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Miglioramento dell’efficienza e ricerca della qualità come risposta alla crisi

CAPITOLO 3 – IMPATTO DELLA CRISI SULLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE E

3.3 Miglioramento dell’efficienza e ricerca della qualità come risposta alla crisi

Altra importantissima leva sulla quale puntare è l’aumento dell’efficienza.

Un’azienda è efficiente quando utilizza in maniera economica le risorse a sua disposizione, raggiungendo quindi il pareggio fra costi e ricavi.

L’efficienza aziendale deve essere ricercata in tutte le fasi del processo produttivo che sarà quindi opportunamente scomposto in segmenti da porre in analisi.

Al fine di analizzare tutte le possibili alternative ed optare per quelle che forniscono i risultati migliori, un importante indicatore in materia è dato dalla quantità di input rapportata all’output ottenuto.

L’efficienza interna è data dalla capacità dell’azienda di produrre più unità di output possibili dato un certo ammontare di input di partenza ed una certa tecnologia.

Si andrà quindi ad analizzare il processo produttivo per vedere come gli input vengono utilizzati al suo interno.

L’efficienza esterna invece è data dalla capacità del complesso produttivo di combinare input ed output al minimo costo dati i prezzi di mercato.

Si verificherà quindi la capacità dell’azienda di ottenere sempre maggiori livelli di output a parità di mezzi monetari di partenza grazie a risparmi legati alla riduzione delle spese di commercializzazione o all’acquisto di input a prezzi minori, magari ad esempio perché si ordinano grossi quantitativi.

L’efficienza si distingue dall’efficacia che va ad indagare i risultati ex post e cioè il livello di raggiungimento degli obiettivi aziendali. Quella interna sarà misurata dal grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati mentre quella esterna dal livello di soddisfazione dei bisogni della clientela.

L’azienda sarà economica solo se riuscirà ad utilizzare le proprie risorse nel lungo periodo in modo produttivo raggiungendo in modo efficiente i suoi target.

Per migliorare l’efficienza aziendale occorre che tutte le risorse di cui una struttura si compone operino al meglio.

Tra i tasselli da prendere in considerazione di certo vi è anche quello di aumentare la produttività del personale sia attraverso corsi di formazione che puntino a migliorare sempre di più le competenze della manodopera sia attraverso politiche di coinvolgimento dei dipendenti al fine di farli sentire parte attiva del grande complesso aziendale.

Il personale in tal modo sarà maggiormente motivato e vedrà l’andamento del complesso produttivo come un qualcosa che lo riguarda personalmente. Cercherà quindi di lavorare al meglio perché farà propri gli obiettivi aziendali.

Alla fine del raggiungimento di una maggiore efficienza aziendale vi è di certo la ricerca accurata di qualsiasi tipo di spreco al fine di eliminarlo.

Il processo produttivo andrà quindi studiato a fondo per definire se tutte le fasi siano necessarie71 e in caso di risposta affermativa occorrerà valutare se sia possibile ridurre il costo di qualcuna di esse.

Si andranno anche ad esaminare quali siano gli errori commessi nella sua esecuzione al fine di evitare la produzione di output difettosi.

Occorrerà ridurre i periodi di attesa nelle varie fasi perché i tempi morti comportano la presenza di macchinari non utilizzati e quindi costi di mancata produzione.

Quando ci troviamo in situazioni nelle quali non è possibile tagliare ulteriormente i costi si può migliorare l’efficienza tramite la riorganizzazione del processo produttivo, quindi anche senza la necessità di ulteriori investimenti.

L’idea alla base è quella di riprogettare i processi al fine di incrementarne l’efficienza in modo sostanziale. Si tratta quindi di far finta di ricominciare dalla base e di definire ex novo il processo produttivo.

Ad esempio si verifica se nei periodi di scarsa domanda la capacità degli impianti è sottoutilizzata. La conseguenza sarebbe data da costi unitari più elevati poiché i costi fissi verrebbero ripartiti su un quantitativo minore di produzione. Si analizza anche se al contrario nei periodi di punta massima della domanda la produzione è portata al di là del normale livello di funzionamento a piena capacità con un incremento dei costi fissi legati ad esempio alla necessità di straordinari, alle indennità per lavoro extra notturno o durante giorni festivi.

