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L’importanza di conoscere i propri lettori

3 PUBBLICAZIONE E DIFFUSIONE

3.1. L’importanza di conoscere i propri lettori

Di certo l’idea che la scrittura critica possa bastare a se stessa è sconfitta dalle dinamiche comunicative della Rete e necessita di essere integrata a una più stratificata attività di mediazione culturale. Il capitolo precedente ha mostrato una resistenza ad abbandonare del tutto la forma scritta, ma anche un tenace tentativo di rinnovarla in quanto strumento di racconto. Uno dei compiti più urgenti per chi si occupi di critica online sembra allora quello di dar forma alla propria attività formulando innanzitutto un’immagine della comunità a cui si rivolge. Per qualcuno si tratta di «produrre contenuti che riescano a intercettare delle domande sociali, a restituire un’identità»2.

Rodolfo Sacchettini ritiene che innanzitutto debba essere chiaro l’atteggiamento che il «contenitore» mantiene nei confronti dei lettori e porta come esempio la sua precedente esperienza tra i collaboratori della rivista cartacea Lo Straniero3. Nel

contesto di un periodico generalista cartaceo gli autori hanno modo di incontrare «lettori totalmente inaspettati, provenienti da “altri mondi”», che si trovano ad acquistare la rivista cercando altri argomenti e inciampano nel teatro4.

Oggi accade che gran parte degli approfondimenti sul teatro arrivi invece da riviste completamente dedicate alle arti performative, che però online non riescono a raggiungere altri ambiti della cultura.

Accanto a una misurabilità sempre più precisa del numero dei lettori – incomparabile con quella dei giornali cartacei – si pone una generale incertezza sulla composizione di questa comunità. L’allargamento del dibattito in Rete e il suo riorganizzarsi in cerchie di lettori selezionati rende arduo far dialogare il teatro con il resto del tessuto

2 A. Esposito in G. Alonzo (a cura di), Inforcare gli occhiali del XXI secolo per intercettare il nuovo

pubblico del web. Intervista ad Andrea Esposito, in «Ateatro», n. 162, 23 Giugno 2017.

http://www.ateatro.it/webzine/2017/06/23/fanpage-esposito-critica-teatro/ [consultato 12/09/2018]. Andrea Esposito è giornalista, autore e regista per Fanpage, dove cura la sezione Teatro e Spettacoli.

3 Lo Straniero è stata una rivista cartacea mensile fondata da Goffredo Fofi nel 1997 e da lui diretta fino al numero finale, un numero triplo (n. 198/199/200), uscito nel febbraio 2017. http://lostraniero.net/archivio/ [consultato 18/08/2018].

sociale. Al contempo, lo stesso trend sta permettendo alle riviste specialistiche di veicolare rapidamente l’alfabetizzazione ai formati e ai linguaggi del teatro. Rivolgersi a dei “lettori tipo” sempre più vicini alla materia porta a strutturare una terminologia difficilmente comprensibile agli outsider: «Si sa già a chi si parla, quindi non ci si sforza di allargare il discorso»5. Una scrittura troppo specializzata

non riesce infatti del tutto a posizionarsi in un flusso come il Web, che scorre incontrando soglie di attenzione molto basse e non sempre raccoglie lettori disposti realmente ad approfondire. Quello che emerge dalla ricerca è che la relazione tra lettori e critica è in larga parte determinata dalla selezione degli argomenti, dai loro percorsi di disseminazione e dal “lettore tipo” che l’autore si trova a immaginare. Gli esempi di formati e stili riportati nel precedente capitolo testimoniano innanzitutto la possibilità di presumere un’alfabetizzazione ai linguaggi del teatro a un livello medio-alto. Pur se, in certi casi, con l’aiuto di un taglio giornalistico che predilige la descrizione dell’evento attraverso il racconto del contesto in cui si svolge, è opinione diffusa che la scrittura critica stia andando sempre di più verso un atteggiamento comunicativo rivolto a cerchie selezionate di lettori.

