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Teatr’on, uno storytelling per le “comunità aggregative”

2 FORMATI DELLA CRITICA TEATRALE

2.3. I linguaggi di produzione della critica online Un’analisi ermeneutica

2.3.2. Teatr’on, uno storytelling per le “comunità aggregative”

Nel 1995 Carlo Infante inizia a sperimentare l’ipertesto online nella maniera più basica ed efficace, organizzando a Torino un progetto-pilota dal titolo Laboratorio

sull’arte dello spettatore, il cui format verrà poi esportato, adattandosi a diversi

contesti. La scatola nera è il nome che il progetto assume nella cornice del Festival Inteatro a Polverigi, dove vengono realizzate quattro edizioni, dal 1997 al 2000.

La homepage risulta molto semplice e funzionale. Compaiono sotto forma di link attivi: il programma del festival; un indirizzo email da utilizzare per inviare i contributi; una sezione di rassegna stampa dedicata al festival; una sorta di organigramma (“facce”) che raccoglie foto profilo con sotto nome e qualifica. La pagina “diario di bordo” ospita le foto profilo della “redazione”, compreso il coordinatore.

La rassegna stampa riporta estratti di racconto firmati dalla stampa “ufficiale” come punti di partenza o di spunto per riflessioni guidate all’interno di un gruppo di non professionisti50. In esergo a questa sezione sono inseriti due paragrafi a firma Carlo

Infante, che introducono alcuni principi teorici elaborati dal curatore e che ricorrono come basi metodologiche.

Il concetto di «Punti di vita» rimanda alla capacità di Internet di «creare ambienti di reale comunicazione interattiva, spazi in cui la parola scritta (nonché immagini e altre forme di comunicazione audiovisiva) traduce il pensiero in azione»51.

Differenziando il lavoro online da quello dei mass-media, Infante parla poi di «spazio-tempo artificiale ma “vivibile”», richiama il pensiero di Pierre Lévy sul Web come portatore di una «nuova oralità». Infante invita a «concepire le reti telematiche come ambienti in cui attuare nuovi modi di cooperazione culturale ed educativa». Già nello sguardo teatrale lo spettatore agisce e mette in gioco se stesso; «nel “theatron” telematico, […] nella coscienza “connettiva” di Internet, si può fare di tutto questo un “prodotto” culturale inedito», che arricchisce lo sguardo con la dimensione cognitiva dell’ipertesto52.

In questo tentativo di proposta teorico-metodologica sembra dunque che esista un collegamento diretto tra le potenzialità ipertestuali del Web e un vero e proprio nuovo modo di concepire la restituzione dell’esperienza spettatoriale. Il progetto di Carlo Infante non possiede una natura programmaticamente critica, mira piuttosto a creare un sistema di amplificazione e di interconnessione tra i punti di vista che gli

50 A parte quelli nazionali di Antonio Audino (Il Sole24Ore) e Gianfranco Capitta (Il Manifesto), il resto degli articoli citati è a firma Maria Manganaro (Corriere Adriatico, dunque un quotidiano locale).

51 Cfr. http://www.teatron.org/scatolanera/diario/frame_diario.html [consultato 05/06/2018]. 52 Ibidem

spettatori/autori utilizzano per guardare il teatro contemporaneo, attraverso la «scrittura connettiva»53.

Appare chiaro come l’intero progetto, in questa fase embrionale del Web partecipativo, sia costruito attorno alle possibilità di interconnessione di diverse visioni. Riservando ai critici di professione un apposito spazio (“punto critico”) che in maniera evidente li separa dal resto, nel diario di bordo vengono accolte firme non accreditate dall’appartenenza a realtà editoriali riconosciute, della cui relazione di visione si tenta di conservare il tono originario.

Per comprendere l’importanza di questa primissima sperimentazione, è utile riportare qualche breve esempio, tratto dal diario di bordo della Biennale Teatro 1999.

Qui la struttura ipertestuale è più semplice e razionale rispetto al lavoro svolto dentro Inteatro, la messa a punto della user experience privilegia chiarezza e linearità; nel menu di spalla sinistra compare una lista degli spettacoli in programma alla Biennale Teatro 1999 visti dal gruppo di partecipanti. Cliccando sul titolo di ciascuno spettacolo, si apre una pagina dedicata che riporta le brevi restituzioni, ognuna firmata in calce con la formula “nome per esteso, iniziale del cognome”.