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Nelle ridefinizione del processo produttivo bisogna dare grande importanza alla flessibilità e cioè alla capacità dell’azienda di adeguarsi velocemente ai cambiamenti del mercato, dell’ambiente e quindi del complesso nel quale è inserita.

Per ottenere ciò si punta alla semplificazione del processo produttivo intervenendo sulla politica interna di stabilimento. Si andrà quindi a verificare quali siano gli spostamenti interni dei materiali, dei prodotti in corso di lavorazione e a rivisitare la logistica nell’ottica di eliminare le fasi non ritenute importanti.

L’obiettivo è quello di rendere il flusso dei materiali il più snello possibile agendo su tutto ciò che può essere ridotto senza però incidere sul valore del prodotto.

Si attua una semplificazione dei processi logistici e del layout disponendo le macchine in modo tale da favorire la riduzione dei tempi di produzione e snellendo anche la correlazione tra le varie fasi del processo produttivo.

Le PMI in questo sono avvantaggiate dalla snellezza del loro apparato produttivo. Un esempio concreto di alta flessibilità è dato da British Steel che è stato il produttore di acciaio con maggiore redditività in Europa per buona parte degli anni 80-90 proprio perché era in grado di adeguare più velocemente dei concorrenti la sua offerta ai mutamenti della domanda.

Nel contesto attuale è fondamentale anche l’attuazione di un’adeguata politica della qualità.

Bisogna distinguere fra qualità interna che si concretizza nella riduzione di sprechi e difetti nei prodotti ove non fosse possibile la loro totale eliminazione e qualità esterna legata alla capacità di far percepire alla clientela che l’output dell’azienda è qualitativamente migliore rispetto all’offerta dei concorrenti.

Una maggiore qualità interna, portando ad una riduzione degli sprechi, comporta minori uscite di cassa mentre una maggiore qualità esterna permette all’impresa di far lievitare il prezzo di vendita o la propria quota di mercato e di conseguenza aumenta i flussi in entrata.

La ricerca della qualità del prodotto ovviamente comporta dei costi aggiuntivi, legati ad esempio alla formazione di personale qualificato che fra l’altro si concretizza in un apprendimento continuo che non si esaurisce con l’inserimento del lavoratore all’interno del complesso produttivo, agli interventi sui macchinari per adeguarli a standard qualitativi sempre più elevati, all’acquisto di materie prime di alto livello e all’implementazione di sistemi di controllo della qualità che vadano a verificare le cause degli scostamenti dagli standard prefissati.

La qualità viene vista come soddisfazione del cliente e cioè si punta alla customer satisfaction72.

Bisognerà imparare a far bene già dalla prima volta, il prodotto non dovrà rientrare nella filiera produttiva sia perché ciò comporta costi aggiuntivi di rilavorazione e sia perché altrimenti l’azienda avrà una perdita d’immagine agli occhi della clientela se immette sul mercato prodotti difettosi. Si parla a tal proposito di costi della non qualità.

Affacciandoci sul panorama delle PMI spicca subito come tali realtà, oltre a presentare sovente carenze a livello organizzativo e gestionale, abbiano un’assai scarsa sensibilità nei confronti delle problematiche qualitative.

Tali imprese cioè non hanno ancora dato il giusto peso a questa variabile e tuttora non hanno capito quanto sia già strategicamente importante e indispensabile per sopravvivere in un mercato sano e ancor di più quindi in uno in grave crisi quale quello attuale.

Il miglioramento della qualità interna nelle dimensioni medio piccole spesso è ostacolato dalla mancanza delle competente necessarie e dalla presenza di risorse limitate da destinare ad investimenti in immobilizzazioni di alto livello, formazione del personale, utilizzo di appropriati metodi di controllo della qualità. Questo però le deve portare ad allocare meglio la ridotta liquidità a disposizione al fine di destinarla al miglioramento qualitativo dei settori ritenuti maggiormente strategici.