Un pensiero piuttosto solido viene elaborato da Maddalena Giovannelli, che tenta di costruire una sorta di fenomenologia delle “cerchie” di lettori. La prima, la più attiva e costante, è quella molto ristretta, popolata dai simpatizzanti aderenti a questa comunità: chi fa teatro, lo critica o lo segue per questioni di studio. «Questi lettori sono in possesso degli strumenti per orientarsi anche se non conoscono perfettamente la singola rivista che stanno consultando»6.

Emerge qui l’idea che il pubblico di lettori debba sempre e comunque essere valutato di pari passo con il suo essere o meno pubblico di teatro, il che si collega alla questione dell’alfabetizzazione ai linguaggi del teatro e dell’informazione. Come se un certo tipo di costanza nella frequentazione dell’ambiente teatrale garantisse anche al lettore una maggiore dimestichezza nell’assegnare peso specifico alle riflessioni firmate dalla critica.

5 Intervista a Giulio Sonno. Roma, 12/04/2018. 6 Intervista a Maddalena Giovannelli, cit.

Secondo Giovannelli la seconda cerchia include «le comunità di studiosi» non necessariamente legate a filo diretto con gli studi teatrali. Per questa cerchia «il teatro contemporaneo rappresenta una materia laterale ma utile al proprio percorso»7.

La terza cerchia è quella che gli autori della pubblicazione vorrebbero riuscire a intercettare e, al contempo, la più difficile da attrarre sulle pagine elettroniche, «il pubblico che, di fronte a una sovrastimolazione culturale, può intravedere qualcosa che emerge, come un iceberg»8.

Per questa ragione alcune opere riescono a interessare anche il cosiddetto “non pubblico” perché “bucano” lo specialismo del racconto e dell’approfondimento, irrompendo nel più ampio discorso culturale. Il pubblico della “terza cerchia” sembra dunque cercare quelle opere e quei discorsi che affrontano questioni che risultano cruciali per il sentire contemporaneo e dunque apre improvvisamente l’orizzonte degli interessati.

Nell’ambito di un più ampio studio sul pubblico del teatro, Laura Gemini riporta le statistiche che riguardano l’informazione. La scoperta di nuove proposte artistiche rappresenta un volano decisivo per la progressiva intensificazione dell’attività spettatoriale. L’interesse si esprime attraverso la ricerca di un contatto diretto con gli artisti – più semplice in Rete – e la frequentazione dei gruppi tematici sui social network. Le riviste di informazione e critica non riescono invece a incidere sensibilmente, mentre il consiglio e il passaparola come «il canale informativo dominante».

Il concetto stesso di “comunità di lettori” è diventato inafferrabile perché lo è diventato quello di società teatrale. Fino agli anni Settanta la dieta culturale degli italiani «si confrontava anche con le recensioni dei critici, a cominciare da quelli dei quotidiani», mentre ora il teatro è oggi è fatto di «tanti teatri diversi che spesso non comunicano tra di loro»9.

7 Ibidem. 8 Ibidem.

3.1.1. Tra forma scritta e forma parlata. Una «nuova oralità»

Un primo passo, condotto sul piano sociologico e sociopolitico, riporta al passato delle formulazioni teoriche intorno al peso specifico rappresentato dalla forma scritta nel contesto della cultura digitale.

Nell’abbondanza dei riferimenti disponibili sul rapporto tra cultura scritta e cultura orale, vanno richiamati alla mente almeno alcuni studi fondamentali. Secondo Walter J. Ong è importante considerare la dimensione orale e quella scritta entro una forma di comparazione, anche solo per il fatto che i due sistemi comunicativi hanno condiviso un dato periodo di tempo – o meglio, uno ha raggiunto l'altro e la loro coesistenza ha caratterizzato lo sviluppo di una cultura composita. Tuttavia queste due sfere andrebbero, secondo il teorico, analizzate anche in senso «diacronico» e confrontandone l'impatto sui sistemi di comunicazione nella cornice di diverse epoche. Ed è esattamente ciò che questa tesi, in un ambito molto circoscritto, sta tentando di fare. Il discorso si Ong sulla scrittura non può prescindere dalla sua considerazione in quanto una forma di tecnologia.