Più del resto mi sono rimasti impressi i colori e i rumori… [...] Tradurre la propria irregolarità in risorsa vitale [...] le loro stesse figure erano la denuncia… [...] un teatro che sceglie di misurarsi con il disagio, l’handicap e l’emarginazione sociale […] ...non si può raccontare la sensazione di disperazione provata ascoltando il suono di 70 paia di piedi, i nostri, come deportati54.

Gli autori sembrano liberi di utilizzare il taglio e il tono che preferiscono; la pagina che raccoglie i testi diviene così un aggregatore di stili e linguaggi molto diversi uno dall’altro, a sostegno di quell’orizzontalità proposta da Infante nei “principi teorici” e negli spunti metodologici.

53 Cfr. C. Infante, La scrittura connettiva, in «Teatr’on ». http://www.teatron.org/diario/appro_carlo/scrittura_conn.html> [consultato 05/06/2018] Con questo termine Carlo Infante si riferisce alla scrittura in ambito ipertestuale e richiama il concetto di intelligenza connettiva, «un’evoluzione psicologica e cognitiva che attraverso la telematica crea condizioni inedite di scambio sociale».

54 Le citazioni sono tratte dalle restituzioni degli spettacoli: Her Bijit di Pippo Delbono (1999) e

Seppure la consegna per i partecipanti non sia quella di scrivere una recensione, è evidente come la totale libertà nello stile e nel taglio tenda quasi sempre a portare con sé l’emissione di un giudizio o, quanto meno, la relazione delle sensazioni provate («noia», «disequilibrio», «armonia», «divertimento», «ritmo», etc.). Negli estratti citati si nota una chiara intenzione di fare i conti con un giudizio complessivo dell’opera, tenendo come paesaggio da raccontare la qualità di partecipazione dello spettatore e come punto programmatico il tentativo di rendere condivisibile un movimento emotivo o di attenzione innescato dalla fruizione. A caratterizzare quasi tutti i testi è comunque uno stile estremamente personale, che spesso accoglie la prima persona singolare. Nell’estratto che segue, uno degli autori affronta spontaneamente la differenza tra il tipo di scritto proposto e quella che, nell’immaginario comune, è riconoscibile come la forma recensione:

[...] ho deciso di non soffermarmi su una semplice descrizione dello spettacolo e una sua fredda e a parer mio completamente priva di senso recensione. Non sono un letterato e questo non è un libro, credo sia più importante ora descrivere con mezzi nuovi lo spettacolo e anche se ciò non potrà mai eguagliare l’originale sarà prova della sua forza ed interiorità. (Fabio S.)55

Dal punto di vista dell’ipertesto, la semplicità e l’essenzialità ricercate da Carlo Infante puntano a creare una struttura facilmente navigabile. Soprattutto nella versione di Biennale Teatro, l’utente è messo in condizione di costruire un percorso di informazione e approfondimento in maniera libera e personalizzata.

Questo rispecchia la vocazione principale del laboratorio, che non è la creazione di un organo di stampa e informazione, ma quella di un ambiente virtuale per le interazioni reali prodotte dalla natura comunitaria di un evento rivolto alle cosiddette «comunità aggregative»56.

In un’epoca pre-blog, il tentativo di utilizzare la scrittura telematica e dunque l’organizzazione ipertestuale a sostegno di una comunicazione il più adatta possibile alle nascenti comunità virtuali non giunge tanto a promuovere un dialogo tra gli

55 Cfr. www.teatron.org/diario [consultato 21/05/2018].

56 Cfr. http://www.teatron.org/diario/appro_carlo/scrittura_conn.html [consultato 05/06/2018] Carlo Infante definisce le comunità aggregative come «altri modi di concepire l’esperienza creativa in relazione ad una domanda culturale in trasformazione».

autori (che, facendo parte di un gruppo di visione, sperimentano già un’interazione compresente), ma assegna all’esperienza utente (individuale) la possibilità di fruire una narrazione variegata. In altre parole, il destinatario di questo esperimento è direttamente l’anonima comunità virtuale, che ripercorre le strutture di fruizione del festival rielaborate in un’architettura di scrittura collettiva.

Il diario di bordo curato da Carlo Infante è un aggregato di punti di vista, stili e livelli di analisi che non rende realmente riconoscibile l’opera in oggetto, se non attraverso un processo di rilettura dell’opera stessa in qualità di fenomeno percettivo. E questo perché esso ha come punto di partenza una precisa idea di ristrutturazione del discorso comunicativo e delle modalità di attraversamento di un evento teatrale, piuttosto che un’accurata produzione critica o documentaria.