La qualità esterna è invece perseguita sempre più spesso anche perché indispensabile per la sopravvivenza dell’azienda sia perché se è fornitrice di grandi imprese queste pretenderanno prodotti con standard qualitativi elevati e sia perché non avendo la possibilità di operare su una leadership di costo, viste le limitate dimensioni, l’unica variabile alla base della competizione73 rimarrà proprio questa.

Nella ricerca della qualità spiccano alcune caratteristiche tipiche delle PMI come ad esempio la mancanza di ruoli specialistici al loro interno in quanto non si ha una precisa ripartizione dei compiti, d’altra parte però la presenza di schemi gerarchici molto semplici accorcia le distanze fra imprenditore e lavoratore facendo sì che questi si senta parte di un grande sistema e sia quindi motivato a fare il meglio possibile.

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Ancora una volta sono i giapponesi a darci un grosso insegnamenti in questo con il loro motto “il cliente è il re” che è alla base di tutte le politiche di management. Le loro politiche di marketing si basano sulla concezione che l’azienda ha successo solo se il cliente la apprezza, al centro di ogni scelta aziendale quindi vi è l’attenzione verso il cliente.

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La qualità del prodotto viene certificata sulla base della rispondenza a standard prefissati, si fa riferimento agli ISO 9000 e agli ISO 9001.

La presenza di una struttura informale e la mancanza di specializzazione del personale in funzioni specifiche permette alle PMI di essere potenzialmente flessibili ma le politiche in tal senso sono limitate al breve periodo e non riguardano quello medio o lungo concretizzandosi quindi nella risposta da dare ad un mercato dinamico, elemento che nel contesto attuale è di fondamentale importanza.

Nella ricerca della qualità una delle pecche della piccola dimensione è data dalla carenza di formazione specifica legata non solo alla mancanza di risorse da destinare a corsi di formazione ma anche alla scarsa sensibilità dimostrata dall’imprenditore verso tali interventi formativi.

In tali apparati produttivi l’imprenditore solitamente ha una visione di breve periodo in quanto, accentrando in sé tutte le funzioni per paura che la delega di parte di esse comporti una perdita di potere, non può che occuparsi dei problemi più urgenti tralasciando quindi le decisioni strategiche di medio lungo termine.

Il piccolo imprenditore assume così molte competenze in attività esecutive ma sovente non ha conoscenze in ambito strategico ed essendo l’azienda un fenomeno orientato al medio lungo termine e non di tipo speculativo è chiaro che questa non può che essere una pecca per la sua sopravvivenza, specie nel contesto attuale di profonda depressione. Altro grosso problema è legato alla difficoltà di accesso al credito dovuto alla scarsa fiducia che le banche ripongono in loro specie in uno scenario come l’attuale nel quale l’insolvenza anche di entità di dimensioni elevate è all’ordine del giorno.

Le risorse sono quindi limitate a prestiti a breve e all’autofinanziamento.

Sovente poi tali entità pur dando vita a prodotti nuovi e innovativi non sono state in grado di gestire la loro evoluzione sul mercato con la conseguenza di vedersi ben presto sottratte il vantaggio competitivo da first mover.

L’informalità, tipica delle aziende di dimensioni contenute, se da un lato è un elemento positivo perché permette una rapida circolazione delle informazioni dall’altro consente la sopravvivenza di costi nascosti legati a carenze organizzative che non vengono messi alla luce proprio per la mancanza di un appropriato sistema informativo.

Una grossa carenza delle piccole e medie imprese è data dalla mancanza di competenze su tecniche distributive e metodologie di vendita sofisticate. Scarsa inoltre risulta la conoscenza dei mercati e delle caratteristiche della domanda.

Tra i grossi errori del piccolo imprenditore vi sovente quello di non porsi nemmeno il problema della qualità, egli infatti ritiene che la reale esigenza dell’azienda sia

soddisfare gli ordini della clientela e non rischiare di trovarsi in ritardo di fronte alle commesse.

La formazione quindi prima che per il personale sarebbe necessaria per lo stesso imprenditore al fine di fargli capire quanto invece la qualità rappresenti una variabile essenziale di sopravvivenza nei mercati.