La scrittura è osservata come una tecnologia completamente artificiale, che non c’è modo di considerare come estensione del mondo naturale. Se il discorso parlato si rifà necessariamente alla sfera cosciente del cervello, «le regole grammaticali vivono nella sfera inconscia, nel senso che si conosce come usare le regole e persino come crearne di nuove senza neppure essere in grado di stabilire che cosa sono»10. Questo

significa che, nel trasferimento del discorso da orale a scritto, specialmente un contesto comunicativo ibrido come quello del Web 2.0 è in grado di porre questioni importanti rispetto alla sinergia tra il discorso parlato (che, insieme a quello visivo, caratterizza il teatro) e la forma scritta, tramite la quale viene istituito il discorso virtuale.

Nei suoi studi sulla sociologia delle comunicazioni, Pierre Lévy marca l’importanza storica del passaggio dalle culture orali alla cultura scritta: sulla base di questo schema, il Web 2.0 potrebbe rappresentare un ritorno a una nuova forma di oralità. Nelle società orali, infatti, emittenti e riceventi di un messaggio si trovavano a

10 W. J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (Orality and Literacy. The

condividere la stessa condizione sociale, la stessa situazione geografica e, di conseguenza, un comune universo di significati: «I messaggi linguistici erano sempre ricevuti nel medesimo tempo e luogo in cui venivano emessi»11.

L’avvento della scrittura ha introdotto uno spazio di comunicazione separato da barriere fisiche, rendendo individui distanti in grado di esprimere se stessi nonostante rilevanti differenze culturali e sociali. Nella scrittura gli attori della comunicazione hanno la possibilità di scambiare messaggi senza più necessariamente trovarsi in «interazione diretta. I messaggi si mantengono fuori contesto. Un fuori contesto interiorizzato dalla cultura»12. Tale interiorizzazione, secondo Lévy, porta a una

condizione definita universalità. Chiudendo a chiave il significato dentro le forme fissate della scrittura, questo genere di «universalità totalizzante» si rende abile a valicare gli ostacoli imposti dalle differenze di contesto13.

È a partire da questo anello di evoluzione che si delinea il passo avanti compiuto da mass-media come radio, televisione o cinema: questi eliminano dal discorso della comunicazione il momento della risposta, azzerando le possibilità di interazione da parte del ricettore. Quest’ultimo vede trascurata la propria dimensione contestuale, «la sua singolarità, i suoi legami sociali, la sua microcultura, la sua situazione precisa in un momento preciso». Gli individui partecipano alla creazione di un «pubblico indifferenziato» o quantomeno riconducibile a identità culturali organizzate in grandi insiemi, spesso rispondenti a indagini di mercato e assoggettate alle esigenze di equilibri globalizzati14.

Ancora rilevante per definire a pieno l’ambiente digitale in cui vengono oggi trasmesse e ricevute le informazioni e i ragionamenti sulla realtà è la definizione di Lévy di «macrocontesto fluttuante, privo di memoria e in rapida evoluzione». Esso reintroduce pratiche di «interconnessione e dinamismo in tempo reale […] che fanno nuovamente condividere il medesimo contesto […] ai partner della comunicazione»15.

11 P. Lévy, Cybercultura, cit., p. 110. 12 Ibidem.

13 Ivi, p. 112. 14 Ibidem. 15 Ivi, p. 113.

In tale misura, dunque, si impone la teoria di un ritorno – attraverso la comunicazione digitale – a una forma rinnovata di oralità, attraverso cui diviene possibile sia comunicare l’informazione in maniera universale (principale pratica introdotta dalle civiltà della scrittura), sia interagire e creare dei contesti (pratica caratteristica dalle culture orali) attraverso tre principi fondamentali:

interconnessione, creazione di comunità virtuali e intelligenza collettiva.

Se anche manca la condivisione del contesto reale, le evidenze dimostrano che un contesto virtuale è ormai in grado di condizionare profondamente i rapporti sociali.

3.2. Diffusione e condivisione tra contenuti mediali e User-Generated