6.259 milioni di lire fra il 1925 e il 1927 per poi raggiungere i 7.672 milioni nel 1929.

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Nel comparto chimico il gruppo Montecatini controllava 44 società, partecipando per il 65% alla produzione italiana di concimi fosfatici. Nel comparto meccanico invece Ansaldo, Fiat e Breda possedevano il 25% del capitale totale dell’intero settore.

industria, commercio e agricoltura ed alla riduzione del 12% delle retribuzioni degli impiegati di stato.

Meno denaro in circolazione non poteva che comportare una contrazione dei consumi manifestatasi in particolar modo nel secondo trimestre del 1930 e di conseguenza una contrazione del mercato interno.

In ogni settore economico la difficoltà di proporzionare i prezzi di vendita ai costi di produzione ridusse i profitti, il saggio di interesse del denaro divenne più elevato in quanto le banche avevano sempre meno risorse a disposizione per i prestiti, i fidi e i finanziamenti a lunga scadenza si ridussero e tutto ciò portò a notevoli dissesti commerciali.

Il peso degli oneri fiscali inoltre creò grosse difficoltà in tutti i settori.

La violenta crisi economica assottigliò le correnti turistiche, indebolì le rimesse degli emigranti, ridusse l’ammontare dei noli percepiti dai nostri armatori per trasporti marittimi internazionali e portò alla restrizione della domanda di merci italiane all’estero. Le esportazioni correlativamente ebbero un altro duro colpo dopo quello già subito con la quota 90 e di conseguenza il flusso dei capitali internazionali si interruppe. Il regime fascista cercò di arginare la crisi ponendo fine alla dipendenza economica da altri paesi ovviamente però la riduzione delle importazioni, come ad esempio quelle del grano, comportò una forte contrazione anche delle esportazioni.

La recessione economica gettò nel panico i risparmiatori e provocò quindi il ritiro immediato dei depositi bancari. Tutto ciò creò grossi problemi a banche come il Credito Italiano, il Banco di Roma, la Banca Commerciale Italiana, l’Istituto Italiano di Credito Marittimo le quali essendo banche miste42 avevano investito il denaro dei risparmiatori in operazioni a lungo termine nelle industrie.

D’altro canto però il risparmio italiano cresceva ma ciò era dovuto semplicemente al fatto che gli investitori avevano paura di operazioni rischiose. Tutto ciò non faceva che ostacolare l’afflusso di capitale straniero e nel frattempo i titoli italiani emessi o venduti all’estero ritornarono in patria.

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La banca mista o banca universale è un modello di gestione bancario, nato verso la fine del XIX secolo impegnato nell’erogazione di molti servizi fra cui la raccolta di risparmio a breve e a lungo termine e la vendita di numerosi prodotti finanziari. Si contrappone alla banca pura nella quale vi è invece una forte correlazione tra le forme della raccolta e la durata delle operazioni di impiego. Ai giorni d’oggi il modello più diffuso di banca è sicuramente quello misto.

Quello che spicca però è che l’Italia, a differenza di altri stati, fin dal primo anno della crisi sembra avere qualche piccolo segnale di ripresa in particolare legato all’abbondante produzione e al buon andamento dell’industria saccarifera nel 1930. Nello stesso anno la Banca d’Italia, ritenendo esagerato il numero di banche esistenti, assecondò un loro concentramento, ciò permise una riduzione delle spese generali e attenuò la concorrenza per l’accaparramento dei depositi.

Sempre in questo progetto di semplificazione, il 31 dicembre 1930, la Cassa d’ammortamento43

annullò ben 789 milioni di lire in titoli pubblici, di cui 649 in consolidato.

Nonostante tutte le opere di vigilanza, di tutela e di assistenza alla produzione industriale e all’attività commerciale del Paese operate dal governo, la crisi divenne acuta e portò ad un altissimo numero di dissesti44.

Vista la gravità della situazione lo stato fascista non poteva adottare la consueta politica di addossarsi i debiti delle imprese in crisi.

Non potendo nemmeno contare sull’ingresso di capitali dall’estero, vista la netta contrazione delle esportazioni correlata a quella delle importazioni, per evitare il fallimento delle principali banche che avrebbe travolto l’intera economia decise di smantellare la banca mista la quale con credito a breve termine finanziava le imprese con prestiti a lungo termine che, in caso di mancata restituzione, avevano come contropartita la possibilità dell’istituto di credito di rilevare le quote azionarie delle imprese insolventi.

Dal 1933 le funzioni di prestito a lungo termine e la partecipazione azionaria nelle imprese fu attribuita all’I.R.I.45, Istituto per la Ricostruzione Industriale.

L’I.R.I. concentrò in sé un ingente patrimonio industriale costituito dall’industria siderurgica bellica (Terni e Ansaldo), dall’industria estrattiva e cantieristica (Odero- Terni-Orlando, Cantieri Riuniti dell’Adriatico) dall’industria automobilistica (Alfa

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La Cassa d’ammortamento del debito pubblico fu istituita con regio decreto-legge n.1414 del 5 agosto 1927. Ad essa sono state attribuite le competenze del Consorzio nazionale che si occupava dell’ammortamento del debito.

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Nel 1930 sono stati dichiarati 13.610 fallimenti ed è stato stimato che in media nel 1930 si sono avuti 7 fallimenti e 290 protesti cambiari in più rispetto all’anno precedente.

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L’I.R.I. fu istituito con R.D.L. n.5 del 23/01/1933, aveva come scopo quello di risolvere il problema di un’adeguata divisione del lavoro bancario separando gli istituti di credito commerciale da quelli che avevano il fine di finanziare l’attività produttiva. L’I.R.I. doveva occuparsi di finanziare aziende in grado di riprendere il loro posto sul mercato in concorrenza con le altre con opportuni interventi o di far giungere a liquidazione con i minori costi possibili per la comunità quelle che risultavano irrimediabilmente anti-economiche. Per un’analisi più approfondita del problema vedi Luca Anselmi, Le Partecipazioni statali oggi - analisi delle condizioni di equilibrio aziendale, Giappichelli editore, Torino, 1994.

Romeo), dalle imprese costruttrici di locomotive, da importanti pacchetti azionari nei settori chiave dell’industria elettrica, della siderurgia civile, delle fibre artificiali.

Per evitarne il fallimento l’IRI acquisì anche la proprietà della Banca Commerciale, del Credito italiano e del Banco di Roma, rappresentanti le tre principali banche miste. All’I.R.I. venne affiancato l’I.M.I., Istituto Mobiliare Italiano che si occupava di finanziare l’industria a medio lungo termine attraverso l’emissione di obbligazioni46

. La crisi del ’29 segno il panorama economico ed industriale italiano per i successivi 60 anni.

Nascono in questo periodo le figure della banca pubblica e delle partecipazioni statali e si passa dallo stato liberale allo stato imprenditore e banchiere che diviene operatore economico attivo e non più super partes come era avvenuto in passato.